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    Dal progetto alla vocazione



    Zelindo Trenti *

    (NPG 2002-04-17)


    L’esistenza come progetto di sé

    Comprendere una persona, interpretarne il senso delle azioni, oggi più che mai, significa riportarsi perentoriamente al suo progetto.
    Una certa attuale sensibilità di pensiero, suscitata ed acuita da correnti filosofiche che si sono man mano imposte con sempre maggior evidenza, ha portato l’attenzione sulla responsabilità del singolo e sull’originalità del suo esperire la vita secondo sfumature caratterizzanti e difficilmente comparabili.
    Le piste della ricerca percorrono aspetti diversi, per lo più lontani dal richiamo religioso; tuttavia, nelle loro matrici più lontane, risalgono alla riflessione di Kierkegaard sul singolo come categoria qualificante delle stessa ricerca filosofica. In questi accenni al progetto come radice della vocazione non vogliamo perdere di vista il suo richiamo e la sollecitazione profonda che sottende.
    Risale di fatto a Kierkegaard la rivendicazione lucida e perentoria di una verità esistenzialmente significativa e religiosamente connotata:
    «Ciò che in fondo mi manca, è di vedere chiaro in me stesso, di sapere ‘ciò ch’io devo fare’ (At 9,6) e non ciò che devo conoscere, se non nella misura in cui la conoscenza ha da precedere sempre l’azione. Si tratta di comprendere il mio destino, di vedere ciò che in fondo Dio vuole ch’io faccia, di trovare una verità ‘per me’, di trovare l’idea per la quale voglio vivere e morire... Soltanto quando l’uomo ha compreso se stesso in questo modo intimo e si vede ormai in cammino sulla propria strada, solo allora la vita si placa e prende un senso» (Kierkegaard, 1962, n. 48).
    Su questa premessa, valorizzando una tradizione secolare, sostanzialmente condivisa, Kierkegaard aveva buon gioco nel puntare al rapporto con Dio come alla verità costitutiva dell’esistenza umana. L’assumere esistenzialmente tale rapporto è via obbligata alla realizzazione personale e alla salvezza; sottrarvisi è ferita che compromette irreparabilmente l’esistenza – è «malattia mortale» – (Kierkegaard, 1972, 620 e ss.).
    Kierkegaard argomenta con lucidità puntigliosa e spesso polemica. Concentra sull’opzione religiosa la totalità delle risorse: l’uomo vi gioca la propria riuscita o il proprio fallimento.
    A conferire singolare risonanza al richiamo di Kierkegaard ha contribuito la svolta ermeneutica, impressa dalla riflessione heideggeriana. Kierkegaard poteva di fatto apparire unilaterale: concentrato su un punto di vista parziale, per quanto legittimo. La riflessione esistenziale ha evidenziato che l’incontro con la verità è necessariamente comandato da un certo punto di vista, da ineludibili precomprensioni. È sulla base di un progetto personale previo che si compie l’interpretazione della realtà (Heidegger, 1970, 233 e ss.). L’interpretazione non implica solo recettività passiva, comporta un intervento attivo, che proporziona e integra nel proprio progetto la realtà conosciuta. Fare esperienza non è accogliere passivamente; è attribuire un valore, ricostruire un significato. In ogni interpretazione fra soggetto e oggetto è in atto una circolarità ermeneutica, imprevedibilmente feconda e innovatrice.
    Nell’ambito della ricerca filosofica la fenomenologia pone le basi di una esplorazione della conoscenza, ignota alla tradizione: ha impostato un metodo di incontro con la realtà che celebra l’attività e la responsabilità della persona.
    Husserl ne elabora minuziosamente e acutamente il percorso; Heidegger reinterpreta l’esistenza stessa su basi di progettualità totali; Marcel esplora la dimensione religiosa con novità di accenti e lucidità di penetrazione. La voce di Kierkegaard, sopraffatta per decenni dal confronto fra idealismo e positivismo, ritrova risonanza singolare. Il singolo, che Kierkegaard ha celebrato con accenti appassionati, rimbalza a perno delle analisi suggestive e provocanti che spaziano dalla filosofia, all’arte, alla letteratura.
    E sul progetto della persona finisce col concentrarsi anche la ricerca pedagogica.

