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    Un contesto pastorale per il CdG/2



    Domenico Sigalini

    (NPG 1998-02-43)


    Premessa

    Se proviamo a mettere a confronto due ricerche sulla religiosità dei giovani fatte a distanza di circa 15 anni (1981-1996), troviamo che la domanda religiosa dei giovani è molto diversa.

    Una diversa e persistente ricerca religiosa
    In questi ultimi anni, a differenza anche solo di una decina di anni fa, le ideologie sono morte e l’esigenza di andare oltre si è fatta esageratamente alta, diffusa, fino ad abbandonare il gusto della ricerca, ad appiattirsi in un nefasto consumismo religioso e preferire l’emozione di una proposta decisa, su cui reagire.
    Ne testimonia l’urgenza questo testo di Andreoli: «Ho trovato molti giovani in crisi di astinenza da fede.... È tempo di spacciare la fede...»[1] dove le parole «spacciare» e «crisi di astinenza» la dicono lunga sul desiderio di incontrarla all’inizio di un qualsiasi cammino e nei meandri più impensati della vita, non certo solo presso le istituzioni a ciò dedicate.
    Ieri la domanda religiosa era più da scavare, oggi è da registrare nella sua ingenuità. Approssimando in maniera impietosa, si può dire che oggi i giovani non hanno i complessi positivistici di qualche anno fa nell’affrontare il problema religioso, hanno più domande religiose dei loro padri, anche se frequentano di meno; non sono complessati, sono curiosi di tutto, esigono mistero, sogno, poesia. Le testimonianze dei giovani da Parigi, a questo riguardo, sono molto esplicite.

    Una esigenza nuova di spiritualità
    Spiritualità come domanda di unità, di silenzio, di concentrazione su di sé, molto imparentata con quella religiosa, cui può esservi ricondotta con un cammino nemmeno troppo forzato. È molto autocentrata, molto orientata sulla propria soggettività, su un proprio equilibrio. Mi spiego meglio riferendo un ragionamento del giovane: «Se domani devo fare qualcosa di importante, allora io oggi mi applico a una concentrazione che mi dà una compenetrazione nel mio spirito, una sorta di preghiera perché voglio entrare nel significato di quella cosa». Qui ci vorrebbe un Gospel!, dice Zap Mangusta, DJ televisivo, cioè ci vorrebbe un canto, un intervento musicale, un supplemento di anima, dove ci sia qualcuno che fa la voce solista o che comunque dà le istruzioni o quanto meno sa quello che dice, e altri che fanno il coro... È in atto oggi la riscoperta dell’anima, la necessità di mettere in atto una comunicazione vera, che risponde al bisogno di vita vera, di pienezza. Una delle carenze di questo momento storico che stiamo vivendo è quella di padri spirituali in senso lato, che aiutano il giovane a tenersi in mano la vita.
    Spesso si manifesta come desiderio di silenzio, di rientrare in se stessi, di partecipare a un mondo sconosciuto, di cui si è stati privati. Dice D. Coupland: «Se le nostre vite non diventano storie, non c’è modo alcuno di raccontarle».[2] Per questo con i suoi amici si ritira nel deserto. Non si contano oggi i giovani che vanno a passare settimane negli eremi.

    Una ricerca di radicalità
    Chi ha percepito l’importanza di una scelta religiosa o che vive all’interno di una tradizione religiosa, oggi più di ieri ha la necessità di dare una unità profonda alla sua vita, radicandola sul centro della fede, su un fondamento sicuro, che crea unità tra fede e vita e tra le tante espressioni dell’esistenza. Detto in termini un po’ specialistici: formarsi una struttura di personalità che ha Gesù Cristo come centro. È sempre più viva oggi la domanda di chi crede, di andare al cuore dell’esperienza religiosa e di non essere tenuto ai margini, magari per far comodo a qualche organizzazione.
    Ora questi elementi fanno vedere l’urgenza di essere espliciti, radicali, provocatori e centrati sull’essenziale.

