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    Natale: Dio si fa uomo oggi


    Mario Cimosa

    (NPG 2002-01-41)



    Il tempo liturgico del Natale comincia la sera del 24 dicembre con una vigilia (la vigilia di Natale!), che già anticipa la festa, e si chiude con la celebrazione del Battesimo del Signore (conclusione del ciclo liturgico: natale-epifania e inizio del nuovo ciclo ordinario). Un breve periodo di tempo ma denso di celebrazioni e di misteri.

    I due centri focali sono Natale e Epifania. La chiave di lettura e di interpretazione esistenziale e spirituale di queste due feste, e perciò di tutto questo periodo, è come sempre la Parola di Dio con le letture domenicali e feriali.
    Storicamente, a partire dal quarto secolo, per «cristianizzare» la festa pagana del solstizio invernale, la festa del «Sol invictus», la rinascita del sole, la Chiesa sostituisce questa festa con quella del nuovo «sole invincibile», Cristo, «sole di giustizia» (Mal 4,2) e «luce del mondo» (Gv 8,12). A Roma il solstizio era celebrato il 25 dicembre, in Oriente il 6 gennaio. Così a Roma questa festa prese il nome di Natale in riferimento alla nascita del Signore, perciò si celebrava il fatto storico della nascita di Gesù a Betlemme. In Oriente il nome greco Epifania sottolineava un aspetto del mistero di questa nascita: Dio che si rivela nella natura umana di Cristo.
    La festa del Natale vede il movimento discendente dell’Incarnazione: «Dio si fa uomo oggi», quella dell’Epifania sottolinea il movimento ascendente: «Dio luce per tutti noi».
    In seguito le due feste vennero unite in Occidente (Natale-Epifania) e in Oriente (Epifania-Natale) evidenziando due aspetti complementari di uno stesso mistero che si celebra in questo ciclo liturgico.
    La Parola di Dio si articola in tre voci: quella del profeta (soprattutto Isaia), dell’apostolo (di solito Paolo, oppure anche gli Atti degli Apostoli o Giacomo) e quella del Vangelo (di solito Matteo, ma in queste feste anche Luca e Giovanni).

    2002-01 41

    Il tema di questa Messa della vigilia nell’annuncio della Parola è molto suggestivo ed è il tema centrale del Natale: Dio e l’uomo si uniscono così da formare un solo Cristo, ogni uomo aderisce a Cristo così da formare con Lui un solo Spirito. Tutto si spiega con le rachamim: «le viscere» di misericordia di Dio nostro Padre-Madre che nel suo amore viscerale, materno, ha donato al mondo il suo Figlio rendendolo in tutto solidale a noi perché noi potessimo rivivere.
    È questa la chiave per entrare nel mistero del Natale. Credere a questo amore è la sola forza che spalanca il nostro cuore alla grazia di queste celebrazioni rinnovando nell’intimo la nostra vita. Perciò Isaia dice: «Come un giovane sposa una ragazza, così il tuo creatore sposerà te. Come l’uomo gioisce per la sua sposa, così il tuo Dio esulterà per te» (Is 62,5).
    Paolo nel meraviglioso discorso fatto agli ebrei nella sinagoga di Pisidia, cittadina dell’Asia Minore (l’attuale Turchia), dice che «Dio è fedele alle sue promesse: perciò dalla discendenza di Davide egli ha fatto nascere per Israele un salvatore, Gesù» (At 13, 23).
    E Matteo all’inizio del suo Vangelo ci guida all’Anagrafe di Betlemme per farci conoscere gli antenati di Gesù.

    Che cosa è una «genealogia»

    Nel mondo orientale e presso gli ebrei le genealogie erano molto importanti: venivano conservate le liste degli uomini illustri e con esse si cominciava il racconto della loro storia con lo scopo di situare il personaggio nel suo contesto storico e sociale. Gli evangelisti Matteo e Luca, tenendo conto dei loro intenti teologici specifici, compongono due genealogie diverse, incomplete e approssimative da un punto di vista storico. Matteo vuole mostrare che Gesù si inserisce nella storia di Israele e Luca collegare la persona di Gesù a tutta la storia umana. La loro preoccupazione non è quella di essere esatti dal punto di vista della cronaca, quanto quella di mostrare che la storia procede verso un fine ultimo guidata da Dio e dalla sua provvidenza.

