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    Ministeri nella Chiesa, ministeri giovani nella Chiesa


    Salvatore Boccaccio

    (NPG 2002-04-34)



    Vita come risposta a una chiamata:
    spunti da una lectio divina

    Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
    Allora Maria disse all’angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio, e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l’angelo partì da lei (Lc 1, 26-38).

    Ho scelto questo splendido testo, quasi eco di tutti quelli che nella Bibbia narrano una bella storia di vocazione, perché proprio nella meditazione e contemplazione di questa avventura di Maria vorrei ripercorrere, in una grande Lectio Divina, tutte le strade che il Signore ha offerto al suo popolo perché fosse un popolo sacerdotale, profetico e a servizio del suo progetto, come spiega bene S. Pietro nella sua prima lettera: «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è scelto e acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce ammirabile» (1 Pt 2,9).
    Gli elementi che il testo di Luca mette in luce sono molto importanti:
    – anzitutto la collocazione nel tempo e nello spazio (1,26);
    – la definizione della persona: prova a mettere il tuo nome! (1,27);
    – la descrizione precisa del progetto di Dio (1,30-33);
    – la reazione del soggetto che si turba (1,29), che si preoccupa confrontando la proposta con la propria condizione di cui è ben consapevole (1,34);
    – l’insistenza del Signore che non si arresta davanti alle oggettive difficoltà avanzate (1,37);
    – la piena disponibilità totalizzante, di chi sa con profonda coscienza essere servo del Signore (1,38).
    Da questo quadro di riferimento assai preciso, si identificano e assumono significato tutte le molteplici vocazioni che il Signore da sempre offre al suo popolo, alla Chiesa.
    Questo «figlio» che deve nascere «per la salvezza e la redenzione del mondo», continua a voler nascere ancora oggi in tutti coloro che, come gli antichi Patriarchi, Profeti e Re di Israele, come Maria, si rendono disponibili, inserendosi nell’«Eccomi» che da sempre è stata la risposta dell’uomo chiamato da Dio.
    Il giovane Gesù, al quale la Scrittura attribuisce l’eccomi, risposta vocazionale, già nel cuore della Trinità (Is 6,8) e al momento di entrare nel mondo (Eb 10,7) impara concretamente ad essere «servo del progetto di Dio suo Padre» (Is 42,1-9; 49,1-7; 50,4-l l; 52,13-53; 12) proprio da sua madre Maria che si era definita solennemente la «serva di Yahweh»! È evidente che, cresciuto così a questa scuola, a dodici anni, assumendo il ruolo di «adulto in Israele» (festa del Bar Mizwah) possa dire con fierezza: «Perché mi cercavate? Non sapete che devo interessarmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49).
    È evidente che «chi appartiene a Gesù Cristo deve comportarsi come lui si è comportato» (l Gv 2,6).
    Il cristiano è per sua definizione un «vocato» dall’Amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Sant’Ireneo).
    È proprio nella risposta a questa grande chiamata che la Chiesa può ritrovare se stessa, può radicare il senso e il significato del suo essere nel mondo e per il mondo, può essere segno di grande speranza.
    La chiamata del Signore infatti è a trecentosessanta gradi per ogni problema, per ogni situazione, per ogni angoscia e pena, perché Egli è la risposta al grido del piccolo e del povero, nel Figlio suo, mandato per la salvezza: «Dio ha tanto amato il mondo da mandare me, suo Figlio, affinché quanti oggi crederanno in me non muoiano ma abbiano la vita eterna (cf Gv 3,16).
    Gesù sapeva di doversi interessare delle cose del Padre suo, tant’è che all’inizio solenne della sua missione nel mondo, a Nazareth, lo dice espressamente.
    Tutti erano ansiosi di ascoltarlo e verificare la fama che già si era diffusa e andarono quel sabato nella sinagoga.
    Gesù entrò, chiese il permesso al capo della sinagoga per leggere pubblicamente il sacro testo.
    Quel giorno capitò il brano del profeta Isaia:

    Lo Spirito del Signore è sopra di me;
    per questo mi ha consacrato con l’unzione,
    e mi ha mandato per annunziare
    ai poveri un lieto messaggio,
    per proclamare ai prigionieri la liberazione
    e ai ciechi la vista;
    per rimettere in libertà gli oppressi,
    e predicare un anno di grazia del Signore! «Gli occhi di tutti – racconta il Vangelo di Luca – erano fissi su di lui.
    E Gesù solennemente disse: «Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi (Lc 4, 16-26).

    Questa stessa potenza e vita dello Spirito Santo, col battesimo, con la cresima, con l’eucaristia è stata data anche a noi, con la stessa misura, con la stessa larghezza e con la stessa motivazione.
    Dio ama ogni uomo singolarmente: ci ama e ci chiama figli suoi, e lo siamo davvero! (cf 1 Gv 3,1) e ci affida la medesima missione affidata al nostro fratello maggiore Gesù, di essere cioè segno visibile del suo amore compassionevole, misericordioso, che libera, che guarisce, che consola...
    Anche noi possiamo – anzi dobbiamo – dire: «lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha unto con il crisma dello Spirito Santo e mi ha inviato ad annunciare, liberare, guarire, salvare...».
    O noi recuperiamo il nostro cristianesimo in chiave di consacrazione per la missione sotto l’azione dello Spirito Santo, oppure condanniamo la Chiesa tutta, e noi per primi, a morire asfittici, di inedia e di vecchiaia dentro le quattro mura di una struttura fatiscente che non ha più speranza.
    Ma questa è la sfida!

