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    Juan E. Vecchi

    (NPG 1999-06-06)


    Il senso della Provvidenza è connaturale alla pietà popolare. E ciò perché essa ha di Dio una immagine vera, anche se non sempre ne possiede la dottrina completa. Il povero, anche nella sofferenza, è sicuro che quello che gli tocca è voluto da Dio per il suo bene o per il bene di altri che sono legati a lui. Molti proverbi popolari hanno codificato questa fede: «Non cade foglia che Dio non voglia»; «Dio stringe ma non soffoca». Li sentiamo questi proverbi dalle labbra di pie donne e anche di uomini duri, temprati alla lotta per la vita. Manifestano un convincimento e quasi riassumono una loro esperienza.
    Il senso della Provvidenza è anche la colonna portante di molte spiritualità. Certamente non manca in nessuna. Riporta infatti l’idea astratta di Dio «Padre» alla realtà della nostra esistenza quotidiana, dei rapporti, dei sentimenti.
    Così San Giovanni Bosco sentì i primi accenni alla Provvidenza da sua madre Margherita. Davanti agli spettacoli della natura, ad una notte stellata, al sopraggiungere della bella stagione, al sorgere di una aurora serena o allo spettacolo di un tramonto, Margherita orientava il pensiero dei figli verso la bontà e la bellezza di Dio. Di fronte ai raccolti abbondanti, al caldo e al cibo di cui potevano disporre nelle fredde giornate d’inverno, nei momenti di strettezza risoltisi felicemente, richiamava la cura paterna che il Signore ha di ciascuno.
    Questo seme divenne caratteristica della sua santità. Divenuto scrittore e narratore della storia della Chiesa e dell’Italia, egli vedrà l’intervento provvidenziale di Dio nel cammino del mondo e della Chiesa. Imprenditore di grandi iniziative, al quale spesso mancavano i soldi per pagare il pane della giornata, incomincerà le opere e le imprese missionarie nella precarietà dei mezzi sicuro che «il Signore provvederà».
    Soprattutto Dio Padre che previene, prevede e provvede, ispirerà la sua volontà di incontro e il suo paterno accompagnamento dei giovani poveri.
    I poveri, le pie donne, Don Bosco: è tutta gente di popolo, erede di una cultura della vita a capo della quale c’è Dio, che della vita si prende cura.
    Accanto a loro ci sono però anche santi dottori. Di S. Tommaso d’Aquino è questo ragionamento: «Crede in Dio colui che crede che tutte le cose di questo mondo sono da Lui governate e guidate. Colui invece che pensa che tutto accada per caso non crede che ci sia un solo Dio». Non c’è dunque fede in Dio se non si sente la sua Provvidenza e ad essa non ci si affida. Ciò significherebbe pensare Dio come un padre irresponsabile che mette al mondo una creatura e poi l’abbandona. Per questo i pagani, non potendo spiegare il male, piuttosto che attribuirlo a volontà divina, avevano pensato che sopra gli dèi e gli uomini ci fosse una forza cieca: il fato. Erano logici quando la giudicavano cieca, cioè totalmente slegata, autonoma da qualsiasi saggezza o senno. Infatti assurdo e non credibile sarebbe Dio se creasse e poi abbandonasse.
    La sorpresa più grande è però sentire Gesù: «Osservate gli uccelli del cielo. Non seminano e non raccolgono, non hanno né dispensa né granaio, eppure Dio li nutre... Osservate come crescono i fiori dei campi: non lavorano e non si fanno vestiti... eppure io vi assicuro che nemmeno il Re Salomone, con tutta la sua ricchezza, ha avuto un vestito più bello... Perciò non state in ansia nel cercare che cosa mangerete o che cosa berrete» (cf Lc 12, 22-31).
    La Provvidenza dunque dice qualche cosa di importante su Dio: Egli ama quello che ha creato. Lo ha amato prima di crearlo: come la madre che porta in seno un bambino, l’ama per sempre.
    Contiene anche un’idea del mondo. Esso ubbidisce a un disegno. È stato fatto da un «ingegnere», piuttosto che da uno stregone. Le sue infinite combinazioni non le possiamo seguire tutte ad occhio nudo. A mano a mano però che le apparecchiature ci consentono di registrarle, appare sempre più evidente il principio di «finalità»: ogni movimento ubbidisce ad una ragione. A ciascuna azione corrispondono molte possibili reazioni o risposte. E dopo ciascuna reazione si aprono infinite possibilità di nuovi movimenti.