    Gli antenati di Gesù

    Parlando ad ebrei cristiani, Matteo vuole dimostrare (dati alla mano) la discendenza di Gesù da Davide e il suo essere Messia secondo le profezie dell’Antico Testamento. Gesù non è isolato, non è sceso per caso dal cielo, ma è erede di Abramo e di Davide (1,1), è frutto dello Spirito Santo.
    Nella sua genealogia iniziale Matteo riporta tre serie di quattordici nomi:
    – la prima serie si riferisce al periodo dei patriarchi (1, 2-6);
    – la seconda serie si riferisce al periodo dei re (1, 7-11);
    – la terza serie al periodo seguente all’esilio babilonese (1, 12-16).
    Matteo ha imparato alla scuola rabbinica della sinagoga di Cafarnao, che era il suo paese, che le lettere dell’alfabeto ebraico hanno anche un valore numerico. Il valore numerico del nome ebraico di Davide, dawid, corrisponde al numero quattordici (dalet / 4 + waw / 6 + dalet / 4). Allora l’evangelista proclama fin dall’inizio il suo messaggio di continuità di Gesù con l’Antico Testamento usando l’accorgimento delle quattordici generazioni. La storia ritmata sul nome di Davide, da lui all’esilio in Babilonia quattordici generazioni, dall’esilio alla nascita di Gesù altre quattordici generazioni.
    Gesù è… uno di noi, tra i suoi antenati ci sono anche peccatori, pagani, donne.

    Quattro donne: Tamar… Racab… Rut… Betsabea…

    Tamar si fa passare per una donna di strada e concepisce dal suocero Giuda il figlio Fares. Giuda aveva ingannato la nuora e non le aveva dato, come d’accordo, il suo terzogenito per suscitare una discendenza al suo primogenito morto subito dopo il matrimonio con Tamar. È possibile leggere tutto l’episodio nel libro della Genesi al capitolo 38, versetti 12-26. Ma alla Bibbia interessa meno il peccato di incesto quanto piuttosto il desiderio di avere una discendenza in Israele. Il vero peccatore in questo caso è il suocero Giuda, anche se è stato ingannato dalla nuora, perciò alla fine riconoscerà la rettitudine di Tamar: «È più giusta di me!». Matteo vuole mostrare che tra gli antenati di Gesù c’è anche una donna che si è macchiata di incesto.
    Racab, poi, è una donna cananea che a Gerico faceva il mestiere di prostituta. Non solo aiutò gli esploratori mandati da Mosè a Gerico, ma riconobbe ed ebbe fede anche nel Dio di Israele. Perciò fu premiata da Dio diventando, pur essendo non ebrea e peccatrice, erede delle promesse. L’episodio viene raccontato nel libro biblico di Giosuè 2,1-14, ma Racab viene nominata anche nella lettera agli Ebrei 11,31.
    Rut è il modello di ogni nuora, virtuosa e credente, ma appartenente a un altro popolo, i Moabiti, uno dei popoli più odiati dagli ebrei. La storia di questa donna gentile e buona verso la sua suocera Noemi è una delle pagine più deliziose dell’Antico Testamento.
    Si trova raccontata in un libro dell’AT che prende il nome dalla protagonista, Rut.
    La quarta donna (Betsabea) non viene ricordata per nome ma con una frase che richiama il peccato commesso da Davide con lei: «Davide generò Salomone da colei che fu la moglie di Uria». Questa donna, oltre che peccatrice, è anche pagana, in quanto appartenente al popolo degli Ittiti.
    Secondo la sua genealogia Gesù ha perciò come antenati persone nelle cui vene scorre sangue cananeo, moabita, ittita… Non solo, ma anche peccatori…
    Insomma Gesù appartiene al genere umano. È uno di noi.
    Matteo vuole anticipare l’apertura universalistica della missione di Gesù. Gesù è veramente uomo e dell’umanità condivide il bene e il male: come gli uomini, per ogni uomo!
    Si tratta di una visione globale e sintetica della storia ebraica, un compendio che percorre le varie tappe, attraverso i personaggi più importanti, per arrivare a Cristo, termine e realizzazione della salvezza.
    «Così da Abramo a Davide ci sono quattordici generazioni; dal tempo di Davide fino all’esilio di Babilonia ce ne sono altre quattordici; infine, dall’esilio in Babilonia fino a Cristo ci sono ancora quattordici generazioni» (Mt 1,17).
    Con Gesù inizia una nuova storia.
    Il vertice teologico del racconto degli antenati di Gesù è l’ultimo versetto:
    «Giacobbe fu il padre di Giuseppe; Giuseppe sposò Maria e Maria fu la madre di Gesù, chiamato Cristo» (Mt 1,16). Gesù è la realizzazione delle promesse fatte ad Abramo e a Davide, e lo è senza l’opera di un uomo. Gesù è nato da Maria, non da Giuseppe:… Maria fu la madre di Gesù. Volutamente non si dice: Giuseppe generò Gesù. Ma Maria è la madre, la donna da cui «è nato». Il soggetto perciò non è lei. È Dio che ha generato Gesù.
    Ecco la prima pagina del Vangelo: l’annuncio di chi è Gesù e quale è stato l’agire di Dio che salva nella storia.

