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    Sessualità, affettività, corporeità



    Sentieri educativi di pastorale dei preadolescenti

    Mario Delpiano

    (NPG 1997-07-7)


    La pastorale dei preadolescenti che perseguiamo e che intendiamo riformulare nello stile dell’animazione, si interessa di tutto l’uomo, di tutta la persona del preadolescente.
    Perciò, proprio quelle aree vitali in cui il soggetto preadolescente appare maggiormente impegnato nella presa di coscienza e nella assunzione di responsabilità, appaiono come i luoghi privilegiati per l’incontro educativo tra adulti e giovani, lo spazio vitale entro cui far risuonare la buona notizia che libera ed alimenta la passione per la vita.
    Assumiamo il tema della sessualità del preadolescente entro una visione sistemica della persona, e dunque in profonda connessione con il tema della corporeità, dell’affettività e della relazionalità.
    Esso appare infatti un ambito privilegiato per liberare la presa di coscienza personale attorno a quell’esperienza generatrice di un «cambio del mondo soggettivo» che prende il via anzitutto dal cambio psico-corporeo e dalla scoperta vissuta della propria differenza di genere.
    Per superare il rischio di gestire le tematiche educative spezzando l’unità della persona e smarrendo la «globalità» sia del vissuto che dell’intervento educativo, crediamo che in educazione e in pastorale sessualità-corporeità-relazionalità possano costituire davvero un tema generatore privilegiato per quanto riguarda l’educazione nella preadolescenza.
    Esso non costituisce solo un capitolo, ma tutto il libro della vita del preadolescente.
    In quest’ottica ci appare davvero come il sentiero lungo il quale il preadolescente può avventurarsi per cominciare a delineare autonomamente la propria identità a partire dall’esperienze della corporeità sessuata, e così ritrovare il proprio mondo di vissuti affettivi, di emozioni e di sogni, di relazioni e di nuovi significati per la vita, di passione di vivere e di ricerca della felicità.
    Percorrere il sentiero educativo della corporeità-sessualità-affettività-relazionalità vuol dire anzitutto far fronte ad una frattura che si manifesta anche vistosamente in preadolescenza, e assicurare al soggetto la possibilità di una ricomposizione unitaria del vissuto. Mi riferisco alla tendenza del preadolescente, e non solo sua, a vivere in maniera scissa corpo e sessualità da un lato ed affettività e relazionalità dall’altro, o anche a gestire separatamente attività e coscienza, desiderio e sogno.
    Assumiamo perciò il modello educativo-pastorale di tipo ermeneutico, in grado di assumere il problema e definirlo in termini globali, onde riconoscere lo spazio di intervento, prezioso ed insostituibile, di molteplici soggetti plurali (le agenzie educative) che debbono concorrere, pur nella specificità e nella differenza dei loro contributi, ad assicurare l’unico processo di personalizzazione e di individualizzazione del preadolescente, e l’apertura del soggetto verso i nuovi significati e lo svelamento del senso di ciò che si comincia a vivere in prima persona.
    In tal caso ci semba che la tematica possa essere pensata proprio come un sentiero che immette dentro il cammino di tutto l’itinerario, quello dell’educazione alla fede, e che si articola proprio come declinazione dell’amore e della passione per la vita.