    Le quattro risposte-sfida del catechismo dei giovani

    * Offre gli elementi fondamentali per delineare una figura di giovane credente. Di fronte a quella tramontata, segnata dal perbenismo del quieto vivere, da adeguamento al ribasso, è necessario che la comunità cristiana sappia. Che figura di giovane credente sogniamo? che rapporto vivo con Cristo proponiamo? quale esperienza di comunità? che progetto di vita? Il catechismo vi si cimenta non offrendo solo una serie di verità astratte, ma declinandole nei sogni e nei problemi della vita quotidiana.
    * Fa una scelta decisa dell’educazione. Di fronte a tutte le tentazioni emotive di tipo fondamentalista che stanno dilagando, dove tutto si conclude con una grande manifestazione coinvolgente, aver di fronte un catechismo vuol dire: «calma! a questo momento deve seguire un cammino concreto educativo da sviluppare nella quotidianità». Occorre trovare momenti per smontare la bella esperienza fatta e ricostruirla nei significati della vita. L’annuncio coinvolgente, l’entusiasmo dell’esserci sentiti in tanti, dell’aver intuito dove sta la strada, devono essere seguiti dalle indicazioni di percorsi praticabili, da atteggiamenti e comportamenti da acquisire.
    * È provocazione a una maggiore radicalità nella educazione alla fede. Oggi si trova necessario sporgersi un po’ di più su un rapporto con il mondo della fede caratterizzato da proposte chiare e ben definite. C’è una tendenza maggiore a incontri-proposta un po’ grintosi, perché bisogna scuotere tante volte una sorta di, non dico indifferenza, ma di situazione in cui le cose vere vengono confuse con quelle non vere, e c’è bisogno di far risaltare la bellezza e il fascino della proposta cristiana. Tutto questo ha l’obiettivo di «sdoganare il giovane» dalla sua solitudine. Se noi non riusciamo a tirare fuori il ragazzo dal suo mondo chiuso, cercando di interpretarlo nella sua ricerca e realtà, nella sua solitudine, i nostri discorsi, la nostra testimonianza ed esperienza non riesce a contare come significativa nella loro vita.
    * Serve una collocazione della figura di Gesù al centro della vita, dell’esperienza umana e cristiana. Se vogliamo centrare l’attenzione sull’essenziale dobbiamo subito far notare una sorta di scelta previa che il catechismo fa: una proposta affascinante della figura di Gesù, ancor prima di entrare nella analisi delle domande dei giovani. Questo può apparire una forzatura, una caduta verso l’emotivo, una scelta antirazionale, alla fine fondamentalista. Non mi rimangio niente di quanto detto sopra della scelta educativa, ma occorre fare attenzione a questa nuova intuizione pure molto educativa. Per un giovane che in questo mondo in cui i mass-media presentano modelli e idoli è spesso vittima di incantesimi e sottili adescamenti, è necessario che si stagli netta, precisa, affascinante, provocatoria una figura potente che lo sconvolge, lo prende, lo sorprende per la sua assoluta novità e meraviglia, per il suo non essere dato per scontato, per la novità assoluta che presenta e che è. Chi se non Gesù Cristo potrebbe occupare questo campo nella vita del giovane? Forse le raccomandazioni di comportamento corretto che sa più di galateo che di scelta di vita? Forse qualche meraviglia miracolistica della serie misteri o X files? Forse la struttura di una visione ideologica stretta e sicura? Il CdG/2 propone Gesù Cristo con la certezza che la determinatezza e precisione di una proposta chiarisce al soggetto la stessa domanda. Un giovane che viene messo di fronte a Cristo in maniera coinvolgente riesce a chiarire a se stesso quella serie di domande indefinite che lo aiutano a dare senso alla vita e che lo tengono spesso in uno stato di incertezza e di indecisione.

