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    Il CdG per un progetto di pastorale giovanile



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1998-02-32)


    OLTRE LA CATECHESI GIOVANILE

    Il «Catechismo dei Giovani/2» (il suo titolo è Venite e vedrete; lo citerò in seguito con la sigla CdG) è un testo di catechesi. Propone una sintesi dell’annuncio cristiano, progettata per risuonare come significativa e salvifica nell’attuale situazione giovanile.
    A prima vista, non si preoccupa esplicitamente dei molti problemi metodologici che invece rappresentano il centro di un buon progetto di pastorale giovanile.
    Sembra, di conseguenza, un riferimento prezioso solo per chi concentra interesse e risorse sulla catechesi giovanile, nella fatica di assicurare una piena fedeltà all’annuncio cristiano nella fedeltà alla persona dei destinatari di questo stesso annuncio. Non è però così. Va detto forte, per non relegarlo nell’ambito dei soli addetti ai lavori. L’ho letto, infatti, dal punto di vista dei modelli e dei metodi dell’azione pastorale, e mi sono presto convinto che il CdG può rappresentare uno strumento prezioso e autorevole di progettazione pastorale per chi è impegnato direttamente nel terreno della pastorale giovanile oggi. Le riflessioni che seguono hanno la funzione di motivare l’affermazione, mostrando in concreto i suggerimenti che un operatore di pastorale giovanile può ricavare dalla lettura attenta del CdG.
    La mia proposta si muove in tre momenti complementari:
    – metto, prima di tutto, in evidenza la proposta pastorale generale del CdG;
    – sottolineo poi alcune dimensioni operative di questa proposta globale;
    – le rapide note conclusive rilanciano il tutto verso la prassi quotidiana delle nostre comunità ecclesiali.
    Non è inutile ricordare, in apertura, quanto queste mie riflessioni siano parziali rispetto all’oggetto studiato. Lo considerano, infatti, solo da una prospettiva, tra le tante possibili, e corrispondono ad una lettura ampiamente pregiudicata dalla sensibilità di chi la compie. Vanno dunque completate dagli altri contributi di questo dossier, e largamente verificate su altri punti di vista.

    IL CdG COME «STRUMENTO»

    Incomincio dalla prima questione: la scoperta dei contributi che il CdG, nel suo insieme, può offrire a chi è impegnato nell’azione pastorale. Una cosa è certa: non possiamo far coincidere l’azione pastorale della Comunità ecclesiale nei confronti dei giovani con una utilizzazione più o meno ampia del CdG, qualsiasi valutazione possiamo esprimere a proposito del documento.
    Alcuni limiti sono intrinseci alla sua funzione rispetto all’obiettivo che si intende perseguire nell’azione pastorale. Il tema è molto importante e lo riprenderò tra un momento.
    Altri limiti sono legati allo sviluppo dell’azione pastorale stessa. Essa è, di natura sua, più larga di un atto catechistico:
    – in ordine ai referenti: si preoccupa di tutti i giovani e non solo di quelli che accettano di vivere un’esperienza catechistica;
    – in ordine ai soggetti che fanno azione pastorale, titolari di quella molteplicità di azioni che costituisce la pastorale;
    – e, di conseguenza, in ordine ai luoghi dove si svolge l’attività pastorale della Comunità ecclesiale.
    La coscienza di questi limiti non può però far concludere sulla inutilità di un documento di catechesi o sulla costatazione che esso può interessare solo gli addetti ai lavori.
    Come ricordavo aprendo l’articolo, considero il CdG (si noti: questo testo concreto) uno strumento prezioso per la qualità della sua proposta, soprattutto in una stagione di pluralismo, che pone innegabili problemi ad un agire ecclesiale ordinato ed organico.
    Lo strumento è prezioso per quello che dice, vista l’autorevolezza di chi lo dice: nel pluralismo di opinioni inserisce, infatti, un criterio elaboratore con cui non possiamo non confrontarci.
    Per apprezzare il CdG nella pastorale giovanile e raccogliere i suoi contributi, dobbiamo ascoltare la sua proposta in ordine alle questioni che investono colui che è impegnato oggi nel servizio pastorale verso i giovani.

    Quale pastorale?

