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    La figura di Cristo nel CdG



    Bruno Maggioni

    (NPG 1998-02-30)


    Le scelte

    È sufficiente dare uno sguardo al catechismo dei giovani/2 per accorgerci che la figura di Cristo – per figura si intende la persona e la vita di Gesù, non soltanto le parole – occupa un posto centrale nell’insieme del catechismo come in ogni sua parte.
    La figura di Cristo è dominante dal primo all’ultimo capitolo.
    È questa una scelta che non poteva non orientare verso un metodo preciso: non un cammino da Dio a Cristo, e nemmeno (prevalentemente) dall’uomo a Cristo, ma da Cristo a Dio e all’uomo. È un cammino che offre – o può offrire – due vantaggi: una forte sottolineatura della novità cristiana (una nota, questa, molto presente nel catechismo), e la possibilità di far emergere la domanda dall’incontro, come del resto spesso avviene nelle cose della vita.
    Se si parte soltanto – o anche prevalentemente – dalle domande che l’uomo già sente dentro di sé, c’è il rischio (specie per i giovani) di arrivare a Gesù stretti nelle loro proprie domande, incapaci di cogliere tutta la bellezza del vangelo, che non raramente esige che l’uomo corregga – o addirittura cambi – le proprie domande.
    Se si parte, invece dalla figura di Gesù e dalla sua proposta, allora c’è la possibilità che l’incontro faccia sorgere domande più ampie e più consone. Il vangelo fa sorgere le domande, non soltanto le risposte. Il vangelo apre orizzonti più larghi dei bisogni che l’uomo immediatamente già avverte.Il fascino della figura di Gesù può far sorgere desideri prima neppure avvertiti. Ovviamente si deve far leva (anche) sulla bellezza del vangelo – della sua concezione di Dio e dell’uomo e della sua proposta di vita – non soltanto sulla sua utilità.
    C’è una seconda scelta che caratterizza profondamente questo catechismo, e cioè il suo carattere biblico. La convinzione che la Parola di Dio ha un’efficacia – anche antropologica – che altre parole non hanno. Nessun’altra parola, più di questa, sa parlare di Dio e dell’uomo anche ai giovani. E in nessun’altra parola, più di questa, Dio è presente con la sua forza. E nessun’altra parola, più di questa, è in grado di formare cristiani maturi e liberi.
    Una terza scelta: questo catechismo è sostanzialmente un racconto. Un metodo, questo della narrazione, che non soltanto è accattivante, ma evangelico.
    Corrisponde infatti al modo di rivelarsi di Dio, che trova il suo punto di compimento e di maggior densità nella storia di Gesù. Tutto – anche gli aspetti più dottrinali ed esistenziali – vengono colti nella narrazione degli eventi di Gesù: chi è Gesù, chi è Dio, chi è l’uomo, quale progetto di vita.

    Un catechismo kerigmatico

    Ovviamente è un catechismo kerigmatico. Dico «ovviamente» perché si tratta di una proposta rivolta ai giovani che hanno bisogno di un impatto forte, essenziale e coinvolgente con il vangelo. Ma dico «ovviamente» anche perché qualsiasi crescita nella fede esige un continuo ritorno a quel nucleo che tutto sorregge e a tutto dà senso. Il primo annuncio è un fatto permanente. Questo catechismo – lo ripeto – non pretende dire tutto, ma il «centro» capace di colpire il giovane globalmente, nell’orientamento profondo (non subito nei singoli particolari), svelandogli il divario fra ciò che il vangelo dice veramente e ciò che invece suggerisce la mentalità corrente e anche – perché no? – una certa visione scolorita della fede, purtroppo diffusa. Il giovane ha il diritto di incontrare una proposta che lo stupisce. Una vera scoperta di novità.
    La narrazione procede come a tre livelli, l’uno nell’altro, quasi senza soluzione di continuità. Il filo conduttore è la figura di Gesù (persona e storia), che procede in un alternarsi di segni di potenza e di debolezza (la potenza per dire che Gesù è Figlio di Dio, la debolezza per mostrare quale Figlio di Dio).
    Nello spazio di Gesù si svela il volto di Dio (un Dio sorprendente!) e in questo stesso spazio si svela anche la verità dell’uomo e il progetto di vita a cui è chiamato. I vantaggi di questo modo di procedere sono più d’uno. Per esempio, ancora una volta, la compattezza del discorso. E poi la profonda unità fra rivelazione di Dio e vita dell’uomo.
    Il progetto infatti non trova la sua figura anzitutto in una serie di comandamenti, ma nella vita di Gesù, addirittura nei tratti del volto di Dio che Egli ha rivelato. Quindi una morale molto radicata nella teologia. Anche l’oggi è continuamente presente nel discorso, ma non a lato della narrazione cristologica, né semplicemente ad essa accostato, ma dentro la narrazione. L’attualità è nella storia di Gesù, nella figura di Dio e di discepolo che in essa si svela. Questo è possibile perché il catechismo cerca di mostrare anzitutto un’attualità di fondo, di logica – kerigmatica appunto – non anzitutto un’attualità nei confronti delle singole questioni che possono interessare l’uomo d’oggi. Dunque un catechismo – da questa angolatura – certamente incompleto, però essenziale, capace di andare alla radice. Forse su questo punto il catechismo poteva essere anche più coraggioso! Certo la radice non basta a fare un cristiano. Ma se la radice non è esplicitata, le molte diramazioni non si reggono. E poi non sono i singoli aspetti che affascinano e convertono, ma la radice. Il vantaggio più importante, infine, è che il giovane è subito posto di fronte al Dio di Gesù, per darvi il suo consenso o per dire il suo dissenso. Un volto sotto molti aspetti nuovo, persino capovolto. Una novità non soltanto nei confronti del sentire mondano, ma anche nei confronti di un sentire cristiano di maniera.

    (da Orientamenti Pastorali 97/9)


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