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    La politica



    Stefano Lupi

    (NPG 2001-04-45)


    Professore: «Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservati la parte più difficile: quella di morire, di testimoniare con la resistenza e la morte, la fede nella giustizia.
    A noi è rimasto un compito cento volte più agevole: quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno: una società più giusta e umana, una solidarietà di tutti gli uomini a debellare il dolore. Assai poco, in verità chiedono a noi i nostri morti. Non dobbiamo tradirli».
    Allora, ragazzi, questo è uno stralcio del discorso fatto nel 1947 davanti all’Assemblea Costituente da Piero Calamandrei, membro della Resistenza, professore universitario, deputato della Repubblica e insigne giurista. Qualcuno di voi mi ha chiesto di spiegare cosa sia la politica nel suo significato più autentico. Bene quel significato è riassunto in queste righe.
    Francesco: Professore, lei non starà mica tentando di dirci che dietro quel circo assurdo che oggi sembra il mondo politico e dietro molti dei suoi rappresentanti che adesso vogliono qualcosa e tra un secondo non la vogliono più, ci siano questi motivi ispiratori? Non ci voglio credere: se questi principi erano il punto di partenza, il risultato è a dir poco disastroso!
    Paolo: Francesco ha ragione. Mio padre spesso mi rimprovera perché non mi interesso minimamente alla politica e io tento di spiegargli che non riesco a capire nulla di quello che succede e quel poco che mi sembra di capire non mi piace affatto. So che non è giusto, ma il mio finisce per essere un atteggiamento piuttosto passivo perché sono convinto che anche se cercassi di intromettermi niente cambierebbe. Così non ci penso proprio.
    Professore: Capisco perfettamente la vostra delusione, ma credo che quando qualcosa non ci soddisfa sia un po’ sciocco lasciar correre mentre sarebbe interessante darci da fare per cambiarlo.
    Patrizia: Via, professore, lei lo saprà meglio di noi quanta faccia tosta hanno gli uomini politici. A volte provo a seguire il discorso di uno di loro in televisione, mi sforzo di capire, penso che forse stia dicendo una cosa giusta, cerco di farmi un’opinione e il giorno dopo sul giornale una dichiarazione dello stesso politico dice esattamente il contrario.
    La cosa che più mi colpisce poi è che nessuno, né la stampa, né gli avversari, né gli elettori sembrano mai accorgersi di niente. Come se la politica non fosse fatta anche di passato e di responsabilità assunte ma solo del momento presente, quindi nessuna speranza di coerenza ma solo attimi di esistenza.
    Professore: Vedete, capisco che possa sembrare assurdo, ma la politica nasce come servizio e non come corsa al potere o all’accumulo di denaro. Le parole di Calamandrei lo dimostrano. Gli uomini che hanno costruito la nostra Repubblica lo hanno fatto con le migliori intenzioni e ispirati da idee nobilissime. Le idee quindi hanno bisogno di uomini che le custodiscano e gli uomini, si sa, possono avere debolezze e commettere errori, più o meno in buona fede. L’incoerenza è sempre in agguato per tutti, anche per quelli con tanta buona volontà.
    Cristiana: Professore, sembra quasi che lei giustifichi chi ha trasformato quella che lei chiama missione in un mercato di bestiame.
    Professore: Niente affatto. La mia intenzione era di sottolineare la difficoltà e lo sforzo che entrano in gioco nel servire un’idea, e soprattutto di fare l’inutile precisazione che questo atteggiamento non è certo di tutti i rappresentanti del mondo politico. Non mi sognerei neanche lontanamente di giustificare quelli che hanno tradito i sogni dei nostri morti. Io credo che ognuno di noi risponda alla propria coscienza, e se il mondo della politica è diventato, senza mezze misure, come dice Cristiana, un mercato del bestiame, allora penso che nessuno di noi si possa sottrarre dal dovere morale di fare politica e di capire la politica. Così chi segue soltanto le proprie ambizioni sarà finalmente allontanato dal campo, ma se gli uomini onesti decidono di restare fuori ci sarà spazio solo per i disonesti che avranno gioco facile.
    Anna: A dirlo sembra facile, ma da dove cominciare?