    Il contesto per accogliere le proposte

    Un rinnovato ascolto dei giovani
    I giovani non li conosciamo, anche se ne parliamo spesso e ci sono moltissime inchieste sui loro comportamenti. Basta per questo leggere le meraviglie espresse dalla stampa, dal grande pubblico, dalla stessa chiesa di Francia, per la partecipazione massiva e bella dei giovani alla GMG di Parigi, oppure sentire il tono meravigliato circa gli interessi religiosi e musicali dei giovani delle interviste che sono state fatte per il concerto dei giovani col Papa a Bologna. Vuol dire proprio che non li conosciamo, non riusciamo ad avvertire la voglia di spiritualità, il desiderio di andare oltre, di farsi domande, di stare assieme, di sentirsi in comunione, di intessere rapporti che i giovani hanno. Li diamo per scontati, ci lasciamo influenzare dalle delinquenze di pochi e non ascoltiamo il silenzio dei molti, scambiamo per indifferenza un silenzio che è di ansia e di attenzione a chi osa rompere l’accerchiamento della loro solitudine. Detto in soldoni, ciò significa che all’uscita di questo catechismo non possiamo tornare a fare pastorale giovanile esclusivamente nelle stanze della parrocchia, ma che dobbiamo aprirci alla complessa vita dei giovani, ai loro percorsi del tempo dell’impegno e del tempo libero, ai loro crocicchi, nelle loro piazze, dentro le loro aspirazioni.

    Capacità di convocazione per sperimentare coralità, comunione
    L’anno scorso ci sono state molte convocazioni di giovani: a Roma in maggio i giovani dell’Azione Cattolica; in Abruzzo ai primi di Agosto l’Agesci; a Parigi, a Bologna tutti i giovani italiani; a Roma di nuovo l’ACR in ottobre: i giovani ci sono sempre andati oltre ogni previsione. Questo dice che occorre mettere in atto una pastorale della convocazione per aiutare i giovani a incontrarsi, a tessere relazioni ampie, a professare coralmente la fede. Proprio perché nei giovani è forte la ricerca, occorre esercitare la capacità di chiamare. Gesù l’ha sempre fatto. Diceva un educatore: «Dobbiamo qualche volta di più far sperimentare il calore di sentirsi maggioranza per aiutarli a vivere la fede nella quotidianità della minoranza». Ma al di là della maggioranza o minoranza, che può essere fraintesa con atteggiamenti di proselitismo, quello che conta per i giovani è il potersi incontrare, vivere una comunione che va oltre le appartenenze sociologiche o territoriali, celebrare la fede con gli altri in una coralità che si sperimenta o in luoghi particolari o in una comune mobilità, che traduce la dimensione pellegrinante della vita.

    Osare maggiormente entrare nei loro linguaggi
    Se Bologna ha voluto significare qualcosa nella pastorale giovanile italiana, non è stato l’aver dovuto usare un concerto di musica che piace ai giovani per poterli attrarre, perché ormai siamo alla frutta e i giovani non ci ascoltano più. La Chiesa non ha bisogno di questi mezzi per aggregare i giovani. È stata invece per la Chiesa un voler entrare in un linguaggio che per molti giovani è rimasta l’ultima possibilità di esprimersi, di uscire dalla loro solitudine, di dirsi nella gioia e nell’entusiasmo della vita. Il disinteresse della Chiesa o degli educatori nei confronti della loro musica la tinge solo di trasgressione, è segnale che gran parte del tempo dei giovani è inutile, fuori da ogni possibile sincerità e voglia di crescere. Il gran parlare che molti quotidiani e televisioni hanno fatto di una conversione della Chiesa verso il rock, la dice lunga sul come non vengono minimamente conosciuti tutti i nostri sforzi educativi che da sempre e progettualmente attuiamo nei campiscuola, nelle associazioni, nella vita di gruppo, nei percorsi educativi, per aiutarli attraverso le loro parole, i loro ritmi, la globalità delle espressioni del corpo, le loro canzoni, a esprimersi, a cantare le loro gioie e le loro delusioni, il loro amore e la paura di restare soli, la voglia di sentirsi di qualcuno e il rischio di essere rifiutati. Questa esposizione pubblica, con un papa che non teme interpretazioni di comodo che ci vogliono continuamente spingere nelle sacrestie, ci ha impegnato ad essere ancora più precisi in questa operazione, a educare con più determinazione ad amare le cose belle della vita per far nascere da ogni esperienza una eucaristia, a smettere di dividere il mondo tra sacro e profano.
    Nuovi linguaggi mass-mediali, però non con l’intento didattico di avere a disposizione molti più strumenti, ma con la passione di chi dall’interno di essi vuol sprigionare stili nuovi di essere, di comunicare ed educare. Deve insomma prevalere la comunicazione sulla informazione e sulla didattica. Credo che noi ci siamo specializzati qualche volta sull’informazione e sulla didattica, ma non sulla comunicazione: questa esige qualificazione professionale nei nuovi strumenti e una lettura più interna della loro consistenza. È auspicabile che i media cattolici se ne accorgano maggiormente, si propongano seminari che aiutano a qualificarsi in questo campo, si valorizzino le qualità e le fantasie dei giovani, si colleghino soprattutto i linguaggi ai progetti educativi.

