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    Il Don Bosco dell’oratorio: il dinamismo nella fedeltà


    Antonio Domenech

    (NPG 2002-02-29)



    Il titolo ricorda il Documento 2 del Capitolo Generale 20° dei Salesiani (1971), nel quale si offriva alla Congregazione un criterio ideale che potesse guidarla nello sforzo di rilettura e rinnovamento del suo carisma e missione alla luce del Concilio Vaticano II. Sono passati 30 anni nei quali il criterio si è dimostrato fecondo, e penso che anche oggi può guidarci nell’impegno di rilanciare l’Oratorio Salesiano.

    Il criterio che vogliamo approfondire non è dunque un principio o una verità astratta, ma una persona, «la persona di Don Bosco vivo e operante in mezzo ai suoi ragazzi, lungo l’arco completo della sua vita apostolica» (CG20, 195.197).

    IL CRITERIO ORATORIANO OGGI

    Nel solco del magistero della Congregazione Salesiana a partire dal CG20

    Il CG20, nella rievocazione del criterio, ci ricorda che non si tratta di ripetere quello che fece Don Bosco, ma di «comprendere la legge profonda a cui si ispirava il suo operare… Fu questa legge che assicurò ieri il successo del suo apostolato e condiziona oggi l’omogeneità del suo sviluppo ulteriore» (n.197).
    Questa legge ha fondamentalmente, secondo il Capitolo, quattro elementi chiave e reciprocamente collegati:
    – una vocazione, cioè la coscienza di una missione pastorale ricevuta da Dio, una chiamata ad essere presente tra i giovani, a stabilire un dialogo pedagogico e pastorale con loro, per indirizzarli a Cristo, vissuto come pienezza di vita e di felicità;
    – un ambiente, dove questa missione si realizza, si sviluppa e si comunica: l’Oratorio, concepito come una casa dove si vive e si costituisce una vera famiglia, una scuola che prepara per la vita, una parrocchia che educa alla fede;
    – uno stile specifico di educazione, il Sistema Preventivo, espressione di una carità che diventa percettibile dai giovani, pervasa di serena letizia, vissuta in chiave di amicizia vera e in clima di famiglia, ispirata alla tenerezza materna di Maria;
    – una apertura e disponibilità alle nuove esigenze della realtà sociale e in particolare della condizione giovanile; apertura sempre più maturata nella riflessione della propria esperienza, e sempre più coraggiosa, nell’assunzione di nuovi orizzonti e possibilità di realizzazione della missione.
    Il Don Bosco dell’Oratorio, più che uno straordinario gestore di una struttura, si mostra come un pastore geniale che sa leggere le situazioni e dar loro risposte precise, mosso dalla carità pastorale e tenacemente fedele alla sua missione tra i giovani. In questa convivenza con i giovani dell’oratorio si collocano i fondamenti di un progetto, crescono le opere e matura uno stile (Costituzioni, 20).
    Questo cammino pastorale di Don Bosco, questa sua esperienza spirituale ed educativa che maturò con i giovani a Valdocco, costituisce quello che si chiama «criterio oratoriano». Don Viganò lo presentò ripetutamente nella sue lettere circolari.
    Costituisce il nostro modello apostolico di riferimento, «una specifica ottica pastorale per giudicare le presenze esistenti o da creare» (Atti del Consiglio Generale: ACG 352).
    Al suo centro troviamo «il cuore oratoriano», cioè il dono di predilezione per i giovani, soprattutto i più bisognosi, espressione eminente della carità pastorale che dà significato a tutta la nostra vita e anima la missione salesiana (cf ACG 312).
    Un tale criterio esige di partire innanzitutto dalla condizione giovanile dei ragazzi più bisognosi e dei ceti popolari, di assicurare ovunque l’accoglienza familiare, l’incontro gratuito e il dialogo positivo, di avere come preoccupazione fondamentale un cammino di formazione cristiana che si sviluppa nella convivenza amichevole e gioiosa, nella promozione umana e sociale e nella maturazione vocazionale.
    Un tale criterio inoltre coinvolge significativamente molte altre persone e forze educative, per formare insieme una vera comunità educativa che condivide lo spirito di Don Bosco e il suo progetto educativo e pastorale (cf ACG 326).
    Questa esperienza pastorale nasce ed è vivificata da una spiritualità e un dinamismo vocazionale che:
    – sostiene un cuore pastorale che ama gratuitamente e si fa amare dai giovani;
    – ispira un progetto educativo-pastorale che orienta e coordina tutte le risorse educative verso la realizzazione di un itinerario di educazione alla fede alla misura della maggioranza dei giovani;
    – guida la vita e l’azione di una comunità educativa che condivide questo progetto nella diversità di opere e servizi;
    – la impegna a sviluppare, con una profonda sensibilità pastorale, un dialogo aperto e positivo con la realtà socioculturale nella quale vive e lavora.