    La prima questione riguarda l’intenzione di fondo: l’obiettivo globale dell’azione pastorale. Chi fa pastorale giovanile a quale intenzione di fondo intende rispondere?
    Non sempre ci poniamo in modo riflesso un interrogativo del genere. Esso è però pregiudiziale a tutto quello che segue. L’obiettivo (l’intenzione di fondo) determina infatti la scelta e organizzazione delle risorse e i criteri di verifica di quanto è stato realizzato.
    Sulla risposta ad una domanda come questa, le posizioni oggi si dividono. Non lo nota chi si accontenta di espressioni generiche. Lo constata invece drammaticamente chi cerca di dare spessore operativo alle sue affermazioni e si impegna in elaborazioni metodologiche coerenti. Il CdG non dà una sua risposta pronta all’uso, confezionata fino agli ultimi particolari. Non mette, nelle mani di chi vuol far ordine a tutti i costi, un’arma affilata per dividere e discriminare. Il CdG, nel suo insieme, offre però una prospettiva globale molto interessante. Chi la sa recuperare, leggendo tra le righe, e la medita con disponibile attenzione, trova una precisa risposta all’interrogativo sulla intenzione di fondo.
    Ecco, a passi successivi, quello che credo di aver raccolto dal CdG.

    A confronto con una preoccupazione globale
    L’introduzione, firmata dal Presidente della CEI, dà nell’insieme la chiave di lettura autorevole di tutto il CdG. Va letta con attenzione per coglierne il significato e la collocazione. Nell’introduzione non si afferma soltanto che il CdG è destinato ai giovani (con precisazioni di tipo cronologico). Questo è ovvio… ma sarebbe ancora vago. Di questi giovani viene detto l’angolo di prospettiva in cui si colloca il CdG: «esposti alle sfide riguardanti il lavoro, gli affetti, la famiglia, le scelte sociali e politiche, l’uso del tempo libero…» (Presentazione 5).
    I giovani sono indicati così sulle dimensioni che stanno a cuore alle Comunità ecclesiali: gli interrogativi che salgono dalla loro vita quotidiana. La Comunità ecclesiale li sente risuonare nel suo carisma evangelico. Si sente interpellata e cerca, nella sua esperienza, ciò che può essere capace di accogliere, saturare e rilanciare queste sfide.
    Come si nota, al centro delle preoccupazioni del CdG sta la vita quotidiana dei giovani, interpretata sulle dimensioni culturali maggiormente inquietanti, quelle che vengono riconosciute come il luogo del senso e della speranza.

    Un modo di reagire alle sfide
    La Comunità ecclesiale sente la responsabilità di accogliere queste sfide e cerca nella sua esperienza ciò che può elaborarle e risolverle. Evita però quel percorso troppo sicuro, di carattere quasi responsoriale, che potrebbe chiudere il dialogo prima di iniziarlo.
    Il cap. 1 del CdG pone un modello educativo molto raffinato, proprio su questa prospettiva.
    La Comunità ecclesiale riconosce di poter offrire il Vangelo del suo Signore solo a colui che ha saputo riappropriarsi degli interrogativi che attraversano la sua esistenza, sapendo distinguere in essi tra ciò che è appello ad una responsabilità personale più seria e attenta, e ciò che invece diventa invocazione verso quel mistero più alto che ci avvolge. Consapevole di questa urgenza, il CdG aiuta i suoi lettori a rileggere le molte domande che attraversano l’esistenza, per giungere alla loro soglia più profonda e matura. Esso, in qualche modo, restituisce ai giovani la libertà e la responsabilità, proprio nel momento in cui la loro inquietudine esistenziale li poneva disponibili a qualsiasi venditore di risposte sicure.
    Il lungo cammino educativo è orientato perciò a porre la vita quotidiana al centro, per cogliere in essa la grande ricerca di «speranza»: di ragioni per credere alla vita, nonostante il drammatico confronto con ciò che la minaccia. La domanda diventa, di conseguenza, ricerca di speranza, e non, prima di tutto, ricerca di detentori o di propositori di speranza. L’indicazione è importante, e la riprenderò più avanti, commentando il cap. 1 del CdG.