    Professore: Vedi Anna, Paolo ha individuato una parte importantissima del problema: il fatto che la maggior parte di noi «non capisca», o meglio pensi di non capire e finisca per credere che questo «non capire» sia perfino normale. Come avrete di certo avuto occasione di studiare, in tutte le epoche storiche, mantenere il popolo nella convinzione di non «essere in grado di capire» ha permesso ai disonesti di fare tranquillamente il proprio gioco.
    Ecco perché io vi dico come prima cosa di studiare e leggere i giornali e di mantenervi informati. Soltanto questo vi metterà in una posizione di forza. Chi capisce ed è informato non può essere incartato con le parole e neppure ingannato da falsi discorsi. Capire è di fondamentale importanza! Si studia, anche le cose che a voi spesso sembrano inutili, per portare il cervello in palestra così come ci portate il vostro corpo. Pensate che solo le braccia o le gambe abbiano bisogno di fare pesi per migliorare? Questo vale anche per il cervello! Abituatelo a leggere, a capire, a ragionare e nessuno potrà manipolarvi.
    Paolo: E una volta fatto questo?
    Professore: Una volta fatto questo, dobbiamo essere i primi a pretendere da chi ci deve rappresentare onestà e generosità; se questo non avviene noi abbiamo uno strumento efficacissimo per rimediare: il voto. Se quell’uomo politico ci ha deluso o non ha mantenuto le promesse fatte, non avrà più la nostra preferenza e non ci rappresenterà più in Parlamento. Sarà fuori!
    Francesco: E allora perché questo non avviene? Perché in televisione compaiono sempre gli stessi qualunque cosa abbiano fatto o detto?
    Professore: Francesco, quel che è certo è che chiunque sieda in Parlamento è li perché una discreta parte del popolo elettorale ha ritenuto di potersi fidare di lui.
    Il sospetto è che la così detta società civile, che poi saremmo noi appunto, si sia adagiata in un certo modo di gestire il paese, abbia ridimensionato le proprie speranze, quasi spegnendo del tutto i sogni e i progetti. Si finisce per cercare di vivacchiare in questo mondo invece di remare verso qualcosa di meglio. Si finisce con il non pretendere molto dagli altri perché nessuno pretenda molto da noi. Insomma, una situazione di comodo. Terribile ma comoda.
    Anna: Questo vuol dire che l’onestà intellettuale e morale debba essere una scelta prima di tutto nostra, della società civile, e poi potremo chiedere anzi pretendere che venga rispettata anche dai nostri uomini politici. Insomma ogni tipo di complicità attiva o passiva con il malcostume va eliminata. Giusto?
    Professore: Certamente. Questo andrebbe a rompere quella ragnatela di connivenza che certi uomini politici usano come alibi e con la quale pensano di poter coprire le loro spalle. La corruzione ha un mercato: se cessa la domanda di favori cesserà anche l’offerta. Se l’offerta non trova accoglienza, chi offre capirà che per la sua merce non c’è mercato.
    Patrizia: Questo in pratica cosa significa?
    Professore: Significa non cercare per i propri bisogni strade più veloci o più semplici di quelle ufficiali: una tangente in cambio di una licenza; non agevolare comportamenti illegali se apparentemente ne viene un piccolo vantaggio anche per noi, perché ad un’analisi più attenta di certo non sarà così: non richiedere la ricevuta per la prestazione di un professionista perché il prezzo per noi a questi patti sarebbe inferiore; non tentare di ottenere per altri motivi quello che non riusciamo ad ottenere con le nostre forze: farsi raccomandare per un posto di lavoro. Tutto questo ha un nome ragazzi: è la cultura della legalità.
    Francesco: Allora, professore, io decido di comportarmi seguendo questa cultura della legalità; ma se qualcuno, come è probabile, decide di continuare con il vecchio sistema, l’unico risultato è che io vivrei in un modo maledettamente difficile e senza ottenere niente.
