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    La pastorale giovanile nell’America Latina a convegno



    Domenico Sigalini

    (NPG 1999-06-09)


    Nei giorni 3-11 ottobre 1998 si sono svolti in Cile alcuni avvenimenti di grande importanza per l’educazione alla fede dei giovani dell’America Latina: un Congresso e un Incontro.
    Il Congresso è stata una assemblea di circa 2000 tra giovani, animatori, presbiteri, religiose e religiosi, tutti a vario titolo responsabili nella pastorale giovanile del Continente, in cui si sono definite con un massimo di partecipazione da parte di tutti le linee di pastorale giovanile per il 2000. Erano presenti anche invitati di altre nazioni, tra cui l’Italia. Si è svolto a Punta de Tralca, una località sull’Oceano Pacifico, testimone dei momenti più importanti della vita religiosa del Cile e, per alcuni episodi, anche del continente. È l’oggetto del nostro articolo e delle nostre riflessioni.
    L’Incontro invece è stata una grande convocazione di giovani di tutta l’America Latina per celebrare un momento di festa, di riflessione, di preghiera, di incontro appunto. Partecipanti circa mezzo milione di giovani soprattutto alla Veglia del giorno 10 e alla Messa del giorno 11 ottobre, presieduta dal Card. Sodano. Si è svolto a Santiago, la capitale, città molto ben organizzata e funzionale, oltre che ospitale e gradevole. L’unica e grande delusione, la mancanza del Santo Padre, che sarebbe stato per i giovani più di un premio per la loro fatica e un mandato per il terzo millennio.

    IL CONGRESSO

    Il titolo è già un programma: Giovani con Cristo per trasformare l’America Latina nella giustizia e con speranza. Delinea i soggetti, il contesto e le coordinate per formulare le linee di azione e di impegno della pastorale giovanile del continente per il terzo Millennio.
    Il termine «giovani», che naturalmente indica i soggetti interessati al Congresso, merita una descrizione. I giovani dai 15 ai 24 anni in America Latina nel 2000 saranno circa 100 milioni e i minori di 25 anni saranno più del 50% della popolazione. Sono numeri immensi se li confrontiamo con le nostre asfittiche natalità europee.
    La posta in gioco di un convegno di questa portata era grandissima. Con lo stile organizzativo tipico dell’America Latina, la presenza di giovani dei vari stati del Continente era rigorosamente proporzionale alle giurisdizioni ecclesiastiche ivi esistenti ed erano presenti tutte le delegazioni, salvo una che non aveva potuto per ragioni tecniche. Delegati ufficiali erano alcuni membri di diritto come Vescovi, assistenti nazionali (asesores), segretari esecutivi delle commissioni nazionali di pastorale giovanile e i giovani eletti in incontri nazionali o similari. Le delegazioni andavano da un minimo di 20 a un massimo di 90. Una sorta di stati generali di chi è incaricato nelle varie chiese nazionali della pastorale giovanile si è chiesta come rispondere alle sfide di questo fine-secolo e che itinerario proporre alle giovani generazioni per il prossimo millennio.
    La proposta della centralità di Cristo è un dato assodato, come vedremo anche dai documenti, sicuramente a livello di riflessione e progetti. Chi conosce le vaste problematiche dell’America Latina troverà non secondaria questa affermazione, dopo le forti accentuazioni sui problemi sociali, sulla liberazione, sulle rivendicazioni rivoluzionarie. Io che ho partecipato anche al primo congresso a Cochabamba alla fine del ’91, inizi ’92, ricordo la fatica in quel dibattito non tanto a far emergere tale centralità, ma a darle spazi formativi e centralità progettuale, e la grande forza di persuasione e mediazione al riguardo del Card. Pironio. Le condizioni allora erano molto proiettate sulla discussione legata al V Centenario dell’arrivo del vangelo nell’America Latina (1592-1992), con tutte le polemiche alimentate ad arte e concentrate solo sull’aspetto negativo del centenario, sempre chiamato «Conquista». È una centralità convinta, che nasce dalla domanda stessa dei giovani e che forse trova ancora nella struttura formativa qualche inerzia di troppo nel farla esplodere.
    La giustizia resta sempre un obiettivo importante per le grandi sperequazioni dell’America Latina, sia al Nord che al Sud del continente, sia entro le stesse nazioni. La situazione al riguardo non è migliorata rispetto all’inizio degli anni Novanta; soprattutto è aumentato il divario tra ricchi e poveri e sono diminuite molte possibilità di risalire la china.
    La speranza è la virtù cristiana più desiderata, più capace di esprimere l’atteggiamento di fondo dei giovani; le sue manifestazioni umane sono pure molto palpabili nell’entusiasmo e nella tenacia del loro lavoro in pastorale giovanile. In questa virtù si vede all’opera la fede nel Dio di Gesù