    Uno stile di risposta
    Maturata la domanda e restituita alla responsabilità del domandante, la Comunità ecclesiale può offrire la sua risposta. Lo fa, secondo il suggerimento del CdG, raccontando una esperienza: la storia del suo Signore e di coloro che l’hanno accolto come una ragione di vita, su cui fondare la propria speranza. Questo racconto fiorisce come «bella notizia» perché viene dal vissuto di testimoni e ritorna al vissuto degli interlocutori. Soprattutto, però, è davvero «bella notizia» perché è racconto di una storia, con la costante preoccupazione di far risaltare i tratti di novità di vita che esso è capace di assicurare. Il processo non si conclude a questo livello. Sarebbe insufficiente, minacciato dal pericolo di abbandonare poi quella vita quotidiana che ha lanciato l’interrogativo. Il CdG invita i suoi lettori a ritornare alla vita, dalla prospettiva nuova della speranza, incontrata e sperimentata. Qui si colloca un’altra interessante e preziosa novità del CdG.
    Il ritorno alla vita non è nella logica della deduzione, cara a certi modelli moralistici, sempre pronti a elencare… i «doveri» dei discepoli di Gesù. La prospettiva è molto diversa. Fa eco all’invito di Paolo: «Siamo dei risorti con Cristo… cerchiamo di vivere da risorti». Il ritorno alla vita, in altre parole, è l’esito dell’incontro con Gesù: chi ha ritrovato quella ragione di speranza che cercava per la sua vita quotidiana, vive la sua stessa vita, dando ragione nei fatti della speranza, incontrata e sperimentata. Le grandi sfide (ricordate poco sopra) hanno trovato una loro elaborazione nell’incontro ecclesiale con Gesù il Signore. Ora la vita le esprime in una novità evangelica.

    La riscoperta della Comunità ecclesiale

    In questo itinerario la Comunità ecclesiale ritrova il suo significato più pieno: essa è il soggetto che racconta la grande avventura della speranza. Racconta a parole, annunciando il Vangelo del Risorto. Racconta, prima di tutto, però, con i fatti, facendo sperimentare nel suo ritmo di esistenza (la vita ecclesiale e la vita sacramentale) che davvero è possibile sperare e vivere nella speranza. Anche questo rappresenta un contributo originale del CdG. Siamo abituati a trovare, infatti, nei testi di catechesi, almeno un capitolo dedicato alla Comunità ecclesiale e qualche altro capitolo dedicato alle azioni liturgiche che essa realizza. Qui invece non c’è né l’uno né l’altro. Non è una svista… né un cedimento. Il tema della Chiesa e della sua attività percorre tutta la parte kerigmatica del CdG: la Chiesa è il soggetto dell’annuncio e si presenta (anche in azione: nell’attività liturgica e sacramentale) proponendo l’esperienza del Signore Gesù e della fede che ha suscitato nei suoi discepoli.