    Proporre con decisione contemplazione e missione
    Anche a partire dagli ultimi avvenimenti che hanno coinvolto i giovani oggi è necessario coniugare la contemplazione e la missione. I giovani non fanno fatica a passare da momenti intensi di preghiera, a scambi intensi di esperienze, da silenzi ritenuti spesso impossibili alle celebrazioni negli stadi, al dialogo serrato con gli amici. È una costante di tutti gli incontri giovanili. Ne ho vissuti tanti, in discoteche, nei teatri, nei palazzetti dello sport, nelle curve degli stadi: quando si tratta di pregare i giovani sanno fare silenzio ed entrare in se stessi, cercare quel volto cui il papa in termini accorati faceva riferimento a Longchamp durante la messa. E poi scoppia la voglia di raccontare, di dire domani agli amici della piazzetta, rimasti a casa, perché non hanno tentato come loro. Diceva una ragazza: «Ci sono delle gioie che provi, per le quali non potrai mai trovare parole per comunicarle. Sarò sempre sfalsata di qualche passo rispetto ai miei amici che ho a casa. Come potrò portarli sul mio passo?». Si legge nel mandato che si sono detti a Parigi: «Le nostre comunità cristiane devono essere case accoglienti. Ognuno di noi si deve adottare un altro giovane, non per portarlo in Chiesa, sarebbe troppo poco, ma per fargli scoppiare in cuore la gioia di vivere fino a incontrarne il Signore. Se accanto a noi ci sono giovani che non amano la vita fino a volersela togliere, vuol dire che non siamo stati cristiani a sufficienza.»

    Abilitare a un atto di fede intellettualmente onesto e umanamente sensato
    Nel contesto della scelta dell’educazione, quindi dei modelli educativi, dei progetti, delle guide, dei passi calibrati, occorre fornire degli strumenti perché l’esperienza di fede non sia mai lasciata senza una base espressiva di simboli, gesti, riti, segni che la aiutano a diventare esprimibile nei circuiti della vita quotidiana. Deve essere esprimibile nel tempo libero, nel mondo dello studio, nelle relazioni della vita di lavoro, nello sport, in tutto il tessuto delle relazioni umane colte e popolari, di riflessione e di azione. Ora i giovani hanno un libro della fede autorevole che li aiuterà a costruire nella loro vita una mentalità di fede, oltre ogni fondamentalismo e ogni riduzionismo. È interessante cogliere che molti giovani gradiscono le schede che sono distribuite lungo il testo di catechesi. Sono pagine chiare che su un argomento aiutano ragione e vita a confrontarsi in un limpido discorso culturale. La fede ha bisogno di ragioni, anche se non è una ragione soltanto.