    CHIESA IMMAGINE DEL SERVIZIO DI GESÙ

    Dal Signore Gesù – unto dallo Spirito Santo – la Chiesa deriva il suo essere e il suo agire. L’iniziativa è di Dio che per l’amore che porta al mondo convoca il suo popolo (LG 4) per farne segno e strumento, sacramento universale di salvezza (LG 1,8).
    S. Paolo, nella lettera che scrive ai fedeli di Corinto, insegna che la Chiesa, per significare e compiere il mistero della salvezza, ne riceve l’abilitazione mediante l’effusione dello Spirito Santo, nella varietà e gratuità dei carismi, attraverso la specificità dei ministeri, mediante i quali si esprime e realizza un popolo tutto sacerdotale, profetico, a servizio, inviato a proclamare le opere meravigliose di Dio.
    Già nel 1967 a tre anni dal Concilio, i Vescovi della chiesa italiana ci invitavano con un bellissimo documento Evangelizzazione e Ministeri a entrare in questa ottica: mi fa grande emozione, a trenta anni di distanza, vedere il cammino già fatto e potervi traghettare verso questa esperienza di chiesa che sempre si rinnova per servire meglio il suo Signore.
    Dicono i Vescovi: «associando e configurando a sé la Chiesa nella sua missione, Cristo non poteva non imprimere per sempre sul volto di lei il raggio splendente del suo stesso volto. La carità pastorale e la prontezza a servire, con la capacità e la generosità a immolarsi per la vita del mondo (cf Gv 6,51) segnano indelebilmente l’essere e l’agire della Chiesa» (n. 42).
    Dunque Gesù Servo, il figlio di Maria che si definisce la serva del Signore (Lc 1,38), venuto «per servire e non per essere servito» (Mt 20,28; Lc 22,26), che si inginocchia davanti ai suoi discepoli per lavare loro i piedi (cf Gv 13), che nel manifesto programmatico della sua presentazione pubblica dichiara di essere stato inviato dallo Spirito Santo per servire la povertà del mondo, è il cardine fisso, il segno, il modello su cui si muove l’azione della Chiesa che non può assolutamente essere diversa dal suo Signore e perciò essa stessa sente che deve essere serva.

    Tutta la Chiesa è carismatica

    Carisma è una parola greca che vuol dire «dono di Dio»; ciò significa che tutti i battezzati, singole persone o unite in gruppi, associazioni, movimenti, comunità, parrocchie, sono ricchi dei doni speciali dello Spirito Santo per l’utilità comune di tutti (cf LG 7).
    Ne consegue:
    – che ciascuno come singolo o comunità è chiamato a scoprire il proprio carisma, il dono o i doni che gli sono stati affidati per l’utilità comune;
    – che la comunità ecclesiale ha l’obbligo di discernere, accogliere e sostenere i carismi dei singoli, delle comunità e dei gruppi, con l’ulteriore impegno a servirli e a farli crescere per il bene comune. Credo sia superfluo insistere che non esiste più – semmai è esistita – la figura del vescovo, del sacerdote e della religiosa, dell’educatore, dell’animatore che dicano con le parole o con i fatti ai propri amici: «tu mi servi per questa e quella opera». È evidente invece che dal modello del Buon Pastore scaturisce la figura di quanti si mettono alla ricerca dei carismi dei singoli e della comunità per orientarli all’azione pastorale proporzionata e adeguata;
    – che i laici battezzati non sono una categoria nella Chiesa che si definisce per esclusione, come a dire in modo popolare: «poiché non sono né prete né consacrato, sono laico!»; ma è invece una vocazione specifica e una missione ad essere il popolo santo di Dio, testimone e luce per le nazioni, perché tutti credano che Dio ama il mondo.
    Non dunque fratelli assimilati al clero o cooptati ad aiutare i presbiteri nella loro missione, quasi semplici strumenti di una grande azienda, ma credenti in Gesù Cristo, che insieme ai credenti-religiosi e ai credenti-presbiteri, sotto la guida del Vescovo, cercano il Regno di Dio, e hanno ciascuno una propria vocazione, una propria missione e compiti propri. Mi piace riportare qui una celebre definizione di laico cristiano che Lazzati ebbe a coniare dopo il Concilio, parafrasando in qualche modo la Lumen Gentium n. 31: «Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il Regno di Dio costruendo la città dell’uomo e ordinandola secondo Dio, cioè a misura d’uomo» (La città dell’uomo, Ave, 1982).

    Tutta la Chiesa è ministeriale

    Ministero è la traduzione della parola greca «diakonia» e intende un ufficio, un servizio, una prestazione che si offre in nome di Dio.
    Si riceve un dono da Dio («carisma») e si offre il frutto di questo dono ai fratelli in nome di Dio («diakonia»).
    Nei Vangeli e nel Nuovo Testamento questa accezione di «diaconia», nel senso di uno che presta un servizio, ha una infinità di sfumature che vanno dalla assistenza a un singolo, allo svolgimento di un compito nella comunità. Abbraccia tutta la gamma della vita sociale. Si specifica fino all’impegno di dare la vita per l’altro come ha insegnato Gesù (cf 1 Gv 3,16).
    Il grande sforzo della ministerialità che appare nel Nuovo Testamento si rivela finalizzato a mantenere la comunione (cf 2 Cor 9,13; At 2,44; 4,34) e va ben oltre la propria comunità di appartenenza, fino a raggiungere altre comunità bisognose di aiuto.
    Anche quando il termine si riferisce strettamente all’azione liturgica, sempre il punto nodale è il servizio ai fratelli: «La liturgia dei cristiani è la loro diaconia».
    Gesù ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli.
    Una «chiesa tutta ministeriale» significa che i doni che abbiamo ricevuto sono da mettere a servizio per la crescita e l’utilità dei fratelli (cf 1 Cor 12.14); far parte in modo privato della Chiesa, non esiste e non ha senso. La grande gioia invece è di mettere a disposizione della comunità quello che si è e ciò che si ha.