    La funzione educativa dell’annuncio
    Desidero sottolineare un altro contributo del CdG, che valuto prezioso.
    Viviamo in una stagione di larga soggettivizzazione. Essa è frutto di processi strutturali, i cui esiti culturali sono sotto gli occhi di tutti.
    Nell’ambito ecclesiale molti sono giustamente preoccupati di quello che sta capitando. Basta pensare a fatti di immediata constatazione: fragilità e selettività delle scelte, anche di quelle più decisive, incertezze e ritorni inspiegabili, scarsa conoscenza dei contenuti dell’esperienza cristiana e forte relativizzazione delle sue esigenze, relativismo etico…
    Da molte parti la reazione non si fa più attendere. Stiamo cercando rimedi e spesso lo facciamo sull’onda impulsiva di chi teme di essere ormai alle corde. Qualche volta sembra che il rimedio possa stare solo nella ripetizione di quello che per tanto tempo appariva fuori di ogni contestazione.
    Il CdG reagisce in modo forte alla diffusa situazione di relativismo dottrinale (conoscitivo ed etico). Lo fa però in uno stile che va scoperto e recuperato, per non ridurlo ad una benedizione ingiustificata dei tempi trascorsi. Ci spendo qualche parola per poter raccogliere, in modo consapevole, questa importante proposta del CdG.
    Ho appena ricordato che il CdG intende collocarsi nel centro delle sfide che l’attuale situazione giovanile lancia, per consegnare ragioni di speranza alla vita quotidiana dei giovani.
    La questione della vita e della speranza riguarda tutti. Non può di certo ridursi a qualcosa cui sono interessati i pochi fortunati frequentatori delle attività catechistiche. Va riscoperto con forza e coraggio: la vita è problema comune e solo una soluzione comune di questo problema può assicurare una qualità vivibile per tutti. La mancanza di speranza scatena i molti gesti inconsulti e tragici di cui siamo quotidiani tremanti spettatori.
    La Comunità ecclesiale, impegnata a servire la vita, cerca qualcosa da offrire a tutti. Non le basta, di sicuro, possedere un documento, che dica chi è il Signore per noi. La coscienza dell’insufficienza non dipende dal fatto che il documento sia più o meno bello, più o meno riuscito. Dipende dalla cosa in sé: dalla natura di un documento rispetto all’intenzione che sta a cuore.
    Ogni documento (dunque anche questo…) ha, infatti, due limiti intrinseci: non aiuta a costruire la speranza… perché il problema è esistenziale e non culturale; non aiuta tutti a costruire la speranza, perché è, di natura sua, discriminante (nel senso, ovvio, che dice qualcosa solo a coloro che hanno il coraggio di assumerlo e di meditarlo).
    Non è dunque sufficiente un rilancio della catechesi per assicurare l’obiettivo della pastorale giovanile, se esso riguarda, come ricordavo poco sopra, la vita e la speranza dei giovani. La Comunità ecclesiale è impegnata ad inventare e a consolidare qualcosa di molto più vasto e pervasivo, in collaborazione con tutti coloro che vogliono la vita e una sua qualità nuova nella speranza.
    Certo, viste così, le cose sembrano trascinarci verso il rischio della rassegnazione… Sono tanto grandi i compiti e limitate le risorse… che l’unica prospettiva saggia e quella della resa o… del dialogo con i pochi disponibili. La prima soluzione e la seconda lasciano però drammaticamente scoperto il problema. Sono quindi false e pericolose soluzioni.
    Il CdG suggerisce un’alternativa: il coraggio di ridiventare propositivi, riscoprendo il servizio alla vita e alla speranza che viene realizzato nell’annuncio, pieno e autentico, del Vangelo di Gesù.

    Il modello comunicativo

    È fuori dubbio che il CdG si colloca nell’area di coloro che vogliono un annuncio cristiano senza mezzi termini e senza indebiti aggiustamenti. Il lungo tracciato di temi e la costante preoccupazione di non perdere nulla di essi per strada, non può essere ascritta a sciocca pedanteria. Risponde invece a questa esigenza ecclesiale irrinunciabile. Il modello comunicativo utilizzato rappresenta però la qualità dell’annuncio: «cosa dire» e «come dirlo» sono due facce della stessa preoccupazione.
    Questo è molto importante: il CdG propone un modello di comunicazione della verità e, facendo questo, rilancia l’invito ad offrire con coraggio la verità evangelica.
    Mostra però fattivamente, nell’articolazione e nello sviluppo delle sue pagine, un modo molto preciso e collocato di comunicazione della verità evangelica. Chi scollega i due elementi (il contenuto e il modello) tradisce l’uno e l’altro.

    Come realizzare l’annuncio
    La forza propositiva viene assicurata quando la proposta sa inserirsi nelle dinamiche culturali dei partner della comunicazione. Diventa sostegno e sollecitazione alla libertà e responsabilità quando sa formularsi in un modello comunicativo adeguato all’evento e agli interlocutori.
    A questo proposito, il CdG assume il modello narrativo come la base comunicativa dell’annuncio. I capitoli che riguardano l’annuncio di Gesù e del suo regno sono una grande narrazione di eventi, destinata a suscitare stupore e decisione, superando ogni logica intellettualistica. Non bastano di sicuro a rovinare questa logica dominante i paragrafi, inseriti frettolosamente all’ultimo momento, su aspetti meno rilevanti per l’annuncio… che ogni lettore intelligente può scoprire personalmente.
    Il modello narrativo riporta la comunicazione nella sfera esperienziale (dallo stupore alla decisione), superando quella solo espositiva e conoscitiva (destinata ad aumentare e a verificare il bagaglio delle informazioni possedute).

