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    I vescovi italiani e l’educazione alla fede dei giovani



    Domenico Sigalini

    (NPG 1999-04-10)


    Che si dovesse dedicare al mondo giovanile una assemblea dei vescovi era nell’aria da alcuni anni. I giovani sono sempre stati oggetto di attenzioni educative e formative da parte della comunità cristiana, ma oggi, che spinte culturali epocali allontanano i giovani dalla comunità cristiana e rendono difficili la trasmissione dei valori, la proposta della fede, la consegna di un patrimonio da rinnovare e offrire al nuovo millennio, diventa urgente che la comunità cristiana nei suoi livelli di responsabilità più alta si domandi che chiesa deve essere perché le nuove generazioni la sperimentino come la comunità in cui incontrare il Cristo vero, la via della vita, la risposta alla domanda religiosa che si fa sempre più larga seppur disorientata.
    Il Santo Padre stesso da sempre, ma soprattutto dal 1985, anno della gioventù, ha imboccato una via di non ritorno per le comunità cristiane riguardo ai giovani.
    È lui che in prima persona conduce e stimola, si mette alla guida delle nuove generazioni e le orienta agli ideali alti della fede. Le Giornata Mondiale della Gioventù sono solo un segno della sua decisa scelta dei giovani. Non c’è visita del papa alle chiese di ogni continente che non preveda un incontro esplicito con i giovani. Questo metodo l’hanno appreso anche i vescovi, che da allora hanno cominciato ad essere in forma generalizzata riferimenti espliciti del mondo giovanile nelle loro diocesi.
    I vescovi italiani hanno deciso di riflettere sul mondo giovanile evidenziando tra gli altri, alcuni atteggiamenti importanti:
    * dare un messaggio ai giovani e alla società di interesse gratuito nei loro confronti e di volontà di investire energie per la loro crescita. Ciò risulta evidente dall’aver destinato un’altra assemblea alla riflessione sul tema delle vocazioni, perché non si pensasse neanche lontanamente, e di fatto ingiustamente, che l’attenzione ai giovani fosse per aumentare le fila del nostro aggregarci o la carenza di presbiteri o persone consacrate;
    * andare al cuore della cura della Chiesa: l’educazione alla fede. L’assemblea non è stata sulla pastorale giovanile, che, in termini ecclesialesi, anche se non è così, significherebbe preoccuparsi di come organizzarci o su quali metodi acquisire o su quali strutture mettere a disposizione o su quali strategie mettere in atto per alzare l’indice di gradimento dei giovani verso la Chiesa. L’educazione alla fede è l’opera più importante, e questa è impegno di tutta la comunità cristiana. Ciascuno ha qualcosa da offrire alle giovani generazioni dal suo punto di vista, dalla sua esperienza, dal campo in cui è preparato. Si pensi per esempio ai molteplici uffici in cui è suddivisa l’organizzazione della pastorale e come in ciascuno debba esprimersi una attenzione dovuta e precisa nei confronti dei giovani. Non sono affittabili a nessuno, anche se ci sono degli specialisti. L’educazione alla fede è opera di Chiesa, entro una collaborazione con la comunità umana più ampia;
    * esercitare il compito del discernimento e del governo tipico dei pastori. L’assemblea dei vescovi non è un convegno in cui ci si scambiano esperienze. L’esperienza è la vita delle comunità cristiane da cui provengono. L’assemblea è il luogo del discernimento delle decisioni, degli indirizzi, della condivisione della funzione magisteriale tipica del vescovo, nella ricerca di una comunione con gli altri vescovi e con il santo Padre che è anche il primate d’Italia. È parso utile però ai vescovi, senza venir meno a questo loro compito, di invitare alcuni giovani e alcuni presbiteri rappresentanti da ogni regione d’Italia e dei principali movimenti e associazioni, perché nella fase del dibattito e della ricerca potessero esprimere i loro punti di vista. Sono i loro collaboratori nelle diocesi e lo potevano essere anche per contribuire alla scelta di linee pastorali.
    Con queste premesse non secondarie i vescovi si sono applicati alla ricerca, alla riflessione e al dibattito.

    STILE E CONTESTO

    La prima scelta da fare all’inizio dei lavori era non solo di chiarire ambiti, dichiarare principi, ricordare compiti, orientare a giungere il più possibile ad orientamenti anche pratici e determinati come è stato ben fatto nella prolusione del card. Ruini, cosa del resto molto difficile in una assemblea di 250 membri, ma anche di scaldare il cuore, di leggere il compito dell’educazione dei giovani non con lo stato d’animo del fallimento, della difficoltà, dell’adattamento sconsolato alla nequizie dei tempi. I vescovi si sono posti di fronte ai giovani con fiducia, serenità e amicizia, coinvolti soprattutto con una genuina testimonianza di vita, attenti a far venire alla luce le domande più profonde e impegnative, come quelle che riguardano l’intelligenza e la verità, la libertà autentica, l’amore e la capacità di amare, per poter mostrare la rispondenza sovrabbondante che in Gesù Cristo esse sono destinate a trovare.[1]
    Il mondo giovanile viene osservato con sguardo ecclesiale, tipico di ogni riflessione della Chiesa sui giovani. Il taglio lo offre Mons. Ablondi, vescovo di Livorno. Diceva infatti: «Per dire quanto sia delicato e rispettoso questo incontro, vorrei ricordare l’esempio del giovane Mosè. Questi nell’avvicinarsi al Roveto ardente, attraverso cui lo raggiungeva la voce di Dio, per rispetto del mistero è invitato a scalzarsi. Come per Mosè, mi pare che il giovane sia un roveto ardente attraverso il quale spesso è Dio che ci parla. Dobbiamo rispettare questo mistero intenso non come un buco nero, ma come un punto abbagliante che nella sua luce ci avvolge senza per ciò permetterci di coglierne tutti i profondi lineamenti».[2]
    L’affermazione non è di quelle da accattivare benevolenza o da accalappiare buona fede. È la consapevolezza che qualsiasi accostamento al mondo giovanile deve essere impostato a grande rispetto, e che ogni lettura di esso non è solo strumentale a trovare modalità adatte per rifilare loro verità astratte, già definite fuori dalla vita, ma necessaria per capire ciò che Dio dice oggi alla sua chiesa e dove deve essere incarnata la sua parola. Il mondo giovanile non è un contenitore di valori precostituiti, ma un laboratorio sempre nuovo e sempre pronto ad offrire al vangelo disponibilità di nuove vie di realizzazione. Sono lontani quindi atteggiamenti di annessione, mentre invece sono ben presenti volontà di servizio e responsabilità di guida. Già nel documento del dopo Palermo si diceva della «genialità dei giovani» e della necessità di «riconoscere in essa un’opportunità di grazia».[3]