    Lettura teologico-pastorale del criterio oratoriano

    Questo stile di vita e di azione che Don Bosco ha vissuto nell’Oratorio con i giovani trova nella persona di Gesù il suo modello e la sua sorgente (cf Costituzioni, 10 e 11); per questo alla luce di tale modello possiamo esplicitare alcune caratteristiche dell’esperienza spirituale che costituisce il suo cuore. Voglio farlo seguendo le grandi linee della pedagogia di Gesù con i suoi discepoli.
    – Don Bosco presenta la condotta del Signore come il modello di riferimento dello stile salesiano: «Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il maestro della famigliarità». E poco dopo ripete: «Gesù Cristo non spezzò la canna già fessa, né spense il lucignolo che fumava. Ecco il vostro modello» (Lettera da Roma, 1884).
    – E nella «Lettera sui castighi» scrive: «Così faceva Gesù con i suoi Apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza e rozzezza, nella loro poca fedeltà, e col trattare i peccatori con una dimestichezza e familiarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi lo scandalo, ed in molti la santa speranza di ottenere il perdono da Dio. Egli ci disse perciò di imparare da Lui ad essere mansueti ed umili di cuore».
    Tentiamo dunque di sottolineare alcune caratteristiche di questa condotta di Gesù con i suoi Apostoli.
    – Innanzitutto Gesù condivide la vita con la gente, con tutti; nei lunghi 30 anni di Nazaret condivide la vita familiare e il lavoro artigianale (Mc 6,1-5), partecipa alle loro feste (Gv 2,1ss), alle loro sofferenze e gioie come uno qualunque, fino al punto di essere identificato come «mangione e beone, amico di pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,18-19). In questa apertura a tutti, Gesù dimostra di avere un’attenzione particolare verso i suoi discepoli: li incontra nei loro luoghi di vita e di lavoro, la riva del mare di Galilea, i banchi delle imposte, ecc. e là li chiama a seguirlo (Mc 1,16ss; Mc 2,13ss). Invita poi alcuni discepoli a condividere la sua causa (Gv 1,37-39; Mc 3,13-14).
    – Una presenza vicina, accogliente, gioiosa e aperta a tutti, ma in modo speciale a quelli che nella società erano sempre considerati come gli esclusi; Gesù entra nella loro casa, partecipa ai loro banchetti, li aiuta e li difende… (Lc 15,1-2). Attraverso questa presenza, Gesù risveglia nella gente e nei discepoli le grandi aspirazioni e infonde speranza nei loro cuori; attraverso i suoi segni e i suoi gesti di perdono e di liberazione suscita l’ammirazione, la lode e l’attesa messianica (Mc 1,27ss; Mc 2,12; Lc 5,26; 7,16-17).
    – La presenza di Gesù diviene significativa e suscita nella gente la voglia di ascoltarlo e seguirlo (Lc 6,17-19). Questa presenza rende percettibile una novità che la gente non sa definire, davanti alla quale però non è possibile restare indifferenti: occorre prendere posizione, a favore o contro (Mc 1,27-28; Mt 8,16-17).
    – Questa presenza di Gesù va oltre; propone ai discepoli e a tutti quelli che vogliono seguirlo un cammino esigente di rinnovamento e di trasformazione della mentalità e delle abitudini, del modo di vedere e giudicare la vita e le persone, di rapportarsi con Dio e con la sua legge. Una presenza che denuncia, giudica e soprattutto fa proposte radicali di cambiamento (cf Mc 8,34-38; e soprattutto la sezione di Mc 8,22-10,52 – iniziata e conclusa con due guarigioni di ciechi – nella quale Marco presenta le esigenze di Gesù che i discepoli fanno fatica a comprendere). Questa presenza risulta così esigente e radicale che i discepoli all’inizio lo seguono timorosi e senza troppa convinzione (cf Mc 10,32), ma poi lo abbandonano e lo lasciano solo (Gv 16,31-33; Mc 14,50-52).
    – Gesù stesso però aveva promesso ai discepoli che sarebbe tornato: «Verrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e la vostra gioia nessuno ve la potrà togliere» (Gv 16,20-22); una presenza nuova nello Spirito Santo che li accompagnerà continuamente nella missione (Mt 27,18-20). La presenza fisica di Gesù si trasforma – grazie alla potenza della Risurrezione – in una presenza spirituale, che li renderà capaci di essere i testimoni viventi di Gesù stesso, di compiere gli stessi segni del Regno che Lui operava e di proclamare con efficacia il Vangelo a tutti (Gv 14,12-14; 15,26-27).
    Ecco dunque come Gesù ha realizzato la sua missione ed ha accompagnato i suoi discepoli a comprenderla e a condividerla: attraverso una presenza vicina e accogliente e, nello stesso tempo, significativa e stimolante; una presenza come invito pressante a crescere, ad aprire i cuori alla promessa di Dio e alle possibilità che Lui aveva seminato in loro; una presenza che si fa anche denuncia, lotta contro il male in tutte le sue forme, esigenza radicale a seguire Gesù fino alla croce; una presenza che non evita a volte lo scandalo e il fallimento, ma che si apre con fiducia a Dio e alla potenza della sua azione e del suo Spirito.
    Quando parliamo di presenza salesiana dovremmo ispirarci a questa presenza di Gesù considerata in tutta la sua integralità; una presenza aperta a tutti, ma con una cura speciale da una parte verso i più poveri e bisognosi, ma anche verso i più stretti collaboratori e i discepoli disponibili a seguirlo da vicino; una presenza che comprende e condivide, ma che si fa anche proposta esigente di crescita e di conversione, affrontando perfino lo scandalo e il fallimento; una presenza che impegna tutte le risorse umane, ma che accetta e riconosce al di sopra di tutto il protagonismo di Dio e del suo Spirito. Come curiamo e sviluppiamo questa esperienza spirituale in noi e nelle nostre comunità? Corriamo il rischio talvolta di pensare che la pastorale è un affare soltanto nostro, che si riduce al fare e all’organizzare iniziative e attività per gli altri, dimenticando che la nostra vocazione ci chiede innanzitutto di «essere»: essere «segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani, soprattutto i più poveri» (Costituzioni 3). Il criterio oratoriano è dunque innanzitutto un’esperienza spirituale, che ci spinge continuamente ad agire nella carità di Dio.

