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    Nadia



    Carolina Napoli

    (NPG 1998-06-44)


    Il recente fatto di cronaca riguardante l’omicidio di Nadia, la giovane ragazza diciottenne uccisa dalle sue due amiche in un paesino della provincia di Foggia, e che ha turbato la coscienza di tanti, di giovani e di ragazze in particolare, mi costringe a riflettere: quale valore ha la vita per noi giovani di oggi.
    Nadia è stata brutalmente uccisa dalle sue compagne e ancora non se ne conosce il motivo, un motivo che abbia una reale fondatezza. Leggere sui quotidiani con quali modalità si sono svolti i fatti sconcerta e indispone. È normale ora chiedersi perché mai tutto ciò sia accaduto e ancor più come sia stato possibile tra «amiche». Si tenta di trovare delle spiegazioni a questo folle gesto, si indaga sulla vita delle tre ragazze e si parla di ricatti, estorsioni di denaro, di piste sessuali o omosessuali, addirittura, a detta delle ragazze, l’omicidio è stato maturato dopo che una delle due, la mente, ha ricevuto in sogno la visita del padre dell’altra che le ordinava di uccidere la sua giovane amica. Allucinazioni, visioni, incubi. Perché solo di questo può trattarsi: questa storia ha tutte le caratteristiche di un brutto sogno fatto qualche volta quand’eravamo bambini. Peccato però che per Nadia quest’incubo sia diventato realtà proprio per mano delle sue due migliori amiche.
    Credere alla storia della «visione» ci costringe ad ammettere una patologia mentale nelle due ragazze. Il forte potere persuasivo e condizionante di una delle due sull’altra ci costringe a parlare dell’amicizia e di quanto talvolta nei ragazzi assuma una piega morbosa e si discosti di molto da ciò che veramente è. Il costante fascino esercitato sui giovani dalle nuove filosofie religiose, molto in voga in questi ultimi tempi, la mescolanza di generi e linguaggi religiosi diversi come la new-age, il gusto dell’orrido se non addirittura del satanismo, ci costringe a riflettere su quali devianti segnali la nostra società ci stia mandando e su quali siano in concreto i mezzi per poterli contrastare.
    Questo d’altronde non è un caso limite, esclusivo; ve ne sono, e ve ne sono stati, molti altri. Il gioco dei sassi dal cavalcavia, il gioco del tiro al bersaglio all’università... giochi, giochi di morte e che costano la vita a degli esseri umani. Probabilmente questi ragazzi non si rendono conto delle azioni che compiono, del valore che la vita ha. Sembra che ci sia una totale assenza di coscienza nelle menti di queste persone, che noi definiremmo «criminali». Ma che forse non lo sono. Il vuoto di senso che la vita ha per loro è, probabilmente, da ricercare ben oltre. Nel gioco della vita le due ragazze hanno deciso di giocare con la morte. L’amicizia che le legava si è trasformata in odio e ha fatto sì che due giovani si macchiassero di questo orrendo crimine, tanto più perché compiuto su colei che dicevano essere loro amica. E l’amicizia, per i giovani, è il sentimento più importante. Le confidenze... ogni dubbio, gioia, i segreti, anche la più piccola cosa viene confidata alla migliore amica e mai penseremmo che lei possa farci del male, possa odiarci. In paese c’è chi non ha creduto che Annamaria e Mariena, di ottima famiglia, ottima estrazione sociale, ottima istruzione abbiano compiuto una tale azione. Com’è possibile? Giovani, intelligenti, belle, istruite... quale assurdo motivo può esserci, allora?
    Le indagini compiute sul mondo giovanile spesso ci mostrano una rosea fotografia dei giovani d’oggi: vogliono sognare un mondo più bello, più pulito, più giusto... e affermano di sentirsi pronti per migliorarlo. Spesso però l’altra faccia della fotografia, potremmo utilizzare l’espressione «negativo», ci rappresenta proprio i giovani protagonisti di atti criminosi, violenti e, nel contempo, inspiegabili. Ma, allora questi ragazzi cosa ricercano? Per dare un senso alla loro esistenza non scelgono la strada della vita ma quella della morte, e sono pronti a correre dei seri rischi pur di provare forti emozioni. Sono, probabilmente, dei giovani stanchi e annoiati, avvertono magari la loro esistenza come banale e monotona e non sono in grado di interrogarsi sul significato dei valori di fondo della vita. Hanno tutto, possiedono tutto: motorino, cellulare, denaro. Basta guardare come vestono. Ma non riescono però a mettersi in discussione di fronte ai problemi del mondo o a confrontarsi con le sofferenze. Queste dinamiche generano solo egoismo e ci vuole poco poi a compiere atti vandalici allo stadio contro un tifoso dell’opposta tifoseria, o addirittura degli omicidi, il rinnegamento più totale della vita. È il desiderio di onnipotenza che pervade molti giovani di oggi. Bombardati dai mass-media che ci propinano ad ogni pasto l’uomo forte e virile, potente e ricco o la femme-fatale, seducente e ammaliatrice, naturalmente senza un filo di cellulite, il giovane di oggi si sente disorientato. L’ideale, il modello della tv è diverso dal sé che porta dentro ed è molto facile cadere in crisi.