    Lo svolgimento del Congresso

    La linea metodologica

    Un gruppo di professori universitari ha dato supporto scientifico, teologico, pedagogico e pastorale a tutto il Congresso, lavorando direttamente sul campo e aiutando a superare le immancabili situazioni di stagnazione. Propongo qui la sequenza metodologica come l’ho percepita dai lavori.
    I giovani vivono oggi timori e preoccupazioni e esprimono sogni (temores y sueños).
    Sono davanti a condizionamenti in vari campi e a linee di tendenza che si affermano nella società, nella politica, nella chiesa e nell’economia (tendencias).
    Nella pastorale giovanile hanno ottenuto alcuni buoni risultati, ma hanno commesso anche errori, che hanno provocato alcune lacune (aciertos, errores, vacios).
    Alla luce di questo lavoro negli operatori di pastorale si sono fatte chiare alcune convinzioni che potrebbero portare alla vita o alla morte (tendencias da la pastoral juvenil).
    Hanno chiesto luce e discernimento all’ascolto di due presentazioni dei problemi più globali e approfondite dal punto di vista antropologico e sociologico-pastorale, e alla celebrazione sacramentale e preghiera comunitaria e personale.
    Tutto questo ha permesso di delineare con più precisione le sfide e le linee di azione per il futuro (desafios e lineas de acción).
    È un impianto metodologico di grande rispetto e di buona levatura pedagogica e catechistica. La struttura fondamentale è ancora quella del vedere (ascoltare la realtà: «Ciò che abbiamo visto e udito»: Lc 7,22), giudicare (ascoltare lo Spirito di Dio: «Lo Spirito del Signore sta sopra di me»: Lc 4,18) e agire (trasformare la realtà in giustizia e speranza: «Andate, fate diventare miei discepoli tutti gli uomini del mondo»: Mt 28,19), con qualche elemento di novità e maggior articolazione dei tre momenti che spesso non riescono più a interpretare la vita dei giovani e l’esperienza molteplice della vita cristiana.

    La realizzazione delle tappe

    I primi giorni sono stati impiegati nel discutere a fondo la situazione, con una forte attenzione a censire i sogni che i giovani si portano dentro.
    Dal punto di vista metodologico è stato un lavoro molto capillare e molto partecipato. I rappresentanti erano divisi in 56 gruppi e ciascuno era condotto da un animatore che, attraverso metodi intelligenti e semplici, riusciva a coinvolgere tutti i partecipanti e provocare una presa di posizione sul tema attraverso una frase o più affermazioni da portare in una subplenaria (raggruppamento di circa 15 gruppi).
    Qui si riprendevano i risultati dei gruppi, si illustravano le conclusioni cui si era giunti, si discuteva per arrivare a un accordo, sempre con tanto di votazione e di ricerca del massimo consenso; si appendevano i risultati, scritti su fogli, a fili come se si trattasse di biancheria.
    Queste nuove affermazioni erano pronte per affrontare l’assemblea plenaria, non prima di una sistematizzazione di tutte le affermazioni portata a compimento da un gruppo apposito che operava una sintesi con i risultati delle altre subplenarie.
    Un metodo di questo genere crea un massimo di partecipazione e di corresponsabilizzazione che in Italia ricorda vagamente i tempi del mitico sessantotto, quando i giovani si scaldavano per una frase o una parola, o le assemblee dell’Azione Cattolica anni 70 o la sezione giovani del Convegno di Palermo.
    Si sono consumate giornate a definire la situazione, a delineare i sogni e a dare voce ai timori dei giovani latino-americani, a censire linee di tendenza e ad analizzare l’attività svolta finora e le secche in cui si sono impigliate le attività di pastorale giovanile, con un discreto coraggio. Purtroppo il tempo dedicato alle sfide e alle linee di azione finali è stato troppo limitato, proprio laddove si dovevano far scattare nuove progettualità e atteggiamenti. L’accanimento nella discussione delle varie affermazioni da parte dei giovani, e con loro mescolati preti, religiosi, religiose, vescovi a chiedere la parola e a parlare al loro turno, ha costretto a trovare un linguaggio comune, uno sforzo di capire le situazioni degli altri, ha fatto emergere letture della realtà più puntuali, ma proprio perché legate anche a qualche situazione particolare, non estendibili a tutto il continente e non omologabili con una votazione plenaria.
    Era commovente vedere che i giovani non si stancavano di discutere e di votare, di riprendere affermazioni e farle diventare bandiera di mozioni. Emblematica la votazione delle 10 di sera del penultimo giorno, quando tutti stanchi, affamati, infreddoliti (Punta de Tralca in primavera è una ghiacciaia) hanno con la maggioranza deciso di continuare a discutere a oltranza fino alla conclusione. Fortunatamente una manciata di buon senso ha orientato l’assemblea a fare un po’ di festa e a rimandare al mattino la conclusione.

