Gianluigi Venditti
(NPG 1997-01-63)
Aveva appena compiuto tredici anni quando incontrò i Warriors. Aveva attraversato una breve esperienza di sbandato quando entrò a far parte del gruppo. L’ingresso nei Warriors coincise con la sua adolescenza. Prima di allora aveva spesso desiderato appartenere ad un gruppo del genere, ma era troppo piccolo per farne parte. Nella prima infanzia già era stato programmato il suo destino, ma nel cuore di un adolescente non c’era posto per i desideri degli adulti. Egli desiderava vivere e basta!
I Warriors appartenevano, come Gianni, a famiglie disagiate. Non avevano ricevuto il giusto affetto e cercavano il calore sulla strada. Un amico comune li guidava e li organizzava per le partite di calcio del Latina. Si interessò inconsciamente a loro che avevano quasi tutti la sua età. I Warriors inizialmente erano desiderosi di emergere, ma lo scontro con una realtà diversa dalle loro aspettative li aveva resi ribelli e aggressivi.
Una domenica stava vagabondando per il centro della sua città, quando vide un gruppo di giovani seduti sotto i portici: erano loro, i Warriors!... Più o meno li conosceva tutti, perché s’incontravano spesso allo stadio a far «caciara». Cominciarono subito a conversare di pallone e si accorse che avevano qualcosa in comune oltre alla passione per il calcio: lo stesso bisogno di rivolta.
Andò con i ragazzi nella saletta giochi del bar Cairoli, dove si organizzavano i preparativi per le partite. Sulla sedia c’era Reno, un giovanotto di circa trent’anni che si arrangiava come poteva lavorando nella saletta. Faceva del calcio una ragione di vita. Lo si capiva da come parlava ai ragazzi che venivano a giocare. Quel pomeriggio si narrarono a vicenda le loro storie, mentre osservavano i videogiochi della saletta. Per diverse ore si divertirono a giocare nella saletta dei videogames. Concentrando in modo effimero le loro energie. In certe occasioni riuscivano addirittura a giocare senza denaro. Francisco, il più estroso, si alzò e propose di formare un gruppo che seguisse il Latina nelle trasferte, isolandosi dagli altri clubs, che qualche notte prima avevano rubato lo striscione. Circolavano strane voci a proposito dello striscione... i vigliacchi lo avevano rubato di notte, invidiosi di chi seguiva la squadra veramente con il cuore. Così, dopo questa delusione, dal gruppo di bravi ragazzi che erano e che credevano nell’amore e nell’amicizia, si trasformarono in un gruppo carico di rancore nei confronti degli altri. Insomma, formarono una vera e propria banda di teppisti. Lavorarono ininterrottamente per una settimana. Era l’orgoglio che li guidava. Erano ragazzi e si erano già resi conto che nel mondo dello sport non esisteva solo amore. Lo striscione con la scritta «Warriors kaos» apparve il giorno della partita. Loro al centro della curva, vi stavano sopra con le gambe a cavalcioni, per dimostrare che non avevano mai mollato.
Durante la settimana si trasferirono dalla sala giochi del bar Cairoli a quella di piazza del Popolo, dove conobbero un gruppo di ragazzi poco più grandi, anche loro appassionati di calcio.
Nel frattempo Gianni aveva lasciato il suo sport, il tennis, che praticava da quando era bambino. Non aveva più stimoli per continuarlo. Francisco aveva lasciato la scuola e lavorava in un negozio di generi alimentari; gli altri, Marco, Gino, Sandro, Ciccio e Pedro, che frequentavano la stessa scuola, non facevano altro che commettere atti di teppismo all’interno dell’Istituto. Solo Seb, forse all’epoca il più maturo, aiutava la madre lavorando in un caseificio.
Una sera uscirono a bere birra. Insieme a loro c’erano altri ragazzi che avevano conosciuto. Erano attratti dalla vita che conducevano: fumavano hashish e marijuana e poi compivano anche loro atti di teppismo allo stadio. Nel pub Francisco propose di comprare una modica quantità di fumo, per stare un po’ fuori di testa. La sera si incontrarono tutti ai giardini ed accesero il calumet della pace; dopo aver fumato ognuno di loro stava storto. Francisco dava i numeri, prendendo in giro chiunque passasse di lì; Marco aveva gli occhi stralunati e non diceva nulla; Sandro li aveva arrossati e semichiusi, proprio come quelli di un drogato abituale, Seb e Ciccio, insaziabili, continuavano a fumare.
Gianni li osservava, gli occhi gli si aprivano e chiudevano rapidamente, cosa che non gli era mai successa. Ad un certo punto si avviarono tutti verso la fontanella a bere. Si prendevano in giro l’uno con l’altro; alzavano la voce chiacchierando animatamente.
La pioggia bagnava i vestiti, la testa e il volto, ma loro non vi badavano.
In quei momenti, Gianni pensava che il bello di essere giovani era di credere nella vita, mentre il brutto è accorgersi che la vita tradiva le aspettative, allora reagiva fumando per scrollarsi di dosso la malinconia di quei pensieri.