    IL CRITERIO ORATORIANO. FONDAMENTALE PER LA SIGNIFICATIVITÀ DI OGNI OPERA SALESIANA

    L’Oratorio Salesiano è più che una istituzione; è uno spazio mentale e un atteggiamento pastorale che deve ispirare tutta la pastorale giovanile salesiana, come indica l’articolo 40 delle Costituzioni: «Don Bosco visse una tipica esperienza pastorale nel suo primo oratorio, che fu per i giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria. Nel compiere oggi la nostra missione, l’esperienza di Valdocco rimane criterio permanente di discernimento e rinnovamento di ogni attività e opera».
    Ogni casa salesiana, per essere pienamente tale, deve poter offrire la stessa esperienza pastorale di Don Bosco e presentarsi come realizzazione attuale di quel riferimento ideale che fu l’oratorio. In questi anni la Congregazione, raccogliendo la vita e la ricca esperienza dei salesiani di tutto il mondo, ha sistematizzato alcuni tratti di identità salesiana che traducono e concretizzano questo criterio.

    La centralità dei giovani, soprattutto i più poveri

    La pastorale salesiana è giovanile perché sceglie i giovani e soprattutto i più poveri come destinatari privilegiati; ogni salesiano dovrebbe poter fare sue le parole di Don Bosco alla marchesa di Barolo, che gli presentava questa alternativa: «O lasciare l’opera dei ragazzi o l’opera del Rifugio». Don Bosco rispose: «La mia risposta è già pensata. Ella ha danaro e con facilità troverà altri preti, ma per questi poveri fanciulli non è così. In questo momento se io mi ritiro, ogni cosa va in fumo; perciò… mi darò di proposito alla cura dei fanciulli abbandonati» (Memorie dell’Oratorio, Edizione LAS 1991, p.151). Questa scelta ci permette di guardare la realtà con una speciale attenzione a tutto quello che favorisce o impedisce l’educazione ed evangelizzazione dei giovani, promuove una visione positiva e fiduciosa del mondo giovanile, e suscita in tutti atteggiamenti di ascolto, di simpatia e di dialogo. Il Papa chiede a tutta la Chiesa questa sensibilità positiva nei confronti del mondo giovanile: «Dobbiamo saper valorizzare quella risposta consolante [dei giovani nel Giubileo], investendo quell’entusiasmo come un nuovo talento che il Signore ci ha messo nelle mani perché lo facciamo fruttificare» (Novo Millennio Ineunte, n. 40). Ogni salesiano e ogni comunità salesiana deve curare l’apertura a tutti i giovani, senza escluderne nessuno, la ricerca incondizionata dei lontani, la disponibilità costante a fare il primo passo, lo sforzo di cercare con creatività vie nuove di dialogo e di collaborazione.