    IL NATALE OGGI PER ME

    Il Dio-uomo è per il mondo di ieri e di oggi motivo di modificazioni sostanziali nella storia, nella nostra storia, nella mia storia personale.
    Io non ho più la stessa umanità di prima. La mia umanità è divinizzata, riceve una dimensione divina e questo in tutte le mie azioni. Nel Natale è Dio che si fa uomo… perché l’uomo diventi Dio. Da quando Gesù è nato come uomo, come me, come te, nelle mie vene, nelle vene di ogni uomo scorre sangue divino.
    La Parola del Padre con la sua incarnazione si è legata all’ambiente socio-culturale nel quale visse, partecipando nel modo più pieno alla convivenza umana. Il figlio di Dio si è fatto carne, per rendere l’uomo partecipe della natura divina,ossia per arricchirlo con la sua grandezza.

    2002-01 44
    Il significato della Messa della notte indicato dalle parole degli angeli nell’apparizione ai pastori raccontato da Luca nel suo Vangelo: «non temete! Io vi porto una bella notizia che procurerà una grande gioia a tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato il vostro Salvatore, il Cristo, il Signore» lo si comprende dalle prime due letture.
    La parola di Isaia è tratta dal cosiddetto «secondo Oracolo dell’Emmanuele» (Is 8,23-9,6): «Ci è stato dato un figlio…». In un bel poema viene sviluppata la speranza messianica: si tratta di una specie di salmo di gioia a gloria di Dio e del suo Messia. Viene annunciata la nascita di un bambino e nel v. 5 questo bambino è descritto come la gloria, la luce, la gioia che attraverso di lui sta per espandersi sul popolo di Israele. È la liberazione dal nemico, l’inaugurazione della pace, è il regno eterno della giustizia. È nato un bambino per noi! Ci è stato dato un figlio! Questo plurale rende il profeta non solo spettatore dell’annuncio ma partecipe. Vengono indicati i titoli di questo bambino che ne svelano il destino: consigliere sapiente, Dio forte, padre per sempre, principe di pace. Il regno di questo bambino è un regno dinamico, un regno che cresce nella pace più perfetta. È annunciato il Messia, Gesù della stirpe di Davide e di Betlemme. L’evangelista Matteo vede nella nascita di Gesù la venuta del Messia annunciato dal profeta Isaia, «l’evangelista dell’Emmanuele». Il suo scopo principale però non è quello di annunciare la concezione verginale di Gesù. Essa appare evidente da tutto il racconto. La citazione di Isaia per l’evangelista significa che la nascita di Gesù è stata preparata nei secoli da Dio ed è soltanto opera sua.
    E così si realizzò quel che il Signore aveva detto per mezzo del profeta Isaia:

    Ecco, la vergine sarà incinta,
    partorirà un figlio
    ed egli sarà chiamato Emmanuele.
    Questo nome significa:
    «Dio è con noi».