    IL CONTESTO CULTURALE E LA SESSUALITÀ

    Non possiamo parlare educativamente e pastoralmente in riferimento a questo tema complesso se non si assumono le sfide che la cultura sociale ha elaborato in questi decenni ultimi e se non ci collochiamo, proprio per la fedeltà dell’incarnazione (fedeltà all’uomo e alla sua autocomprensione per essere fedeli a Dio che ha scelto il linguaggio dell’uomo nel tempo per comunicarsi), dentro il solco della riflessione del postmoderno intorno a tematiche che oggi appaiono quanto mai centrali, come il tema della felicità, della liberazione, del piacere, della comunicazione.
    È in gioco infatti, in riferimento a queste tematiche, una autocomprensione nuova dell’uomo contemporaneo che esalta la consapevolezza della differenza e persino della diversità, e superando e mettendo in crisi il paradigma moderno dell’identità, tenta di ricomprendersi in termini di relazionalità, di espressività libera ma non svincolata dai nuovi valori, di alterità.
    Alcune note dunque sul contesto culturale entro il quale oggi affrontiamo il tema della sessualità e dell’amore, quasi le punte di iceberg di una nuova cultura sociale:
    Viviamo un tempo in cui:
    – si protraggono quasi per inerzia i residui di una cultura repressiva della sessualità, veicolati appunto da molti adulti di oggi, che, tra le pieghe di una emancipazione superficiale e consumistica della sessualità, appaiono spesso i portatori di una visione ancora fortemente dualista, scissionistica e poco integrata della sessualità;
    – vanno assunti, disambiguati e reinterpretati i contributi nuovi ed emancipatori di una cultura della liberazione sessuale che avevano la pretesa di restituire al soggetto la libertà e la responsabilità intorno a quello che era visto come un percorso globale di riappropriazione e di gestione non solo della propria sessualità ma dell’identità personale e sociale;
    – occorre fare seriamente e criticamente i conti con gli esiti della liberazione sessuale assorbiti e gestiti dal potere della comunicazione di massa, e per questo rimasti incagliati e travolti nella palude del permissivismo, della fuga dalla coscienza, della fruizione scevra da ogni responsabilità, della mercificazione e del consumo;
    – occorre anche ripensare profondamente l’educativo quale contesto di comunicazione interpersonale, proprio in un momento in cui tendono a prevalere i messaggi e i modelli veicolati dalla comunicazione di massa (modelli narcisistici e consumistici del sesso, che implodono nelle forme della violenza e del dominio sull’altro, ma anche modelli nei quali viene veicolata una notevole esaltazione dell’affettivo, del relazionale, dei processi di comunicazione).
    Non possiamo infatti dimenticare il forte peso condizionante di questi modelli sul senso di insicurezza e di inadeguatezza dei preadolescenti, improvvisamente costretti a dover affrontare questo problema, proprio mentre le agenzie educative latitano e si defilano.
    Occorre, come si accennava sopra, il coraggio di incarnarsi nella cultura del postmoderno per essere uomini e donne del tempo presente, e ritrovare in essa temi quali il corpo, il piacere, la comunicazione non verbale, l’incontro tra i corpi quale incontro «simbolico»: temi che diventano i nuclei privilegiati dei valori espressivi, relazionali, affettivi e comunicativi tipici del postmoderno, che prevalgono su quelli tipici della modernità, cioè l’acquisizione, l’autoaffermazione del soggetto, il potere, la produzione, il consumo.
    È in questo cambio culturale che si colloca anche il dato rilevante del sorgere e del consolidarsi di atteggiamenti nuovi e differenti della società, verso la assunzione, la comprensione, e soprattutto la gestione anche in termini educativi della sessualità soprattutto in fase evolutiva: affiora più tolleranza e comprensione, si sviluppa il riconoscimento del diritto alla sessualità in ogni tempo della vita, anche per i minori, si acuisce la critica, la stigmatizzazione e il rifiuto di qualsiasi forma, pur sottile, di violenza e di imposizione; finalmente si acquisisce la coscienza che corpo e sessualità violati sono violazione non di codici sociali ma violazione del codice etico universale perché aggressione diretta alla persona nella sua totalità.

    Impegno o latitanza delle agenzie educative nell’iniziazione dei giovani?