    Una proposta integrale: educare evangelizzando ed evangelizzare educando

    La preoccupazione pastorale di Don Bosco lo apre all’insieme della persona del giovane, cerca la sua crescita integrale, il suo inserimento onesto nella società e anche la costruzione di una società più umana e più giusta (cf Costituzioni 31). La pastorale giovanile salesiana sottolinea il profondo rapporto dell’azione educativa con l’azione evangelizzatrice, assicurando una speciale attenzione ai valori umani e sociali dell’ambiente, ai dinamismi di crescita personale e di gruppo, al dialogo con i diversi universi culturali che vivono i giovani, e allo stesso tempo sviluppa con cura le grandi energie di umanizzazione che ha la fede cristiana.
    Questa sintesi tra educazione ed evangelizzazione è una delle sfide principali e uno dei compiti più difficili e urgenti per le nostre comunità: occorre superare con decisione un’educazione troppo centrata nella trasmissione di idee, tecniche o abitudini, con una scarsa mentalità di processo e cammino, poco decisa nell’offrire una chiara proposta di valori e di senso; occorre invece pensare ad un’evangelizzazione capace di proprorre il Vangelo con realismo educativo e pedagogico, attenta ai valori umani e culturali dell’ambiente che vivono i giovani, preoccupata di sviluppare i dinamismi che creano nei giovani le condizioni per una risposta libera, sensibile ai processi metodologici; un’evangelizzazione che promuova la crescita di una fede operativa, caratterizzata dalla dimensione sociale della carità per l’avvento di una cultura della solidarietà, impegnata nel dialogo con i diversi universi culturali che vivono i giovani, per aiutarli a sviluppare valori, criteri di giudizio e modelli di vita secondo il Vangelo.

    Un’esperienza comunitaria

    Don Bosco nell’Oratorio creò una comunità, cioè una famiglia nella quale lui era il centro e il cuore, un ambiente d’incontro di familiarità, nel quale si vivevano e si godevano i valori umani e cristiani fino a rendere desiderabile la proposta della santità. Ogni opera salesiana deve essere una «casa», cioè «una famiglia» per i giovani che non hanno famiglia; un ambiente nel quale si privilegiano i rapporti personali, la presenza e il dialogo degli educatori tra i giovani, la vita di gruppo e il protagonismo giovanile.
    Il gruppo è la scelta qualificante della pedagogia salesiana; è il luogo nel quale i giovani vivono la ricerca di senso e la costruzione della propria identità; è lo spazio della creatività e del protagonismo; è scuola dove imparano a inserirsi responsabilmente nel mondo sociale e nel territorio; è mediazione privilegiata dell’esperienza di Chiesa. In questo modo il gruppo diviene anche l’ambiente della condivisione e del dialogo tra giovani e adulti, in un accompagnamento reciproco e in uno scambio di dono continuo.

    Uno stile che privilegia la personalizzazione

    Oltre alla mediazione del gruppo, diventa decisivo l’incontro personale con il giovane. È a questo livello infatti che si forma la coscienza, che si suscitano le motivazioni, che si educa la capacità critica e si incoraggia il coinvolgimento attivo e la partecipazione. Uno stile da scegliere e da condividere con tutti i membri della comunità educativo-pastorale, capace di accogliere il grande gruppo per rispondere alle sue attese, senza trascurare l’aiuto e l’accompagnamento di coloro che manifestano attese più profonde e domande più esigenti.
    Questa mi sembra essere una delle originalità più interessanti dell’Oratorio di Don Bosco: nello stesso ambiente si aveva cura di tutti e si accoglievano anche i più lontani; e nello stesso tempo si stimolavano e accompagnavano i più disponibili verso un cammino di santità, per renderli «lievito» di tutto l’ambiente.