    Se guardiamo il contesto originario del profeta capiamo meglio la rilettura attualizzata che ne fa Matteo. Il profeta viveva in un momento assai difficile per la storia d’Israele. L’empio re di Giuda, di nome Acaz (dal 735 al 716 a.C.), era senza figli. Intanto il re di Israele e il re di Siria erano in guerra con Acaz. Volevano conquistare Gerusalemme e sostituire la dinastia di Davide con un altro re. In altre parole, volevano far prevalere la potenza degli uomini e annullare i progetti di Dio e i portatori delle sue promesse. Dio però per mezzo del profeta Isaia ribadisce la sua fedeltà e fa rivolgere ad Acaz il seguente messaggio: «Ebbene, il Signore vi darà lui stesso un segno. Avverrà che la giovane donna incinta darà alla luce un figlio e lo chiamerà Emmanuele (Dio con noi)» (Is 7,14).
    Dopo un po’ di tempo nasce infatti, da una giovane donna, probabilmente dalla sua giovane sposa Abia, che ancora non gli aveva dato un erede al trono, il primogenito Ezechia. La discendenza di Davide è salva. Dio ha preso l’iniziativa e con il suo intervento ha permesso di superare questa situazione difficile per mezzo di una nascita misteriosa di un bambino destinato ad una missione: essere il portatore di una promessa. L’evangelista prende questo testo di Isaia ma lo legge seguendo la traduzione greca (la cosiddetta versione dei LXX) fatta dagli ebrei della diaspora alessandrina di lingua greca che, avendo conservato la tradizione ebraica che il messia sarebbe nato da una madre vergine, avevano già tradotto nel 3° secolo a.C. il termine ebraico almah, che significa giovane donna, con il termine greco parthenos, cioè vergine. Infatti dopo l’esilio in Babilonia, quando la fede di Israele in un messia discendente di Davide era entrata in crisi, il popolo non aveva perso la speranza messianica e aveva continuato a rileggere e riattualizzare in contesti sempre nuovi le parole del profeta e ne aveva atteso un compimento ancora più perfetto.
    Dio farà nascere il Messia, il vero discendente di Davide, da una donna vergine. Il messia-salvatore non può venire dagli uomini ma solo da Dio. Sarà una vergine che darà alla luce un figlio e gli uomini lo chiameranno Emmanuele; riconosceranno che Gesù, figlio di Maria, è veramente la presenza di Dio tra di noi. È l’Emmanuele, parola ebraica che significa Dio è con noi, fatto nostro fratello, solidale con noi.
    L’altro elemento interpretativo dell’evento è dato da Paolo nella Lettera a Tito (seconda lettura):

    «Dio infatti ha manifestato per tutti gli uomini la sua grazia che salva. Questa grazia ci insegna a respingere ogni malvagità e i nostri cattivi desideri, per vivere invece in questo mondo una vita piena di saggezza, di giustizia e di amore verso Dio. Intanto aspettiamo che si manifesti la gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo. Egli è la nostra gioia e la nostra speranza».

    Nella Messa dell’aurora viene cantata la luce del Salvatore che ci è stato donato. Nel racconto dell’evangelista Luca che continua dalla Messa precedente si dice che i pastori hanno fretta di scoprire ciò che è avvenuto e ciò che il Signore ha fatto loro conoscere. Essi desiderano vedere; vedere, cioè constatare l’amore di Dio per gli uomini. La gioia del messaggio dei pastori era annunciata da Isaia (62,11-12), come dice la prima lettura:

    «Il Signore annunzia
    a tutto il mondo:
    Dite alla gente di Sion
    che il Signore viene a salvarla.
    Egli porta con sé,
    come segno di vittoria,
    il popolo che ha liberato.
    Saranno chiamati
    ‘Il Popolo santo’,
    ‘Liberati dal Signore’.
    E tu, Gerusalemme, sarai chiamata
    ‘Città desiderata’,
    ‘Città non abbandonata’».

    La bontà di Dio per gli uomini che egli ha voluto salvare è il tema della seconda lettura. Qui il comportamento umano ha il suo fondamento non più su una legge, ma sul fatto della grazia rinnovatrice che ci è stata data.
    L’ingresso della Messa del giorno è la ripresa dei titoli attribuiti da Isaia a questo bambino:

    «È nato un bambino per noi!
    Ci è stato dato un figlio!
    Gli è stato messo sulle spalle
    il segno del potere regale.
    Sarà chiamato:
    Consigliere sapiente,
    Dio forte, Padre per sempre,
    Principe della pace».