    A questa cultura diffusa della sessualità sembra invece non corrispondere un altrettanto impegno ed elaborazione della cultura educativa e pastorale della sessualità stessa. Per questo occorre anzitutto focalizzare la riflessione intorno ad un tema generale che oggi affiora con sempre più insistenza alla ribalta.
    È il tema della iniziazione, sociale e culturale anzitutto.
    In tutte le società, proprio a partire dalle più antiche, la sessualità e la sua regolazione sociale, cioè l’attribuzione ad essa di significati, di funzioni, di regole, di ruoli che sconfinano ben al di là dell’ambito individuale, è sempre stata riconosciuta ed assunta come un compito fondamentale del sistema sociale.
    Ebbene, oggi non è più così.
    Oggi nella società complessa e differenziata del postmoderno in cui viviamo, possiamo dire che l’iniziazione sessuale, in quanto atto sociale di iniziazione alla vita, delle nuove generazioni e dei preadolescenti e adolescenti in particolare, è scomparsa ed andata perduta.
    Essa è più che altro dissolta in quanto funzione sociale specifica, ed è venuta a diluirsi nel brodo culturale dei messaggi e dei modelli della comunicazione di massa, fino a polverizzarsi nella molteplicità e differenza dei percorsi di socializzazione e di inculturazione.
    Insieme alla atomizzazione di ogni forma di iniziazione sociale nel sistema pluralistico della cultura e della società complessa, c’è anche la dissolvenza dell’iniziazione sessuale come compito sociale e come processo culturale di scambio intergenerazionale.
    Su questo compito, un tempo assai importante, sembra quasi che la società nel suo complesso e nelle sue articolazioni di sottosistema si sia ritirata ed abbia abdicato, delegando di fatto il compito a quel nuovo focolare domestico rappresentato dalla tv e più in generale dal sistema della comunicazione di massa. Dobbiamo registrare infatti l’assenza e la latitanza di impegno delle agenzie educative tradizionali e il loro gioco al rimpallo: oggi ancora in gran parte la famiglia delega alla scuola, e la scuola rilancia alla famiglia o a chi altro; fatto sta che l’unica agenzia di iniziazione per le nuove generazioni rimane quella dei coetanei.
    Là dove opera la cultura adulta, essa appare caratterizzarsi per il predominio e la messa in circuito di «modelli adultistici» di interpretazione e di gestione della sessualità; e da questa tendenza sembra non sottrarsi neppure sempre la comunità ecclesiale.
    Tutta la società adulta appare piuttosto disattenta intorno al problema evolutivo della sessualità.
    Sembra che esso debba rimanere esclusivamente approccio degli psicanalisti!
    Progressività, gradualità, regressività, dinamicità, sembrano caratteri che non interessino una cultura adulta prevalentemente statica e che non tollera il «già e il non ancora».
    All’interno della comunità ecclesiale poi si rileva un atteggiamento contradditorio, a volte dissociato: da una parte è diffusa una tendenza nemmeno tanto latente a sminuire la differenza sessuale e a misconoscere l’originalità e la specificità della «differenza di genere».
    Dall’altra appare ancora prevalente nella vita quotidiana, più che nelle posizioni ufficiali, un atteggiamento fortemente sbilanciato verso l’identità maschile come pienezza e superiorità dell’essere virile.
    Sono elementi che si costatano sia a livello di linguaggio comune che di linguaggio teologico sia, molto più vistosamente, nella ricomprensione (ma anche nelle resistenze) e nella riformulazione dei ruoli sociali nella comunità ecclesiale.
    La famiglia poi oggi viene ripetutamente e da più parti chiamata in causa quali prima e diretta responsabile dell’educazione sessuale ed affettiva dei figli, ma al di là di tutti i proclami e le attribuzioni di responsabilità, e pur nelle felici eccezioni delle scuole per genitori, che tentano di sostenere i genitori nel loro recupero di ruolo e responsabilità educativa, essa appare però impreparata e lasciata sola nel difficile compito educativo.
    Così i dati e le tendenze precedentemente riportate ci dicono che i preadolescenti non riescono a ritrovare nei genitori i punti di riferimento fondamentali per avviare consapevolmente una compagnia educativa anche in riferimento ai temi della affettività e della sessualità.
    I genitori infatti rappresentano l’anello più debole di un sistema sociale che è profondamente mutato.
    I genitori dei preadolescenti di oggi poi si trovano radicati in una formazione infantile e adolescenziale passata, segnata da modelli repressivi e fortemente carichi di ideologia maschilista, mentre al contempo devono rivolgersi ai figli all’interno di un clima culturale radicalmente mutato, senza tuttavia aver avuto il tempo e la possibilità di ripensare profondamente i modelli di educazione e di inculturazione dentro la novità di questa sociocultura.
    La famiglia dunque, quando non sfugge o elude le responsabilità, si trova a dover operare sintesi e ad inventare nuovi modelli senza il sostegno e la collaborazione della società tutta, o di altri educatori.
    La scuola media dell’obbligo era apparsa come l’agenzia più scaltrita e rinnovata nel ripensarsi quale sostegno ad un compito evolutivo fondamentale per la preadolescenza come questo.
    Tentativi dal basso non sono mancati, mentre diventiamo spettatori sempre più irritati e delusi di quell’inadempienza legislativa e di quel vuoto di progettualità che ha fatto diventare l’educazione sessuale la «storia infinita» all’italiana.