    Una forte unità nella diversità

    Ha scritto Umberto Eco: «L’oratorio è una macchina perfetta in cui ogni canale di comunicazione, dal gioco alla musica, dal teatro alla stampa e via dicendo, è gestito in proprio e riutilizzato e discusso quando la comunicazione arriva da fuori. In tale senso il progetto di Don Bosco investe tutta la società dell’era industriale con vivace immaginazione sociologica, senso dei tempi, inventiva organizzativa, e con una politica globale delle comunicazioni di massa…». Quello che caratterizzava l’Oratorio di Don Bosco era quella potente unità di valori e di progetto che si sperimentava nella multiforme e variegata diversità di attività, iniziative e persone che in esso erano presenti.
    La pastorale salesiana costituisce un unico processo con una unica finalità: la promozione integrale dei giovani e del loro mondo. Fa leva su un unico soggetto animatore: la comunità educativo-pastorale. Si deve perciò superare una pastorale settoriale fatta di molte attività, per favorire una pastorale unitaria nella quale tutti gli elementi si collegano organicamente attorno allo sviluppo di un itinerario educativo unitario: dall’incontro con i giovani nel punto in cui si trovano, l’educatore li stimola e li accompagna a sviluppare tutte le loro risorse umane fino ad aprirli al senso della vita e alla ricerca di Dio; li orienta verso l’incontro con Gesù Cristo e verso la trasformazione della loro vita secondo il Vangelo; matura in loro l’esperienza del gruppo fino a scoprire la realtà della Chiesa; li accompagna nella scoperta della propria vocazione.
    Ecco un’altra sfida importante per ogni opera e comunità che voglia attuare il «criterio oratoriano». Non si tratta di fare molte cose o attività, certamente utili e positive, e neppure di accontentarsi di un semplice coordinamento organizzativo. Si tratta invece di costruire, con tutte queste iniziative e proposte, un unico processo, di avviare un unico dinamismo, di puntare insieme nella medesima direzione.

    Uno spirito «missionario» dinamico

    La presenza salesiana si deve aprire alla realtà della Chiesa locale e del territorio, facendone un punto di aggregazione, un centro di irradiazione e un’agente di trasformazione dell’ambiente. Per Don Bosco era certamente importante la cura dei giovani che venivano all’Oratorio; ma era egualmente importante per lui la preoccupazione di andare a cercare tutti quelli che erano rimasti fuori. E desiderava allargare il coinvolgimento di tutti quelli che volevano collaborare alla trasformazione della società, condividendo il suo progetto di educazione e di evangelizzazione della gioventù.
    Ogni opera salesiana, secondo il criterio oratoriano, deve sempre pensarsi come un centro di accoglienza e di convocazione del maggior numero possibile di persone (giovani, collaboratori, membri della Famiglia Salesiana, coloro che sono interessati agli aspetti umani e religiosi del territorio, in primo luogo gli stessi genitori…), per diventare sempre più «nucleo animatore» capace di allargarsi verso l’esterno, coinvolgendo in forme e modi diversi tutti quelli che desiderano impegnarsi per la promozione e la salvezza dei giovani.
    In questa modo, l’opera salesiana sarà una presenza significativa nel territorio, apportatrice di una vera energia e forza di trasformazione dell’ambiente, al servizio della qualità della vita di tanti giovani, soprattutto i più poveri.
    Queste caratteristiche nel loro insieme costituiscono i principali elementi del criterio oratoriano che deve ispirare e guidare l’azione educativa e pastorale di ogni opera e presenza salesiana. Da questo principio ne deriva una conseguenza importante che vorrei sottolineare: l’Oratorio di Don Bosco, nel suo senso pieno, non può ridursi ad un’opera particolare accanto ad altre, ma deve comprendere tutto l’insieme della presenza salesiana in un determinato luogo e territorio: l’Oratorio infatti è casa, scuola, parrocchia e cortile. Attraverso questa pluralità di opere o servizi, si manifesta l’unità e la ricchezza del progetto salesiano.
    Per questo una presenza salesiana, animata da una comunità, non deve essere pensata come una semplice giustapposizione delle diverse attività o servizi che la compongono, collegate tra loro soltanto da un coordinamento puramente funzionale.
    Occorre invece che tra le diverse attività e i vari servizi offerti dalla presenza salesiana nel territorio ci siano: un forte spirito di comunione e di condivisione delle risorse, alcuni criteri d’azione educativo-pastorali comuni, forme di coordinamento e di collaborazione effettiva.