    Cristo modello della diakonia della Chiesa

    Non c’è crescita né per la Chiesa né per i gruppi se domina il settorialismo, la particolarità, l’individualismo.
    Soltanto vivendo la comunione, cioè la complementarità e la sussidiarietà, si potrà crescere in ogni cosa verso di Lui, che è il capo, Cristo, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro (cf Ef 4,15-16).
    Ormai è chiaro che parlare di ministeri significa fare riferimento al «servizio» che Gesù Cristo fa alla sua Chiesa per essere con lei e attraverso lei il Servo di tutti gli uomini; perciò noi che con il battesimo e con tutti gli altri sacramenti siamo consacrati dallo Spirito Santo «chiesa del Signore», «corpo mistico di Cristo», partecipiamo attivamente a questo servizio di Cristo alla chiesa e al mondo.
    Lo spiega bene San Paolo:

    Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito, vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune. A uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza, a un altro invece per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio della scienza, a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito, a un altro il dono di fare guarigioni per mezzo dell’unico Spirito, a uno il potere dei miracoli, a un altro il dono della profezia, a un altro il dono di distinguere gli spiriti, a un altro infine l’interpretazione delle lingue. Tutte queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che le opera distribuendole a ciascuno come vuole.

    Per farlo comprendere bene anche alle persone più semplici, S. Paolo porta l’esempio del corpo che, «pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo. Infatti noi tutti – prosegue S. Paolo – siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un unico corpo, quello di Gesù Cristo». Ora nel corpo – lo sappiamo bene – ci sono diversità di organi e di funzioni, però tutto è finalizzato al bene di tutta la persona. Così è nella chiesa, nel corpo mistico di Gesù.

    Dio alcuni li ha posti in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri, poi vengono i miracoli, i doni di fare guarigioni, i doni di assistere, di governare. Sono forse tutti apostoli, tutti profeti, tutti maestri?... Ma tutti sono al servizio di tutti per il bene di tutti (cf 1 Cor 12).

    Ne segue in conclusione:
    – ciascun battezzato ha doni e conseguenti servizi per il bene della Chiesa (far crescere la comunità) e per il bene del mondo (la missione della comunità a tutti gli uomini). Non può in coscienza non esercitarli; non può esercitarli da solo!
    – per conoscere, sperimentare, comprendere e vivere la tematica dei carismi e dei ministeri occorre approfondire sempre meglio le radici della fede, le dinamiche della comunicazione e i modi dell’evangelizzazione;
    – a chi lavora nel settore della educazione e formazione, si attribuisce «la carità educativa» come carisma specifico. È attraverso questa formazione che ci si educa a riconoscere i nostri personali carismi e quelli delle altre componenti della Chiesa; è a questa scuola che impariamo a seguire, come gli Apostoli, Gesù Buon Pastore perché nessuna pecorella vada smarrita (cf Gv 10).

    I vari ministeri

    * Incontriamo anzitutto i ministeri ordinati, ossia i ministeri che derivano dal sacramento dell’ordine.
    Gesù ha consacrato gli Apostoli dando loro la potestà di celebrare l’Eucaristia (cf Lc 22,19), di perdonare i peccati (cf Gv 20,19-24) e dagli apostoli ai loro successori, in forma ininterrotta, è stata tramandata fino a noi nelle persone del Papa (Vicario di Gesù Cristo), del Vescovo (successore degli apostoli), dei presbiteri e dei diaconi (partecipi strettamente del ministero del vescovo e formando con lui l’unico presbiterio della diocesi).

    * Poi ci sono i ministeri non ordinati, che cioè non nascono dal sacramento dell’ordine ma si fondono sull’attitudine che i fedeli hanno, in forza del battesimo, a farsi carico di speciali compiti e mansioni nella comunità.
    La chiesa gerarchica ha sempre creduto in questa ministerialità laicale, anche se purtroppo nei tempi andati non sempre è stata in grado di promuovere e incoraggiare questa vitalità. Ma il soffio dello Spirito Santo con il Concilio Vaticano II prima e con le successive elaborazioni poi, ha restituito a tutto il popolo di Dio, cioè ai battezzati, fedeli di Gesù Cristo presbiteri, fedeli di Gesù Cristo religiosi e fedeli di Gesù Cristo laici, la piena dignità ministeriale che compete a ciascuno (cf ChL 23).
    I ministeri ecclesiali non ordinati si distinguono in ministeri istituiti, ministeri riconosciuti e ministeri di fatto.
    – I ministeri istituiti sono quei servizi che hanno una chiara ecclesialità di fine e di contenuto. Essi si riferiscono direttamente ai tesori della chiesa: la parola, l’eucaristia, la carità. Come tali ricevono un’autenticazione da parte dei pastori e un suggello ecclesiale, quale è appunto l’istituzione liturgica che è insieme riconoscimento da parte del vescovo, invocazione dello Spirito Santo sul candidato e missione affidata nella chiesa. Al presente la chiesa si avvale di due ministeri istituiti: il ministero del lettore il cui compito va oltre il semplice servizio di «leggere» nelle celebrazioni, in quanto si riferisce essenzialmente a compiti di animazione della catechesi e di formazione dei catechisti; e il ministero dell’accolito. Anche in questo caso l’ufficio supera il servizio all’altare nella liturgia e diventa animazione della carità.
    – I ministeri riconosciuti sono quei servizi che, pur essendo svolti sempre sulla base di un carisma, da singoli e da gruppi, hanno ricevuto e ricevono qualche approvazione, un riconoscimento o un incoraggiamento dal vescovo.
    – Per ministeri di fatto si intendono tutte quelle prestazioni che i laici, sulla base di un loro personale carisma, o spontaneamente o rispondendo a una mozione dello Spirito o accettando l’incarico del vescovo (del parroco, del direttore dell’oratorio o dei superiori), si assumono nella chiesa e nella società. In tal modo essi contribuiscono alla missione della chiesa e anche alla promozione degli autentici valori della vita, nella famiglia, nel quartiere, a scuola, nel posto di lavoro, nella politica, nell’economia, nella società.
    I ministeri di fatto scaturiscono, oltre che dal sacramento del battesimo, anche e in modo specifico per ciascuna situazione dagli altri sacramenti che il cristiano riceve.