    La cultura abitata dai giovani

    Entro questo atteggiamento di ascolto si colloca la lettura della cultura che i giovani vivono e dei nodi che essi devono affrontare per vivere la loro vita nei cambiamenti epocali che la segnano. Nessuno si illude che i giovani siano autosufficienti, liberi creatori di prospettive, figli del vento, abitanti di una cultura che trova in se stessa il suo sorgere e il suo svilupparsi. Sono figli del nostro tempo e reagiscono alla cultura che il mondo adulto offre loro («essi sono figli del loro tempo, ovvero la loro deriva soggettivistica è il prodotto della cultura elaborata dagli adulti»[4]). Non ne sono fotocopie, anche se ne sono molto influenzati e all’interno di tutti questi condizionamenti devono trovare la loro strada di crescita. Surmodernità è la parola chiave che il prof. Mario Pollo, che da anni offre al progetto educativo per il mondo giovanile italiano cui si applicano istituzioni sia civili che ecclesiali una seria impostazione antropologico-pedagogica, ha utilizzato per descrivere, senza facili semplificazioni o categorizzazioni dei giovani, oggi del resto impossibili, l’influsso culturale determinante. Surmodernità è una particolare fase della modernità costituita dall’intreccio di alcuni fenomeni culturali, sociali e psicologici quali la complessità sociale, la crisi delle grandi narrazioni e dei grandi sistemi ideologici e la perdita di capacità delle persone di interpretare il fluire del tempo, che hanno prodotto soprattutto la deriva del soggettivismo e la conseguente chiusura dell’orizzonte di senso nei bisogni personali e nei sistemi simbolici interiorizzati.
    Il pregio che tutti hanno riconosciuto è stato quello di porsi di fronte alle ambivalenze del mondo giovanile, non in termini negativi o ingenuamente giovanilisti, ma con una scelta di campo che io traduco banalmente così: se si devono fotografare i giovani come un bicchiere con metà contenuto, è sempre un bicchiere mezzo pieno, mai mezzo vuoto. Un atteggiamento che sa offrire non considerazioni sconsolate sulle varie derive giovanili, ma spunti per una attenta valorizzazione di quanto i giovani offrono, con strumenti di discernimento educativo e responsabilità da adulti.
    Nodi assolutamente da interpretare sono il relativismo etico, la aprogettualità e la prigionia nel presente, la ricostruzione dei luoghi antropologici in cui vivono le loro molteplici relazioni che rischiano l’implosione, l’incontro virtuale con l’altro, l’abitudine a ritenere tutte le scelte reversibili e la propensione al rischio.
    Una analisi molto esauriente era necessario fare sulla nuova domanda religiosa, caratterizzata da soggettivizzazione e privatizzazione, nuova nostalgia per il sacro, dopo anni di secolarizzazione, il suo manifestarsi in nuovi spazi e il suo essere oscurato nel tempo che viene livellato, reso tutto uguale e incolore. La ricerca di senso da parte dei giovani non può prescindere da una nuova ricostruzione dei luoghi antropologici, contro la spersonalizzazione dei non luoghi, e dalla consapevolezza che i tempi non sono tutti uguali, grigi e svuotati di significato, ma hanno un prima e un poi che permette di fare progetti e di distenderli in una vita come vocazione.
    Le coordinate secondo cui i giovani potranno ricostruire la loro adesione di fede, la loro risposta alla domanda religiosa, perché non resti invischiata nelle banalità del neopaganesimo o incasellata ancora in una oggettività astratta e estranea alla loro vita devono passare attraverso le molteplici ambivalenze che vivono, attraverso i nuovi segni del sacro, le esperienze estetiche prodotte dalla musica, dai sentimenti, dalle emozioni, dalle immagini, ed evitare derive sincretiste e disincarnazione dell’esperienza cristiana. La nuova figura di giovane credente, diremmo noi dal punto di vista pastorale, ha una struttura di personalità che deve «trapassare» questi nuovi modi di vivere, e dentro essi esprimere e dare un volto nuovo all’esperienza delle fede.

    La Chiesa che i giovani incontrano

    Dopo aver visto le condizioni culturali che vivono i giovani è ora importante vedere come la comunità cristiana dialoga, si lascia coinvolgere, si propone al mondo giovanile.
    In Italia non siamo all’anno zero della progettualità delle chiese per l’educazione alla fede dei giovani. Esiste un capillare dialogo, forse più esteso di quanto si pensi, se non si pensa solo a chi frequenta iniziative formative. Il compito di fotografare l’esistente sia nella prassi che nei progetti educativi delle chiese particolari è stato svolto da Mons. E. Masseroni, arcivescovo di Vercelli.
    La relazione, anche a partire dal titolo («L’educazione alla fede, cuore della pastorale giovanile: esperienze, percorsi e prospettive») non si è incagliata in osservazioni di pastorale giovanile, intesa nel suo significato più strumentale di azione degli addetti ai lavori, si è sviluppata in un corretto rapporto di tutta una comunità cristiana con la crescita nella fede dei giovani. Era necessario fotografare i tanti giovani che si accostano alla esperienza di una comunità cristiana credente, nelle loro varie forme anche rinnovate (si pensi alla popolazione giovanile che dà vita ai nuovi movimenti ecclesiali), ma anche nei cammini istituzionali di gruppi parrocchiali e di associazioni di antica tradizione educativa.
    In finestra le fotografie di questa mostra.

    GIOVANI ALLO SPECCHIO (ECCLESIALE)

    Il cammino dei gruppi nelle comunità parrocchiali

    Di norma i gruppi sono il punto di forza della pastorale giovanile nelle parrocchie. Sono però il tessuto connettivo meno appariscente («associazionismo invisibile»), ma non certo meno consistente e capillare soprattutto al nord e al centro Italia; mentre al sud prevalgono, in genere, i gruppi delle associazioni, dei movimenti o delle realtà promosse dai religiosi e dalle religiose.
    Il cammino di fede fa soprattutto riferimento alla leadership dei presbiteri, presenti specialmente nelle grandi parrocchie, là dove c’è un secondo prete. Di solito è sostenuto da un gruppo di educatori e animatori preparati da appositi corsi di formazione di carattere diocesano. I gruppi parrocchiali risentono molto della continuità di presenza dei presbiteri, e vivono bene se possono contare su luoghi educativi come gli oratori o i centri giovanili.
    Così subiscono molto quella sorta di fuga che si verifica nei due passaggi cruciali: tra la cresima e il post-cresima, e dopo la scuola media superiore.
    Dal punto di vista dei contenuti tali gruppi hanno a disposizione il catechismo dei giovani (vol. I e II), variamente sussidiato. Esperienze forti, giudicate molto utili sono i campi scuola, i pellegrinaggi, gli esercizi spirituali, i convegni diocesani e le Giornate mondiali per la gioventù.
    I gruppi trovano molto aiuto nel progetto di pastorale giovanile diocesano e nella conduzione, spesso diretta, del Vescovo di incontri periodici (scuole della Parola, scuole di preghiera...).
    Per le parrocchie piccole si tende ad una progettualità zonale o vicariale, anche se non è ancora ben delineata. Soprattutto va emergendo quella figura ministeriale che si chiama «animatore», decisiva perché l’oratorio, anche in assenza del prete, diventi o resti luogo educativo.