    FARE I CONTI CON LA DOMANDA DEL PREADOLESCENTE

    Un progetto educativo deve fare i conti anzitutto con i bisogni, gli interessi e le domande che provengono da quelli che si vorrebbe come compagni di viaggio di un cammino di educazione alla fede a partire dall’appassionarsi alla vita.
    Nel dossier precedente abbiamo descritto il vissuto del preadolescente tra cambiamento puberale e cambiamento del mondo soggettivo. Qui riprendiamo brevemente la situazione per focalizzare la domanda emergente dal vissuto più o meno consapevole.
    Ci chiediamo: quale è la relazione del preadolescente allo scatenarsi dello sviluppo della sessualità e dell’interesse sollecitato ed esaltato dalla cultura sociale e della comunicazione di massa in particolare?
    Il preadolescente passa dal dominio della razionalità nella forma del pensiero operatorio concreto (primo livello del pensiero formale), che porta il soggetto ad agire, sperimentare e misurare la realtà, al predominio e alla centralità della corporeità sessuata, esaltata dalle componenti emotive, pulsionali, affettive che l’accompagnano.
    In secondo luogo il preadolescente vive l’appropriazione della sessualità e la scoperta-fruizione del piacere erotico in senso ampio e non solo «localizzato», anche se attraverso la modalità prevalente dell’autoerotismo, con senso di curiosità e di fascino, di scoperta e di stupore, a volte anche con ansia e insicurezza, ed in tal modo si apre ad una componente dell’esperienza di vita con una modalità molto più totalizzante di approccio alla realtà: con uno stile non tanto di tipo conoscitivo ed informativo (non è infatti quella dell’informazione la domanda prevalente di educazione sessuale dei preadolescenti, anche se essi navigano in una grande confusione e disorganizzazione di informazioni), bensì di tipo esperienziale, vitale ed emotivo.
    Il preadolescente cioè si trova coinvolto globalmente nella sua prima esperienza consapevole di un corpo che gli regala o promette piacere e si rivela fonte di gratificazione, ma che al contempo gli apre il difficile compito della relazione con la differenza.
    Ancora: il preadolescente agisce il corpo e sente il bisogno di «esplorare» il corpo (il proprio e quello degli altri, prima quello uguale-identico e poi quello diverso dal proprio) e di «sentirlo». Il corpo-problema dunque viene sempre più che altro «agito», ma assai poco elaborato nella consapevolezza soggettiva e nei significati culturali che veicola.
    Da quanto detto finora se ne comprende perciò anche la funzione relativamente minore, e in ogni caso insufficiente rispetto all’educazione. Il problema che si pone non è anzitutto di «mappa mentale» da riorganizzare, ma è quello di una riorganizzazione dei vissuti emotivi e conseguentemente degli atteggiamenti.
    È un settore questo infatti in cui prevale la «formazione diffusa», non quella intenzionalmente educativa.
    Il preadolescente inoltre tende a mantenere quest’area di problema quale area muta, perché «non detta» e solo allusa ed adombrata con l’adulto (intorno ad essa va sempre tutto bene, e non ci sono mai problemi); in realtà essa diviene poi «molto detta», cioè parlata e raccontata, anche immaginata, tra i coetanei. Egli infatti si trova smarrito e sprovvisto delle parole giuste per dire il vissuto il nuovo; e gli vengono a mancare i modelli sicuri e sperimentati.
    Da qui la rincorsa ansiosa ai modelli del mercato, agli stili, ai linguaggi della cultura giovanile.
    Tutto ciò dice l’esistenza di una domanda di consapevolezza, di sicurezza, di conferma positiva riguardo al proprio corpo sessuato, alla sessualità agita ma non vissuta, alle motivazioni e agli affetti da esprimere, o a quanto si ha terribilmente paura di assumere e di affrontare, di «agire».
    In conclusione la grande domanda che affiora e che definisce la sfida e il problema educativo da affrontare nell’educazione dei preadolescenti non è tanto «chi è la persona sessuata?», ma «chi è maschio e chi è femmina?» e soprattutto «chi posso essere io, maschio o femmina che sia?». Dal punto di vista della domanda dobbiamo parlare davvero di un bisogno vitale di identità/differenza psico-sessuale da elaborare in termini personali, ma anche sociali e culturali: questa è la sfida, non di meno!