    Il contenuto dell’annuncio
    Prezioso è anche il secondo aspetto, da sottolineare per restituire all’esigenza propositiva quella forza educativa che il CdG possiede.
    Non basta ricordarci il dovere di ridiventare propositivi. Abbiamo anche il dovere di condividere il contenuto dell’annuncio.
    È troppo facile dare per scontato il contenuto dell’annuncio, concludendo che esso coincide con la fede di sempre, quella che la Comunità ecclesiale testimonia con autorevolezza da sempre. Questo è vero, ma non è tutto. Il CdG non ha scelto la strada dell’adattamento di una verità alla misura dei destinatari. Così facevano i catechismi tradizionali, che possedevano persino la formula lunga e quella breve… come tentativo estremo di adattamento intellettuale.
    Ha scelto la via, più impegnativa e decisiva, della formulazione «incarnata» nella situazione dei destinatari. Al CdG sta a cuore la speranza per la vita nel nome e per la potenza del Signore Gesù. Dice quindi il suo Vangelo e lo dice dentro le sfide che il mondo giovanile lancia.
    Dice il Vangelo di Gesù: propone cioè una persona, che ha un suo messaggio, che altri hanno vissuto, sperimentato e accolto. Non si può infatti rispondere ad una domanda di vita con un elenco di informazioni da acquisire.
    Dice il Vangelo dentro le attese dei giovani, in questa stagione culturale e sociale. Per questo è veramente «catechismo dei giovani». Forse non tutto è riuscito come era nelle intenzioni degli estensori. La fretta di concludere ha vanificato un poco le intenzioni nelle pagine conclusive. La preoccupazione però resta, forte e coraggiosa: una specie di contributo, veramente prezioso, che il CdG lancia sugli operatori della pastorale giovanile italiana, in questo nostro tempo di pluralismo e di complessificazione.

    IL CONTRIBUTO ORIGINALE DEL CdG

    Le note precedenti avevano la funzione di tracciare una specie di orizzonte logico in cui collocare la mia ricerca sulla funzione del CdG in un progetto di pastorale giovanile. Ho motivato, a larghe battute, l’affermazione da cui sono partito: il CdG è uno strumento prezioso anche per la pastorale giovanile. In questo secondo paragrafo faccio un passo in avanti, per raccogliere qualche suggerimento più concreto.

    Una premessa di metodo

    Una premessa è d’obbligo, per dare il senso e il limite delle note che seguiranno. Considero il CdG un autorevole strumento di riflessione e azione pastorale, «nel suo insieme». La sottolineatura è qualificante per comprendere bene la mia reazione.
    Il CdG va considerato come documento globale, che ha una sua logica interna e suggerisce un preciso percorso teologico ed educativo. Sono di conseguenza contrario ad una sua utilizzazione come se fosse un (buon) «repertorio». Fa così chi, attraverso un raffinato indice analitico (o magari mediante supporti informatici), ne tenta una utilizzazione a temi… per sapere cosa dire, nello spirito del CdG, quando ha bisogno di parlare del rapporto tra cristiani e politica, o delle questioni che riguardano l’affettività e la sessualità, o per cercare una buona pagina a commento dell’evento della Pentecoste… Il CdG è una proposta organica, che funziona nella sua organicità complessiva.
    Sono anche contrario a chi pensa che tutto è bello per la fonte che l’ha prodotto o, all’opposto, a chi si sbizzarrisce a trovare pagine e paragrafi giustapposti per evidenti ragioni politiche… o come esito di un documento prodotto a più mani.
    Di qui un’altra mia convinzione: non credo che il CdG possa rappresentare, in positivo o in negativo, il testo che finalmente possiamo mettere nelle mani dei giovani… senza ulteriore mediazione (o che mai metteremo nelle loro mani… perché nessuno lo leggerà…). La constatazione è scontata per la stragrande maggioranza degli operatori di pastorale giovanile, dal momento che, come ci ricorda con forza «Il rinnovamento della catechesi», «prima sono i catechisti e poi i catechismi; anzi, prima ancora, sono le comunità ecclesiali» (RdC 200).