    L’appartenenza alle associazioni storiche

    Si tratta soprattutto dell’Azione Cattolica, dell’associazionismo scoutistico, con qualche altra associazione di tradizione pluridecennale.
    Soprattutto l’A.C. propone cammini di fede ben impostati, secondo progetti annuali o pluriennali e gode dell’assistenza dei presbiteri almeno a livello diocesano. Sovente è l’unica realtà educativa esistente nella parrocchia per i preadolescenti e gli adolescenti.
    In molte diocesi l’impianto associativo sembra essere in calo o in affanno; in altre è ancora stabile, anche se il discorso va diversamente articolato a seconda delle Associazioni.
    Due rischi corrono sovente i cammini di fede nelle appartenenze associative: da una parte quello di offrire un’educazione alla fede solo parziale; e dall’altra quello di restare chiusi in se stessi e non aprirsi alla comunità cristiana, sia essa la parrocchia o la stessa Chiesa particolare. Resta però pur sempre vero che questo associazionismo costituisce ancora il serbatoio più ricco per i tanti servizi ecclesiali, soprattutto parrocchiali, come quello dei catechisti e degli stessi animatori...

    La partecipazione ai movimenti

    È la nuova fioritura di questi anni che aiuta molti giovani a fare un cammino di fede legato a idee-forza, a intuizioni incarnate nel leaders, ad aspetti della vita cristiana affermati con radicalità.
    Oggi la conflittualità tra i diversi movimenti si è smorzata, a favore di una collaborazione maggiore in uno scambio più comunitario di esperienze. Sono spazi di dichiarata e discreta missionarietà; si accostano giovani anche al di fuori dell’ambito ecclesiale e si offre un annuncio capace di orientare verso decisioni forti.
    I movimenti sembrano però trascurare sovente gli elementi tipici di un cammino educativo e di un approccio globale alla vita di fede in una completa integrazione tra fede e vita. I Catechismi dei giovani non sono sempre usati come riferimento. La dimensione comunitaria è assai sviluppata nelle loro riunioni interdiocesane o internazionali e nella solidarietà tra i membri; ma ciò, talvolta, a scapito di un’appartenenza alla Chiesa particolare o alla comunità cristiana in genere.

    L’attrazione del carisma

    Non vanno sottovalutate quelle realtà aggregative che fanno riferimento a Congregazioni religiose maschili e femminili, o ad esperienze forti presso alcune comunità monastiche (Bose, Taizè...) o presso luoghi spirituali di notevole impatto emotivo (Assisi...).
    Di solito la motivazione iniziale è di tipo eminentemente vocazionale, ma poi si trasforma in un vero cammino di fede attento a tutte le dimensioni della vita del giovane.
    I vantaggi riconosciuti in tali esperienze sono dati dalla presenza di veri educatori-educatrici, con una buona conoscenza del mondo giovanile e dotati di discernimento nella guida alla vita spirituale. Ma resta aperto il problema del rapporto tra questi momenti, certamente coinvolgenti e costruttivi, e i cammini dei giovani nella ferialità dei contesti parrocchiali.

    L’incontro tra «religiosità giovanile e cultura» nella scuola

    È diffusa, nelle nostre Chiese, la consapevolezza circa la grande opportunità della scuola di religione nei contesti presuntivamente educativi scolastici; soprattutto in considerazione del dato statistico, che segnala la scelta dell’insegnamento della religione cattolica da parte della stragrande maggioranza dei preadolescenti e adolescenti, molti dei quali hanno tagliato ogni ponte con la comunità cristiana. Ma nonostante i diversi interventi dell’Episcopato sull’argomento, si ravvisa un diffuso disagio, soprattutto a tre livelli: a livello di trasmissione dei contenuti, non così puntuali nella direzione dei programmi accordati; a livello di rapporto con la pastorale della Chiesa diocesana; a livello di sinergia tra insegnanti di religione e docenti di altre discipline. Il cosiddetto «lavoro a rete» fatica a decollare.
    Qualche segnale più positivo viene dall’insegnamento della religione nelle scuole cattoliche: ma qui, un po’ ovunque si sta diffondendo una sorta di scoraggiamento da stato preagonico, che arriva in moltissime scuole costrette ad abbandonare la frontiera educativa (a causa della mancata parità scolastica) su cui sarebbe decisivo un minimo di entusiasmo e di speranza.
    Il problema della scuola non è però riducibile al solo insegnamento della religione cattolica: c’è anche lo spazio della pastorale scolastica, assai poco rilevante tuttavia.
    Un analogo discorso si può fare per la pastorale degli ambienti del lavoro e del tempo libero. In questi campi agisce un associazionismo da rilanciare e valorizzare.

    L’esperienza di servizio e di volontariato

    È risaputo che molti giovani passano attraverso l’esperienza del volontariato, in modo continuativo e non solo occasionale.
    Si tratta di un periodo della vita di grande disponibilità, nella ricerca e nella costruzione della propria identità.
    La comunità cristiana si avvale sovente di questa presenza, anche se non sempre esprime un accompagnamento educativo capace di interpretare la domanda religiosa e di collocarla dentro una proposta affascinante.
    Entro questo ambito, anche se molto diverso, ma collegato per il volontariato che vi si esprime, è tutto quell’insieme di comunità di recupero (da devianza e tossico-dipendenza) che vedono molti presbiteri e laici cristiani impegnati a restituire ragioni e speranze di vita.
    Il raccordo con la comunità cristiana e con i cammini di fede è sempre difficile; ma là dove i giovani, dentro i percorsi di servizio e di volontariato, sanno innestare serie motivazioni di fede, gli esiti sono sorprendenti, soprattutto di tipo vocazionale.