    Tutta la liturgia della Parola della celebrazione del giorno di Natale è centrata sul messaggio di Dio, sulla conoscenza del suo piano di salvezza rivelato nel Figlio. Il bambino nato è il messaggero che annuncia la pace, il messaggero della buona notizia che annuncia la salvezza, come dice la prima lettura. La scelta del prologo di Giovanni (Gv 1, 1-18) come Vangelo è quanto mai opportuna. Il bambino nato è la Parola (il Verbo, in latino) di Dio, la Parola del Signore incarnata: questa parola è la luce degli uomini, la rivelazione definitiva e totale di Dio. La parola incarnata manifesta il Dio di amore che parla agli uomini come ad amici per invitarli alla comunione alla sua vita. Questa rivelazione di un Dio che è amore vuole essere un invito per noi a fondare i nostri rapporti umani sull’amore. In queste parole dell’evangelista Giovanni c’è il fondamento dell’ottimismo cristiano. Il fatto che la Parola incarnata sia il centro della storia e il mediatore delle vicende umane deve inculcare un sano ottimismo anche sulle vicende del mondo. Questa Parola è la fonte della vita, è la luce del mondo. È nostro compito di cristiani, soprattutto giovani, quello di illuminare il mondo con la luce di Cristo, ossia con la sua parola che rivela, così che noi facciamo progredire le realtà terrestri secondo le indicazioni del Vangelo. È il nostro impegno a trasformare le realtà terrestri. Questa Parola incarnata è il luogo dell’incontro con Dio. Un incontro preparato da secoli. Ed è questo il tema della prima lettura, nel prologo della Lettera agli Ebrei. La venuta di Gesù nel mondo è la conclusione di tutta una lunga storia. Dio ha parlato ai nostri padri, per mezzo dei profeti, in forme varie e frammentarie; ma in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio… «In questi giorni»: ora, per noi, oggi, per noi che celebriamo il Natale. Non si tratta di poesia, non ci dobbiamo più meravigliare: Dio ci parla per mezzo del Figlio e ci fa conoscere il suo piano di salvezza per tutti gli uomini.
    «In questi giorni! Sì, il Giubileo ci ha fatto sentire che duemila anni di storia sono passati senza attenuare la freschezza di quell’‘oggi’ con cui gli angeli annunciarono ai pastori l’evento meraviglioso della nascita di Gesù a Betlemme: ‘Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore’ (Lc 2, 11). Duemila anni sono passati, ma resta più che mai viva la proclamazione che Gesù fece della sua missione davanti ai suoi attoniti concittadini nella sinagoga di Nazareth, applicando a sé la profezia di Isaia: ‘Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi’ (Lc 2, 21). Duemila anni sono passati, ma torna sempre consolante per i peccatori bisognosi di misericordia – e chi non lo è? – quell’‘oggi’ della salvezza che sulla Croce aprì le porte del Regno di Dio al ladrone pentito: ‘In verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso’ (Lc 23,43) (Novo Millennio Ineunte/All’inizio del Nuovo Millennio 4).

    LA SANTA FAMIGLIA DI GESù DI NAZARET

    Il primo pensiero dopo il Natale va alla famiglia nella quale Dio si è fatto uomo. Ognuno dei membri di questa famiglia è vissuto per Dio e per gli altri, nella semplicità quotidiana di un eroismo non spettacolare ma autentico. Nelle letture, il Vangelo mette in luce l’infanzia di Gesù, mentre le prime due letture sottolineano l’insegnamento morale della sua vita nascosta all’interno di una famiglia umana. Eccolo schema:

    2002-01 47a
    La lettura del profeta quest’oggi è tratta dagli insegnamenti di un maestro di Gerusalemme poco prima dell’Incarnazione di Dio, il Siracide, chiamato anche Ben Sira. Un caposaldo della visione della vita di questo maestro è la famiglia. Nella prima lettura di oggi Ben Sira tratta della famiglia e quindi dei doveri verso il padre e la madre.
    Paolo scrivendo ai Colossesi, ne parla la seconda lettura di oggi, elenca una serie di doveri per il buon funzionamento della famiglia. Ciò che è originale in Paolo è che in quel sistema di rapporti che caratterizza la convivenza familiare deve entrare lo stile proprio dell’esistenza cristiana. Qualunque sia la sua posizione (di marito, moglie, genitore, figlio, padrone o schiavo) il credente deve curare il rapporto primo e principalissimo: quello con il Signore. Tutti gli altri rapporti vanno vissuti come determinazione contingente e secondaria.
    Il Vangelo racconta la fuga in Egitto della Sacra Famiglia e poi il suo ritorno a Nazaret con la docilità di Giuseppe agli ordini del Signore e le sue premure nel difendere il bambino. Se nella genealogia Gesù è chiamato «figlio di Davide», nell’annuncio fatto a Giuseppe è chiamato «Figlio di Dio». Giuseppe si mostra come il servo attento e fedele agli ordini del Signore che vuole realizzare il suo piano di salvezza.

    MARIA LA VERGINE-MADRE DI DIO

    Il primo gennaio, ottava di Natale, propone la più antica celebrazione della Madonna nella Chiesa di Roma. Questa celebrazione di Maria, la Madre di Dio, è stata ripresa recentemente senza trascurare né l’inizio dell’anno, né la circoncisione di Gesù, né l’assegnazione del nome di Gesù bambino nato a Betlemme. Tutti elementi che ermergono dalle letture.