    I MATERIALI E LE IDEE

    Presentiamo ora alcuni elaborati per dare un’idea del grande impianto e dei lavori del Congresso. Anzitutto una traccia di lavoro, come testimonianza della serietà della ricerca e della preparazione.

    Scheda di lavoro esemplificativa: timori e sogni dei giovani

    * Definizione
    In ognuno dei nostri paesi abbiamo constatato il modo in cui i giovani vedono se stessi, la società e la Chiesa. Questo contributo servirà perché nel II Congresso possiamo individuare i timori e i sogni che si evidenziano da queste percezioni.
    Per timore intendiamo la paura che il giovane sente che lui e gli altri giovani non possano soddisfare le esigenze che permettano loro una realizzazione piena e integrale.
    Per sogni intendiamo gli aneliti e le aspirazioni che il giovane traccia per se stesso e che spera di sviluppare e realizzare nel futuro.

    * Obiettivo
    Condividere la percezione che i giovani dell’America Latina hanno di se stessi, della società e della Chiesa per giungere a scoprire i loro timori e sogni nel momento attuale.

    * Procedimento
    – Presentazione. In ogni gruppo si fa una breve presentazione personale che include la condivisione delle seguente domanda: «Con che spirito vengo al Congresso?». Poi, il coordinatore del gruppo spiega la tematica e gli obiettivi del lavoro di gruppo (25’).
    – A partire dai contributi nazionali, in gruppi di cinque persone si realizza uno scambio sulle risposte alle domande riportate nel materiale preparatorio al Congresso: «Come percepiscono se stessi i giovani, e come vedono la Chiesa e la società in cui vivono? Quali sogni hanno nei confronti dei giovani, della società e della Chiesa?».
    A partire dalla condivisione precedente, ogni piccolo gruppo individua un timore e un sogno dei giovani in riferimento alla società, alla Chiesa, a se stessi.
    Questi timori e sogni devono essere espressi mediante frasi e non solo parole (45’).
    – In una condivisione di tutti i gruppetti insieme vengono comunicati i timori e sogni scoperti e si selezionano due timori e due sogni rispetto alla società, alla chiesa e ai giovani.
    Questi verranno presentati dal gruppo in una riunione successiva di tutti i gruppi (20’), secondo lo schema che segue:

    1996-06-13
    Timori

    Rispetto alla società i giovani temono l’esclusione dentro un sistema sociale ed economico ingiusto che preclude loro possibilità di educazione, lavoro e partecipazione sociale; le situazioni di disoccupazione, corruzione, violenza e povertà generalizzata, che sono generate da un sistema neoliberale; l’assenza di valori che li sostengano nei loro ambienti di vita quotidiana: famiglia, scuola...
    Rispetto alla Chiesa i giovani temono la sua indifferenza di fronte alla realtà giovanile dei nostri paesi; l’incoerenza della Chiesa nel processo di integrazione fede-vita; di non trovare nella Chiesa risposte che aiutino a orientare la vita; una Chiesa istituzionalizzata, centrata su se stessa, autoritaria, senza una presenza di testimonianza e trasformazione negli ambienti giovanili; che la Chiesa si allontani dall’opzione per i giovani e i più poveri; le esigenze dell’impegno cristiano.
    Come generazione giovane i giovani temono la perdita della propria identità a causa della crisi di valori e della mancanza di prospettive di futuro che il modello sociale genera; di non realizzare i loro sogni e progetti di vita; di non essere accettati e valorizzati come persone dai loro compagni; di essere messi a confronto con l’esperienza di dolore e di frustrazione; di perdere la loro identità specifica in una società globalizzata.

