A cura di Giuseppe Morante
(NPG 1999-08-52)
Da questa solennità, che chiude il ciclo liturgico dell’anno, e che celebra il riconoscimento di Cristo come il «Signore» universale del tempo e della storia, perché egli solo ne è «disvelatore e interprete», si possono ricavare alcune indicazioni applicative per la catechesi e la pastorale.
Nella riflessione catechistica
* Riguardo al contenuto della catechesi, il tema della Signoria di Cristo ha bisogno di una seria riflessione, sia per superare eventuali ostacoli di una falsa (e perciò equivoca) interpretazione celebrativa, sia per sfuggire ai pericoli di una lettura culturale esattamente opposta al suo vero significato. La prima riflessione perciò parte dalla comprensione dello svelamento «teologico» di quella sigla che i vangeli indicano posta sulla croce di Cristo. L’INRI (Jesus Nazarenus Rex Iudeorum) fa comprendere sia il significato semantico del termine, come l’affermazione di un princpio di regalità, in una visione che è del tutto diversa da quella a cui ci si riferisce nel linguaggio corrente: un «Signore» che ha accettato la croce per una «signoria» di dominio sul male e sulla morte.
* L’uomo Gesù, come un re proclamato dagli altri, risulta «perdente» perché innalzato su un trono (la croce) che cristianamente va interpretato come una «cattedra» dalla quale proclama la sua «Regalità». Significa che la solennità conclude il ciclo liturgico nella precisa indicazione di un servizio che si fa amore, giustizia, fraternità, pace, perdono... Valori che non possono venire all’uomo se non da quel trono e da quella cattedra «regale».
* I ragazzi e i giovani in che misura sono sensibili a questa «categoria interpretativa»? Da quali fonti vitali è alimentata la loro fede? In che cosa aderiscono al potere di quella «regalità» di cui la cultura oggi riempie cronache di giornali, di rotocalchi, di trasmissioni mondane...? Il cristiano è tale perché come Cristo è insignifto di un sacerdozio «regale» (battesimo) che lo rende disponibile alla «signoria» del servizio al fratello come l’unica legge che emana da quella regalità patibolare e che fonda il comandamento dell’amore universale: «Nessuno ha amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici».
* La signoria di Dio e di Cristo sul tempo e sulla storia svelano perciò il senso del tempo che conclude il ciclo liturgico, non come successione cronologica di fatti, ma l’istante «escatologico» (primo-ultimo) in cui risuona l’appello di Dio ad amare gratuitamente: questa regalità diventa allora appello alla coscienza che si traduce in un giudizio di salvezza o di condanna.
Nella celebrazione liturgica
* La proclamazione del testo di Matteo durante la celebrazione della solennità di Cristo Re metterà in evidenza il giudizio evidenziato nella riflessione catechistica, perché diventa fonte di quell’attuazione che dovrà essere realizzata dal credente per saldare nella celebrazione la fede professata e celebrata, con quella vissuta e testimoniata. L’omelia rivela che il senso di ogni istante della vita del credente è il riaffermare il principio della regalità come servizio dell’amore fraterno: il segreto di questo amore celebrato ha la forza di convertire «l’io per sé» «all’io per l’altro».
* La realtà misteriosa più paradossale da evidenziare nella celebrazione è il fatto anonimo della giustificazione dopo la sentenza di salvezza o di condanna: sia i salvati che i condannati sono anonimi e si giustificano allo stesso modo... per aver fatto o non aver fatto... quello che è ricordato nell’elenco delle opere «da fare». Simbolicamente la liturgia di questa domenica dovrebbe poter quasi «sceneggiare» questa immagine plastica del giudizio (che è appunto la conseguenza del potere regale di Cristo), ma alla luce dei suoi insegnamenti, e soprattutto delle sue attenzioni alle persone durante tutta la sua vita! Non stonerebbe una visualizzazione di immagini di situazioni umane di bisogno che scorrono sullo sfondo, mentre l’attualizzazione dell’omelia ne fa il riferimento alla fonte (il vangelo) e l’applicazione alla vita (esperienze). Non sarebbe neppure fuori posto il richiamo simbolico al gesto commemorativo della lavanda dei piedi con le indicazioni del servizio di una Chiesa che si veste del «grembiule del servizio», da rievocare in un congruo tempo, prima della benedizione finale, come verifica di una personale regalità battesimale, per riaffermare l’impegno davanti alla comunità. Soprattutto perché tutto il senso di questa «signoria» è stato celebrato nel mistero della festa e nell’agape eucaristica.
Nella testimonianza del quotidiano
* Non dovrebbe essere eccessivamente difficile inventare un momento di verifica di tutto l’anno liturgico, proprio in relazione alla categoria simbolica che lo chiude: «la signoria del servizio» nelle attualizzazioni della carità, sia comunitariamente (richiamare scelte fatte in ordine ai bisogni materiali, morali e spirituali degli uomini), sia personalmente per i singoli credenti. Ciascuno sia invitato a mettersi davanti alla propria coscienza, in ordine a questa «regalità di servizio», per individuare i momenti dove è stato affermato egoisticamente l’io (peccati di egoismo e di prevaricazione) e dove ha prevalso il senso del tu... come applicazione delle opere della carità verso gli altri.
* Il tempo dei bilanci (conclusivi) dovrebbe predisporre anche alla condivisione di un bilancio preventivo. Questa modalità di verifica serve per vedere il senso del nostro cammino di fede appena concluso nel ciclo liturgico, e per predisporre un nuovo itinerario, che dovrà essere la ri-celebrazione degli stessi misteri, ma con una «nuova mentalità» che dovrebbe scaturire dal ritmo dell’approfondimento personale e comunitario del messaggio e dalla volontà di diventare sempre più interpreti della regalità di Cristo nella vita dei credenti.