    DA BETANIA UNA ICONA DI CHIESA MINISTERIALE

    A Betania Gesù ci andava volentieri perché Lazzaro, Marta e Maria erano tanto accoglienti e pieni di premure per lui e per i suoi discepoli.
    Gli apostoli erano contenti di andarci perché erano momenti di riposo e di pace, e anche perché Marta sapeva fare certi pranzi che compensavano, di tanto in tanto, le grandi fatiche.
    Quel giorno – narra il Vangelo di Luca – (Lc 10, 38-42) andarono ancora una volta a casa di Lazzaro. Immaginiamoci la gioia di tutti e come Marta si sia data da fare... Lo dice essa stessa quando, presa dai mille servizi, rimprovera l’inerzia di sua sorella Maria che invece se ne stava accoccolata ai piedi del Maestro ad ascoltare: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola? Dille che mi aiuti!». Gesù approfitta della situazione per lanciare una catechesi, per noi importantissima, che disegna anche come deve essere vissuta la ministerialità.
    Dice dunque Gesù: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno, Maria si è scelta la parte migliore e non le sarà tolta». È proprio l’immagine della Chiesa: nella casa che accoglie Gesù, c’è Marta occupata dai «molti servizi» e c’è Maria in «ascolto».
    I servizi di Marta — caso unico nei vangeli – vengono chiamati in greco «diakonia», cioè servizio sacro: un evidente riferimento, per noi, ai ministeri ecclesiali nella loro molteplicità e varietà.
    S. Luca, riprendendo l’intenzionalità pedagogica di Gesù, nella redazione del vangelo sembra dire: fate attenzione! La radice, la sorgente, la forza dei ministeri e dei servizi della chiesa deriva dall’ascolto della Parola. Senza quest’ascolto anche i ministeri entrano in crisi. In realtà per poter rispondere ai bisogni con il «servizio», bisogna prima «ascoltare».
    La lezione di Betania è attuale e ci indica strade precise anche oggi.
    Non è possibile che ci sia solo l’ascolto senza che questo solleciti una ministerialità conseguente. Penso a Maria di Nazareth che dall’ascolto della Parola fa scaturire il suo «ministero di servizio» presso Elisabetta e Zaccaria per il piccolo Giovanni che ancora deve nascere.
    D’altra parte non si può avere un ministero che non sia sostenuto e vivificato dall’ascolto della Parola. Penso all’apostolo Giuda che, preso dalla frenesia del fare, non ascolta più il Maestro, non è più assiduo nella preghiera, partecipa frammentariamente alle azioni – anche quelle più sacre – del Maestro. Ricordiamo che la sera dell’ultima cena, esce e tutti pensano – tanto è normale il comportamento – che vada a sbrigare le faccende per il buon esito della cena.
    Chiamo «sindrome di Giuda» questo essere talmente presi dalle cose da fare, da dimenticare che il loro nutrimento è la preghiera e l’ascolto.
    Nel presentare più avanti alcune esemplificazioni di «ministeri di fatto», scongiuro tutti a guardarsi da questa grave sindrome di Giuda che sarebbe la morte e il fallimento!

    Dai sacramenti ai ministeri

    I molti servizi o, per dirla con il termine greco usato da Luca, le molte diaconie di Marta, fanno riferimento alla persona di Gesù.
    È evidente allora che quando parliamo di ministeri di fatto, il punto di partenza e di riferimento non può essere che Gesù, e la finalità non può che essere la costruzione del Regno di Dio.
    In questo senso, per questa intenzionalità precisa, il servizio diventa diakonia, e cioè azione mossa dallo Spirito suggellata con una grazia speciale attraverso i sacramenti che si ricevono.
    Presenterò un panorama certamente incompleto dei moltissimi «ministeri di fatto» che scaturiscono dai sacramenti o da situazioni di vita e che costituiscono poi, assieme ai ministeri ordinati, il volto di Cristo Servo di Dio.

    Il battesimo

    Costituendoci figli di Dio a titolo pieno, il battesimo ci arricchisce con i doni dello Spirito Santo, primi fra tutti la fede, la speranza e la carità, e ci correda di tutte le qualità e le virtù necessarie per vivere la vita divina nella nostra storia di uomini, e cioè la fortezza, la giustizia, la prudenza e la temperanza, che hanno appunto il compito di sostenerci nel nostro itinerario in mezzo agli uomini orientati verso Dio Padre.
    Già questi titoli aprono uno schedario, oserei dire quasi infinito, di ministerialità di fatto che scaturiscono dalla comprensione e dalla coscientizzazione del sacramento. Primo fra tutti, derivante dal dono di essere figli di Dio, il ministero «dell’interessamento per le cose del Padre nostro»: «chi è stato evangelizzato, a sua volta evangelizza» (cf Evangelii Nuntiandi, 24).
    È la motivazione che fonda l’impegno nella chiesa, nella scuola, nella società, nel posto di lavoro: «incorporati a Cristo, compiono nella chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo di Dio» (cf LG l1; 31).
    Dall’aver preso coscienza di essere figli di Dio consegue la percezione di essere fratelli e perciò la ministerialità della fraternità, della solidarietà e della sussidiarietà.

    La confermazione

    Già nel rito della confermazione viene fatta memoria del manifesto programmatico di Gesù con riferimento alle sue ministerialità sostenute dal dono dello Spirito Santo: lo Spirito di Sapienza e di Intelletto, di Scienza e di Consiglio, di Pietà, di Fortezza e di Timor di Dio.
    Questi carismi sono indicazioni di ministerialità di fatto che, come cristiani, già viviamo e delle quali però dovremmo renderci conto e farne l’esperienza.
    Primo tra tutti il ministero della testimonianza, impegnata e coraggiosa, della fede, della adesione e partecipazione alla comunità... dell’impegno apostolico nella Chiesa (animatori, alleducatori, catechisti, animatori pastorali...; cf LG 11).