    L’impatto con l’occasionalità della vita cristiana

    Sono sempre più numerose le occasioni in cui i giovani vengono a contatto con la vivacità propositiva della comunità cristiana, attraverso raduni associativi straordinari o celebrazioni particolari (pellegrinaggi).
    Oppure non sono infrequenti le aggregazioni dei giovani in alcune circostanze liete (matrimoni di amici, cresima...) o tristi della vita, quali la morte di una persona cara, in modo particolare se giovane.
    Soprattutto, quest’ultima opportunità richiama moltissimi giovani anche lontani, quasi sempre in atteggiamento di ascolto pensoso. Sovente è l’unico incontro diretto con il volto accogliente e misericordioso della comunità cristiana. Lo stile celebrativo del prete, insieme alla sua comunità, con un linguaggio sapientemente umano e cristiano, risulta decisivo nei confronti di non pochi giovani, nel dare risposte alle domande latenti circa i grandi interrogativi dell’esistenza. Pare che tale impatto non lasci indifferenti i giovani, soprattutto, se lontani.

    Il variegato mondo della vita quotidiana dei giovani

    Si tratta di prendere coscienza degli innumerevoli percorsi della vita quotidiana dei giovani: la scuola, il lavoro, il tempo libero, le grandi concentrazioni periodiche di giovani, i gruppi informali, le sale giochi, i «muretti». Sono tutti spazi per i quali da alcuni anni si stanno sperimentando presenze missionarie, ora legate a qualche figura carismatica, ora molto più progettuali, con nuove figure di animatori, i cosiddetti «animatori sulla strada». Per la loro preparazione e collegamento con la comunità cristiana si programmano corsi di formazione e forme di tirocinio.
    Il risultato può sembrare modesto, ma sta incidendo sugli atteggiamenti dei gruppi appartenenti alla Chiesa e creando un nuovo slancio missionario (dalla relazione di S. E. Masseroni pag. 35-40; ivi).


    I progetti di pastorale giovanile

    Interessante anche l’analisi di come vengono costruiti nelle diocesi i progetti di pastorale giovanile e quali elementi approfondiscono. Importante cogliere in tutti l’assimilazione almeno concettuale e di principio del «Rinnovamento della Catechesi» o Documento base, che aiuta l’azione educativa tra i giovani a fondarsi su una intelligente integrazione tra fede e vita. È stata una felicissima intuizione dei vescovi italiani negli anni ’70, che ha segnato in bene tutto il rinnovamento catechistico, ha definito le linee di approfondimento delle facoltà teologiche e degli istituti di pastorale, ha offerto il modello educativo alle associazioni storiche come Azione Cattolica e Agesci (cf progetti unitari e sussidi), è stato sviscerato lungo tutta questa trentina d’anni dalla rivista Note di Pastorale Giovanile, spesso gratuitamente tacciata di semipelagianesimo da chi amava scorciatoie fondamentaliste o sentiva la difficoltà di fare una scelta educativa e non emotiva. La presenza alle spalle dello studio rigoroso della Pontificia Università Salesiana ha permesso di declinare l’integrazione fede-vita entro tutti gli aspetti della esperienza di fede e entro tutte le innovazioni del modo di vivere. I progetti di pastorale giovanile italiani sono da questo punta di vista ben impostati e fedeli; attendono di essere concretizzati con maggior creatività e slancio. Oggi vanno confrontati con coraggio con i nuovi modelli culturali, ma l’impianto resta solido.

    I nodi pedagogici

    Se i progetti sono chiari, anche se forse talvolta è chiarezza da tavolino, e la prassi conseguente non è così felice, significa che esistono alcuni nodi pedagogici che vanno enucleati, presi di petto e affrontati entro alcune opzioni fondamentali. Questo è stato l’intento della relazione di fondo di Mons. Masseroni. Individuare i nodi è compito di una osservazione e una lettura appassionata della prassi ecclesiale italiana, di una registrazione dei modi di vivere dei giovani che riusciamo a interessare alla vita cristiana, di una riflessione sulle ricerche fatte sulla esperienza religiosa anche di recente sia a livello nazionale che a livello regionale e diocesano.[5]
    Nascono anche da una attenta riflessione sulla prassi comune, dai discorsi tra educatori, dalle riflessioni fatte in incontri pastorali di programmazione, dalla fotografia della sproporzione tra i grandi ideali e le esperienze concrete.
    Probabilmente occorre fare anche qualche riflessione teologica in più sulla valenza teologica dell’educazione, su una nuova ermeneutica, sulla stessa funzione pedagogica della liturgia... Qui si è preferito chiudere il campo sull’aspetto pedagogico fotografando più la situazione che offrendo chiavi di soluzione.
    I nodi sono visti come passaggi da... a... Potrebbero essere visti quasi come tappe di un itinerario se facessero parte di un progetto ampio. Da una parte c’è una situazione pure positiva, dall’altra c’è una meta ulteriore necessaria; dalla prima parte c’è una prassi abbastanza consolidata pur con non poca fatica e grazie all’impegno di molti educatori, dall’altra una esigenza evidente che sta davanti ad ogni buon educatore; dalla prima parte c’è una meta immediata della vita cristiana, dall’altra c’è la meta che nasce da una riflessione più approfondita delle nuove domande e dell’autocomprensione della chiesa.

    * Il passaggio dalle esperienze alle decisioni per la vita.
    Esiste troppa frammentarietà che va superata con una scelta vocazionale della pastorale giovanile.
    È bello provocare esperienze e non comunicare solo idee, ma occorre fare in modo che le esperienze costituiscano una storia.
    È la pedagogia della vocazione.

    * Il passaggio dalle esperienze forti a veri cammini di fede.
    La comunità cristiana propone spesso esperienze toccanti, coinvolgenti, gradite al mondo giovanile, capaci di toglierli dal torpore dell’abitudine o dell’indifferenza, ma è necessario ridare dignità alla quotidianità.
    L’emotività è una carta da giocare a quali condizioni? Il sentimento è una energia necessaria, ma come sostenere i passi calibrati di un cammino con la razionalità?
    È la pedagogia dell’itinerario, con tutte le nuove sfide che oggi pongono gli itinerari che vanno distribuiti non solo in sequenze pedagogiche, ma anche in collaborazioni molteplici.

    * Il passaggio dall’esperienza di servizio all’incontro con Cristo, come ragione motivante della vita come dono al servizio dei fratelli.
    Molti giovani sono coinvolti attraverso il volontariato sia educativo che caritativo in scelte molto impegnative, ma restano spesso privati delle motivazioni profonde della fede per noncuranza degli educatori.
    In un tempo in cui la domanda religiosa è alta, questa inadempienza educativa è grave e va superata con una proposta più decisiva e coinvolgente della persona di Gesù.
    È la pedagogia dell’annuncio.