    Sogni

    I giovani sognano una società democratica, giusta, solidale, partecipativa, che persegua lo sviluppo integrale della persona umana, specialmente dei più poveri, che promuova modelli di realizzazione personale il cui fondamento sia la dignità delle persone.
    Sognano una società che privilegi la famiglia, in cui si possa sviluppare la dimensione comunitaria e trascendente della persona.
    Sognano una Chiesa che adempia alla sua missione profetica e che dia risposta alla realtà del giovane e del povero, offrendo una testimonianza autentica di Cristo come centro della nostra vita. Sognano una Chiesa in cui i pastori facciano una affettiva, effettiva, diretta e reale scelta preferenziale dei giovani.
    I giovani sognano una generazione giovane libera, solidale, responsabile, impegnata e protagonista per trasformare la propria realtà e la realtà latinoamericana... che costruisca un progetto di vita piena e coerente, aperta alla trascendenza, con una coscienza critica che la aiuti a valorizzare la sua identità e la sua cultura e che la liberi dal consumismo...
    Sono sogni di giustizia, di possibilità di partecipazione, di futuro, di fede più profonda, di solidarietà, di una Chiesa capace di essere speranza per tutti; sono le speranze di un continente che stenta a decollare, anzi che in molte nazioni sembra regredire con l’affermarsi su scala mondiale del neoliberalismo.
    Le risposte che la pastorale giovanile dà alla situazione viene analizzata con molta franchezza, sia nel bene che nel male:
    – coscientizzazione, incremento dei processi di formazione integrale dei giovani, degli animatori e degli assessori;
    – pastorale più organizzata e coordinata sia nella base che nei rappresentanti a tutti i livelli;
    – presenza di progetti organici, con obiettivi specifici;
    – creazione di nuovi spazi di partecipazione e protagonismo giovanile...
    ma anche:
    – lavoro di pastorale giovanile non collegato alle altre pastorali della Chiesa, specialmente quella vocazionale;
    – la teoria va da una parte e la pratica dall’altra;
    – uso di linguaggi, simboli, e espressioni di spiritualità che non sono tipiche dei giovani;
    – la metodologia utilizzata non giunge alla totalità dei giovani;
    – c’è una imposizione di assistenti senza formazione, né vocazione, con qualche tentazione di paternalismo...
    Dal censimento dei sogni è facile passare alle sfide. Le sfide sono formulate a forma di ipotesi: se si continua a... È un modo di esprimersi significativo che la dice lunga sulla capacità di attesa, ma anche sulla consapevolezza del futuro di sofferenza che ancora persiste in tanti stati. Eccole nella formulazione originale.

