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    L’incomunicabile compattezza delle piccole tribù



    Censis

    (NPG 1998-05-47)


    È nei processi di socializzazione culturale, nei sottili e tenaci percorsi che danno identità e senso ai soggetti e ai gruppi, che la dimensione micro dell’assestamento (che sembra la dinamica sociale caratterizzante il 1997) si manifesta forse con maggior evidenza. Micro non tanto per la numerosità dei gruppi (i piccoli gruppi informali analizzati dalla sociometria) quanto piuttosto per gli spazi ridottissimi della ricerca espressiva.
    Nuovi circuiti, nuove tribù aggregano individui eterogenei per cultura, età ed estrazione sociale intorno ad un rito musicale, a un oggetto-totem (la moto) o più semplicemente intorno ad un particolare tipo di consumo (i trattamenti estetici, il consumo di hi-fi).
    Innovazioni tecnologiche sofisticate e costose che servono a sentire un suono in maniera più «calda» o più «morbida», coreografie complicatissime per fare un po’ di moto, tatuaggi fantasiosi per vestire il corpo, piccole invenzioni per mettere alla prova resistenza fisica e nervosa, diventano luogo virtuale di incontro e di partecipazione in cui però le dimensioni dell’incontro e della partecipazione vanno rilette secondo nuovi paradigmi.
    L’impressione è che, perso il senso dei grandi progetti, si cerchino oggi spazi di assestamento nella costruzione paziente e un po’ dolorosa (di un muscolo, come di un tatuaggio) di un personalissimo linguaggio espressivo: e questo sforzo di esprimere identità passa attraverso formule eterogenee (la pittura sul corpo come il free climbing) che usano un idioma da iniziati, prevalentemente espresso in lingua inglese, quasi a posizionarsi in una dimensione di per sé globalizzante.
    Osservando le tante manifestazioni di microsocializzazione, ci si accorge che è possibile individuare alcuni punti di inanellamento, alcuni codici ricorrenti, alcune antropo-logiche: il corpo, l’estremo, la tecnologia.
    Il corpo viene costruito, scolpito, dipinto, forato: diventa carta per esercizi calligrafici, laboratorio per sperimentazioni estreme, di resistenza e di controllo, esaltato e preservato oltre ogni ragionevole ambizione, messo alla prova in sport dove il rischio è previsto, calcolato o solo vissuto. In questo senso la tribù Internet che usa la rete e dunque la tecnologia per negare il corpo e regalarsi identità sempre nuove (si parla dell’espansione consapevole delle «personalità multiple») porta forse al confine ultimo la stessa filosofia del corpo, dopo tutto il progressivo tentativo di trascendere il corpo stesso.
    Si potrebbe ravvisare in questi percorsi una tensione alla spiritualità, ma ci si sbaglierebbe: semmai sembra più l’espressione del bisogno di trascendere i propri limiti e confini corporei per essere qualcun altro, per andare in qualche altro luogo, per assumere, magari solo virtualmente, un’altra identità.
    Si «ricomincia da se stessi» per alienarsi e andare oltre: in questo senso i tanti circuiti di nuova identità pulsano di energia a basso voltaggio, ma comunque appaiono vitali, segno di un bisogno che cerca comunque soddisfazione e non sia ancora annichilito in un’opacità senza trasparenze.
    E, peraltro, si tratta di circuiti che non hanno il carattere oppressivo e totalizzante delle sette, pur condividendone alcuni aspetti, quali la ritualità, il codice criptico, la subcultura fatta di leggende.
    Ogni tattoo-club, ogni associazione per sportivi no-limits, ogni tribù Internet accomuna individui tra loro diversissimi, che condividono un interesse quasi maniacale ma solo quello, in una relazione occasionale seppur ritualizzata, in incontri a forte investimento simbolico eppure facilmente rinunciabili.
    Del resto, questa tendenza al rimescolamento, alla promiscuità d’anima è rintracciabile anche in altri comportamenti culturali del corpo sociale. Ad esempio nei comportamenti giovanili rispetto all’uso del tempo libero e al consumo culturale, sempre più improntati ad una logica di contaminazione, di laicizzazione.
    Una recente indagine Censis sui consumi culturali dei giovani ha evidenziato a questo proposito come l’universo giovanile non si divida nelle modalità del consumo, secondo modelli coerenti al loro interno: il giovane «colto», il «deprivato» e così via.
    I percorsi e i modelli del consumo si articolano in gruppi al loro interno contraddittori, in cui tratti e segmenti di modelli differenti coesistono senza elidersi. E così scopriamo che l’universo giovanile si può articolare in sottouniversi differenziati, in gruppi che assommano comportamenti al loro interno contraddittori. Se si esclude il gruppo di quanti si tengono lontani da qualunque forma di consumo culturale, si scopre che nella categoria di giovani «forti lettori» non si coltivano solo la letteratura e l’informazione politica ma anche fumetti e fotoromanzi. E che tra quanti si affidano alla civiltà delle immagini e ai varietà televisivi ci sono molti più giovani informati di quanto si crederebbe.
    Dunque, soggetti diversi coltivano interessi e passioni apparentemente contraddittorie; giovani e non più giovani edonisti sono disponibili a rispondere ai richiami di una sollecitazione colta; ragazzi di buone letture si abbandonano senza problemi alla lettura vorace di un fumetto.
    Le categorie e le culture si alterano, si scompongono, passano lievi da un’esperienza di rafting a un raduno new age a una serata ad applaudire la drag-queen del momento.
    E questo popolo di tribù di sconosciuti, che dell’altro conoscono forse solo l’e-mail e qualche particolare interesse, sta acquattato ma pronto a mobilitarsi intorno a figure e eventi simbolo: il Papa a Parigi, la glorificazione di Diana.
    Superficiale sarebbe liquidare questa disponibilità come ipersensibilità al carisma di figure mediatiche, come labilità emozionale di massa. I tempi che verranno riusciranno forse a rintracciare il bandolo di questa millenaristica nuova socialità.

    (31° Rapporto Censis – 1997)


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