    L’eucaristia

    Dal sacramento dell’eucaristia scaturisce il ministero dell’offerta dei frammenti di croce del dolore del mondo da raccogliere e presentare al presbitero – ministro della mediazione perché li consegni per l’invocazione dello Spirito Santo a Dio Padre nell’unico sacrificio di Cristo.
    E ancora il ministero della lode a Dio con tutte le forme di animazione nella liturgia che permettono di lodare, benedire e ringraziare il Signore. Ricordo che a questa ministerialità appartiene l’impegno per il decoro della casa di Dio, dell’altare dove si celebra l’eucaristia, dei vasi sacri e dei paramenti.
    Elenco anche alcune forme di servizio della liturgia: l’accoglienza all’inizio della celebrazione, con la preparazione e la distribuzione dei fogli e dei canti; le didascalie per aiutare la comprensione del testo e del gesto liturgico; l’animazione per far cantare i fedeli con il coro...
    Dalla eucaristia celebrata derivano anche tutti gli impegni per la «comunione» promossa e vissuta negli ambienti anche «laici»: gruppi civili, sportivi, culturali, politici, economici...
    Il cristiano non entra in questi gruppi in modo asettico. Egli è sempre e comunque incaricato della missione speciale di costruire comunione in quel luogo, con quelle persone, in quelle situazioni.
    E infine, ma non meno importante, il ministero della condivisione dei beni materiali che il cestino delle offerte ricorda: non è un’elemosina ma un ministero esercitato che apre a ben altri ministeri nella città a servizio dei poveri e di quanti sono bisognosi.

    La riconciliazione

    Dal sacramento della penitenza scaturisce il ministero del perdono, della riconciliazione tra fratelli, tra gruppi, con la natura, con la società (cf LG 11).
    Ma soprattutto il ministero della pace da costruire attorno a noi in tutti gli ambienti di vita.
    In questo contesto mi piace ricordare che la riparazione della giustizia infranta per il cristiano è uno squisito servizio da rendere a tutta la società.
    E ancora viene il ministero della misericordia, della comprensione, del conforto, della pazienza, della perseveranza e dell’aiuto per la conversione!

    Il matrimonio

    Dal sacramento del matrimonio, poiché gli stessi sposi ne sono i ministri, scaturisce il ministero della costruzione della famiglia piccola Chiesa, e anche la ministerialità dell’educazione cristiana dei figli (cf LG 11; cf Sacramento del matrimonio, CEI, 1975 n. 26-35 e anche Evangelizzazione e Sacramento del Matrimonio, CEI, n. 30,34,47 e 111-117), il ministero della testimonianza della fedeltà e indissolubilità dell’unione coniugale come quella tra Cristo e la Chiesa.
    E ancora la ministerialità dell’accoglienza della vita, di ogni forma di vita nascente, in crescita, in situazioni di disagio o in fase terminale.
    «Di fronte a una società poco o nulla sensibile ai fondamentali valori dell’amore, le famiglie cristiane testimoniano la gratuità, spesso offesa dall’egoismo che riduce la persona a strumento; l’apertura alla vita, sempre più misconosciuta da una sessualità volta esclusivamente al piacere e al gioco, la fedeltà al vincolo, compromessa dalla volubilità di legami sentimentali istintivi» (Evangelizzazione e Sacramento del Matrimonio, CEI, 1975, n. 103).
    Ai coniugi Dio ha affidato poi nei sacramento la ministerialità specifica di essere testimoni dell’amore trinitario e cooperatori dell’amore di Dio creatore, come suoi interpreti (cf GS 50), nonché la ministerialità della comunione tra tutte le famiglie per aiutare la chiesa a essere famiglia di Dio. E infine, ma non meno importante, il ministero della tenerezza materna di Dio e la partecipazione al ministero della croce-amore di Cristo.

    Unzione dei malati

    Da questo sacramento scaturisce per medici, infermieri, parenti e amici la ministerialità della consolazione, del conforto, della compassione, dell’incoraggiamento e anche della guarigione.
    Per il malato poi, a sua volta, scaturisce il ministero del dolore offerto, della pazienza e della fiducia in Dio nelle tribolazioni testimoniata con il proprio comportamento (cf Penitenza e Unzione, nn. l20,126,167 e premesse, 32-33).
    Raccomando vivamente i giovani portatori di handicap: da non abbandonare, anzi da invitare a partecipare perché si inseriscano e diventino protagonisti... magari animatori!
    Un’attenzione poi nel valorizzare il ministero degli anziani, aiutandoli a comprenderlo e a saperlo esercitare per il bene comune.
    Penso al ministero della saggezza, della esperienza, della dolcezza, dell’affettuosità, sul modello dei Ss. Gioacchino e Anna, nonni di Gesù!

    Ministeri che scaturiscono da situazioni particolari

    Ma la ministerialità non si esaurisce con quanto abbiamo già riflettuto a proposito dei sacramenti: è così grande l’amore di Dio per l’uomo che – lo dico senza esagerazioni – provoca ministeri adatti per ciascuna persona perché a tutti venga offerto il suo personale aiuto e interessamento.
    Quando sento dire dalla gente: «Dio si è scordato di me» o «Il Signore sta guardando da un’altra parte» o «Ho tanto pregato, eppure Dio non mi ha ascoltato»... a me si stringe il cuore e un senso di colpa mi pervade perché le cose non sono andate così come si dice... In realtà Dio aveva incaricato «qualcuno» di noi per quella esigenza, per quella situazione, per quell’affanno... ma quel «qualcuno» per pigrizia, per disattenzione, per egoismo, per stanchezza, o mille altri motivi si è dato latitante...
    Quel «qualcuno» aveva avuto un dono e una conseguente ministerialità a servizio del dolore e della vita del mondo, e non si è fatto trovare all’appuntamento.
    Per comprendere meglio quest’aspetto, scelgo tra tanti almeno sette tipi di ministerialità, lasciando il compito di approfondire la ricerca sulle altre infinite situazioni possibili. Tutte però fanno capo a una figura: l’animatore.
    Proverò dunque a tracciare la ministerialità nella vita economica, politica, sociale, amministrativa; la ministerialità nelle situazioni di bisogno materiale (le povertà, le malattie, gli handicap, l’età avanzata, la disoccupazione, la sottoccupazione...); la ministerialità per i giovani; la ministerialità per la famiglia; la ministerialità della donna; la ministerialità per il tempo libero, lo sport, il turismo; e infine la ministerialità per la missione.
    È evidente che il rischio che corriamo è di ridurre queste sollecitazioni a puro esercizio se non ci impegniamo in tre grandi direzioni:
    – la ministerialità deve essere produttrice di impegni seri e fattivi, visibili e verificabili;
    – la ministerialità non si può esaurire nella piccola cerchia «dei nostri», ma deve attingere ben oltre le situazioni locali, cittadine e nazionali fino a quelle europee e mondiali;
    – la ministerialità dovrà rendere capaci coloro che sono «serviti» di diventare a loro volta soggetti di ministerialità.
    A queste condizioni saremo davvero «segno e luce...», «lievito e sale» per il mondo.