    Le sfide

    1. Se si continua con il modello neoliberale – che fa aumentare l’emarginazione sociale, la disoccupazione, il debito estero, le pessime condizioni di lavoro e la separazione tra ricchi e poveri – non si potrà arrivare a un protagonismo giovanile che contribuisca alla trasformazione dei nostri popoli e alla promozione di uno sviluppo che offra a tutti le stesse possibilità; perché questo modello è escludente, favorisce la manipolazione e crea dipendenza da coloro che hanno in mano il potere economico.
    2. Se si dà spazio ad azioni di solidarietà con coinvolgimento del popolo, come progetti di nuove alternative economiche, di autorealizzazione e di autogestione, allora si potrà davvero affrontare con concretezza e serietà la marginalizzazione: si amplierà infatti la possibilità di arrivare a tutti e di migliorare la qualità della vita.
    3. Se il forte bombardamento dei mezzi di comunicazione sociale continua a sfigurare l’identità culturale, l’unità familiare e i valori fondamentali della persona, non si potrà rinforzare l’aspetto etico, culturale e il senso di fraternità nella società, necessari per la vita dei giovani; perché l’informazione che trasmettono è ambigua e riproduce i valori del modello neoliberale.
    4. Se la famiglia continua a perdere il suo compito di trasmissione dei valori e di essere educatrice del giovane, il giovane non potrà raggiungere una buona formazione a partire dal proprio ambiente, che gli consenta di confrontarsi con i «valori» che vengono imposti dalla realtà, perché la famiglia è la cellula fondamentale della società, con il compito di dare identità, cultura e valori morali ed etici propri e ben definiti.
    5. Se i giovani continuano a essere apatici e sfiduciati verso la loro partecipazione ai processi politici, non si potrà avere una presenza protagonista e trasformatrice delle strutture della società, perché il giovane non sentirà la chiamata evangelica di essere segno di speranza nelle decisioni e cambiamenti della realtà.
    6. Se continua la nascita e il rafforzamento delle nuove forme di protagonismo politico negli organismi sociali (ONG, diritti umani, ecologia) e nelle azioni solidali e popolari, con una coscienza critica, si potranno creare spazi dove la gioventù sia protagonista nella trasformazione della realtà, perché la partecipazione attiva dei giovani favorisce la loro formazione in campo socio-politico.
    7. Se si continua la ricerca di una Chiesa che realizzi la sua missione profetica e di risposta alla realtà dei giovani e dei poveri, allora la vita personale e sociale potrà veramente essere trasformata a partire dal Vangelo: la Chiesa infatti, per la sua fedeltà a Gesù Cristo e al suo Vangelo, è chiamata a denunciare tutto ciò che attenta alla vita e ad annunciare la Buona Notizia del Regno.
    8. Se la Chiesa si riduce a un’istituzione senza una presenza testimoniale e trasformatrice negli ambienti giovanili, allora non si potranno creare spazi di comunione per l’incontro personale e comunitario dei giovani con Gesù Cristo, spazi capaci di mettere in discussione la loro vita e portarla a un impegno fattivo di costruzione di una Chiesa viva e di una nuova società: la Chiesa infatti è chiamata ad accogliere tutti e a vivere la comunione e la partecipazione.
    9. Se si continua a favorire il protagonismo del laico, si potrà avere una Chiesa vicina, viva che fa presente Cristo, che permette l’inserimento e l’inculturazione del Vangelo nei diversi ambiti della società, perché è in essa che il laico deve compiere la sua missione.
    10. Se continuano e crescono le esperienze di ricerca individualista del sacro e del trascendente, che evadono dalla realtà e non generano impegno, allora non si potrà dare risposta alle situazioni di non-speranza e di dolore che vivono i giovani del continente: il Vangelo infatti propone una spiritualità incarnata a partire dagli esclusi e dai più poveri.
    11. Se la chiesa continua a fare sforzi per rendere concreta ed effettiva la sua opzione preferenziale per i giovani e per i poveri, si potranno promuovere spazi di crescita personale, comunitaria e sociale, perché i giovani e i poveri, nella misura in cui si sentono accolti, valorizzati e promossi, siano capaci di impegnarsi nella costruzione della nuova società.
    12. Se l’azione pastorale concreta ignora la vita reale dei giovani e le loro diverse espressioni culturali, allora la pastorale giovanile latinoamericana perde la sua identità, che si costituisce e consolida in questa diversità.
    13. Se la pastorale giovanile si accontenta di una pastorale delle masse e degli eventi, non si avrà una gioventù con progetti di vita e opzioni chiare: la formazione personale e di gruppo infatti esige continuità e accompagnamento.
    14. Se si continua a trascurare la dimensione profetica e missionaria verso gli esclusi, i gruppi minoritari, i giovani in situazioni critiche, non si potrà incidere nella trasformazione della realtà e negli ambienti giovanili, perché la pastorale giovanile è chiamata a comunicare la dimensione liberatrice del Vangelo a tutti i giovani e tutte le giovani.
    15. Se la pastorale giovanile continua a essere chiusa in se stessa, non si potrà aiutare lo sviluppo integrale dei giovani e non si offriranno risposte alla realtà di dolore e disperazione che essi vivono, perché ogni azione pastorale deve cominciare dalla realtà e agire su di essa per trasformarla.
    16. Se la pastorale giovanile si rafforza nell’organicità, pianificazione e rappresentatività, con una presenza da protagonista nella Chiesa e nella società, allora si potrà disporre di uno strumento adeguato per l’evangelizza-zione e trasformazione della realtà gio-vanile: infatti una pastorale che ha chia-ri obiettivi e metodologia, contribuisce a una azione coerente ed efficace, e riesce ad ottenere l’adesione degli operatori.
    17. Se la pastorale giovanile continua a non avere progetti di finanziamento, non si potranno concretizzare le sue proposte, perché un’opzione effettiva per i giovani comporta l’investimento di risorse umane e materiali.
    18. Se si generano processi di formazione integrale, si avranno giovani maturi, con coscienza critica della realtà e con atteggiamenti cristiani che danno senso alla loro vita: infatti la realizzazione della persona esige lo sviluppo e l’integrazione della dimensione personale, comunitaria e sociale.
    19. Se gli operatori pastorali che vengono nominati non hanno vocazione, non sono stati formati per tale scopo e non hanno fatto un’opzione per i giovani, sarà più difficile portare avanti le proposte della pastorale giovanile, perché questa richiede agenti di pastorale non solo con capacità intellettuale, ma soprattutto con capacità di capire la vita e il linguaggio dei giovani.
    20. Se la spiritualità continua a non essere fondata sull’incontro personale e comunitario con il Dio della vita, avremo una spiritualità disincarnata, che crea un distacco tra la fede e la vita e non porta all’impegno, perché Dio ha voluto farsi conoscere nella storia, incarnandosi e facendo parte di un popolo.
    Nelle sfide emergono alcune sensibilità tipiche della pastorale giovanile latinoamericana:
    – il giudizio senza appello contro il modello neoliberale;
    – la visione negativa degli strumenti di comunicazione di massa;
    – la proposta di creare nuclei di impegno politico in cui esprimere la funzione profetica della chiesa;
    – la severa critica a una Chiesa istituzionalizzata, incoerente e autoritaria;
    – il giudizio critico sulla domanda religiosa dei giovani d’oggi se rimane solo individuale e estranea all’impegno sociale;
    – una presa di distanza dalle manifestazioni di massa o convocazioni di giovani e una sbilanciamento sulla vita di gruppo.
    Le sfide sono tutte segno della ambivalenza in cui si pone la gioventù latinoamericana.