    L’ORATORIO SALESIANO COME «PROTOTIPO» DEL CRITERIO ORATORIANO

    L’Oratorio Salesiano è anche un’opera concreta e specifica che conviene ripensare alla luce di questo stesso criterio. È quello che intendo fare ora.
    Da un po’ di tempo si parla di ripensare e di rilanciare l’Oratorio. Questo rivela e manifesta la consapevolezza che i nostri oratori stanno forse perdendo il contatto con la realtà giovanile e sociale di oggi. Possono rischiare di essere spazi aperti, ma con poche proposte impegnative di crescita educativa e di formazione cristiana seria. Oppure possono essere luoghi élitari, riservati soltanto a quelli che hanno già riferimenti educativi e religiosi sufficienti. Questa situazione ci ha stimolati a riflettere e a condividere esperienze, iniziative, scelte possibili.
    Alla luce di tutto quello che abbiamo presentato sul criterio oratoriano, credo che possiamo delineare alcune caratteristiche essenziali di un Oratorio Salesiano oggi, con alcune prospettive di futuro.

    Identità dell’Oratorio Salesiano

    Una presenza missionaria nel mondo giovanile

    Secondo Don Bosco, l’Oratorio Salesiano è una scelta di determinati soggetti prima che una programmazione di contenuti e di attività.
    Se i soggetti non si avvicinano, come prima cosa occorre andare loro incontro: sarà poi da questo incontro fondamentale che potranno nascere i programmi e le proposte giuste. I soggetti da privilegiare sono gli ultimi e, a partire da essi, tutti; deve essere un movimento continuo verso i giovani, per incontrarli lì dove essi si trovano fisicamente e psicologicamente; un movimento che deve portare verso i più marginali, con lo sguardo rivolto soprattutto a coloro che le istituzioni tradizionali non raggiungono o non prendono in considerazione. Tutto questo, certamente, senza escludere gli altri che frequentano: l’Oratorio deve essere per tutti!

    * Una presenza.
    Da un luogo di servizi ad un luogo di rapporti; da uno spazio anonimo (povertà della strada) ad una casa accogliente (un ambiente umano di famiglia).

    * Una presenza nel mondo giovanile.
    Apertura a tutti, a quelli cioè che costituiscono la grande maggioranza (né un cenacolo per i migliori, né una sede per il ricupero di coloro che versano in gravi devianze). «Tutti vi possono essere accolti senza eccezione di grado o di condizione», recitava il Regolamento del 1877, parlando delle condizioni di accettazione nelle «scuole dell’Oratorio». Se c’è qualche preferenza, essa è per quelli che si trovano in situazione di maggior disagio: «i poveri, più abbandonati, e più ignoranti», precisava ancora lo stesso Regolamento (J.M.Prellezo, Sistema educativo ed esperienza oratoriana di don Bosco, Elledici 2000, p. 90).
    Apertura al loro mondo, facendo il primo passo verso di loro, capaci di accoglienza, comunicazione, amorevolezza, ecc.
    Un luogo di vita e di aggregazione giovanile dove le attese, il linguaggio, il protagonismo, le iniziative dei giovani trovano accoglienza, promozione e spazio.

    * Una presenza missionaria.
    Due sono le intuizioni acquisite da Don Bosco nella sua esperienza di Valdocco:
    – la struttura flessibile con cui egli pensa all’oratorio, né parrocchiale né interparrocchiale, ma opera di mediazione tra Chiesa, società urbana e fasce popolari giovanili;
    – l’intreccio dinamico tra formazione religiosa e sviluppo umano, tra catechismo ed educazione (cf J.M.Prellezo, o.c., p. 89).
    La presenza inoltre della comunità cristiana che s’impegna nell’educazione integrale dei giovani e nell’animazione di un ambiente di vita cristiana veramente giovanile, nel quale si testimonia e si promuove una proposta di vita evangelica secondo lo spirito e lo stile di Don Bosco (la spiritualità giovanile salesiana).

    Una presenza che diviene comunità

    Attraverso una rete di rapporti personali ricchi e significativi (sentirsi accettato e riconosciuto); una proposta educativa condivisa che promuove un profondo senso di identità; il protagonismo e la reciprocità di tutti che sviluppa un maturo senso di appartenenza; un mondo simbolico, una cultura, che universalizza e conferisce continuità alle proposte (funzione dell’istituzione, delle tradizioni…).

