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    La carica dei pupi-bulle



    Franco Garelli

    (NPG 1998-05-50)


    Nel nostro Paese, circa il 35% dei bambini delle elementari e il 20% dei ragazzi delle medie inferiori si dichiara vittima di qualche forma di violenza a scuola. La metà di essi denuncia di subire prepotenze almeno una volta la settimana. Ma accanto alla protesta delle vittime c’è anche la candida e disarmante ammissione dei prevaricatori. Il 23% di chi va alle elementari e il 18% di quelli delle medie ammettono di compiere delle violenze a scuola. Come se le percosse, gli insulti, i furti, le minacce fossero ormai una componente normale del clima scolastico, come se la violenza agita fosse motivo di compiacimento.
    Altro che «età dell’innocenza», con un mondo di minori che conta non solo vittime, ma anche vari carnefici. D’accordo che si tratta di una violenza diversa da quella estrema di cui è piena la cronaca, con minori violentati, uccisi, spariti, costretti a prostituirsi, merce di scambio di un mercato immondo. Ma occorre rendersi conto che non esistono soltanto i soprusi, le grandi prevaricazioni; e che a fianco dei casi brutali che in modo ricorrente riempiono i giornali e la tv si registrano varie forme di violenza da vita quotidiana. Proprio come il bullismo a scuola.
    I dati riportati sono frutto di una vasta indagine che un’équipe di psicologi ha realizzato in otto regioni italiane, intervistando 2600 bambini delle elementari e 4600 ragazzi delle medie inferiori. Ne è nato Il bullismo in Italia, un libro a cura di Ada Fonzi (Giunti editore), che fotografa l’allarmante «fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia»; una realtà più diffusa e inquietante di quanto si pensi, di cui parla poco, che nemmeno gli insegnanti sanno come affrontare e contrastare.
    Il termine bullo non evoca necessariamente reazioni drastiche, legato com’è nell’immaginario collettivo al film Bulli e pupe del 1955, con Marlon Brando e Frank Sinatra. L’etichetta si applica a un bellimbusto, a una persona spavalda, dall’aria sfrontata e dal vestire vistoso, assai scomposto e ridicolo nella sua voglia di guadagnarsi il centro della scena e di fare conquiste sessuali. Era un personaggio ricorrente nell’Italia della ricostruzione post-bellica e del boom economico, interpretato a pennello da Alberto Sordi in molti film dell’epoca; un po’ il precursore di quelli che oggi, nel gergo giovanile, sono definiti gli zarri, i tamarri, i tarri. Ma il termine bullo richiama anche i teppisti, siano essi i teddy boys o la gioventù bruciata di un tempo, oppure quelli che ancor oggi usano la violenza e la trasgressione per affermarsi. È a questa accezione negativa che si collegano le ricerche sulle prepotenze a scuola.
    Bullismo a scuola significa colpi proibiti, furti, taglieggiamenti, offese pesanti, soprusi individuali e raid di gruppo. Oltre a ciò è frequente l’isolamento fisico, lo stigma persistente, la crudeltà psicologica. Siamo dunque ben oltre la categoria dei dispetti, dei litigi, delle incomprensioni. Il fenomeno non è di poco conto e risulta più esteso in Italia che altrove. Da noi infatti – a differenza di quanto avviene in altre culture – il conflitto e le tensioni sembrano più tollerati e meno dirompenti, non provocano immediatamente la rottura dei rapporti.
    Ciò non toglie che questo «gioco» sia crudele e doloroso. La maggior parte dei minori non ne è coinvolta, ma non sono pochi quelli che se ne rendono protagonisti e quanti recitano la doppia parte di vittime e di carnefici. Si tratta di dati che trovano varie conferme locali. Così, un anno fa, in una scuola media di Torino di un quartiere «normale», il 15% dei ragazzi ha denunciatoi essere stato picchiato, oltre il 25% di aver subito ricatti, circa la metà di essere stato deriso, il 70% di aver assistito a episodi di violenza sui compagni. Il clima poi non migliora certo all’uscita da scuola, con la presenza sovente minacciosa di ragazzi più grandi estranei e con scherzi pesanti ai più piccoli.
    Molte prepotenze sono individuali, altre fanno parte di un rituale di gruppo. Entrambe si consumano perlopiù tra compagni della stessa classe, sono tipiche di un branco alla ricerca di capri espiatori, calamite di tensioni e di difficoltà che non si scaricano altrove. Sottili legami si creano tra persecutori e vittime, in questo mondo sommerso di ingiustizie e di sofferenze. Il minore soffre quando è soggetto di prepotenze e ingiustizie, ma anche quando la sua ribellione – che sfida la connivenza di coetanei e adulti – lo condanna all’isolamento. Oltre che in classe (anche durante le lezioni). Il bullismo si manifesta nei corridoi, nei cortili e nei bagni delle scuole, in particolare nei cambi d’ora.