    Ministero nella vita economica, culturale, pedagogica, sociale e amministrativa

    Uno dei modi tipicamente laicali di partecipare all’unica globale missione della Chiesa, in forza del battesimo e della cresima (cf LG 33-38 e AA 3) è collegato alla vocazione specifica dei laici posti in mezzo al mondo e alla guida dei più svariati compiti temporali. Il loro compito primario e immediato non è l’istituzione e lo sviluppo della comunità ecclesiale, che è specifico dei Pastori, ma è la messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti e operanti nella realtà del mondo.
    Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complesso della politica, della realtà sociale, dell’economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; e anche di altre realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione, quali il lavoro professionale, l’avvio e la sicurezza di lavoro per i giovani, la qualità del lavoro e il rispetto per la dignità e la sicurezza contro gli incidenti del lavoratore.
    Occorre comprendere bene che il punto focale di tutto questo discorso è nel fatto che ministerialità, per il cristiano in questa situazione, è la convinzione profonda, sostenuta dalla fede e dalla preghiera, che prioritario a ogni altra considerazione, pur legittima, di guadagno e di carriera, appare il mandato di Dio Padre a costruire lì, in quel luogo, il Regno di Dio.
    Queste realtà socio-politiche-economiche-culturali diventano in qualche modo «luogo teologico» ove il cristiano impegnato, con il Signore Gesù ripete: «Mi devo interessare delle cose del Padre mio».
    Mi rendo conto a questo punto che sarebbero necessarie indicazioni più precise e applicative. Solo raccomando che in questa tensione di fedeltà a Dio e all’uomo, ci si preoccupi di «vedere» il male e la sofferenza dei fratelli; di «udire» il grido del povero, e al contempo ascoltare dalla Parola cosa il Signore ha preparato per il suo popolo. E così scendere e camminare con l’uomo di tutti i giorni, con i suoi problemi, le sue ansie, le sue attese per arrivare già qui-ora a una «terra promessa da Dio», che sia per l’uomo. Penso che in questo stile si realizzi la contemplazione di Ireneo: «La gloria di Dio è l’uomo vivente!».
    Infine raccomando vivamente che con tanto rispetto e comprensione ci si faccia carico di quelle situazioni difficili e tendenzialmente escluse e marginalizzate quali la omosessualità, la prostituzione, l’alcolismo.

    Ministero per i poveri e dei poveri

    Il Signore Gesù durante la sua vita pubblica ha sanato malattie e infermità, si è fatto uomo per salvarci dal peccato e dalle malattie, ha preso su di sé i nostri dolori e ha portato nella sua passione le nostre sofferenze. La malattia, il dolore, l’handicap, la paura della morte, l’angoscia e la pena per la solitudine, la povertà, la miseria, la fame, la precarietà del lavoro, sono esperienze negative dell’uomo che devono essere tolte e vinte: i miracoli di Gesù sono stati tutti compiuti in ordine a questo impegno liberatorio che peraltro Gesù si è assunto fin dall’inizio della sua missione, esplicitato solennemente nella sinagoga di Nazareth con il manifesto programmatico della sua azione tra noi.
    La Chiesa e ciascun battezzato dunque, sull’esempio e comando di Gesù, sotto la spinta dello Spirito Santo esplica un ministero di consolazione, liberazione e guarigione nei confronti di quanti, piccoli e poveri della storia, soffrono.
    La specificità del ministero per i piccoli e i poveri ha tantissime forme di manifestazione e attuazione. Tutti insieme siamo chiamati sempre a compiere questo ministero di consolazione, sollievo, aiuto, sostegno, incoraggiamento, provvidenza, servizio alla dignità della persona del povero, del disagiato, dell’immigrato, servizio alla qualità della vita...
    Sapendo che, come Gesù stesso ce lo insegna in Mt 25, «il malato, il povero, l’affamato, il carcerato, il bisognoso è Gesù!» (cf LG 8).
    La terza indicazione riguarda i modi e le forme del ministero: oltre gli atteggiamenti e i servizi offerti ai singoli bisognosi è indispensabile superare la forma dell’assistenzialismo e del pietismo. Anzitutto perché sono largamente lesivi della dignità del fratello, poi perché alla lunga risultano inefficaci, e infine perché si corre il rischio di fare supplenza o sostituzioni vicarie ai doverosi impegni della Pubblica Amministrazione.
    Un corretto modo di esercitare il ministero offre senz’altro una immediata risposta ai bisogni, annunciando così la benevolenza del Signore, ma al contempo ci si deve prodigare affinché la salute, il disagio motorio, mentale, psichico, la tossicodipendenza, la fame... non restino un fatto marginale nella società. Da queste indicazioni scaturisce il nostro dovere di farci voce per chi non ha voce; di sollecitare responsabilità sopite; di farci carico della protesta e della manifestazione aperta sui diritti violati, sulle inadempienze, dimenticanze colpevoli e superficialità di gestione. E tutto questo, ripeto, come specifica ministerialità derivante dall’essere consacrati e perciò inviati da Dio stesso che ama chiamarsi «Signore nostra giustizia» e che si costituisce «parte civile» – sempre – a difesa del suo popolo oppresso dai Faraoni di ogni tempo (cf Es 3).
    Ma la forma più alta di ministero per i poveri è metterli in grado di poter esercitare essi stessi il loro prezioso ministero.
    La cattedra dei piccoli e dei poveri, che mi sta tanto a cuore, dovrebbe essere istituita in ogni oratorio, in ogni centro di formazione e ci dovrebbe stimolare ad educare a saper ascoltare il grido del povero.