    Una catechesi giovanile vocazionale
    L’idea maggiormente accreditata sulla pastorale giovanile è quella che la ritiene quell’attività di alcuni preti, di alcuni animatori che tengono «in caldo» i giovani intanto che non sanno cosa fare. Fa sempre bene avere in parrocchia qualcuno sempre pronto a fare di tutto, a svolgere attività di appoggio o di supplenza alla vita parrocchiale o a offrire un’immagine giovane della comunità cristiana con il suo numero. Si fa vita di gruppo, si sviluppano attività, però quando un ragazzo ha trovato la sua strada nella vita, la sua vocazione sparisce. Se ha trovato la ragazza/o e pensa di vivere una vita di coppia stabile, sparisce e viene richiamato al corso di preparazione al matrimonio più tardi; se vuol fare servizio civile va alla Caritas che lo prepara con un apposito corso di addestramento al servizio; se fa l’educatore gli si aprono le porte dei corsi per animatori; se vuol andare in seminario o in convento, lo vedrai soltanto alla veglia vocazionale per fare la proposta anche agli altri. Per cui il mondo giovanile è una sorta di contenitore, di area di parcheggio non ben definita che tiene in sospeso i giovani. Questo dipende dal fatto che non si prende sul serio il suo cammino vocazionale o che si fa della vocazione un insieme di insegnamenti staccati dalla vita concreta. Sono convinto invece che oggi si può fare un ottimo cammino di educazione alla fede e di catechesi puntando sulle diverse scelte vocazionale che si stanno a mano a mano chiarendo nella vita del giovane. È tempo e ora non solo di cancellare questa impietosa considerazione che si ha della pastorale giovanile, ma anche di progettare cammini di educazione alla fede per ogni scelta vocazionale.
    Il catechismo ne diventa il programma, lo stile, il contenuto, la sequenza educativa. Ci saranno allora percorsi per i giovani che vivono una esperienza di vita di coppia, per giovani che scelgono il volontariato, per giovani che fanno della ricerca del lavoro e del lavoro il loro primo impegno, per chi sceglie la vocazione di speciale consacrazione... Questo è necessario oggi anche perché non possiamo più dire che i giovani che incontriamo in queste occasioni siano già talmente cristiani, da ritenere superfluo o ripetitivo un nuovo cammino di fede. Siamo avvertiti ormai che la fede va riscritta ex novo a tutte le età, perché oggi l’iniziazione cristiana non finisce mai. Sembra che a ogni passaggio di età si debba ricominciare da capo per educare alla fede.
    Ora perché non utilizziamo i cammini vocazionali per questo? Uno decide di fare l’educatore, non sarà una vocazione a seconda di tutti i carismi, però in questa sua voglia di educare si può riscrivere l’esperienza di fede, si può fare catechesi concreta di tipo giovanile e il testo ne dà tutte le possibilità. Qualcuno decide di fare il servizio di volontariato? Quante nostre diocesi hanno aiutato i giovani a riconquistarsi una adesione profonda di vita di fede a partire dal volontariato! Perché allora non rendiamo esplicito questo discorso in maniera da curare più cammini diversificati in base alle vocazioni all’interno della comunità cristiana?

    Rapporto con il territorio
    La struttura parrocchiale o di oratorio, soprattutto per alcune diocesi diventa stretta se la si pensa come l’ambiente obbligato che circoscrive la pastorale giovanile. È necessario offrire ai giovani un vero tessuto di relazioni che si iscrivono anche in strutture, in centri, oratori, in associazioni e in ambienti; ma le strutture non sono il luogo in cui fare entrare tutti i giovani perché vengano educati alla fede e accolgano il Vangelo. C’è sempre ancora una sorta di «o passano di qua o altrimenti non riusciamo a....». La pastorale giovanile è sfidata all’impossibile perché altrimenti continua a chiudersi a riccio, continua a diventare la pastorale del bonsai, di gente che si guarda negli occhi, si trova contenta ed esclude quelli che hanno maggiore desiderio di incontrarsi con questa proposta. Le nostre strutture sono piuttosto il crocevia necessario perché la comunità si attrezzi per servire i giovani laddove essi sono. Si potrebbe dire forse semplificando troppo che le strutture sono necessarie alla missionarietà della comunità cristiana perché si possa aprire in maniera progettuale nei confronti del territorio per rendere gli interventi nel territorio meno occasionali, ma più secondo un progetto di comunità. Il luogo in cui si può incontrare Cristo non è solo lo spazio in cui viviamo noi; Gesù è più grande di noi, occorre credere che i luoghi in cui vivono i giovani sono luoghi di vita, di senso e di santità. La Chiesa si gioca nella sua capacità di apertura se sa incontrare i giovani là dove sono con un linguaggio che sa dire la forza del mistero che noi annunciamo.


    NOTE

    [1] V. Andreoli, Giovani, pag. 89.
    [2] D. Coupland, Generazione X, pag. 17.


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