    Linee di azione

    Le linee di azione votate in quell’occasione e che ora saranno vagliate da una commissione autorizzata dall’assemblea entro un mandato circoscritto e preciso e pubblicate in seguito, sono:
    1. Promuovere l’organizzazione e la formazione dei giovani che si trovano negli ambienti specifici (indigeni, afroamericani, «campesinos», lavoratori, studenti, giovani in situazioni critiche, ecc.), prendendo sul serio la loro realtà e le loro aspirazioni, integrandoli, incidendo nella trasformazione della loro realtà e contesti giovanili; per rinforzare le dimensioni profetica, missionaria e spirituale della pastorale giovanile (per la sfida 14).
    2. Rafforzare la coscienza critica dei giovani a partire dallo studio, la riflessione e l’analisi della realtà sociale, economica, culturale e politica e anche della dottrina sociale della Chiesa; perché possano diventare protagonisti impegnati nella trasformazione della realtà sociale che sta generando il modello neoliberale (per la sfida 1).
    3. Assumere con responsabilità e coerenza l’opzione preferenziale per i giovani e i poveri del Continente, mediante la creazione di forme concrete di partecipazione e la formazione di agenti di pastorale a partire dall’esperienza di gruppi di promozione umana, rispettando la diversità giovanile; perché sia promossa la crescita integrale e il protagonismo giovane nella costruzione della civiltà dell’amore (per la sfida 11).
    4. Creare e promuovere con urgenza progetti di autofinanziamento economico, perché sia possibile avere sostenere risorse per lo sviluppo dei programmi di evangelizzazione, formazione, missione e svago della pastorale giovanile a livello di paese, di regione, e di continente (per la sfida 17).
    5. Promuovere nei giovani e nelle giovani i valori della famiglia a partire da una visione cristiana, per riscoprire in essa il progetto di Dio e la comunità di vita e di amore che offre stabilità personale e sociale; perché i giovani possano discernere di fronte ai valori che impone la società, e così possano costruire una nuova società, segno del Regno (per la sfida 4)
    6. Promuovere e consolidare spazi in cui si possa celebrare, rivitalizzare e incarnare personalmente e comunitariamente la spiritualità della sequela di Gesù a partire dalla realtà del giovane (famiglia, gruppo giovanile, realtà educativa, ricreativa e lavoro), dalle espressioni artistiche (danza, teatro, musica e pittura), la scelta dei più poveri tra i giovani, la lettura popolare della Bibbia e una liturgia incarnata nella vita del giovane, affinché i giovani siano testimoni di Cristo che annuncia la buona novella giungendo a impegnarsi nella trasformazione della società con una integrazione tra fede e vita (per la sfida 20)
    7. Formare e accompagnare i giovani e le giovani ad interessarsi e partecipare ai processi politici, a partire da un progetto di formazione integrale, che si ispiri alla dottrina sociale della Chiesa, nella propria identità culturale, e che allo stesso tempo sia in dialogo con altri agenti del cambiamento della società; perché avendo una coscienza critica possano discernere ed esercitare, a partire dal Vangelo, il loro protagonismo nei propri ambienti (per la sfida 5).
    8. Creare processi di elezione degli incaricati di pastorale giovanile (laici, sacerdoti e religiosi) che scelgano tra le persone proposte dai gruppi su criteri come la vocazione, la formazione e una scelta personale per i giovani, per sviluppare una pastorale giovanile in cui gli incaricati siano capaci di comprendere, accompagnare e condividere la vita e il linguaggio dei giovani (per la sfida 19).
    9. Far sì che i giovani prendano coscienza del proprio protagonismo nei ministeri laicali e nei diversi ambiti della società, facendo crescere gli spazi di comunione e partecipazione a partire da una rilettura del Vangelo e del Magistero della Chiesa; per favorire la presenza di una Chiesa viva, vicina e aperta al protagonismo laicale nelle decisioni (per la sfida 9).
    10. Sviluppare processi di educazione alla visione critica e all’uso dei mezzi di comunicazione sociale come strumenti attuali ed efficaci; perché i valori del Vangelo possano arrivare agli agenti e ai destinatari nel proprio contesto (per la sfida 3).