    L’educazione come richiamo alla responsabilità del singolo

    L’idea di progetto di sé, la consapevolezza di una responsabilità non delegabile, l’originale singolarità di cui ciascuno è portatore, percorrono i vari filoni di ricerca educativa, sollecitati da studiosi originali e ascoltati: da Maslow a Rogers, da Allport a Fromm la sensibilità umanistica trova i suoi banditori fortunati, ed esce dal dibattito accademico e dalla ristretta cerchia degli addetti ai lavori per diventare patrimonio condiviso: alimenta un clima culturale.
    Il processo educativo si porta perentoriamente sull’asse del soggetto. È questo che va esplorato e accompagnato nel suo progressivo, spesso accidentato, itinerario di maturazione.
    In particolare nella scuola lo studente è considerato nella sua condizione integrale e interiore, per le doti intellettuali, le risorse emotive, le situazioni affettive che lo identificano; soprattutto è interpretato nelle sue aspirazioni affioranti, non sempre chiaramente identificate, per aiutarlo a capirsi e a mettere a frutto l’intera gamma delle proprie risorse.
    La stessa considerazione viene verificata anche nell’educatore. Anche lui vive una situazione personale concreta, spesso travagliata e insicura: ma anche nel suo caso il riferimento privilegiato restano le sue doti, gli stessi tratti della sua personalità, il suo stile di vita: hanno un’incidenza difficilmente calcolabile nell’educazione.
    Il rapporto interpersonale è approfondito: si cerca di leggere in trasparenza uno stile relazionale, se ne verifica l’efficacia, se ne misura l’autenticità.
    L’educazione si concentra sul presente: il «qui e ora» è riferimento chiave che rimbalza continuamente come esigenza di confronto con se stessi e di verifica del vissuto concreto; vi entrano come parte integrante e decisiva tutte le risorse delle persone in gioco: il rapporto educativo tende ad avviare un incontro autentico fra persone.
    La spinta umanistica ha rivoluzionato la concezione tradizionale dell’educazione. Forse più con l’intuizione e la passione di ogni innovazione profonda, che magari lascia scoperto tutto il versante delle condizioni precise, delle strategie calcolate e verificate: proprio queste costituiscono lo sfondo, da cui prende l’avvio, e su cui si muove in termini critici e più controllati, approntando anche il rigore di una mediazione scientifica precisamente orientata, la ricerca educativa più recente, impegnata da prima nell’ambito specifico interpretativo – cognitivismo –, aperta man mano su aspetti più integrali e diversificati della maturazione personale.
    Resta comunque acquisita la volontà di riportare il discorso piuttosto generale del progetto su un’analisi puntuale e rigorosa dei processi che lo vanno promovendo.
    Riferiamo a titolo esemplificativo un accenno a questo tipo di ricerca: dice lo sforzo di interpretare le dinamiche interiori della persona: gli aspetti diversi e tuttavia complementari nell’intento di ricostruirli in prospettiva unitaria.

    L’attenzione ai processi in ambito vocazionale, anche specificamente religioso

    Cambia l’obiettivo globale dell’educazione, ma anche dell’educazione religiosa: dal problema dell’educazione religiosa in se stessa, ci si interroga sulla funzione della religione nella maturazione della persona: quale ruolo spetta alla religione nella formazione equilibrata e piena della persona?
    Si tratta di individuarne i dinamismi propri, integrandoli correttamente con il dinamismo stesso della evoluzione personale. Sottolineo soprattutto il richiamo ai diversi livelli di integrazione della componente religiosa; offrono indicazioni assai significative per definire l’obiettivo, cui correttamente puntare.
    Dalle recenti ricerche in ambito di psicologia applicata si può schematicamente notare:
    * Livello marginale: la componente religiosa è un aspetto opzionale della propria esistenza, è al margine della vita, è una circostanza esterna, è qualcosa che appare di tanto in tanto e che può essere «utilizzata» a seconda delle esigenze sociali dell’individuo.
    In sintesi, a questo livello, la componente religiosa non ha alcuna incidenza sulla gestione della vita della persona.
    * Livello integrato: la componente religiosa è integrata con le altre componenti umane; si può dire che forma un tutt’uno con le altre sfere della persona e ha la loro stessa incidenza nella gestione della propria vita.
    La religiosità, a questo livello, viene vista come una realtà umana dalla quale non si può prescindere e come un’esigenza che deve essere soddisfatta al pari delle altre.
    La mancanza di integrazione viene a spiegare diverse problematiche della personalità che hanno il loro punto culmine in disagi di tipo religioso.
    * Livello organizzatore: la componente religiosa è vista come l’elemento cardine attorno al quale ruotano e si organizzano gli altri livelli.
    A questo livello, in particolare, la religiosità costituisce la componente che più di qualsiasi altra rappresenta il punto di riferimento essenziale per l’organizzazione e la gestione dell’esistenza. In questo senso, si potrebbe dire che essa dà un colore particolare a tutta la vita e ne diventa una chiave di lettura senza la quale la vita stessa mancherebbe di senso (Arto, 2000, 492).
    A queste condizioni gli studi più recenti confermano «che la religione offre possibilità di dare motivazioni elevate all’agire umano, di aprire alla trascendenza dell’esistenza e di motivare i giovani ad una piena crescita umana e religiosa» (Polacek, 2000, 502).