    Una sfida

    Il primo contributo del CdG è offerto dal modo con cui esso si pone all’interno della cultura attuale e per il suo tentativo di interpretarla in ordine al progetto di educazione alla fede che la Comunità ecclesiale avverte di dover perseguire.
    Il CdG ha la pretesa di collocarsi dentro la cultura attuale (con particolare attenzione ai suoi riflessi sulla situazione dei giovani). Certo, la pretesa è alta e la soluzione non è semplice, soprattutto quando il soggetto è un documento scritto. La cultura attuale è frammentata in mille rivoli culturali e la situazione dei giovani è frastagliata in una inflorescenza di modelli e di espressioni. Il CdG tenta una lettura trasversale della cultura attuale e dei suoi riflessi sui giovani, con attenzione ad alcune costanti. Parte, in qualche modo, dall’ipotesi che vivere la vita nella salvezza è, in fondo, un fatto di «qualità di vita»: ha cioè un’alta e impegnativa risonanza culturale. L’esperienza cristiana esige il confronto con la qualità della vita, per aprire la vita stessa verso la ricerca di salvezza e per manifestare, ancora nella vita, la speranza che ha donato.
    La grande sfida cui il CdG cerca di reagire è dunque quella che sta alla base del «progetto culturale» su cui è impegnata la Chiesa italiana:
    – dire il Vangelo dentro una cultura: quella delle persone concrete cui si fa la proposta, per restituire al Vangelo stesso la sua forza originaria di «buona notizia»;
    – evangelizzare la cultura, giudicandola e riformulandola dalla provocazione del Vangelo, per restituire ad essa la sua funzione di sostegno della vita e della speranza di tutti, soprattutto di coloro che sono stati più violentemente deprivati di questa possibilità.
    Questo va detto e constatato… anche per evitare il rischio di ricominciare ogni giorno su frontiere nuove, lasciandoci trascinare sull’onda delle mille raccomandazione che si intrecciano in una strana inflorescenza di preoccupazioni disorganiche.

    La risposta: un itinerario educativo

    Siamo tutti alla ricerca, spesso disperata, di proposte metodologiche sistematiche. Sappiamo infatti che non è più sufficiente reagire attraverso approcci costruiti all’insegna di un pericoloso eclettismo pratico.
    Il CdG propone un rigoroso itinerario educativo, come modo concreto per rispondere alle sfide, culturali e religiose, in atto. Nel suo insieme, può veramente rappresentare un modello, preciso e stimolante, di azione pastorale efficace con i giovani di oggi. Lo ricordo, suggerendo anche qualche pagina che potrebbe essere avvicinata come particolarmente emblematica.

    * Cap. 1: Che cercate?
    Il cap. 1 suggerisce un’analisi delle sfide che la cultura attuale lancia e delle domande che emergono dai giovani sulla vita e sul suo significato.
    È interessante cogliere il modo con cui viene affrontata la ricerca. Riprendo qualche nota già anticipata. Spero che la ripetizione non sia inutile, vista l’importanza dell’argomento per ogni azione pastorale attenta alla situazione delle persone.
    L’edizione precedente del Catechismo dei giovani aveva scelto la via delle grandi domande esistenziali. Il confronto con quelle pagine dava immediata la sensazione che non fossero davvero le domande dei giovani: troppo alte, generiche, più «filosofiche» che esistenziali.
    Stentavamo a ritrovarci uno spaccato realistico del mondo giovanile. Per questo, molti hanno reagito alla proposta facendosi un proprio elenco delle domande dei giovani. In questa operazione abbiamo corso due gravi rischi: quello di proibirci ogni interpretazione che andasse appena oltre la soglia dei giovani che conosciamo, ma, soprattutto, quello di instaurare un annuncio solo responsoriale (destinato cioè ad offrire risposte puntuali a domande puntuali). Il CdG suggerisce l’alternativa di lavorare sulle concrete domande per cogliere la sfida che da esse proviene. Fornisce però una lettura interpretata dalla parte dell’esperienza ecclesiale: si fa attento, in modo disponibile, alla cultura sociale e giovanile, e raccoglie soprattutto quello che può interpellare chi ha un progetto serio e consistente da offrire.
    In questa logica considero molto importante titolo e contenuto del capitolo: «Che» cercate? La domanda giovanile e la sfida non riguarda una persona ma una proposta. I giovani cercano vita e speranza… per questo sono disponibili a «chi» ha qualcosa di serio da offrire a proposito. Anche in questo modo, il CdG ci invita a prendere posizione in merito al dibattito in corso sull’esistenza e la qualità di una domanda religiosa.
    Si vedano le pagine:
    15-19 (difficoltà nella cultura attuale);
    19-20 (il desiderio di infinito);
    23 e 27-32 (la difficoltà a decidere).