    * Il passaggio da una fede come risposta di senso a una fede come incontro con Cristo nella Chiesa per una missione originale, personale e comunitaria nella storia.
    L’esperienza della Chiesa è spesso lasciata in secondo piano. Si tende a educare i giovani a una vita interiore e a una vita di relazioni amicali, senza far entrare nella comunione della comunità cristiana. La Chiesa invece è parte integrante con i suoi gesti di salvezza e la sua parola dell’incontro con Cristo. Anzi ne è il criterio di verità.
    È la pedagogia della comunione.

    * Dall’incontro con Cristo nella Chiesa alla dimensione etica della vita.
    L’incontro con Cristo porta sicuramente con sé il suo stile evangelico e la sua radicalità nel seguire il Padre fino alla croce. Mistica e ascesi sono collegate se una vera educazione alla fede lo prevede. Si diceva in un convegno sull’educazione dei giovani alla fede attraverso l’etica che oggi i giovani sono inseriti in una sorta di duplice movimento assertivo-propositivo: da una parte l’esasperazione del moralismo, fatto di precetti, di negazioni, di opposizione alla mentalità corrente vista e descritta sempre in termini negativi, dall’altra l’assolutizzazione del principio di libertà, fatta di idee forti, di contemplazione di verità, di «ama e fa’ ciò che vuoi», di religione cristiana senza etica, anzi contro ogni etica che non sia mistica.
    Siamo tra comportamenti senza amore e amore senza comportamenti, in attesa di scoprire come l’amore concretamente possa essere norma in se stesso e l’incontro con Cristo lo riveli.
    È la pedagogia dell’etica.

    LE OPZIONI PASTORALI

    Per rispondere con scelte non episodiche o frammentate ai vari nodi sia culturali che pedagogici è necessario fare alcune opzioni che si collocano nell’ordine di idee di quanto veniva richiesto dalla prolusione del presidente e quindi dalle intenzioni dell’assemblea. Due elementi sono necessari per arrivare a tanto prima di rispondere per non continuare a ritornare sugli stessi passi e non percepire la direzione di una cammino:
    1. Che cosa eredita la Chiesa Italiana dal programma pastorale innescato dal documento Evangelizzazione e Testimonianza della Carità e dal suo «aggiornamento» avvenuto a Palermo codificato nelle dichiarazioni della sezione dedicata ai giovani e nel documento Con il dono di Dio dentro la storia?
    2. Quali urgenze, preoccupazioni, situazioni determinano l’esperienza concreta dei pastori nelle varie diocesi, nell’esercizio del loro compito di discernimento e di governo? che cosa portano con sé dalla loro esperienza viva? che cosa suggerisce loro di fronte a questi nodi la cultura teologica, pastorale, biblica, catechistica, liturgica di cui sono specialisti, conoscitori, cultori? quali provocazioni pone loro la società in cui vivono? L’Italia è lunga e le esperienze sono diverse, basti pensare alla divisione netta in due dell’Italia rispetto al problema del lavoro giovanile.
    A queste due domande si è tentato di rispondere da una parte con la proposta di alcune opzioni pastorali presentate da Mons. Masseroni alla fine della sua relazione, che tenessero conto di quanto detto alla prima domanda, non tanto per forzare la mano, quanto invece per aiutare a stringere su alcune scelte concrete; dall’altra con i gruppi di studio, ciascuno predisposto con scheda di riflessione e domande per aiutarne la comunicazione.

    Titoli dei lavori di gruppo

    Proponiamo in finestra i titoli dei lavori di gruppo per comprendere la vastità della tematica e la conseguente difficoltà a costringere la riflessione e gli apporti dei vescovi in alcune linee di pastorale giovanile.
    * La continuità del cammino educativo del giovane verso la maturità cristiana e il ruolo della catechesi.
    * La formazione alla preghiera e alla vita secondo lo Spirito.
    * I presbiteri come formatori dei giovani e la direzione spirituale.
    * La famiglia come prima comunità educativa e come progetto di vita per le nuove generazioni.
    * La comunità ecclesiale e il mondo giovanile: accoglienza e spazi educativi.
    * Le associazioni e i movimenti come luoghi pedagogici della fede.
    * Incontrare i giovani dove vivono: comunità ecclesiale e giovani cristiani in missione negli ambienti.
    * Formare i giovani all’impegno sociale e politico e alla mondialità.
    * Pluralità di figure educative per il mondo giovanile.
    * La domanda religiosa e le proposte culturali nel mondo della scuola.

    Il metodo scelto dai vescovi animatori dei gruppi è stato quello di rileggere immediatamente nel gruppo le opzioni pastorali proposte alla fine della relazione, per tenerle sullo sfondo, in seguito di affrontare la tematica specifica del gruppo come veniva presentata nella scheda e infine riprendere le opzioni pastorali per integrarle, ridefinirle, variarle, reimpostarle o aggiustarle.
    È toccato a Mons. Ablondi riunire entro uno schema i lavori di gruppo con una relazione conclusiva, che ha il sapore di un lavoro di ricucitura, ma anche la freschezza di un lavoro appassionato.
    Le quattro opzioni pastorali presentate all’inizio dei lavori di gruppo, che riportiamo in finestra, hanno subito non pochi ritocchi e critiche. Alcuni gruppi le hanno ritenute ripetitive delle posizioni del dopo Palermo, altri le hanno riscritte con pazienza cogliendone gli aspetti innovativi nella linea della continuità e dei passi graduali.

    Opzioni pastorali: schede per i lavori di gruppo

    Non ignorando questi e altri problemi, alcune opzioni pastorali sembrano imporsi con urgenza:

    1. Anzitutto un puntuale e aggiornato sguardo sull’orizzonte culturale di cui i giovani sono le antenne più sensibili; uno sguardo che diventa «discernimento» per distinguere le domande perenni che affiorano più o meno chiare nel mondo giovanile e che rivelano l’apertura trascendentale della struttura antropologica verso i valori spirituali; e nel contempo per cogliere le immagini del vissuto giovanile, soggette rapidamente a metamorfosi e fortemente condizionate dai modelli culturali cangianti.
    Questa attenzione al mondo giovanile chiede alla comunità e agli educatori un accorgimento vigile per stare al passo con i giovani e con il loro sentire. Insomma i giovani ci costringono continuamente a piantare e a spiantare le tende.

    2. La seconda opzione pastorale è la centralità cristologica. Gesù Cristo va annunciato nella dinamica della risposta e della novità assolutamente unica ai grandi interrogativi che emergono dal mondo interiore del giovane. La persona di Gesù diventa riferimento fondamentale e decisivo per la costruzione della identità personale, per vivere come Lui e con Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo (Rdc 38). È il riferimento con una persona viva che si incontra nel concreto dell’esperienza ecclesiale.
    Pertanto la centralità cristologica fonda il triplice coinvolgimento antropologico:
    – in una prospettiva necessariamente ecclesiale. Ogni uomo è chiamato in Cristo, a superare il peso dell’egoismo, e della chiusura in se stesso, per aprirsi agli altri in una relazione oblativa, che trova nella Chiesa, la sua sorgente di grazia nei sacramenti;
    – in una prospettiva vocazionale, secondo un progetto personale fondato nel dono dello Spirito e che costituisce la risposta più vera al profondo bisogno di identità.

