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    Silvia voleva solo parlare



    Jessica Genesio

    (NPG 1998-05-02)


    La porta non si apriva. Era già da tempo l’ora di andare a dormire, di abbandonarsi tra le braccia di Morfeo, ma Silvia aspettava. Guardava quella porta come se tutta la sua fiducia bastasse a materializzare i suoi sogni. La porta, però, rimaneva chiusa e lei doveva ancora aspettare.
    Per ingannare l’attesa si aggirava nella sua stanza: ora leggeva un libro di fiabe, ora improvvisava un thè per le sue bambole, poi un rumore... Silvia sobbalzava... la porta s’era aperta? no! solo il suo gatto affamato che aveva urtato qualcosa in cucina.
    Silvia cercava di capire, come se fosse già adulta, perché lei, ancora piccola, dovesse rimanere tutto il giorno da sola in casa. Forse era stata cattiva e i suoi genitori non volevano stare con lei, ma non riteneva di aver fatto i capricci. Ubbidiva sempre con piacere a ciò che le chiedevano mamma e papà. E allora perché tutti i giorni dopo che rientrava da scuola doveva essere avvolta da quel terribile silenzio? Perché non c’era mai nessuno ad aspettarla se non il suo gatto e le sue bambole? Silvia scoppiò in lacrime. Il gatto e le bambole non potevano consolarla, ma la scrutavano da lontano partecipi del suo dolore. E intanto Silvia annegava nelle lacrime e nel silenzio della sua splendida casa arredata come una reggia.
    Silvia continuava a pensare: si era ricordata che la mamma, parlando con la zia, aveva detto che aveva avuto una promozione a lavoro e che ciò l’avrebbe costretta a rimanere più tempo in ufficio. La mamma era felice perché lo stipendio era più alto e avrebbe potuto comprare altri vestiti e giocattoli per la sua bambina. Silvia finalmente aveva capito. Decise quindi di parlare alla sua mamma: le avrebbe detto che non desiderava altre bambole né altri vestiti; le avrebbe detto che aveva solo bisogno di qualcuno con cui parlare, con cui condividere le esperienze scolastiche, qualcuno che l’abbracciasse quando si sentiva sola.
    «Silvia, cosa fai ancora in piedi? È tardi vai a dormire, amore, altrimenti domani mattina non riuscirai a svegliarti». La mamma era finalmente rientrata e Silvia la guardò decisa a portare avanti il suo progetto. Poi, però, si accorse che aveva gli occhi cerchiati dalla stanchezza e che stava sbadigliando. Perse tutto il coraggio; messasi a letto, spense la luce, bagnando con le lacrime ancora una volta il suo cuscino. Silvia, però, avrebbe voluto parlare per rompere quel silenzio che faceva ormai da padrone in ogni angolo della casa.
    Ancora una volta l’avrebbero ascoltata solo le sue bambole e forse, sbadigliando, il suo gatto.


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