    UN ADEGUATO QUADRO INTERPRETATIVO

    L’impegno maggiore della nostra ricerca è stato quello di approntare e delineare un quadro antropologico in ottica educativa in modo da poter riformulare dentro le sensibilità culturali ed evolutive l’intera problematica. Nella consapevolezza che affrontare i temi della corporeità sessuata, della affettività e della relazionalità, significa inevitabilmente ripensare un po’ tutto il libro dell’antropologia della differenza, e non solo alcuni capitoli.
    Quello che appare urgente è lo sforzo di interpretare il significato della sessualità nella cultura antropologica di oggi. Per svolgere un lavoro proficuo, è necessario ricuperare le strumentazioni categoriali attraverso cui la cultura antropologica attuale ricupera il significato dell’essere uomo e donna sessuati, e restituire all’autocomprensione dell’uomo di oggi il «significato» della sessualità nell’essere persona, e perciò persona sessuata.
    Occorre riconoscere ma anche riequilibrare il peso dei modelli culturali che oggi appaiono dominanti e che vengono imposti dalla comunicazione di massa: occorre individuarli e smascherarli.
    Ci rendiamo conto del ruolo fondamentale che viene ad assumere l’assunzione acritica di modelli circolanti, vecchi e nuovi, e che spesso appaiono da un’analisi critica inadeguati per una comprensione piena dell’uomo-donna nella loro differenza.
    In particolare crediamo che occorra andare oltre quella comprensione tipica della modernità, che accentua sia l’elemento individualistico di autoaffermazione e di autoprogettazine, sia l’elemento «produttivistico» a scapito della componente «ri-produttiva, ri-creativa, espressiva, e comunicativa» che invece la cultura postmoderna tende ad accentuare.

    La categoria chiave dell’interpretazione

    Ci siamo chiesti quale possa essere la chiave di comprensione antropologica che ci permettesse di costruire un quadro di riferimento adeguato e soddisfacente al fine di una interpretazione educativa e pastorale della sessualità per gli uomini e le donne che abitano la cultura odierna.
    Le categorie principali da articolare che abbiamo assunto per l’interpretazione ci appaiono fondamentalmente tre: la differenza, la comunicazione e l’alterità.
    Autocomprendersi come soggetto sessuato infatti ci sembra voglia dire consolidare l’elaborazione della propria differenza, quella di genere anzitutto, e di conseguenza accogliere l’apertura all’alterità (di sé e dell’altro) e la possibilità di un incontro nella differenza con l’altro che ci appare racchiuso nella categoria della comunicazione.
    Procediamo con ordine. Per questo una premessa si rende necessaria.
    Qui noi tentiamo di riesprimere il significato della sessualità all’interno della cultura che abitiamo, e perciò di recepire i filoni nuovi dell’autocomprensione dell’uomo postmoderno.
    Siamo consapevoli del peso condizionante dei modelli culturali che utilizziamo nel tentativo di comprendere e dare un significato alla sessualità umana.
    Oggi siamo in un tempo di pluralismo, e circolano comprensioni molto differenti, spesso difficili da integrare tra loro: il pluralismo è una possibilità ma può rivelarsi anche un disturbo per una sintesi personale.
    La difficoltà è quella di una comprensione unitaria che non sia solo eclettica, ma sia in grado di articolare i significati umani della sessualità entro un quadro di riferimento.
    D’altro canto siamo consapevoli della distanza della nuova sensibilità culturale emergente sia dai modelli repressivi del passato che da quelli permissivi e consumistici oggi dominanti. Il nostro è il tentativo di collocarci all’interno della cultura dell’uomo di oggi, dell’uomo/donna post-moderno, per cogliere la ricchezza antropologica dell’esperienza e della riflessione e così giungere ad una comprensione della realtà umana che sia più adeguata e più rispettosa della verità della persona nella sua differenza.
    L’operazione che vogliamo attivare da credenti deve poter esprimere quella capacità critico-profetica che relativizza, nel senso che de-assoluzza, i dati culturali e li apre all’ulteriorità del «senso» che si offre in dono nella fede.
    Apparirà chiaro che questi significati culturali rimangono per lo più impliciti ed inespressi nel modo di vivere la sessualità da parte dei preadolescenti, che per lo più nella condizione attuale appaiono più attori e consumatori che elaboratori culturali.
    Ma questi elementi contingenti non precludono il fatto che queste considerazioni antropologiche siano quanto mai necessarie per ricostruire l’orizzonte di significato e di progettualità educativa entro cui aiutare i preadolescenti a crescere in umanità.
    Queste considerazioni non intendono dunque imporre modelli adultistici nell’educazione dei preadolescenti: esse permettono invece di delineare il campo dei significati e dei valori verso cui crescere insieme, adulti e ragazzi, e dunque delineare l’orizzonte.