    3. Ma in modo particolare la centralità cristologica fonda lo slancio missionario (ed è il terzo coinvolgimento di cui sopra) in una duplice direzione. Anzitutto la missione, come impegno al servizio del Regno, costituisce la vera grande risposta alla domanda di senso per la vita, soprattutto se vissuta con l’entusiasmo e la gioia del cuore giovane.
    Senza dimenticare che i giovani sono i primi testimoni e annunciatori del Vangelo agli altri giovani.
    Dall’esperienza emerge che soltanto se si educano i giovani alla «missio ad gentes» vengono formati alla missione nella vita quotidiana.
    E poi lo slancio missionario deve attraversare tutta la pastorale delle nostre comunità cristiane. Incontrare i giovani là dove vivono diventa sempre più una dimensione urgente; è il linguaggio con il quale si dice che Dio li sta cercando; e capiranno di essere cercati da Dio se qualcuno li andrà a cercare e ad incontrare, perché interessato alla loro vita.

    4. La quarta opzione è soprattutto pedagogico-pastorale. C’è un preciso protagonismo da ricuperare nei progetti di pastorale giovanile: quello della comunità, chiamata a superare atteggiamenti di latitanza per acquisire il ruolo attivo del pensare, progettare «con e per i giovani».
    La comunità di cui si parla è quella concreta: è la Chiesa particolare, la comunità parrocchiale comprendente i diversi soggetti educativi (la famiglia), i diversi consigli di partecipazione, i diversi luoghi pedagogici della fede: gruppi, movimenti, associazioni.
    Particolare attenzione pastorale va prestata alla «mediazione educativa», quale sfida storicamente ineludibile nel passaggio storico da una comunità in cui il protagonismo educativo veniva attribuito quasi esclusivamente al prete, a una comunità in cui il ministero educativo viene condiviso dai giovani e dai laici, dai religiosi e dalle religiose.
    La cura della mediazione educativa significa un serio investimento nella formazione umana, spirituale e pedagogica.
    Già il presente, ma soprattutto il futuro dei nostri oratori dipende dalla presenza di giovani e adulti con una chiara passione educativa, in comunione con i sacerdoti.
    Ma non meno la sfida pedagogica per una pastorale rivolta a tutti i giovani richiede soprattutto da parte degli educatori una molteplice e sapiente attenzione; e in particolare:
    – la precomprensione positiva: ciò significa guardare i giovani con simpatia dando loro fiducia, conoscendo la loro cultura, i loro dinamismi psicologici, esprimendo un atteggiamento di amicizia e prestando loro un’attenzione seria;
    – il dialogo sul concreto: rispondendo ai loro problemi esistenziali, umani e spirituali. Ne hanno molti e non hanno la possibilità di parlarne quasi con nessuno. Non è raro incontrare i giovani in condizioni psicologiche drammatiche o alle prese con situazioni disperate, come di fronte all’assenza di un lavoro. Questo dialogo è da farsi sia a livello personale che a livello di gruppo;
    – lo stile della festa: ciò significa una dimensione essenziale dell’esperienza cristiana, la testimonianza della gioia, ma questo vuol dire pure capacità creativa nel proporre la festa o il gioco come esperienza di socializzazione o di incontro. Ciò vale per i ragazzi e per i giovani stessi, senza dimenticare mai di rendere i giovani protagonisti;
    – il cammino della fede: si tratta cioè di passare da esperienze a itinerari, soprattutto con quei giovani che hanno già un’assiduità associativa o di gruppo. La fede diventa robusta nella misura in cui viene progressivamente motivata e diventa visione globale del mistero cristiano;
    – la pratica della direzione spirituale (o accompagnamento spirituale): è la quinta attenzione, forse la più impegnativa, perché diventare guide spirituali (vere presenze educative) significa mettersi accanto ai giovani pazientemente, proponendo dei cammini, motivando delle scelte concrete, additando mete impegnative, incoraggiando e formando libertà autentiche.
    È ovvio che solo gli adulti nella fede possono praticare questo ministero: sono favoriti i sacerdoti, ma pure le religiose o laici preparati possono essere ottime guide spirituali.


    Offro qui un mio riassunto delle opzioni pastorali, come emergono dalla relazione di Mons. Ablondi, che ha fatto sintesi delle relazioni dei lavori di gruppo, evidenziando alcuni elementi di novità rispetto a ETC e a Palermo.

    Camminare coi giovani

    È una opzione che forse qualcuno può intendere: come accattivarsi i giovani o come rendersi loro graditi? Qui invece si tratta di offrire una comunità cristiana che sa convertirsi, cambiare, farsi compagna di strada per offrire strumenti anche culturali per affrontare le sfide culturali del nostro tempo. Tra queste, è fondamentale che sappiano cogliere e valorizzare anche il tempo della disoccupazione, spesso tempo «perso», drammatico, di rifiuto e contrapposizione. A questo riguardo l’esperienza di alcune diocesi ha creato delle singolari iniziative per organizzare questo tempo, riempirlo di contenuti nuovi, far sentire la mano di Dio pure in questi anni, attraverso una mano solidale che li aiuta a trovare un lavoro.
    * L’atteggiamento di accoglienza e ascolto dei giovani, già ben evidenziato anche a Palermo, oggi trova necessario darsi strumenti culturali nuovi di lettura, di interpretazione e conseguente ascolto e rispetto. Ne deriva che la comunità cristiana deve formarsi nuovi modelli interpretativi per accostare e conoscere la realtà giovanile (linguaggi, nodi culturali...). Non si tratta di studiare comportamenti giovanili da usare come tattica di approccio, né di ignorarli in ragione di insegnamenti precostituiti da far passare, ma di accostarli con una capacità interpretativa che si lascia interrogare dal nuovo che essi portano, che provoca la comunità cristiana a convertirsi per essere sempre più credibile per tutti i giovani, a ridirsi in termini nuovi e sempre fedeli al vangelo.
    È la condizione perché la Chiesa diventi quella «casa accogliente» di cui si diceva a Palermo.
    * C’è una coscienza più chiara che la figura di giovane credente che la Chiesa e i giovani devono costruire e proporre deve fare i conti con i nodi culturali del soggettivismo, del relativismo etico, della aprogettualità e della prigionia nel presente, della ricostruzione dei luoghi antropologici in cui vivono le loro molteplici relazioni che rischiano l’implosione, l’incontro virtuale con l’altro, l’abitudine a ritenere tutte le scelte reversibili e la propensione al rischio... Questi caratterizzano diversamente la loro esperienza globale di fede e di credenti. Questa diversità è una sfida da affrontare nella formazione e in tutte le capacità formative della Chiesa.
    * Nella ricostruzione della figura di giovane credente si innesta un serio ripensamento della educazione alla preghiera e una riflessione approfondita sulla esperienza liturgica dei giovani