    La risorsa risolutiva nel processo di maturazione

    Emergono dunque livelli diversi: da quello evasivo e sostanzialmente insignificante, a quello risolutivo, in grado di orientare l’intero progetto personale.
    Quando ci si pone alla ricerca della risorsa più profonda ed interiore che progressivamente emerge e può venir identificata, sembra d’obbligo riferirsi ad un richiamo costitutivo, di continuo affiorante.
    La persona, dove tende a fare chiarezza sulla propria vita, risulta attraversata da un’esigenza di pienezza e di totalità che non la lascia in pace con se stessa; instaura un processo che tende spontaneamente a gerarchizzare valori e significati: s’impone come richiamo importante ad unificare l’esistenza e ad orientarla verso un suo senso religioso, per quanto piuttosto generico e indefinito. Volendone traccia schematicamente le tappe:
    * La tensione che attraversa l’esistenza non è un fatto casuale o occasionale: manifesta un interiore dissidio, che risulta costitutivo dell’uomo. Cosicché l’esistenza appare segnata da polarità che tendono a divaricare l’esperienza, tirandola su opporti versanti. Esse lasciano trasparire risorse latenti non ancora organizzate, sottendono il compito di conferirvi unità e coerenza, donde la responsabilità dell’uomo sulla propria vita, e costituiscono la condizione fondamentale all’esercizio della libertà.
    * L’uomo si delinea come l’essere affidato a se stesso:
    – per quanto di diritto partecipe di un mondo complesso;
    – avverte l’incompiutezza da cui è segnato;
    – e la vocazione che lo distingue;
    – è chiamato a costruirsi.
    * Per quanto la sua statura non gli risulti chiaramente definita e gli imponga una severa ricerca dei lineamenti che identificano il suo vero volto. In questa fatica l’inquietudine gli è compagna fedele. Porta indicazioni, per lo più indefinite e imprecise, e tuttavia orientative di esigenze profonde, di aspirazioni interiori che lasciano se non trasparire, almeno presagire i lineamenti autentici di cui ciascuno è alla ricerca.
    * La pienezza di un’esperienza appagante affiora come sollecitazione e attesa. Prende man mano consapevolezza di riferimenti ulteriori, che si delineano nella loro sollecitante proposta. Portano l’interesse oltre la singolarità della propria persona e aprono almeno l’interrogativo sul senso definitivo: se ci sia e se l’uomo sia in grado di conseguirlo.