    2002-01 47b
    Anche oggi il vangelo, pur riprendendo quello letto nella messa dell’aurora del giorno di Natale, va interpretato alla luce e nello spirito della prima e della seconda lettura.
    La seconda lettura sottolinea la funzione della Vergine Madre di Dio.
    Perciò nella Lettera ai Galati si legge che Dio ha mandato il Figlio suo nato da donna.
    Non si vuole ignorare la potenza del nome del Signore invocato sull’anno nei nuovi inizi. Perciò viene ripresa la cosiddetta «benedizione sacerdotale» di Nm 6, 22-27. È la forma più solenne dell’AT.
    L’espressione faccia risplendere il suo volto è tipicamente semitica: potremmo tradurla meglio con il Signore ti sorrida.
    Il sorriso di Dio su di noi, la sua bontà, la sua benevolenza è quanto ci auguriamo con più gioia. È difficile trovare l’equivalente della parola ebraica shalom che significa tante cose: salute, benessere, felicità.
    È la sintesi degli auguri che possiamo fare a una persona.
    La pace è il primo dei beni e la condizione di tutti gli altri. Questa benedizione così solenne è rimasta anche nella liturgia sinagogale dei nostri giorni. Francesco d’Assisi la riprese, la modificò leggermente e la usò come augurio per il suo prossimo.
    Il vangelo sottolinea che nell’ottavo giorno venne dato al bambino il nome di «Gesù». È risaputo che nella Bibbia il nome che si dà a una persona, specie a un bambino, indica la sua missione o la sua vocazione.
    Ora il nome dato da Giuseppe al figlio di Maria è Gesù-Giosuè che significa: Dio salva, Dio è Salvatore.
    Nell’Antico Testamento parecchi personaggi hanno avuto questo nome, per esempio Giosuè, il successore di Mosè.

    SECONDA DOMENICA DOPO NATALE

    2002-01 48

    Questa domenica prolunga la meditazione del mistero dell’Incarnazione, con cui la Parola di Dio pone in mezzo a noi la sua tenda. Due aspetti della venuta di Gesù in mezzo a noi: quello della Sapienza di Dio che pianta la sua tenda in Giacobbe, cioè in Israele (la prima lettura) e quello della nostra predestinazione a diventare dei figli per mezzo di Gesù (seconda lettura).
    Se per l’AT la sapienza era solo un attributo di Dio senza essere una persona, anche se talvolta veniva letterariamente personalizzata, è bella questa rilettura che la liturgia fa di Cristo-Sapienza.
    La seconda lettura rivela il piano di Dio: noi siamo stati scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati davanti al Signore e siamo predestinati ad essere suoi figli adottivi in Gesù Cristo. Da tutta l’eternità il Padre ci ama, non si scoraggia e ci manda il Figlio nella sua misericordia.

    EPIFANIA: DIO LUCE PER TUTTI NOI

    Il centro della festa dell’Epifania (della manifestazione di Gesù) determinato dalle tre letture è la rivelazione della gloria del Signore a tutti i popoli.
    Per ben due volte il vangelo di Matteo sottolinea l’intenzione dei magi venuti dall’oriente: prostrarsi davanti al Signore.

    2002-01 49
    Quello dei Magi è un racconto che si riferisce all’infanzia di Gesù ed è molto conosciuto. Nella tradizione cristiana è un ricordo che ha sempre acceso la fantasia dei credenti: si è cercato di sapere quanti erano i Magi, come si chiamavano e se davvero erano dei re.
    L’evangelista Matteo che riporta l’episodio all’inizio del suo Vangelo ha in realtà altri interessi.
    Uno è di carattere teologico: mostrare come Gesù realizzi veramente le antiche promesse e, portandole a compimento, riassume in sé tutta la storia di Israele.
    Dio aveva promesso ad Abramo: «… per mezzo tuo io benedirò tutti i popoli della terra» (Gn 12,3).
    Un altro interesse è di carattere, potremmo dire, piuttosto ambientale: mostrare come Gesù sia il nuovo Mosè. Il modo di comportarsi di Erode che vuole sapere dai Magi quando nasce Gesù per poter uccidere il bambino appena nato è molto simile a quello del faraone di Egitto nei riguardi di Mosè. Ma Mosè viene salvato e diventerà il liberatore del suo popolo. Lo stesso accadrà per Gesù. Egli sarà il salvatore, e non solo del suo popolo Israele, ma di tutti gli uomini.