    Il ministero per la famiglia

    Ho già spiegato, a proposito del sacramento del matrimonio, quali siano le ministerialità conseguenti, ma qui mi voglio soffermare maggiormente sull’aspetto della ministerialità per la famiglia, cioè di quell’impegno della Chiesa e della società a curare in nome di Dio la famiglia.
    Per le comunità giovanili è improrogabile dedicare attenzione e servizi per la cura della preparazione dei fidanzati al matrimonio, per l’attenzione ad accompagnare le giovani coppie, per seguire la formazione spirituale delle famiglie.

    La ministerialità dei giovani

    Essere giovani non è riducibile al puro fatto biologico, a una tappa dell’esistenza: essere giovani è una situazione particolare, è un momento magico della vita ed è un dono per tutti.
    Per i cristiani diventa «ministero» affidato da Dio prendersi cura di questa «stagione» della vita.
    Penso a Gesù che si preoccupa dei giovani: il giovane ricco, il figliolo prodigo, le ragazze malate che guarisce; il ragazzetto e la giovanetta morti e restituiti vivi ai genitori; il ragazzo che offre i cinque pani e i due pesci; i giovani del disagio psichico che si buttavano nel fuoco o si rotolavano a terra... («un demonio li tormenta», dicevano con tanta paura i loro genitori); i giovani sposi delle nozze di Cana nel disagio da cui Gesù li trae fuori, ma anche i giovani che lo seguono e che lui sceglie come suoi apostoli.
    È facile riconoscere nella descrizione dei giovani contattati da Gesù le situazioni che oggi i nostri ragazzi continuano a vivere: dal consumismo alla droga; dal disagio psichico a quello motorio; dal rischio della devianza alla fuga dalle istituzioni (famiglia, scuola, società)... ma anche al positivo della disponibilità, così frequente per il volontariato, all’ascolto della Parola di Dio; dalla risposta generosa alla vocazione religiosa e all’impegno sociale al desiderio di costruire una famiglia «col vino nuovo» unita e feconda: tutti giovani nelle varie situazioni di vita, nelle varie condizioni e per i quali il Signore si è prodigato insegnandoci a prendercene cura noi stessi, oggi.
    Genitori, educatori, insegnanti, presidi, operatori sanitari, assessori alle politiche giovanili, operatori sportivi, sacerdoti, catechisti, gruppi, movimenti, associazioni cristiane di categoria, consacrati con il particolare carisma dei giovani: tutti siamo coinvolti con un ministero specifico perché la qualità della vita dei nostri ragazzi sia altissima, dal momento che grandissimi compiti e impegni li attendono.
    Penso a Maria e Giuseppe ai quali fu affidato da Dio il giovane Gesù da difendere, proteggere, custodire e far crescere: sono il nostro modello di servizio.
    Anche i bambini e i ragazzi hanno la loro ministerialità specifica; lo dice il Concilio Vaticano II quando insegna che «i fanciulli e i giovani sono i primi apostoli con i loro coetanei».
    Ma vorrei andare più avanti nella specificazione, esortando quanti sono accanto a questi piccoli, di aiutare a promuovere i ministeri propri di questa giovanissima età. Ricordo quelli attribuiti da Gesù stesso: «i piccoli hanno il ministero di indicare il modo di accogliere il Regno di Dio» (Mt 18,30) e ancora il ministero di svelare i segreti del Regno che Dio solo a loro rivela (cf Lc 10,21).

    La ministerialità della donna

    Non voglio eludere il problema della discussione intraecclesiale in atto a proposito di donna e ministeri ordinati: sappiamo bene quale è il pensiero della Chiesa in proposito e ne accettiamo con obbedienza la dottrina. Voglio invece aprire la panoramica delle aree di esercizio dei ministeri di fatto per le donne che la Sacra Scrittura e la prassi di Chiesa presentano mettendo in luce le tante possibilità specifiche, corrispondenti alla grandezza delle loro aspirazioni e alle effettive capacità del loro generoso donarsi.
    Potremmo riandare ai tempi apostolici e rievocare tanti nomi di donne, affioranti dagli Atti e Lettere degli apostoli, e cogliere i vari ministeri specifici da esse sostenuti che vi affiorano (cf Lc 2,36; Rm 6,1 ss; 1 Tm. 5,3 ss; At 9,36-41; 21,9 ecc.): cioè catechesi, assistenza ai poveri, ai malati, agli orfani, alle vedove, animazione liturgica...
    Potremmo risalire ai tempi di Gesù e della sua predicazione: accompagnavano gli apostoli, e non in secondo piano, un gruppo di donne per il servizio (cf Lc 8, 1-3; 23, 55-56); Marta la conosciamo: con lei riusciamo a scoprire che l’esercizio umile e gioioso dei quotidiani lavori domestici è un servizio prezioso; Maria di Magdala che unge il corpo del Signore e che riceve un mandato di testimonianza della Risurrezione (cf Gv 20, 16-18) ci introduce addirittura nel campo della evangelizzazione... a un mondo difficile dal quale lei però è uscita perché ha incontrato il Signore e ha potuto piangere ai suoi piedi.
    Possiamo fissare lo sguardo anche su Maria, la madre: essa non è apostolo come Pietro e gli altri, non predica, non celebra l’eucaristia, non rimette i peccati, ma questo non la diminuisce, anzi la esalta alla sua specifica ministerialità: penso a Cana e alla mediazione per i giovani sposi (cf Gv 2, 1-11), al ministero della testimonianza per essere colei che ascolta la Parola di Dio e la mette in pratica (cf Mc 3, 31-35), al ministero affidatole dal Figlio sulla croce di essere «madre per Giovanni e per l’umanità» (cf Gv 19,26), al ministero di ricostruire la comunione infranta, al cenacolo coi discepoli disorientati (cf At 1,14)...
    Tutto questo mi consente di poter dire che tutto ciò che l’essere donna esprime di bello, di fecondo, di tenerezza, di genio e intuito tipicamente femminile, di accoglienza, di comprensione, di fortezza e coraggio nelle prove, proprio tutto questo vissuto, in alleanza con Dio, diventa ministerialità a servizio della promozione di ogni donna e della società.