    Al centro, la persona di Cristo Salvatore, vivo nella sua Chiesa

    Non è una frase scontata, ma è riportare al centro, al nucleo fondamentale, ogni attenzione educativa della comunità cristiana. Molti dicono che il problema qui è il «come», è l’uscire dalla genericità di una affermazione. I vescovi si sono applicati anche a delineare questa figura di Gesù, figlio di Dio che diventa significativa per la vita dei giovani e per i nodi pedagogici che si erano evidenziati. Porre al centro Gesù Cristo non è vago nominalismo, ma far risuonare nelle domande di verità, di libertà, di futuro, anche attraverso una compagnia sofferta, la forza che è Gesù, la sua bellezza e non la sua «funzionalità». L’azione educativa nei confronti dei giovani deve presentare la radicalità del messaggio evangelico, e deve avere il coraggio di fare proposte forti, contro il rischio di far apparire la Chiesa come una comunità di «moderati».[6]
    «Nel cuore e nella consapevolezza di chi fa catechesi, la figura di Cristo dovrà essere proposta in questi suoi tratti fondamentali:
    * la sua vita a Nazaret. Resta decisiva, perché è il tempo della quotidianità, verifica di mille ideali e sogni accarezzati dai giovani. È il tempo del silenzio, il tempo delle radici. Da Nazaret escono le Beatitudini, perché riflettono lo stile attento di Gesù nel cogliere le dinamiche della vita e le risposte divine alle nostre attese!
    * la Croce, che è la grande catechesi di Gesù stesso sulla via di Emmaus: «non doveva forse il Cristo patire queste cose...?» (Lc 24,26);
    * la cultura del dono, di cui la vocazione è il punto più alto e di cui Gesù è per essenza il simbolo e il modello;
    * il Cristo che riconcilia il mondo con il Padre e sa perdonare sulla croce a chi lo ha ucciso;
    * il Cristo che lava i piedi ai discepoli, servo per amore, che insegna come la vita sia vera solo se è servizio;
    * il Cristo delle esperienze di convivialità che diventano invito eucaristico, impegno ecclesiale, impegno sociale e servizio in politica, che, retti da queste motivazioni forti, diventano realmente un dono disinteressato e non un egoismo o un tornaconto;
    * la presenza del Cristo risorto, che si offre sempre come speranza di fronte a tutte le delusioni e a tutte le morti, a cominciare da quella morte che non solo ci attende alla fine della vita, ma distrugge, se non è fecondata dalla risurrezione, ogni gesto, ogni parola, ogni avvenimento come uno scritto sull’acqua».[7]
    La centralità di Gesù è così presentata concretamente nei tratti che fanno emergere maggiormente la coerenza con una esperienza di vita significativa per i giovani. Il CdG vol. 2 non c’era a Palermo. Oggi esiste e si pone come significativo nel loro cammino con la sua metodologia di proposta cristologica molto in evidenza e la proposta di un cammino etico che nasce dalla mistica, dalla contemplazione di Gesù

    La mediazione educativa di tutta la comunità cristiana

    In una tendenza pastorale che forse si sporge troppo verso esperienze totalizzanti o momentanee o troppo legate all’emotività e alla soggettività, la comunità cristiana fa la scelta delle mediazioni educative.
    In questo senso è necessario fare appello agli uomini di cultura, ai pedagogisti, agli esperti della comunicazione, perché si compia uno sforzo comune, teso a dare spessore culturale alla mediazione educativa dell’intera comunità cristiana. La mediazione educativa è anche «operare un cambiamento di mentalità pastorale, conseguente a una sorta di ‘passaggio culturale’ che, alla luce della verità di Cristo, la aiuta a cambiare modelli interpretativi e fare conseguentemente proposte pastorali adeguate».
    Cambiare modelli interpretativi non è poco, se l’operazione che si compie non è di chi crede di avere la verità in tasca, ma condivide la ricerca con la consapevolezza di avere il dono non manipolabile di una direzione giusta. Questa è opera di tutta la comunità cristiana e non degli addetti ai lavori, fossero pure gli uffici di pastorale giovanile.
    Anche qui elementi di novità in continuità con il convegno di Palermo possono essere:
    * l’attenzione al bambino e al preadolescente e alla adolescenza con proposte che rispondono alla domanda di continuità per la costruzione dell’identità.
    L’unità pastorale preadolescente- adolescente-giovane è definitiva, anche se i metodi e la prassi pastorale non sono ancora conseguenti (si pensi per esempio a tutta la problematica della iniziazione cristiana).
    Il vero problema non è il post-cresima, ormai da tutti riconosciuto tempo perduto, ma il pre-cresima: la radice vera del primario impegno della Chiesa va collocata in questa fase di sviluppo della personalità.[8] Così come è chiara la collocazione del giovane nella prospettiva della famiglia da cui viene e che vuol progettare;
    * una conversione pastorale è necessaria al fine di rendere la comunità cristiana attenta ai soggetti e non solo alle dimensioni astratte della vita cristiana. Si prevede una necessaria collaborazione tra sezioni pastorali o uffici in vista della sintesi di vita credente che va fatta nelle persone;
    * maggior attenzione alle figure educative con particolare forza per il presbitero, compagno di viaggio e intervento formativo più deciso in vista dell’educazione dei giovani. La figura del presbitero è emersa, nei suoi problemi formativi, e nel suo ruolo di guida e di compagno di viaggio, e in tutta la sua necessaria presenza per educare alla vita cristiana.

