Nicoletta Grieco
(NPG 1999-03-63)
Dieci anni fa. Dovevo ancora discutere la tesi ed ero alla mia prima supplenza.
Varcai la soglia del collegio timorosa ma dentro di me spavalda, convinta che la mia giovinezza mi avrebbe fatto scudo.
«È una prima media particolare – mi disse il Preside – le altre due supplenti hanno lasciato. Sa, qui noi abbiamo tutti ragazzi con situazioni familiari difficili, chi è orfano, chi ha i genitori in galera...».
Quando entrai in classe eravate tutti pronti a sbranarmi, come avevate fatto con le altre, tuttavia restaste sorpresi dal fatto che avevo i jeans e le scarpe da tennis, e quasi non dimostravo i miei 24 anni.
Ma ci piacemmo subito, e conquistai la vostra fiducia e, incredibile, il vostro rispetto.
Dopo poco intervenni in una rissa tra due di voi, vi presi per la collottola e vi intimai di non farlo mai più. Da allora fui la «professoressa Rambo».
Tu, ancora in disparte, che mi eri stato presentato come uno dei più terribili, mi guardavi e sorridevi.
A metà lezione, non ce la facevi più, mi venisti vicino tempestandomi di domande. «Quanti anni c’hai, professorè? Ce l’hai il ragazzo? Vuoi vedere come faccio l’imitazione di Michael Jackson?».
Ti rimandai a posto, ma scoprii nei tuoi occhi una dolcezza latente. Seguivi le mie lezioni in prima fila, senza fiatare, sotto gli occhi stupiti dei tuoi compagni che ti canzonavano «A professorè, er Testa (ti chiamavano così perché avevi la testa rasata a zero) s’è ’nnammorato, non è mai stato così attento».
Alla fine della lezione mi venivi vicino e mi chiedevi se ti potevo dare un bacetto e poi, arrossendo, te ne andavi composto.
L’ultimo giorno di supplenza vi feci vedere delle diapositive e tu, seduto vicino a me, mi hai confessato che ti sarebbe piaciuto fare l’ingegnere, ma sarebbe stato difficile continuare a studiare, con i guai che avevi in famiglia...
L’anno dopo mi dette notizie di te una collega, mi disse che ti avevano sospeso perché avevi minacciato il professore di ginnastica con un «pettine» a serramanico. A nulla era valso il fatto che si trattasse di un pettine e non di un coltello, né che tu fossi alto un metro e mezzo, avessi solo 12 anni, ed il professore grande, grosso e ultratrentenne.
Oggi ho visto la tua foto sul giornale: ti hanno ucciso.
Eri diventato tossicodipendente, avevi cercato di entrare in comunità.
Forse un giro sbagliato di amicizie, un regolamento di conti... Anche sul giornale dicono che eri un buono, mite, che avevi chiesto aiuto.
In molti, come quel professore di ginnastica, non hanno saputo aiutarti.
Non ce l’hai fatta, non ce l’ha fatta la tua famiglia, non ce l’ha fatta la comunità.
Il tuo sguardo dolce e il tuo sorriso, «Professorè, me lo dà un bacetto?». Ti ricorderò per sempre.