Jessica Genesio
(NPG 1998-06-26)
In quell’anonimo pomeriggio di inverno Francesca indossò velocemente la sua giacca di pelle, e chiudendosi dietro di sé la porta di casa nel giro di pochi minuti si trovò per strada.
Nonostante fosse poco più che un’adolescente, non passava inosservata: molti ragazzi fissavano incantati quel corpo magro ma sinuoso, in cui cominciavano a sprigionarsi forze di primavera, racchiuso in semplici jeans, il suo bel volto incorniciato da una nera cascata di capelli e illuminato da due occhi da gatta. Ma lei camminava indifferente e senza meta, noncurante della vita che le scorreva di fianco, senza pensare a nulla, con la testa vuota.
Anche quel giorno i suoi genitori avevano litigato; anche quel giorno Francesca aveva deciso di buttarsi i problemi alle spalle e di sfuggire al solito clima di tensione; anche quel giorno Francesca non vi era riuscita, la fuga era solo apparente: la tristezza, la rabbia per la situazione familiare seguivano la sua disillusione anche per strada. Tra i suoi genitori i problemi erano sempre gli stessi, sempre le stesse le parole in cui li formulavano, e che invece di liberarli li incatenavano ancora di più, con nuovi mugugni e offese scagliate l’un l’altro. Offese pesanti come macigni che con il loro susseguirsi avevano annullato negli anni la stima e, forse, l’amore che un tempo li aveva legati.
Ad un tratto Francesca si ritrovò, specchiandosi in una vetrina e a mala pena riconoscendosi. Un’espressione stizzita le era dipinta sul volto, in pieno accordo con la stanchezza del suo animo. Un’anziana coppietta, che si teneva affettuosamente per mano, le aveva fatto riprendere i contatti con la realtà, ricordandole l’inferno da cui per un attimo era fuggita. Seguì i due vecchietti con lo sguardo, allibita e insieme estasiata. I suoi genitori erano più giovani di loro, eppure non riusciva a ricordare da quanto non si scambiavano più effusioni. “Da quanto mamma e papà non camminano più per mano? Da quanto non si guardano teneramente?”. Si sforzava, ma non una sola immagine le si presentava alla mente.
Seguendo il flusso dei suoi pensieri pensò a Marco, il compagno di banco che le piaceva tanto e che le aveva chiesto più di una volta, con fare ammiccante, di uscire con lui. Francesca avrebbe voluto accettare i suoi inviti ma una strana ingiustificata paura l’aveva sempre spinta a rifiutare. Era il primo ragazzo che le piaceva davvero, era l’unico che finora l’aveva interessata. Da sognatrice qual era, Francesca sperava che il suo primo amore fosse eterno, ma il pensiero che la via al fianco di questa persona potesse rivelarsi piena di amarezze e di incomprensioni come quella dei suoi genitori l’atterriva: ormai declinava inviti e proposte come un automa.
La sua attenzione ritornò di nuovo sui vecchietti. “Chissà da quanti anni stanno insieme!” rifletteva, e sentendosi stupida immaginò che l’incantesimo di una fata avesse reso eterno il loro amore. “Non esistono dunque solo litigi. Certo, è naturale avere dei diverbi quando trascorri molto tempo con una persona. Del resto anch’io, talvolta, litigo con le mie amiche. Noi, però, dopo pochi minuti ci riconciliamo, pentite delle cattiverie dette. Forse noi ragazzi veniamo salvati dalla spontaneità. Non abbiamo paura di chiedere scusa, mentre gli adulti vengono schiacciati dall’orgoglio che trasforma una semplice incomprensione in un muro, in una lotta sul chi ha ragione”.
Concluse che se due persone fossero state disponibili a comprendersi e a dialogare con serenità, non pretendendo di imporsi, avrebbero potuto vivere in armonia.
Con passo spedito si avviò verso casa: forse avrebbe detto ai suoi genitori di quella coppia di vecchietti. Magari sarebbero riusciti a trovare un compromesso e ad appianare le difficoltà. In seguito avrebbe telefonato a Marco proponendogli una serata al cinema.
Stava bene in questo splendido pomeriggio di inverno. Francesca aveva cominciato ad avere fiducia nella forza dell’amore. La situazione a casa probabilmente non sarebbe cambiata, i suoi tentativi non avrebbero scalfito anni e anni di incomprensioni; lei, però, si preparava alla sua prima esperienza d’amore con spirito diverso. La spontaneità, la speranza, la genuinità racchiuse nel suo cuore di ragazza, Francesca le avrebbe conservate gelosamente. Si schiudeva alla vita con la semplicità di un fiore di campo; non avrebbe permesso all’orgoglio o alla presunzione di insinuarsi nella sua anima, di avvelenare fin dall’inizio la speranza.