    Chi erano i Magi e da dove venivano

    Matteo li assimila a dei «magi» famosi che alla corte babilonese e persiana costituivano una casta di sacerdoti e si occupavano di astrologia, di interpretazione dei sogni e di medicina.
    Ricordiamo quando il re Nabucodonosor, avendo chiesto la spiegazione di un sogno da cui era stato turbato, ne rimase deluso ricorrendo poi a Daniele (Dn 2,1-2).
    Oppure l’evangelista ha pensato a quegli «indovini e sapienti» che esistevano alla corte del faraone d’Egitto al tempo dell’Esodo.
    Matteo deve aver pensato forse anche all’indovino Balaam che era venuto da Oriente e aveva pronunciato parole di benedizione verso Israele pur essendo egli un pagano. Aveva annunciato che proprio da Israele sarebbe sorta la stella regale di Davide.
    I Magi vengono da zone orientali. Sono uomini in ricerca.
    Hanno letto un segno nei cieli, una stella ha fatto loro sapere che era nato il re dei giudei ed essi sono venuti per adorarlo, ma non sanno dove trovare il bambino.
    Hanno bisogno di informazioni e perciò si rivolgono al re Erode di Gerusalemme. Ma questi sa che deve consultare i maestri di Israele e questi sanno che devono consultare le Sacre Scritture.
    La stella forse è da collegare alla stella straordinaria che si ricorda essere apparsa nel cielo all’epoca della nascita di Gesù: la cometa Halley del 12 a.C. oppure la triplice congiunzione di Giove e Saturno avvenuta nel 7 a.C., l’anno probabile della nascita di Gesù.
    Si sa che l’evangelista Matteo è quello che maggiormente fa ricorso alle Scritture antiche per mostrarne in Gesù il pieno compimento.
    In questa pagina, alla luce del testo profetico di Michea, egli dice che la nascita di Gesù avvenne a Betlemme di Giuda:

    «Il Signore dice: Betlemme-Efrata, tu sei una delle più piccole città della regione di Giuda. Ma da te uscirà colui che deve guidare il popolo d’Israele a nome mio. Le sue origini risalgono ai tempi più antichi.
    Il Signore abbandonerà il suo popolo fino a quando colei che deve partorire non avrà un figlio. E allora chi sarà sopravvissuto all’esilio ritornerà dal suo popolo, Israele.
    Il nuovo capo guiderà con fermezza il popolo, grazie alla forza e alla gloriosa presenza del Signore, suo Dio. Il popolo vivrà sicuro perché egli manifesterà la sua grandezza fino all’estremità della terra e porterà la pace» (Mi 5,1-3).

    Matteo usa l’espressione «Betlemme, terra di Giuda» più popolare ai suoi tempi. Betlemme, «casa del pane», città molto famosa per il ricordo della storia di Rut, ma soprattutto perché patria di Davide. Nella liturgia giudaica aveva sempre avuto una connotazione messianica. Ricordare Betlemme significava ricordare la patria del Messia e dei suoi antenati. La profezia di Michea può essere capita meglio se si pensa al profeta Isaia e al suo oracolo di 11,1:
    «Spunterà un nuovo germoglio: nella famiglia di lesse dalle sue radici, germoglierà dal suo tronco».
    Il germoglio di Iesse è a Betlemme ed è da Betlemme che uscirà il salvatore, come riferiscono gli scribi al re Erode. Gesù è nato a Betlemme dove è nato Davide. Con Gesù inizia una nuova storia.
    Altri testi delle Scritture antiche, che certamente Matteo ha in mente, nel parlare dei Magi venuti dall’oriente sono Isaia 60,1-5 e il Salmo 72,10-11: «I re di Tarsis e di isole lontane portino doni. I sovrani di Saba e di Seba paghino tributi. Tutti i re gli rendano omaggio, gli siano sottomesse tutte le nazioni».
    Due testi profetici che parlano di re, popoli e nazioni, di carovane immense che giungono a Gerusalemme portando i loro doni, tra cui oro e incenso. Matteo ha dirottato queste carovane verso Betlemme dove era nato il Messia.
    L’espressione «la sua stella» ha fatto pensare alla citazione di Numeri 24,17: «Una stella sorgerà dalla discendenza di Giacobbe, uno scettro (la traduzione greca dei LXX dice: un uomo) dalla discendenza di Israele». Un commento biblico aramaico (il cosiddetto Targum palestinese) l’ha riletta così: «Un re sorgerà dalla discendenza di Giacobbe, un salvatore dalla discendenza di Israele». La stella è simbolo di un uomo, di un re, di un salvatore. Ma in Matteo la stella non è il simbolo di Gesù ma della voce di Dio (come nel Vangelo di Luca «gli angeli») che annuncia agli uomini la nascita del re dei Giudei e li invita ad incontrarsi con lui.
    L’episodio dei Magi ci ricorda che Dio, mandando il suo Messia nel mondo, pensava non soltanto ai membri del popolo eletto, Israele, ma anche ai nostri antenati pagani e voleva che tutti lo riconoscessero come l’astro davidico e il nuovo Salomone, fondatore di un regno ancora più universale di giustizia e di pace. Davvero in Gesù Dio vuole salvare tutti gli uomini.