    Mondanità e terrestrità: l’uomo come desiderio

    Un primo elemento da accogliere e col quale fare i conti anche criticamente è riferito ad una visione della sessualità e della corporeità che accentua la terrestrità, la mondanità nel senso di apertura al mondo che sta oltre e al di là dell’essere nel mondo dei corpi. Si tratta infatti di una visione di autocomprensione dell’uomo che si definisce perciò anzitutto come «soggetto di desiderio, essere di bisogno», un bisogno che viene colmato dall’incontro con l’altro da sé; non dunque solo bisogno di cose e di mondo. In questo orizzonte l’altro diviene appunto «oggetto di desiderio», anche se ciò non esclude la possibilità di uno scacco del soggetto desiderante da parte di una alterità che lo contesta e che si pone in differenza rispetto al desiderio dell’altro.
    L’apertura consapevole al mondo da parte del soggetto desiderante costituisce una prima esperienza di «alterità di sé» rispetto alla semplice coscienza di «soggetto corporeo»; essa aggiunge la presa di coscienza di costituirsi come «soggetto di bisogno», cioè portatore di bisogni scolpiti nella propria costituzione biologico-corporea e che affiorano alla coscienza.
    Il soggetto di desiderio si percepisce dunque come essere in-finito nel senso di incompiuto, e successivamente anche in quanto soggetto «finito» cioè limitato, sotto lo scacco della finitezza e della fragilità.
    Ma il desiderio è anche desiderio di compiutezza e di chiusura del circuito del bisogno attraverso gratificazioni che possono venire da «fuori», dall’al di là della soggettività, e dunque desiderio dice anche spontanea e immediata apertura al mondo come insieme di beni e di realtà disponibili e fruibili, che vengono incontro ai bisogni del soggetto. La componente desiderante dell’uomo ne sottolinea perciò la costituzione di essere soggetto di desiderio di cose e di «oggetti» che si offrono come risposte «finite», nel duplice senso di ben fatte e di sempre costitutivamente limitate.
    In particolare la corporeità dell’uomo segnata sessualmente esalta la componente «erotica e desiderante dell’uomo», in quanto soggetto corporeo di desiderio, ma aperto, in quanto essere di bisogno, all’altro; un altro che viene riconosciuto come «tu» rapportabile all’«io».
    Proprio per questo l’altro viene incontrato anzitutto come «oggetto» del proprio desiderio e dunque promessa di piacere, di risposta gratificante al bisogno.
    L’apertura all’altro tuttavia può divenire al contempo – proprio quando l’altro acquista l’identità di un «tu», cioè di un soggetto-io come il proprio io – apertura all’altro in quanto «soggetto altro di desiderio», che si rivolge anch’esso all’io e lo coglie come possibilità di risposta ai propri bisogni e di condiscendenza al desiderio.
    In tal caso l’altro diviene «appello», domanda di corpo e di incontro che fa uscire il soggetto dal proprio mondo di desiderio e lo inserisce in quello della reciprocità anzitutto, ma anche in quello della «conversione al desiderio all’altro».
    La consapevolezza inoltre della sessualità come espressione del soggetto di bisogno e di desiderio è una preziosa acquisizione di conoscenza e di significato della sessualità: rappresenta infatti la elaborazione dell’esperienza della finitezza nella sua duplice ed ambivalente faccia, ma appare anche vita di scoperta e di incontro dell’altro.
    Ci chiediamo: quali le conseguenze etico-antropologiche e perciò anche educative di questo primo nucleo tematico?
    Mi sembra si possa rispondere sottolineando una prima presa di coscienza necessaria da coltivare:
    – la consapevolezza e l’accettazione di sé e del proprio essere di bisogno, della struttura erotica, cioè desiderante di sé e la conseguente assunzione di responsabilità che coltiva la capacità di saper dare risposte al bisogno;
    – ma anche la consapevolezza della strutturale apertura di sé verso il mondo come oggetto di desiderio e la apertura desiderante verso l’altro in quanto possibilità di risposta al bisogno soggettivo. Resta ancora del tutto aperto invece il problema di quale modalità di approccio all’altro in quanto soggetto del proprio desiderio, perché qui i modelli culturali si diversificano moltissimo; ed inoltre di quale via e quale condizione per incontrare l’altro al di fuori del desiderio.