    Una comunità di frontiera tra il religioso e il civile

    Presenza di animazione culturale di un ampio territorio: «opera aperta, oltre i cancelli»; in dialogo e collaborazione con la famiglia e le altre istituzioni educative civili e religiose («una rete educativa»); con proposte diversificate, ma anche collegate e orientate verso una stessa finalità.

    La proposta educativo-pastorale nell’Oratorio Salesiano

    Ecco alcuni suggerimenti per rendere realtà gli elementi di identità che abbiamo segnalato.

    Fare dell’Oratorio un luogo di vita per i giovani

    Oggi i giovani si sono scavati spazi propri di vita (mondi vitali) dove esprimono e sviluppano i propri valori, il loro protagonismo e prendono le decisioni più importanti della loro giovinezza e spesso anche della loro esistenza.
    Sono luoghi in cui passare il tempo senza pagare pedaggi, né fisici, né di simboli, né di immagine (la banda, il muretto, la squadra, la compagnia, il gruppo musicale, la piazzetta, le vasche del corso, la spiaggia, i concerti, il pub, la discoteca, la notte, l’automobile; gli spazi virtuali, come la musica, il fumetto, internet).
    La sfida è duplice: da una parte far diventare questi spazi luoghi educativi; dall’altra, stabilire uno stretto rapporto tra questi mondi vitali e gli spazi istituzionali come la scuola, la famiglia, la parrocchia, l’associazione, ecc.
    L’Oratorio può essere lo spazio e l’ambiente per rispondere a questa sfida.
    Alcune condizioni per rendere questo possibile:
    – uno spazio aperto, con grande libertà di movimento, di appartenenza, di circolazione;
    – uno spazio che favorisce i rapporti personalizzati, faccia a faccia, che offra ambienti accoglienti che favoriscano lo stare insieme, il parlare, il comunicare gratuitamente;
    – una proposta di progetti specifici, ritenuti interessanti e significativi presso l’ambiente di riferimento dei giovani, capaci di intercettare i gusti e le domande dei giovani;
    – uno spazio in cui i giovani possano vivere da protagonisti;
    – la presenza attiva di adulti e di animatori significativi per i giovani, capaci di essere punti di riferimento e di stimolo.

    Una proposta educativa e culturale di qualità

    L’accoglienza e la valorizzazione del mondo vitale dei giovani, che rende l’Oratorio un luogo attraente, deve condurre anche verso proposte che spingano ad andare oltre nel processo di maturazione personale e di crescita. Immersi in un ambiente e in una cultura frammentata e pluralista, i giovani hanno bisogno di ritrovare una sintesi personale che permetta loro di costruire un’identità coerente e significativa. L’Oratorio può essere il luogo dove il giovane ripensa, ricicla, ridimensiona, completa, integra e ristruttura i messaggi e le esperienze che riceve altrove (famiglia, scuola, parrocchia, con gli amici, ecc. ), in vista di una sintesi vitale che può dare senso e unità alla sua esistenza.
    Si può creare così nel giovane un riferimento interiore all’ambiente, che va oltre lo stare materialmente in esso, fino ad identificarsi con il suo stile e le sue prospettive: allora l’Oratorio diviene proposta significativa.
    In questo processo l’Oratorio opera alcune scelte fondamentali:
    – il gruppo, come il luogo privilegiato del rapporto educativo, dove educatori e giovani vivono la familiarità e la fiducia; l’ambiente di elaborazione e socializzazione delle proposte, dove si fa esperienza dei valori e si sviluppano gli itinerari educativi, lo spazio dove si promuove il protagonismo degli stessi giovani;
    – l’ambiente, di forte qualità umana e cristiana, dove si sperimentano come significativi e attraenti i valori della proposta educativa, che «passano» quasi «per contagio»; in esso è fondamentale la presenza di persone significative che vivono e testimoniano i valori; un ambiente dove esista un forte collegamento e un’autentica reciprocità tra persone, gruppi, attività, istituzioni, ecc., attorno ad un progetto globale ed unitario;
    – la metodologia della razionalità e della partecipazione, che aiuta ad imparare dalla vita e a fare esperienza diretta di servizio gratuito e di solidarietà;
    – i rapporti personali ricchi e abbondanti (l’amicizia), che guidano e sostengono lo sforzo di sintesi e di personalizzazione.