    Le forme sono assai varie. In una scuola napoletana, due ragazzini, figli di noti boss della zona, hanno assunto il comando della classe, assegnando i posti ai loro compagni e sottoponendoli ad angherie varie. In un’altra scuola del Sud, un’insegnante è stata costretta a rifugiarsi in presidenza per sfuggire a alcuni alunni che volevano scipparla. Dappertutto, si segnalano casi di ragazzini che devono sottostare alla volontà dei più forti, rifornendoli regolarmente di soldi e di cibarie, portando loro gli zaini e le cartelle, accettando soprusi di ogni genere per evitare conseguenze più gravi. La dura vita dei «primini» sconfina dunque ben oltre la goliardia, esprime episodi di vero e proprio nonnismo.
    Molte ragazzine lamentano da parte dei maschi attenzioni e pressioni oscene. «Mi mettono le mani addosso, mi toccano il sedere, il seno e anche parti intime», dichiarano alcune; altre denunciano compagni che continuamente «mi chiamano puttana», «che mi chiedono quando prendo all’ora e dove batto». In altri casi si gioca alla malattia infettiva, per cui chi tocca la vittima rimane contagiato e tutti si ritraggono schifati. E poi «mettono in giro delle storie pazzesche, perché io non ci sto»; oppure «mi ignorano del tutto, per tanto tempo, facendoti sentire una merda». Ma alcune ragazzine non sono da meno e diventano le carnefici di altre coetanee, intessendo ignobili storie e ricorrendo abbondantemente al turpiloquio. Il bullismo dunque assume forme sottili e articolate, in cui prepotenze fisiche e verbali si alternano e atteggiamenti di esclusione e negazione di identità.
    In questo clima diffuso di violenza e prevaricazione, si registrano alcuni picchi particolari. Anche nel nostro Paese, come altrove, il bullismo a scuola (sia subìto sia agito) colpisce di più nelle elementari che nelle medie. Nei primi anni di scuola il tasso di aggressività è più alto. Col passare del tempo, con l’ampliarsi degli interessi e delle relazioni, le tensioni diminuiscono e trovano altri campi di sfogo e confronto. I ragazzi delle medie sono anche più in grado di mettersi nei panni degli altri, di riconoscere le emozioni altrui, fatto questo che li porta a infierire di meno sui più deboli. L’area di Napoli sembra poi eccellere anche in questo campo, ma anche Bologna non è da meno, mentre varie zone del Piemonte (e di altre regioni) vantano bambini terribili.
    In ogni classe, in media, vi sono due-tre «carnefici» incalliti e due-tre vittime designate, reciprocamente attratti da uno strano gioco della natura umana. Entrambi i gruppi sono ormai prigionieri del loro ruolo, incapaci di liberarsi di un abito cucito loro addosso da varie circostanze. Gli uni si realizzano minacciando e picchiando, gli altri sono attanagliati dalla paura, temono l’isolamento, sono continuamente sull’orlo di una crisi di nervi. Alcuni bambini sembrano particolarmente predisposti a essere il bersaglio di prepotenze, o per questioni fisiche o per tratti caratteriali o per particolari comportamenti scolastici. Per contro, altri sembrano avere i cromosomi della violenza, sia perché ormai prigionieri del cliché di bullo, sia perché figli di una società che tollera la violenza e di famiglie in cui prevale la sopraffazione.
    Molte giovani vittime denunciano l’indifferenza dei coetanei e non si attendono un particolare aiuto nemmeno dagli adulti. Gli insegnanti invece manifestano perlopiù impotenza, anche se non mancano i casi di connivenza, un po’ per quieto vivere e un po’ per la sottovalutazione del fenomeno. Alcuni insegnanti si sentono essi stessi minacciati e paiono disarmati nei confronti del bullismo minorile. «Il problema – dichiara una di esse – è che molti non hanno l’idea che il gruppo e la classe vanno costruiti». Come a dire che non si può sempre giocare in difesa, che occorre prevenire creando interesse, coinvolgimento, passione. In tutti i casi non si tiene conto delle conseguenze del fenomeno, di quanto il clima di violenza tra minori possa condizionare il loro futuro.
    La cattiva pedagogia delle istituzioni (cui si imputa anche lo scarso senso civico che caratterizza il Paese) passa anche per la violenza sui banchi di scuola. Come ricorda Norberto Bobbio «nulla educa alla democrazia più dell’esercizio della democrazia».

    (La stampa, 25 agosto 1997)


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