    Professore: Avete ragione ad aver paura, ma dovete anche comprendere che ragionando tutti così, niente avrebbe mai avuto inizio: immaginate la lotta alla mafia. Certo ci vuole un grande atto di coraggio per rompere il cerchio, ma se la gente perbene trovasse questo coraggio e si contasse, si accorgerebbe di essere molto più numerosa di quella disonesta che pure sembra tenerla in scacco. La responsabilità verso le cose prima di essere collettiva è di certo individuale. Ognuno di noi risponde all’illegalità con il proprio comportamento e non dicendo «però anche gli altri fanno così».
    Gianni: È giusto, ma sembra terribilmente difficile.
    Professore: Gianni, hai ragione. Non sto qui a raccontarvi sciocchezze, ma vi assicuro che la strada verso una ricostruzione della legalità è l’unica via di salvezza. L’inizio è difficile come dimostrano i pochi che già si sono avviati, ma è difficile anche perché i pochi sono appunto pochi. Se ci unissimo in molti allora la cosa diventerebbe molto più facile. Il vostro professore di matematica direbbe che la difficoltà dell’impresa è legata in modo inversamente proporzionale alla quantità di chi la intraprende.
    Francesco: Professore, se il nostro discorso non è uscito fuori tema, vuol dire che la politica non è soltanto l’azione limitata dei nostri rappresentanti in Parlamento, ma sembrerebbe essere la vita quotidiana di ognuno di noi in famiglia e nella società. Tanti individui onesti formerebbero una società tendenzialmente onesta che non potrebbe mai sopportare una diffusione così capillare del malcostume. In poche parole non c’è via di scampo: è necessario partire dall’educare se stessi, cominciare pulendo la propria casa.
    Cristiana: Affermare questo però significa sostenere che la nostra casa e lo Stato quasi coincidano o comunque siano legate a stretto filo. Insomma: lo Stato siamo noi.
    Patrizia: Non avevo mai pensato a questa sorta di equazione. Lo Stato siamo noi. Già, altrimenti chi? Eppure ci inducono a pensare che sia un’entità del tutto separata, astratta, senza alcun legame con la vita reale. Lo Stato? Non so neanche dire cosa significasse per me fino ad un attimo fa.
    Professore: E questa consapevolezza è una straordinaria conquista! Vedete, adesso vi dirò una serie di banalità: quando qualcuno getta una carta per la strada e la insudicia, lo fa perché evidentemente pensa che quella strada non sia sua. E lo pensa perché qualcuno gli ha detto che quella strada è di tutti. L’errore è nel non comprendere che dire «la strada è di tutti» non equivale a dire che «la strada è di nessuno», ma a dire che «la strada è nostra». Un attestato di proprietà valido per ognuno di noi, nessuno escluso. Quindi non solo è il caso di non gettare carta per terra, ma anche di impedire bene che qualcun altro la getti su una strada che è pure nostra!
    Francesco: Eppure l’idea che lo Stato siamo noi sembra così assurda! Ho sempre avuto la sensazione che tutti quelli fuori dai così detti palazzi del potere contassero poco e niente.
    Professore: Voi avete ragione, non dovete sentirvi sciocchi o in colpa. In effetti il punto di vista è stato invertito da sempre con straordinaria abilità. Invece basterebbe leggere attentamente la nostra Costituzione per capire quante strade straordinarie siano state tracciate perché la società civile potesse realmente decidere e contribuire alla creazione e al mantenimento della migliore organizzazione amministrativa possibile.
    Il primo articolo, per quanto qualcuno si diverta spesso a metterlo in ridicolo, recita «La sovranità appartiene al popolo..». Pensate che siano parole gettate lì per caso. Vi sbagliate! Sono state ponderate a lungo nella proprie coscienze da quanti avevano visto i loro amici e fratelli morire perché questo sogno potesse realizzarsi. Quelle parole hanno un significato dalle radici così profonde da arrivare fino al cuore di quanti, per darci quel potere, furono torturati e sacrificarono la loro gioventù. Pensateci un momento e scoprirete quanto sia dolce e preziosa la parola «stato».
    Dovete credermi, ragazzi, meno si sa più ci si sente inutili e impotenti. È per questo che vi ripeto: studiate e informatevi. Allenate la testa a comprendere e nessuno sarà mai padrone della vostra vita! E soprattutto difendete il vostro Stato, quello che i vostri nonni hanno sognato e creato per voi. Difendetelo perché è vostro, perché quello Stato siete voi.


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