    Un percorso di evangelizzazione

    Non si può ridurre l’Oratorio al catechismo o ai gruppi, ma neppure lasciare sempre implicita la proposta cristiana, per il fatto di doversi rivolgere a tutti. I giovani della GMG ci hanno dimostrato che alle proposte ben fatte essi sanno rispondere con generosità; proposte che puntano al centro del messaggio, non ai fronzoli! La proposta deve essere fatta nel massimo del rispetto della libertà di chi passa in Oratorio, ma anche con il massimo dell’impegno educativo; una proposta fatta con cura, portandola alla conoscenza di tutti e con un investimento di energie (anche economiche), che sia almeno alla pari dell’investimento che si fa per il resto delle attività.
    Alcune caratteristiche di questo percorso di evangelizzazione:
    – missionaria: che parte dell’offerta di un ambiente di forte qualità umana ed evangelica; che va alla ricerca di quelli che sono potenzialmente disponibili, ma non si dimostrano interessati; che parte dall’annuncio essenziale e lo riprende continuamente; che risveglia l’interesse e la voglia di fare cammino;
    – positiva: a partire dalla vita, secondo le aspirazioni e i bisogni dei giovani; raccogliendo le domande che provengono dal vissuto per svilupparle e approfondirle; con pluralità di offerte, secondo le possibilità e i ritmi di maturazione;
    – con una metodologia centrata sull’esperienza e sui rapporti: esperienze diverse e complementari, offerte a tutti secondo le loro possibilità; esperienze accolte e anche proposte; esperienze umane e anche di preghiera e di interiorità; esperienze di amicizia, di gruppo, di comunicazione, che aprano ad un’esperienza positiva di Chiesa; tutte pensate dentro un itinerario di interiorizzazione, riflessione e condivisione, che porti ad una assimilazione personale dei valori evangelici presenti in esse;
    – consistente e impegnativa: che conduce a considerare la vita come un dono e un servizio (cultura vocazionale); con proposte significative di servizio gratuito vissute con spirito evangelico; fino ad una chiara opzione vocazionale cristiana.
    – sistematica, senza staccarsi dal vissuto: la catechesi e l’educazione alla spiritualità giovanile salesiana (lo stile di vita cristiana proposto da Don Bosco) come elemento caratteristico di tutti gli oratori; selezionando quei «nuclei» più significativi capaci di illuminare l’esperienza di vita dell’oratorio e dei giovani; favorendo la presenza di testimoni e di momenti significativi attorno all’esperienza di fede e alla vita cristiana;
    – aperta al territorio, ai luoghi dove i giovani vivono, si ritrovano e danno espressione alla propria originalità; con una proposta che parte dai semi e dai frammenti che i soggetti e le situazioni portano in sé, ma anche propositiva, capace di svegliare e sviluppare le aspirazioni più profonde; in dialogo e collaborazione con la famiglia, con le altre istituzioni educative, civili e religiose del territorio, per creare interesse e coinvolgimento in progetti condivisi, ispirati al Vangelo; con una comunità che precede, prepara, accompagna e sostiene.

    Conclusione

    Desidero terminare con alcune parole del nostro Rettor Maggiore sull’Oratorio:
    «L’oratorio ha già una sua definizione e oggi è concepito con un doppio movimento. Non dico che tutti lo realizzino. L’oratorio è un luogo di convergenza fisica dove è possibile formare una grande comunità giovanile con margini aperti, animata da un gruppo che è più consapevole delle finalità e della dinamica e dove è possibile portare in continuità proposte educative e creare delle attività. L’oratorio ha anche un movimento di uscita, va a cercare i giovani come faceva don Bosco, che andava per i cantieri a chiedere ai giovani se volevano andare la domenica all’oratorio. Non è possibile – se non in casi di emergenza e per intervento con terapia d’urto – educare sulla strada in forma concreta. L’educazione richiede anche un certo ambiente non chiuso, dove si entra e si esce. Ma il lavoro di ricerca dei giovani si deve fare. Molti lo fanno per esempio nelle scuole statali, sfruttando l’ora di religione come possibilità di un primo contatto. Altri lo fanno con succursali dell’oratorio, con piccole cellule disseminate qua e là. Certo, se oggi un oratorio si limitasse solo a stare nel proprio spazio fisico e non avesse capacità di richiamare, diventerebbe una istituzione assolutamente insufficiente per affrontare la situazione giovanile» (J.E.Vecchi – C.Di Cicco, I guardiani dei sogni col dito sul mouse, Elledici 1999, pp. 207-208).


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