    * Cap. 3: Chi dite che io sia?
    Soggetto del CdG è, come ho già ripetutamente ricordato, la Comunità ecclesiale. Essa ha una proposta da offrire. La sua offerta coraggiosa serve per scuotere l’indifferenza, provocando le stesse domande verso direzioni precise; e serve per accogliere e saturare le domande stesse.
    Per questo, senza nessuna pretesa responsoriale e senza attendere i tempi della richiesta esplicita, la Comunità propone la sua esperienza di Gesù. Offre però un ritratto molto preciso di Gesù, ritagliando, nella ricchezza della sua esperienza, quelle dimensioni del vissuto di Gesù che possono funzionare meglio come proposta e provocazione, per spingere a superare l’incertezza e l’indifferenza.
    Si vedano le pagine:
    45-102: anche il cap. 2 è importante; Gesù si presenta come una persona «impegnata» per una causa. La risposta è: «è proprio vero?» (57);
    104-108: la verità di Gesù tra miracoli e croce;
    109-114: la verità dell’uomo: libertà, obbedienza, dedizione;
    117: vivere davanti al Padre per avere una giusta visione di sé, degli altri e del mondo.

    * Cap. 5: In Cristo nuove creature
    A chi racconta la storia di Gesù, con coraggio appassionato, sta a cuore assicurare un incontro e sostenere una decisione coerente. La Comunità ecclesiale che annuncia Gesù non nasconde le sue intenzioni. Al contrario, le dichiara forti e impegnative, mostrando, soprattutto, l’esito.
    Anche a questo proposito predomina la logica della «bella notizia», lontanissima da ogni preoccupazione moralistica. L’incontro con Gesù porta alla decisione di porsi alla sua sequela. Di qui l’interrogativo: cosa capita nell’esistenza quotidiana di chi ha accolto la sua proposta?
    Due elementi sono in gioco: la constatazione della novità di vita che scaturisce dall’incontro (non si tratta di esigere comportamenti nuovi… ma di constatare un dono che fa nuova tutta l’esistenza); la novità di vita si traduce in novità di prassi di vita (lo stile di vita della creatura nuova). L’una cosa e l’altra viene detta, attraverso il racconto di documenti di vissuto quotidiano.
    In questa logica trova collocazione l’esperienza ecclesiale e la vita liturgica e sacramentale.
    Si vedano le pagine:
    202-208: l’uomo vecchio e l’uomo nuovo;
    anche la carrellata delle figure significative (non tutte le sono… ma è importante educare i giovani a confrontarsi anche con «adulti» un poco sconosciuti, se hanno qualcosa di serio da dirci…), presenti a conclusione di ogni capitolo, va interpretata in questa prospettiva.

    * Cap. 9: Per trasformare il mondo
    La vita nuova del discepolo di Gesù si manifesta nelle concrete situazioni dell’esistenza. Il CdG propone due luoghi privilegiati: il lavoro e la politica. Essi sono preceduti da una interessante riflessione sull’amore e temi relativi; e sono seguiti da un rilancio verso il futuro, nella direzione del «vivere la speranza».
    Valuto molto interessante la prospettiva. La novità di vita, scoperta e accolta, si traduce subito in modo nuovo di vivere la vita quotidiana, soprattutto in quegli ambiti, comuni a tutte le persone, che più di altri richiedono un supplemento di novità. Risulta chiara la distinzione tra novità sperimentata per dono, novità globale di esistenza, novità di vita concreta e quotidiana. Ciascuno dei tre livelli possiede una sua logica speciale: di riconoscimento il primo, di condivisione ecclesiale il secondo, di espressione culturale il terzo. Ho l’impressione però che questa parte sia la meno riuscita del CdG: risente di fretta e, qua e là, dei condizionamenti e delle paure di cui stentiamo a liberarci. Non è però un problema: queste pagine possono essere ripensate e riscritte nella Comunità ecclesiale e nel gruppo giovanile che decida di prendere tra le mani il CdG, per tradurre in concreto coraggioso quello verso cui il CdG sollecita con forza sul piano dei principi.
    Si vedano le pagine:
    360: una visione «nuova» del lavoro: quale rapporto con la cultura?
    361-367: gli atteggiamenti suggeriti davanti al lavoro.