    Il punto di vista dalla nostra pastorale giovanile italiana

    A conclusione mi permetto di fare ad alta voce alcune domande che mi segnavo sul taccuino durante le interminabili discussioni:
    Dicevo, salutando i congressisti, che noi italiani siamo andati veramente a scuola di partecipazione pastorale, di coinvolgimento progettuale, di volontà di crescere assieme, di aiuto vicendevole dal più organizzato al meno dotato. Abbiamo vissuto, due mesi dopo, la pur bella esperienza della Assemblea di Collevalenza; avevamo ancora negli occhi, anche se sono passati quasi cinque anni, l’esperienza del Convegno di Palermo. La differenza si nota: in America Latina c’era una crescita comune con coinvolgimento e confronto esplicito e capillare di tutte le pastorali giovanili, la valorizzazione di tutte le espressioni laicali, la coscienza di una chiesa giovane che si prendeva in mano le sue responsabilità, con laici capaci di tenere il collegamento internazionale oltre che nazionale.
    Alcune domande però è utile che ce le facciamo.
    I giovani con questo metodo vengono aiutati a convergere su un modo di pensare omogeneo, ad avere un modo comune di reagire, di parlare, di farsi un’idea, ma esso dà anche la stura a tutte le assolutizzazioni dei giovani. Aiuta a farsi una visione globale? Mette veramente in ascolto della realtà o della sua immagine virtuale? Mentre fa emergere chi vuol lavorare a tutti i costi saltando i tempi liberi, la festa, perché vuole una democrazia diretta su tutte le parole, dà voce alla vita quotidiana? Certo qui emerge la mia esperienza europea o italiana, meglio, dove i giovani non sono nelle condizioni di vita precaria dell’America Latina, dove ha un grande sopravvento tutta la tematica esistenziale della solitudine, della domanda religiosa, del futuro, dell’esperienza affettiva, della comunicazione difficile. Di questi problemi nei dibattiti di Punta de Tralca con i congressisti non c’è stata traccia, se non minima. È possibile affrontare una pastorale giovanile dove l’esperienza dell’amore, del gioco, della musica, del tempo libero non abbia voce se non come esempio o inciso?
    Questa metodologia tende a porre basi concrete, non aleatorie per far crescere responsabili di pastorale giovanile; ma tutta questa impalcatura metodologica aiuta a proporre vita di fede? intercetta le vere domande giovanili? riesce a elaborare proposte di senso o esaspera l’aspetto strutturale, organizzativo?
    Sono domande che faccio a me e che non oso porre alla pastorale dell’America Latina se non con molta discrezione e umiltà. So però che il mondo giovanile anche in America Latina deve affrontare le sfide del consumismo come in Europa, che molti giovani fanno una coda di due giorni per andare ad ascoltare un concerto rock, che usano il tamagoci, non per rendere vivo un pulcino come fanno i bambini, ma per rendersi viva e disponibile una fidanzata virtuale. Dialogando con qualche relatore venivo avvertito che quelli che erano radunati nel Congresso non erano i giovani veri dell’America latina, ma degli animatori. Ma posso sperare che gli animatori siano sempre giovani veri, capaci di interpretare i loro amici, non di dire ciò che devono fare?
    Queste riflessioni allora vengono rivolte maggiormente alla pastorale giovanile di casa nostra che spesso si allontana dalla vita e diventa opera di specialisti. Anche noi dobbiamo chiederci: i giovani soprattutto delle regioni del Sud trovano nella nostra pastorale giovanile un aiuto nell’affrontare i problemi della ricerca di lavoro, o sono sempre posti di fronte a elementi estranei alla progettualità per il loro futuro? Quanto sono ascolto della loro situazione le nostre catechesi contenutistiche e orientate alla celebrazione dei sacramenti o le nostre vite di gruppo studentesche? La situazione dei più poveri, degli immigrati entra nella nostra riflessione o ci siamo specializzati per il 5% che pratica le nostre parrocchie?