    Di fronte alle sue crisi il giovane non trova risposte. Non ha conferme da parte delle istituzioni, dello Stato, della Chiesa, e più che mai da parte della famiglia, la cellula originaria, il fulcro vitale da cui dovrebbe trarre sostentamento, da cui si proviene e verso cui si va ma dentro cui spesso vive ostacoli, risentimenti, divisioni e, in taluni casi, perfino violenza. Cosa offrirà di se stesso un giovane quando ha ricevuto in eredità l’ordine di capitalizzare il futuro in maniera remunerativa e utilitaristica, senza aver appreso a cogliere le sfumature di senso dell’esistenza e a capire quale spessore abbiano i sentimenti. Perché sul banco della vita il ragazzo come modello ha un padre che molto spesso «predica bene, ma razzola male» e queste incongruenze di fondo si pagano, e il costo è elevato. Poi ci chiediamo perché abbiamo il ragazzo apatico, disinteressato alla politica, alla crescita civile della sua comunità, insofferente dinanzi ai mali degli altri; perché abbiamo la adolescente anoressica che vuol essere come la Campbell di turno, il giovane disadattato, giovani che utilizzano il sesso come mero piacere, giovani madri che, ansiose di disfarsi del loro scomodo figlio, lo gettano nel cassonetto, giovani che si drogano per provare nuove emozioni e giovani che si spingono, infine, all’esaurimento delle emozioni, a gesti estremi. Ci vuole poco a creare un assassino. Il disagio giovanile è frutto della incomunicabilità, di mancanza di dialogo tra le generazioni, di assenza di punti di riferimento solidi che non rassicurano i giovani e non danno loro certezze per l’avvenire.
    L’apparente mancanza di coscienza dell’omicidio per le due giovani in questione può essere prova di come si sia verificato in loro un distacco tra fantasia e realtà, di quanto non abbiano saputo gestire opportunamente un rapporto affettivo molto intenso, dove hanno trovato sfogo la morbosità e la dipendenza psicologica, in cui ha dominato la gelosia, l’invidia, la smania di onnipotenza, e che ha finito per trasformarsi in sentimento d’odio.
    Inoltre il vaneggiare visioni, la frequentazione assidua del macabro che parla di mancanza di un legame di fondo con la spiritualità, vissuta senza parametri o regole e che un esatto linguaggio religioso non è mai riuscito a decodificare. Oppure le due ragazze possono aver agito semplicemente poiché spinte da un lucido piano criminale. Alternativa ancor più inquietante, ma che di istinto ci rifiutiamo di credere perché ammetteremmo che la società sia minata alla base, sin nelle radici, in quelli che consideriamo il nostro futuro, i giovani, e che la fonte stessa della speranza possa essere avvelenata.
    Ma dobbiamo anche chiederci: come si può arginare questa violenza espressa (e inespressa) dei giovani, dettata dalla mancanza di amore? come possiamo farli innamorare dell’Amore? Un primo, emblematico passo è stato compiuto. Proviene infatti dalla famiglia di Annamaria che tenta di trovare una giustificazione al gesto della figlia tramite una lettera indirizzata ai genitori di Nadia, e chiede perdono. Anche le famiglie delle due ragazze, dunque, si interrogano in questo momento su questa situazione infelice e anch’esse hanno sicuramente un estremo bisogno di aiuto. Per qualsiasi motivo Annamaria e Mariena abbiano compiuto tale azioni crudele hanno comunque diritto ora a ricostruire la propria esistenza. E gli altri giovani hanno diritto a non correre lo stesso rischio.
    Gli interrogativi sono tanti, e necessitano, prima che di risposte degli esperti, di un silenzio di riflessione, dove trovino eco e ascolto le domande grandi che in genere ricacciamo sempre di più in un angolo della nostra coscienza, quando non fuori di essa: perché accadono questi fatti sconvolgenti, e quali radici hanno, e di cosa hanno bisogno i giovani per la loro vita, e cosa possono gli adulti, e quali valori bisogna coltivare e far coltivare ai giovani, e quale risposta dalla società, dalle istituzioni, e in particolare dalla Chiesa. E di quali risposte religiose i giovani necessitano e quale invece la risposta della religione ai giovani. E se si può e si deve imparare a perdonare.
    Fatti concreti potranno nascere solo dopo che abbiamo dato una risposta a queste domande.


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