    L’uomo, il piacere e il tema della felicità

    La visione della sessualità dentro l’antropologia del desiderio apre l’uomo ad una nuova presa di coscienza di sé e dunque gli offre uno sguardo nuovo sul mondo: si tratta della comprensione dell’incontro tra uomo e mondo e soprattutto tra l’uomo e l’altro uomo, come «piacere che sboccia dall’incontro», che fiorisce nella vita quando i bisogni trovano una risposta gratificante da parte di qualcuno che si dà cura di elaborarli e di accoglierli.
    Questo qualcuno che assicura la soddisfazione del desiderio e la scoperta del piacere sono il soggetto, l’io (da qui comprendiamo l’autoerotismo narcisistico del soggetto infantile) e il tu incorporato nel proprio mondo dal desiderio soggettivo.
    Ma può divenirlo l’altro (sia l’io che il tu), quando uno dei due dona risposte ai bisogni e al desiderio dell’altro nella assolutezza della gratuità.
    Questa esperienza generatrice e fontale dell’essere al mondo come soggetto di piacere (soggettualità erotica) appare fondamentale in prospettiva evolutiva. Essa costituisce un elemento, anziché da rimuovere o da sottovalutare, come nelle concezioni strumentali o funzionali della sessualità tradizionalmente considerata, bensì da consolidare.
    Essa costituisce d’altra parte una delle componenti più evidenti della cultura adolescenziale e giovanile, che i preadolescenti sembrano assimilare insieme all’aria che respirano.
    Questa prospettiva infatti costituisce la via di ingresso nel mondo della sessualità da parte del preadolescente. Essa è tuttavia al contempo proprio il terreno di confronto di fatto oggi schivato e rimosso dagli adulti e dalle agenzie educative; il terreno su cui forse gli adulti, strutturati dentro una cultura repressiva e della negazione del piacere, si trovano sprovveduti e sguarniti di strumenti culturali.
    Questo dice una sfida all’educativo e alla cultura degli adulti per uno scavo antropologico che deve essere colmato.
    Ci pare invece che dal punto di vista culturale il tema del piacere offra l’opportunità di ricuperare una componente fondamentale dell’antropologico: il tema della felicità: cioè dell’incontro buono con il mondo in quanto disponibile al bisogno dell’uomo e affidato alla sua responsabilità; il tema di un mondo buono e che si offre alla fruizione dell’uomo attraverso la sua recettività: i sensi e l’immaginazione, il sentimento e la relazione, quindi un mondo che coinvolge tutto l’uomo nella sua globalità e nella molteplicità delle sue capacità recettive.
    Quali le conseguenze in termini etici ed educativi?
    Ci sembra vada sottolineata l’esigenza di una visione positiva e serena della sessualità e del piacere, come sentiero per coltivare la passione per la vita e la ricerca della felicità. Quello che va scavato e maggiormente evidenziato è invece il rapporto che il piacere e la felicità hanno con la responsabilità personale, e perciò la capacità che il soggetto deve coltivare di essere aperto alla differenza e all’alterità.