    Mi permetto di riportare anche alcune impressioni di Massimo Collino, giovane della diocesi di Pinerolo che ha partecipato a tutti i lavori e che rappresentava ufficialmente tutti gli italiani.
    «Credo sia utile per noi giovani italiani e per la nostra Chiesa confrontarci con queste proposte e queste sfide che ci lanciano i nostri fratelli dall’altra parte dell’Oceano. Sarebbe una importante occasione per riportare l’attenzione su temi da noi spesso considerati obsoleti ed anacronistici, come la capacità di rinnovare la scelta per una vita semplice, attenta ai problemi dell’emarginazione e in grado di formulare e testimoniare con gioia, bontà ed entusiasmo ipotesi nuove di convivenza.
    Nello stesso tempo sarebbe altrettanto importante che la Chiesa latinoamericana sapesse allargare i propri orizzonti, sviluppando con maggiore sforzo ed interesse i temi riguardanti la sfera più intima e personale di ciascun individuo, accogliendo alcuni spunti di riflessione che animano invece intensamente la nostra realtà pastorale.
    Colpisce negativamente, ad esempio, il fatto che fra più di venti linee di azione individuate come prioritarie per la pastorale giovanile latinoamericana non si faccia mai riferimento a tematiche molto delicate che i giovani sperimentano quotidianamente, come l’amicizia, il rapporto di coppia, la sessualità...».
    La grinta partecipativa, la convinzione che i giovani delegati hanno profuso, le condizioni climatiche proibitive per il freddo soprattutto per chi proveniva dai paesi equatoriali, sopportate con dignitosa noncuranza, la spontaneità delle celebrazioni e i lunghi momenti di preghiera danno dei responsabili della pastorale giovanile del continente latinoamericano una immagine invidiabile.
    L’impressione che ne ricavo è che la pastorale giovanile latino americana è ben organizzata, ha saputo legare assieme i giovani del continente.
    È una forza non comune che può far crescere una vera civiltà dell’amore. Tutte la nazioni viaggiano all’unisono nella ricerca di una progettualità, di un linguaggio, di obiettivi generali comuni. Hanno anticipato il miracolo di un cammino comune che da noi ha compiuto e compie solo il Santo Padre con le giornate mondiali della gioventù.
    In Europa sarebbe impensabile non solo per la difficoltà delle lingue, ma anche per le divergenze di impostazione teologica, pastorale e pedagogica, per la visione privatistica delle nostre chiese, per la certezza di essere ciascuno unico e originale.
    Credo però che nell’organizzazione latinoamericana si possa far largo la tentazione di stabilizzarsi come movimento.
    Sembra che la presa in carico del mondo giovanile da parte di tutta la chiesa latinoamericana sia un po’ affidata a queste strutture, con tutti i vantaggi di un modo univoco di procedere, ma anche gli svantaggi di una crescita parallela. Non mi preoccupa tanto l’eventuale distanza dalla gerarchia, ben coinvolta con i vescovi incaricati delle varie chiese nazionali, anche se potrebbe capitare pure nei loro riguardi una sorta di affitto da parte dei confratelli, ma soprattutto l’isolamento dalla comunità più sperduta, l’assolutizzazione di elementi organizzativi, la sclerotizzazione dei metodi.
    I giovani oggi rischiano di essere da un’altra parte rispetto ai nostri progetti; non hanno bisogno di serre, ma di comunità fatte di popolo, di collaborazione con tutte le energie vive della chiesa, con i nuovi movimenti, con le esperienze dei vari carismi della vita consacrata, con il mondo adulto e la loro visione del mondo...
    Sentivo la nostalgia di un principio che in Italia stiamo continuamente servendo e dichiarando: il primo compito di una consulta di pastorale giovanile non è quello di fare attività con i giovani, ma di stanare dalla comunità tutte le energie che ogni persona deve mettere a disposizione dei giovani, di rendere la comunità responsabile della speranza che sono i suoi giovani. Non si tratta solo di portare i giovani alla Chiesa, ma la Chiesa ai giovani.


    T e r z a
    p a g i n A


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