    La Provvidenza contiene un’idea del mondo umano che è la storia. Questa non va per conto proprio, anche se assume l’andatura della libertà dell’uomo. È come un fiume che scende verso il mare. Può portare molta acqua in qualche tratto e in qualcun altro mancarne, raccogliere degli affluenti oppure dare origine a emissari; contaminarsi, ripulirsi, sommergersi sotto terra; riapparire, allargarsi e contrarsi, buttarsi in un canyon o scorrere lentamente sulla pianura. La legge della gravitazione, della pendenza, del movimento la portano verso la foce. Il tempo non torna indietro e l’acqua non risale la china. All’uomo tocca, anche alla luce della Parola di Dio, conoscere le leggi del progredire della storia, approfittare della sua energia, evitare gli scogli, sfruttare i salti. Essa ha un senso.
    Vita umana, creato, storia sono pure oggi paternamente seguiti da Dio. In noi il pensiero della Provvidenza forse si affaccia meno prontamente. Siamo diventati razionalisti e religiosamente cauti. Non arriviamo d’un salto alla volontà ultima e alla causa prima di quello che accade. Ci siamo abituati a fermarci sulle cause immediate. Non vogliamo compromettere tanto facilmente Dio nelle cose del mondo. L’analisi dei dati è diventata una nostra abitudine. Ci sembra di conoscere le cause dell’abbondanza e della carestia, del lampo e della pioggia, del raccolto abbondante e della desertificazione. E così pure siamo sicuri di scoprire i colpevoli di una guerra tra popoli, le cause di una epidemia non controllata per tempo e persino di un terremoto.
    Si aggiunge la constatazione che alcuni fenomeni indominabili si rivolgono contro l’uomo. Il male, soprattutto quello che cade sugli innocenti, sfida la ragionevolezza. Alla libertà non può infatti essere addebitato ancora nulla. Fu questo lo scandalo che spinse alcuni alla negazione dell’esistenza di Dio. L’incompatibilità tra il male del mondo e l’esistenza di Dio ha ispirato romanzi e trattati interminabili.
    Mi piace una espressione del Catechismo della Chiesa Universale: «Non c’è un punto del messaggio cristiano che non sia, per un certo verso, una risposta al problema del male» (CCC 309). La risposta completa, infatti, la danno coralmente le spiegazioni dottrinali, le esperienze di vita, il senno cristiano, l’approfondimento della libertà, la coscienza del peccato, il senso del tempo, la consapevolezza del nostro destino, la meditazione della vita e della morte di Gesù Cristo.
    Per ciò i credenti, piuttosto che perdersi in una discussione infinita, «tagliano» i nodi della matassa che non riescono a dipanare con la sola ragione: confrontano gli incidenti di percorso con i grandi doni della vita, della libertà, della apertura della mente alla conoscenza di Dio e della chiamata alla comunione con Lui.
    Sono convinti che la creazione, lanciata da Dio con un atto creatore gratuito, è «in stato di cammino», incompiuta e sta agli uomini portarla, insieme al Padre, verso il suo compimento. Considerano questa responsabilità una grazia di Dio che li chiama ad agire, a collaborare, ad essere causa insieme a Lui, a diventare collaboratori.
    Sono certi poi che Dio guida tutto verso il bene di coloro che lo riconoscono e lo amano: supera dunque la malizia degli uomini proprio con qualcuna delle mille uscite possibili che un avvenimento umano consente. Ci sono molte prove ed esempi che la Scrittura si premura di raccontare. Giuseppe venduto dai fratelli per invidia e cupidigia, quando li rincontra ormai padrone dell’Egitto, dice loro: «Non siete stati voi a mandarmi qui... ma Dio. Voi avete pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire per un bene... per far vivere un popolo numeroso» (cf Gen 45, 8; 50,20).
    I cristiani hanno soprattutto davanti il caso di Gesù. Condotto alla morte con condanna iniqua e trattato crudelmente quasi fosse un malfattore, diventa salvezza, luce e risurrezione per tutti coloro che credono in Lui.
    C’è dunque un mistero; ma tutte le frecce indicano che va accolto come un mistero di bontà e non di disimpegno da parte di Dio. Mi è sembrata di buon senso la risposta di un giovane in merito: «Non so come è Dio, ma credo in Lui. Non può essere che buono. Non so come opera la Provvidenza in ogni caso particolare; ma so che posso fidarmi. La esercita mio Padre».


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