    IL BATTESIMO DI GESÙ

    La festa del Battesimo di Gesù è illustrata dal racconto dei tre vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca), alternati nei tre cicli. Quest’anno leggiamo il racconto di Matteo. In oriente veniva anticamente chiamata anche «la festa del Giordano».
    I temi svolti dalla Parola di Dio sono quelli dello Spirito, dell’acqua, del perdono dei peccati e della salvezza.

    2002-01 51
    La prima lettura, attraverso Isaia, presenta il primo dei cosiddetti «canti del Servo del Signore». Gesù è visto come «il Servo su cui Jhwh (Jahvè) ha posto il suo Spirito e in cui trova la sua compiacenza», in connessione evidente con le parole evangeliche con cui il Padre lo chiama «il Figlio mio, che io amo». I due termini «Figlio» e «Servo» si integrano sottolineando il carattere messianico e filiale del rapporto di Cristo con suo Padre.
    La seconda Lettura ci fa ascoltare dagli Atti degli Apostoli il discorso di Pietro nella casa del centurione romano Cornelio, in cui si fa allusione al momento del Battesimo di Gesù al Giordano quando il Padre consacrò («unse») Gesù con lo Spirito Santo e con la sua potenza inviandolo ad annunciare al mondo la Bella Notizia del suo Regno di salvezza per tutti che il Figlio suo veniva ad inaugurare.
    Il racconto del Battesimo di Gesù al Giordano tratto dal vangelo di Matteo ricorda da una parte che questo battesimo è alla base della nostra purificazione: «Lascia fare, per ora. Perché è bene che noi facciamo così la volontà di Dio sino in fondo»… e dall’altra la consacrazione messianica di Gesù: «Questo è il Figlio mio, che io amo. Io l’ho mandato».
    Il Battesimo di Gesù è il mistero della nostra unione definitiva con il Signore Gesù. È quasi un anticipo della Pasqua. Si conclude questo periodo liturgico così intenso di spiritualità cristiana: Avvento, Natale, Epifania. Siamo ormai in cammino verso la Pasqua che dà senso ed efficacia a tutte queste feste.

    Verso la Pasqua

    Potremmo dire che il Natale è per la Pasqua e la Pasqua è Natale. È interessante che in oriente la festa di Natale sia annunciata così: «Pasqua, festa di tre giorni». Fin dalla vigilia di Natale appare chiaro l’orientamento della liturgia verso la Pasqua. Sono le tre tappe del progetto di Dio sull’umanità:
    – la venuta del Signore nel mondo in rapporto con la nostra salvezza: il Natale;
    – la salvezza che il Signore Gesù ha realizzato con la sua resurrezione dai morti: la Pasqua;
    – la nostra salvezza, la nostra promozione, la nostra ri-nascita scaturisce dalla nascita di Gesù orientata al mistero pasquale e alla fine dovrà confluire nella sua seconda venuta alla fine dei tempi: la Parusia, la sua ultima manifestazione, il compimento della storia.
    Nella Chiesa primitiva l’attesa del Signore era così viva da dare l’impressione che l’attuazione fosse imminente: «il tempo è breve»; «il giorno è vicino». Con la Pasqua il tempo ha fatto un salto in avanti: ci ha introdotti nell’ultima fase della storia sacra. Quello che deve compiersi è considerato imminente perché strettamente collegato con quanto è già compiuto. La venuta è sempre differita ma è sempre imminente. Ne abbiamo una caparra nel dono dello Spirito. Ne abbiamo una anticipazione nella presenza del Risorto in mezzo ai noi quando siamo riuniti nello spezzare il pane. Egli «viene» in mezzo a noi: è lo stesso che tornerà per compiere ogni cosa. La gioia di stringerci attorno al Risorto invisibilmente presente non spegne il desiderio di contemplarlo «a volto svelato» nella gloria del suo avvento glorioso. «Annunciamo la sua morte e proclamiamo la sua risurrezione nell’attesa della sua venuta».
    Il dialogo che chiude l’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse, chiude anche la Rivelazione. È la fine che dà senso ed orientamento a tutta l’esistenza cristiana:
    «E lo Spirito e la sposa dicono: Vieni. E chi ascolta dica: Vieni!… Dice Colui che testimonia queste cose: Sì, vengo presto. Amen. Marana tha – Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,17.20).


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