    Un modello comunicativo

    Il CdG, testo per l’annuncio cristiano, realizza di fatto un preciso annuncio. Non solo è facile riscontrare i temi che il CdG valuta come più rilevanti e la loro organizzazione. Il CdG suggerisce anche il modo attraverso cui realizzare questo annuncio. Propone, in altre parole, un preciso modello comunicativo, nel momento in cui tenta di comunicare qualcosa. Lo sottolineo perché lo riconosco uno dei contributi più originali del CdG per l’intera pastorale giovanile ecclesiale.
    Soggetto è la Comunità ecclesiale: essa che ha vissuto una esperienza, sperimentata come salvifica, avverte la gioia e la responsabilità di proporla ad altri perché la stessa esperienza continui. Evangelizzare significa comunicare ad altre persone quegli eventi di cui si è fatto personalmente esperienza: «quello che le mie mani hanno toccato e i miei occhi hanno contemplato…».
    Nel fare questo, la Comunità racconta una storia vissuta, in cui si intrecciano la storia del suo Signore e dei suoi primi discepoli, quella che essa ha vissuto nella quotidiana fatica di fedeltà (i grandi credenti e i testimoni attuali), i giovani di oggi, che vuole protagonisti della stessa storia, restituendo loro quello che spesso vivono senza possedere le parole adeguate per esprimerlo.
    La storia raccontata vuole suscitare prima di tutto «stupore»: mette quindi in attenzione, provocando. Dallo stupore nasce il bisogno di verifica e di approfondimento e il coraggio della decisione personale.
    In questo modello, la Comunità ecclesiale passa da oggetto di conoscenze a soggetto di comunicazione salvifica. L’ho già ricordato, come uno dei contributi più originale del CdG.

    INDICAZIONI CONCLUSIVE

    Concludo le mie riflessioni, ricordando alcune preoccupazioni generali. Esse sono, in qualche modo, il frutto delle note che il lettore attento ha potuto scorrere nelle pagine precedenti. Ma sono, nello stesso tempo, una condizione pregiudiziale per restituire verità e consistenza a tutti i suggerimenti.
    1. Il CdG interpreta una esigenza oggi sottolineata con insistenza nella Comunità ecclesiale: la riscoperta dell’evangelizzazione come contributo, originale e irrinunciabile, che la Comunità ecclesiale può offrire per la vita e la speranza di tutti. Il CdG lo fa ricordando tre elementi profondamente intrecciati:
    – l’intenzione, contro ogni tentativo di indottrinamento;
    – il contenuto, la storia di Gesù e della fede suscitata nei suoi discepoli;
    – il modello, la narrazione ecclesiale.
    2. Molte volte ho messo l’accento sulla Comunità ecclesiale, come soggetto di tutta l’operazione. Mi rendo conto che, troppo spesso, è un soggetto labile, poco affidabile, quasi assente… Ma non ci sono alternative.
    L’unica, seria e praticabile, è la riconsegna alla Comunità ecclesiale, a quella concreta che esiste su un territorio, di una sua responsabilità inderogabile e non delegabile. In questo essa può trovare il principio di un rinnovamento urgente.
    3. In concreto, vanno progettati tempi, momenti e luoghi in cui sia possibile un incontro dei giovani, nella Comunità ecclesiale, con il CdG. La sua struttura, le inevitabili difficoltà di lettura e soprattutto le condizioni che restituiscono ad un documento la sua forza incidente per la vita… hanno bisogno, ancora una volta, di un grembo materno che funzioni da sostegno, incoraggiamento, conforto. In questa operazione ritorna con forza la richiesta di adulti significativi, che mostrino con i fatti la speranza e la sua praticabilità nel ritmo dell’esistenza, nel nome e per la potenza del Crocifisso risorto.
    4. Il CdG è per forza «discriminante»: si rivolge ai giovani che sono in grado di conoscerlo, avvicinarlo, incontrarlo, leggerlo e meditarlo. Di fatto, solo una piccola parte dell’universo giovanile può goderne del contributo. La Comunità ecclesiale, che riconosce di essere il Vangelo di Dio per tutti, cerca altri momenti di incontro e di confronto. Va – con il CdG o senza di esso – là dove i giovani stanno di casa. Forse, anche quando non lo tiene tra le sue mani, si ispira alle logiche del CdG per pensare e costruire uno stile di presenza, accogliente e provocante, nel mondo affascinante dei giovani di oggi.


    T e r z a
    p a g i n A


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