    Lo slancio missionario

    È in continuità con la scelta di Palermo di una chiesa estroversa, di una chiesa dell’oltre, del tutti, della reciprocità, come capacità di offrire e di ascoltare profondamente. Una educazione alla fede dei giovani che «deve guardare non solo a ‘custodire’ i suoi, ma a incontrare gli ‘altri’, a ricercare i ‘più’, che vanno per conto loro e forse aspettano un invito, un richiamo forte (‘mi sono fatto tutto a tutti per guadagnare qualcuno’). Bisogna riprendere il gusto e la passione dell’andare, utilizzando i linguaggi giovanili, gli strumenti del comunicare contemporaneo, e soprattutto la comunicazione ‘per vibrazioni’, ‘per rumori’. È da capire tutto l’‘universo giovanile’. Non dimentichiamo che Gesù incontra i discepoli sulla strada». Possono sembrare affermazioni leggere, solo di facciata, se già non esistessero chiese particolari che si fanno veramente pane spezzato nel condividere la ricerca del posto di lavoro, nel porre entro questa ricerca il vangelo come forza e guida, che si accostano ai linguaggi giovanili, anche quelli musicali, per aiutarli a discernere e a esprimere anche con essi il vero e il bene, la voglia di futuro e la sua direzione verso il Regno.
    Non siamo preoccupati che vengano a ingrossare le nostre fila, ad aumentare i nostri gruppi, ma che riescano ad apprezzare la vita, la propria dignità, a incontrare il vangelo vivo che è Gesù, perché noi siamo convinti che solo in Lui la loro vita diventa piena, felice. La Chiesa si offrirà sempre con coraggio come la casa accogliente in cui questo è possibile sperimentarlo per sé per gli altri.
    Dall’incontrare i giovani là dove sono, si passa a individuare con maggiore precisione i luoghi in cui vivere la presenza evangelizzatrice e ad offrire alcuni criteri: la vicinanza maggiore della Chiesa ai giovani in alcuni ambienti e con uno stile nuovo (giovani in cerca di lavoro, immigrati, giovani comuni...). I giovani vogliono sentirsi proporre Gesù Cristo nella concretezza delle domande e provocazioni che la vita offre e nella radicalità del vangelo.
    Le esperienze di azione ecclesiale per sostenere i giovani in ricerca di lavoro con una azione fortemente connotata come evangelizzazione sono una linea da assumere per tutte le comunità cristiane.
    Alla fine dei lavori i vescovi hanno formulato un messaggio per i giovani.

     

    MESSAGGIO DEI VESCOVI D’ITALIA AI GIOVANI

    Noi Vescovi, Pastori nelle Diocesi d’Italia, riuniti in Assemblea Generale, abbiamo parlato di voi giovani. Ora vorremmo brevemente parlare a voi; ma soprattutto, almeno con quanti potremo raggiungere, desidereremmo parlare con voi.
    Anticipiamo questo incontro con un messaggio che vuole avere lo stile e la confidenza di un dialogo. Mai facile un dialogo, ma in questo caso le difficoltà si acuiscono, per la vostra diversa età e soprattutto per le differenti motivazioni con cui vivete, o al contrario pensate di rifiutare, i valori religiosi.
    Perché questo desiderio di incontro? Anzitutto per conoscervi, capirvi, apprezzarvi e realizzare così uno scambio di vita, sotto tanti aspetti. Sappiamo che avete tanto da dirci, da darci, da farci scoprire; naturalmente anche da accogliere.
    Da parte nostra il dialogo vorrebbe in primo luogo aiutarvi a fare chiarezza sulla conoscenza che avete di Gesù. Ci sta a cuore, infatti, che quanti lo accolgono, non lo facciano in forma parziale o deformata; quanti lo rifiutano, non lo facciano con atteggiamento superficiale o sbrigativo.
    Per questo, vogliamo ripetervi una delle prime espressioni del nostro Papa Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura!».
    «Non abbiate paura di Gesù!»; se mai, abbiate paura delle caricature di Lui, che qualche volta circolano anche fra i cristiani. Il Signore Risorto, invece, come ogni persona, chiede di essere conosciuto, anzi incontrato. Perché solo un rapporto personale permette una vera conoscenza, che sfocia nell’amicizia, nell’intimità della comunione, nell’approfondimento inesauribile.
    «Non abbiate paura per tutto ciò che ritenete bello e valido!». Come Dio e come Amico, Gesù entra nella vostra vita, ma non mùtila mai l’uomo nei suoi valori, dello spirito e del corpo. Semmai purifica ogni aspetto della vita, rendendo più veri i momenti di gioia, sostenendo con speranza e con amore i momenti difficili.
    E poi, le convergenze fra ciò che voi desiderate e quanto Gesù ama e propone, riguardano gli aspetti più importanti della vita: l’amore vero, capace di tradursi in gesti che lo fanno crescere; la libertà di ognuno, affinché diventi liberazione per tanti; la certezza di una vita che viene dal Padre, cresce nella collaborazione con ogni uomo, salva ogni momento terreno portandolo alla comunione eterna.
    E «non abbiate paura neppure della Chiesa!». Riconosciamo tutti come nella storia, lontana e recente, gli uomini l’abbiano spesso deformata. Se di fronte ad essa vi porrete l’interrogativo sbagliato: «Che cosa è la Chiesa?», inciamperete solo in sassi o sprofonderete nella polvere. Se invece vi porrete la domanda: «Chi è la Chiesa?», allora in essa scoprirete la presenza di Lui, il Signore, assieme a tanti uomini, diversi nei doni e nei servizi, ma tutti chiamati a camminare verso la santità, malgrado i loro limiti. E la Chiesa? La Chiesa allora sarà come la luna: proprio con i suoi poveri sassi essa è capace di riflettere la luce divina, che accompagna i nostri passi incerti verso la piena comunione con Dio e fra gli uomini.
    E siate uomini e donne di buona volontà. Non ritenetevi mai dei «disoccupati» o degli ignorati. Illuminati da Cristo, rafforzati dal suo Spirito e accompagnati dalla Chiesa, sappiate di essere degli attesi: dalle comunità ecclesiali per la loro missione e dal mondo con le sue aspirazioni. Siete dunque un dono per tanti.
    Vi salutiamo e benediciamo con grande affetto e tanta speranza.

    Collevalenza, 12 novembre 1998
    I vostri Vescovi


    NOTE

    [1] Dalla prolusione del card. Camillo Ruini; Notiziario n. 30 CEI 1998, pag. 5.
    [2] Dalla relazione di S.E. Ablondi pag. 7; ivi.
    [3] «Con il dono della carità dentro la storia» n. 39.
    [4] Dalla relazione del prof. Pollo pag. 33; ivi.
    [5] Cf i 6 volumi su «l’esperienza religiosa dei giovani» dell’istituto di teologia pastorale dell’UPS, a cura di Midali, Tonelli e Pollo e presentati accuratamente su NPG; cf ricerche e sondaggi in Emilia, Sicilia, Triveneto...
    [6] Dai resoconti dei gruppi: gruppo n.1; ivi pag. 60.
    [7] Dalla relazione conclusiva di S.E. Ablondi; ivi pag. 92.
    [8] Dai resoconti dei gruppi n. 7; ivi pag. 76.


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