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    Gita al molo



    Nicoletta Grieco

    (NPG 1998-05-64)


    Anna aveva tredici anni, era in vacanza con la sua famiglia in una bellissima e solitaria località della Sardegna. Era felice, come sempre durante le vacanze estive; aveva una vita radiosa e tranquilla, turbata solo da una malinconia remota, stranamente incontrollabile.
    Quel pomeriggio, come tutte le giornate di vacanza, si apriva davanti a lei denso di nuove sensazioni. Sarebbero andati tutti, Anna e gli altri ragazzi del gruppo, a piedi al paese vicino, che distava poco più di un chilometro, a fare una «gita». Questa volta sarebbe stato senza genitori, liberi di fare quello che volevano. Il padre e la madre di Anna avevano distrattamente acconsentito quando lei aveva chiesto loro il permesso, e Anna era raggiante, erano sempre così apprensivi...
    Si incamminarono allegri sotto la canicola, lungo il mare che fermo si muoveva solo nei riflessi di luce. L’aria odorava di aghi di pino e di salsedine, e i vocianti ragazzi non si accorgevano della calura estiva ma proseguivano nel cammino respirando la leggera brezza a pieni polmoni.
    Il gruppo giunto a destinazione si fermò sul molo del porto, da lì qualcuno si buttò in mare, non Anna, consapevole che i suoi non avrebbero approvato in loro assenza, mentre altri si misero a tirare pietre nell’acqua, rumoreggiando festosamente.
    Anna seduta sui gradoni del molo parlava con Francesco; si erano conosciuti lì in vacanza, erano della stessa città e quando parlavano, nonostante le difficoltà dell’età, si sentivano in simbiosi. Anna e Francesco sentivano di pensare le stesse cose; era una strana e inconsueta solidarietà, come respirare con lo stesso ritmo.
    Parlarono a lungo, quasi estraniati, si comunicavano la felicità di quella prima libertà che stavano vivendo, e poi una serie di pensieri, di emozioni, che salivano alle loro labbra con una facilità estrema, e l’altro immediatamente li captava, li capiva e li confermava.
    Il resto del gruppo aveva già cominciato a prenderli in giro, senza comprendere che quella loro fratellanza andava oltre qualsiasi storiella tra adolescenti, era qualcosa di più, era comunicazione tra due esseri umani.
    Il tempo era volato, ma nessuno se ne era accorto, ormai erano via da più di due ore.
    Incuranti delle battute del gruppo, sulla via del ritorno, rimirando lo stesso mare che adesso si era leggermente increspato, Anna e Francesco continuarono a scambiarsi l’un l’altro.
    D’improvviso, da lontano, comparvero delle figure, erano alcuni genitori che, preoccupati, venivano probabilmente a cercarli. Anna riconobbe subito sua madre.«Adesso difendila un po’, Francesco», esclamarono ridacchiando i più smaliziati, quelli che erano fortunati perché i genitori non facevano parte del gruppo.
    Bastò un attimo a far crollare tutto, le fu sufficiente vedere il volto di sua madre, accigliata, le mani in vita, in palese atteggiamento di rimprovero, il solo sguardo bastò per rovinare il più bel pomeriggio della breve vita di Anna.
    Nessuno di quegli adulti schierati, preoccupati e distanti, capiva, e ciò che rendeva tutto ancor più doloroso era che non avrebbero mai capito.
    Francesco ed Anna si guardarono e seppero che da quel momento tutto sarebbe stato più difficile, forse impossibile, che la loro comunicazione sarebbe stata interrotta dall’ingerenza degli adulti nella loro vita.
    Si allontanarono entrambi, ognuno a testa bassa vicino al proprio genitore, dirigendosi verso casa; nel cuore la sensazione di un incanto spezzato per sempre.


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