    Progetto personale e opzione religiosa

    L’esperienza interiore sembra portare il presagio di una presenza misteriosa e dialogante: fonte di attesa, anelito alla comunione. L’uomo si sente non solo alla ricerca della spiegazione che appaghi la sua ragione, è anche in attesa della risposta che riempia la sua vita. Agostino l’ha detto con parole non più dimenticate.
    «Grande sei, o Signore, e degno di lode, grande è la tua maestà e la tua sapienza non si può misurare. E l’uomo, piccola parte della tua creazione, intende darti lode; l’uomo che porta il segno della propria finitudine e del proprio peccato, e tuttavia testimonia che tu ‘resisti ai superbi’; appunto, l’uomo, piccola parte della tua creazione, intende darti lode. Sei tu che susciti la gioia di lodarti, perché ci hai fatti per te; e il nostro cuore non trova pace fino a che non riposa in te» (Le confessioni, I,1).
    Così, all’apertura di questo grande affresco che narra la sua vita, Agostino ha pensato che l’incontro rappresentasse la pace. Ma l’intera «confessione» che ne segue è piuttosto testimonianza di un singolare confronto con il suo Dio che appunto non gli dà pace. L’uomo religioso è esposto all’assillo di un incontro che di continuo s’annuncia e si sottrae. Il richiamo religioso, inteso nella sua esigente serietà, è coinvolgimento e disponibilità radicali. Il vangelo l’ha detto in immagini semplici e persuasive:
    «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra» (Mt 13, 44-46).
    L’uomo vende felice quanto possiede: il tesoro, presagito prima, rivelatosi finalmente con perentoria forza persuasiva, interpreta il senso unitario e appassionante dell’esistenza: altre perle, idoli magari a lungo custoditi, sono sacrificati senza rimpianto, perfino con trasporto. Non perché insignificanti; ma perché il loro significato s’è luminosamente manifestato: rappresentano il prezzo dell’acquisto, il segno della disponibilità, la condizione dell’incontro.
    Naturalmente torna il paradosso di un’esperienza interiore e personalissima. Il tesoro resta nascosto, il valore della perla sconosciuto; di qui la singolarità, per lo più sconcertante, della scelta religiosa.
    L’uomo religioso scommette sul valore incomparabile del tesoro che hanno presagito nella concretezza del vivere quotidiano; ne vuole sondare la piena credibilità per se stesso e conferirvi chiara visibilità o almeno richiamo significativo per i suoi contemporanei.
    Ma al di là dell’immagine, per quanto suggestiva, la verità della scelta religiosa si legittima in un rapporto di intimità personale: la tradizione l’ha sempre identificato in un gesto di fede.
    Credere in... è, nell’analisi sottile dei pensatori religiosi più avvertiti – da Agostino a Marcel –, porre il tu al centro dell’esperienza che si attraversa, chiamarlo a testimone soprattutto della fede riposta in lui. È riservargli tutto lo spazio interiore: chiamarlo appunto ad unico confidente ed amico.
    Riconoscere che Dio custodisce e rivela il «segreto»: la risorsa in grado di unificare l’esistenza. Tacitamente carica di responsabilità, dischiude un modo nuovo di essere uomo. La sua presenza è appello illuminante e persuasivo.
    Un’esperienza singolare che denuncia l’antica e tenace ambizione che l’uomo riempia da solo la propria vita, colmi la propria solitudine. Dio non è colui che giudica: è colui che evoca. Il suo silenzio custodisce il segreto, ma ne lascia trasparire il richiamo. È in definitiva presenza trascendente; custodisce il progetto della vita e il disegno sulla vita. È colui che chiama per nome; a cui profonda e appagante s’innalza l’invocazione: «Tu che solo possiedi il segreto di ciò che io sono e di ciò che sono atto a diventare» (Marcel, 1964, 61).


    INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

    * ARTO A. – ANTONIETTI D., La componente religiosa: dimensione e processi maturativi, Orientamenti Pedagogici, XLVII (2000) 3, p. 492.
    * BERGER P.L., Una gloria remota. Avere fede nell'epoca del pluralismo, Bologna, il Mulino, 1994.
    * BUBER M., Eclissi di Dio, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1993.
    * COULIANO I.P. – ELIADE M. (Edd.), Religioni, Milano, Jaca Book, 1992.
    * FOWLER J. W., Stages of Faith. The Psychology of the Human Development and the Quest for Meaning, New York, Harper & Row, 1981.
    * HEIDEGGER M., Essere e tempo, Milano, Longanesi, 1970.
    * KIERKEGAARD S., Diario, Brescia, Morcelliana, 1962.
    * Idem, Opere, Firenze, Sansoni, 1972.
    * LADRIÈRE J., L'articulation du sens, Paris, Du Cerf, 1984.
    * LÉVINAS E., Totalité et infini, La Haye, Nijhoff, 1980.
    * MARCEL G., L'uomo problematico, Torino, Borla, 1964.
    * Idem, La dignità umana, Leumann, Elledici, 1983.
    * OSER F. et a.., L'homme, son développement religieux. Étude de structuralisme génétique, Paris, Cerf., 1991.
    * PASCAL B., Pensées (ed.Brunschvicg), Paris, Garnier, 1960.
    * POLACEK C., L'apporto della religione allo sviluppo umano, Orientamenti Pedagogici, XLVII (2000) 3, p. 502.
    * RICOEUR P., Le conflit des interprétations. Essais d'erméneutique, Paris, Du Seuil, 1969.
    * TRENTI Z., Educare alla fede, Leumann, Elledici, 2000.
    * TRENTI Z. et a., Religio. Enciclopedia tematica dell'educazione religiosa, Piemme, Casale Monferrato, 1998.

    * Le annotazioni proposte attingono liberamente da uno studio recente: Z.Trenti, Opzione religiosa e dignità umana, Roma, Armando 2001.


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