Virginia Di Cicco
(NPG 2001-07-78)
Una cortina di ferro nel deserto. Filo spinato a perdita d’occhio, che incastra lo sguardo e sembra volerlo trattenere per sempre, marca stretto il confine tra Stati Uniti e Messico.
Una strana serpe senza testa né coda che separa il malodore della povertà dal profumo raffinato del denaro, le multinazionali dalle discariche a cielo aperto, il futuro che ammicca promettente dal tempo senza dimensione e senza lacrime, una città di ricchi che hanno sostituito le porte dei garage con i cancelli automatici e una baraccopoli costruita con quelle porte di lamiera abbandonate.
Un muro ancora in piedi in un millennio che aveva promesso di abbatterli tutti. Il mondo dell’agiatezza che gioca a fare ordine, ad aggiustare, e invece intende solo preservare i suoi privilegi.
George W. Bush ha voluto dedicare la sua prima visita ufficiale dopo le elezioni a Vincent Fox, Presidente del Messico. Due capi di stato che si incontrano hanno sempre molto di cui parlare, ma sarebbe stato di certo opportuno accompagnare il Presidente Usa a visitare quel tratto della cortina di ferro che viene chiamato «il muro dei caduti», una folla di croci dove l’immigrazione clandestina perde l’astrattezza e trova invece i nomi delle centinaia di vite perdute o sarebbe meglio dire abbandonate quando anche soltanto vivere diventa impossibile.
I due paesi fanno entrambi parte del NAFTA, il mercato unico nordamericano, ma uno ha troppo da vendere e l’altro poco per comprare. Certo di qualcuno sarà la responsabilità se il reddito pro capite annuo negli USA è dieci volte quello messicano, oppure l’avrà voluto il destino cinico e baro? Di qualcuno sarà pure l’idea di un trattato economico di libero scambio che abbatte ostacoli e spalanca frontiere agli investimenti e alle merci, ma continua a sparare sugli uomini e a braccarli come bestie?
Il civile occidente ha chiamato questo orribile gioco del gatto con il topo con un nome importante e composto: Operazione Guardiano. Con le jeep o a cavallo i cacciatori incalzano le prede fino a spingerle nel deserto dove il freddo e la fame fanno il resto del lavoro magari aiutati dai ranchers che oltre a possedere le terre pare posseggano anche la legge e siano piuttosto scarsi di socievolezza.
L’assurdo è che i guardiani, o almeno la maggior parte di essi, sono figli di immigrati – tutti legalmente? – che hanno avuto miglior sorte. Per fortuna almeno il destino non è sempre cinico e baro.
Chi potrà spiegarci perché i consumatori americani, o chi per loro, rifiutano di accogliere questi disperati, ma non disdegnano gli evidenti vantaggi economici nel comprare manufatti, prodotti in fabbriche sorte proprio come funghi lungo questo dannato confine, da operai messicani pagati 3,75 dollari al giorno, test di gravidanza ogni sei mesi, assoluto divieto di riunioni sindacali, abitazioni senza fogne, riscaldamento, acqua corrente?
A volte però pare che sia il topo a vincere sul gatto. Nonostante tutto, pare che in 150.000 ogni anno riescano a beffare il serpente e le sue guardie: un numero che la dice lunga sul totale di quanti tentino, falliscano o muoiano. In 150.000 finalmente padroni del proprio futuro, finalmente in grado almeno di provarci a vivere un’esistenza che abbia un significato e una direzione. In 150.000 praticamente rinati, sperando che il famoso destino questa volta beffardo non abbia in serbo per loro una divisa, una jeep e una pistola, un confine e una folla di disperati che loro non riconosceranno più. Insomma la solita caccia dei poveri al povero.