    La ministerialità per il tempo libero, lo sport, il turismo

    Ci troviamo in una società rinnovata che ha riscoperto valori e diritti dell’uomo mai fino a questo momento riconosciuti.
    Le ore di lavoro sono diminuite ed è aumentato il tempo libero. Ma senza un’educazione adeguata al retto uso di questa opportunità si corre il rischio di ritrovarci con il «tempo perduto». Anche sul versante dello sport e del turismo ci sono state variazioni notevoli di costume. In Italia, sono oltre dodici milioni coloro che praticano un qualsiasi sport, e il fenomeno del turismo e del movimento, con il fine settimana e le ferie garantite a tutti, ha assunto ampie proporzioni e fruizioni totali.
    Cambiano evidentemente in questa situazione le forme di pastorale legate a luoghi, tempi, orari precisi...
    Non si tratta di demonizzare il fenomeno, ma di assumerci le relative responsabilità. Non dobbiamo di certo correre dietro «all’uomo in giro» o alle sue nuove conquiste sociali, ma dobbiamo riconoscere che sono cambiate le forme e i modi di incontrarlo. Bisognerà allora, con umiltà e creatività, inventare nuovi modi e nuovi stili per consentire al Signore Gesù di incontrare l’uomo e la sua vita; al contempo permettere all’uomo di non perdere i luoghi e i tempi dell’incontro con il suo Dio.
    Don Bosco ci ha insegnato che l’oratorio è la via alla santità dei giovani.
    Mi limito a descrivere gli aspetti della ministerialità che scaturiscono dall’oratorio: anzitutto la ministerialità della festa, della gioia, della fraternità, della educazione alla vittoria e alla sconfitta, della educazione alla gestione del tempo perché non sia tempo perduto, della educazione alla cura e allo sviluppo della corporeità, della curiosità. Un ministero, un servizio di questo genere, è talmente urgente soprattutto se facciamo attenzione a quanto accade, dalla violenza negli stadi, alla «frenesia» del sabato sera; dalla incapacità a fare festa, al divertirsi degenerando nelle volgarità e banalità dei luoghi comuni di basso profilo frivoli e diseducanti.
    Chi si deve far carico di questo ministero se non chi ama e sta con i giovani là dove essi sono?

    Ministerialità per le missioni

    Quando si parla di missioni il rischio è di sognare l’avventura quando invece si tratta di uno squisito problema di giustizia: il diritto di tutti i popoli a ricevere l’annuncio del Vangelo. C’è una chiamata esplicita che San Paolo ha sentito e della quale gli Atti degli Apostoli ci hanno lasciato il racconto. Mentre si trovavano a Troade, Paolo ha una visione: un macedone lo invocava «Venite a salvarci» (At 16,9). Quella invocazione, quella chiamata esplicita è ancora oggi per molti di noi. Le varie associazioni e movimenti e gruppi missionari sono luoghi ove è possibile, per un ragazzo o una giovane, approfondire le visioni che certamente lo Spirito Santo ha suscitato in loro. A volte accade davanti a un documentario di certi paesi; oppure a seguito di relazioni lette o ascoltate o anche dopo aver letto il giornale che narra di cose tremende: «Ecco manda me» diventa la risposta spontanea.
    Non tutti però possono di fatto partire, e allora la ministerialità missionaria non cessa ma passa per i servizi «a terra», cioè di animazione, aiuto e diffusione. Altre volte neppure questo è possibile, eppure la risposta missionaria passa attraverso la preghiera e il sacrificio offerto. Sono contributi preziosissimi che arrivano dritti allo scopo.

    Conclusione

    Essere giovani è anche un impegno da vivere per tutti gli altri a nome di Dio.
    Mi riferisco al servizio così prezioso, tipico dei giovani, della creatività, del rinnovamento, della speranza, della pretesa di verità e di giustizia, della «curiosità scientifica», della fraternità, della solidarietà, della tolleranza, della schiettezza nei rapporti.
    Come si è potuto constatare dal quadro – forse troppo esteso – di possibili ministerialità, tutta la vita letta in un certo modo ha un sapore vocazionale e quindi ogni cosa che accade (evento, happening...) è un’occasione di annunciazione (Lc 1,26).
    Al contempo ogni povero, ogni infelice, ogni ingiustizia, ogni emarginazione, ogni sofferenza, ogni disastro ecologico o militare o di violenza, ogni situazione insomma diventa «il luogo» ove il Signore che ti ha unto, ti invia per essere risposta del suo amore a quella situazione (Lc 4,17).
    Ai giovani mi rivolgo, a chi più di tutti anela e sogna una Chiesa in grembiule, a servizio, tutta ministeriale; una Chiesa speranza per i piccoli e i poveri. Li invito ad anticipare il futuro e a far diventare «già» il «non ancora».
    C’è un futuro che tutti sogniamo fatto di amore, di pace, di giustizia, di verità, di solidarietà, di capacità di dialogo, di sostegno al più debole, di politica ed economia al servizio del bene comune, di comunione, condivisione, di rispetto della dignità della persona, della natura, delle cose...
    Perché continuare a sognare e dire «magari», quando tutto questo futuro potremmo inverarlo subito coi nostri gesti, con il nostro impegno, con la nostra umile ma fattiva dedizione?
    Perché invecchiare aspettando un futuro che non verrà mai se noi non lo cominciamo a intuire già oggi?
    Questa è la loro profezia!
    Lo Spirito Santo conceda loro di essere partecipi della eterna giovinezza del Signore Gesù.


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