    Il paradigma della differenza e la scommessa sulla comunicazione

    Un altro elmento per una visione della sessualità nell’orizzonte culturale postmoderno è costituito dall’autocomprensione dell’uomo nell’esperienza della differenza, e della differenza di genere anzitutto. Questo elemento però non va considerato uno tra i tanti, bensì costituisce per noi il paradigma da cui ricomprendere tutto il discorso sull’uomo e sulla propria identità. E la differenza di genere, che guarda caso viene rimessa in discussione e ridefinita autonomamente proprio nel corso della preadolescenza, rappresenta il percorso per la scoperta della identità/differenza.
    In questa prospettiva l’uomo va visto in quanto soggetto corporeo portatore della differenza scolpita nella sua stessa carne, che viene a trovarsi faccia a faccia con la differenza dell’altro.
    L’incontro con l’altro gli offre la possibilità di entrare in comunicazione (attraverso il linguaggio del corpo e dell’affettività anzitutto) con l’altro in quanto portatore di una differenza per gioco di scambio tutto da contrattare e da ridefinire.
    Dunque l’esperienza in età preadolescenziale e adolescenziale della scoperta e della presa di coscienza apre al tema etico della chiamata alla relazione con l’altro nella propria e altrui differenza e alla qualità della comunicazione attraverso il corpo.
    Da questo punto di vista un modello che sottolinea solo l’identità e nega, sminuendo o riducendo la differenza di genere, un modello che della sessualità tende a minimizzare l’antropologico maschile e femminile, appare inadeguato e mistificatorio.
    D’altro canto risulterà altrettanto inadeguato un modello che esasperi la differenza tanto da renderla chiusa e irrelabile a qualsiasi differenza. L’esito infatti sarebbe la condanna alla incomunicabilità e alla impossibilità di un qualsiasi incontro.
    La ricaduta sul discorso sociale ed educativo è immensa.
    Nella cultura attuale diventa sempre più difficile dire cosa è «maschile» e cosa è «femminile», soprattutto dal punto di vista dei ruoli sociali.
    Il processo di rielaborazione dell’identità a partire dalla riappropriazione della differenza, soprattutto al femminile, innesca profondi cambiamenti culturali e di cultura sociale, una ridefinizione dei ruoli, anzitutto quelli di genere maschile e femminile.
    La conseguenza sul piano etico ed educativo di questa impostazione è evidente.
    Educare alla sessualità significherà:
    – abilitare a non aver paura ma a riconoscere ed accogliere la differenza propria e dell’altro, ricomponendo il disegno della propria identità a partire da questo evento-esperienza in un certo senso traumatico;
    – sviluppare la capacità di ridefinire il proprio ruolo sociale, anche psicosessuale, con la flessibilità e l’elasticità di chi riconosce che i criteri di ridefinizione passano attraverso l’incontro con l’altro, e con l’altro sociale, nello scambio, nella reciprocità, nella ricontrattazione sociale dei ruoli;
    – sviluppare una «competenza comunicativa» che deve saper fare i conti con la differenza e con l’alterità, ed abilitare ad una comunicazione segnata da specifici codici (qualificata dai codici affettivi).

    La dimensione creativa, ri-creativa e pro-creativa dell’identità sessuata

    La riflessione sulla comunicazione nella differenza sessuata ci offre l’opportunità di evidenziare ulteriori elementi intorno all’antropologia dell’identità sessuata.
    Il paradigma della comunicazione nella differenza sembra utile per riesprimere quella che viene considerata nella cultura teologico-antropologica la componente «unitiva» della sessualità umana (il primo dei cosiddetti due tradizionali «fini» della sessualità).
    Allora, nella stessa prospettiva, anche se oggi appare quanto mai riduttiva, ci diciamo: è importante il ricupero e la necessaria reinterpretazione di quell’aspetto antropologico della sessualità che è quello espresso nel linguaggio tecnico dal secondo fine della sessualità, il fine o la componente «procreativa».
    Le componenti antropologiche fin qui richiamate potrebbero non apparire sufficienti ed adeguate per liberare la riflessione attuale intorno alla sessualità da una possibile prigione: l’interpretazione narcisistica e di chiusura nell’orizzonte dell’io, dove non si lascia spazio all’altro nella sua identitità/differenza, se non per catturarlo e racchiuderlo nel proprio mondo definito e circoscritto dal desiderio.
    Questo ulteriore nucleo tematico permette invece di infrangere il guscio del narcisismo e di aprire alla trascendenza di cui ogni progettualità è portatrice, verso quella alterità che è anche al di là e oltre la stessa coppia di partner.
    Nel quadro dei concetti e dei punti di riferimento, occorrerà allora sviluppare anche il contenuto antropologico della sessualità in termini di creatività, progettualità, produttività, pro-creazione.
    Nella comunicazione tra le differenze sessuate non c’è solo la questione della buona comunicazione paritaria nella differenza «tra i due», ma c’è anche l’elemento di apertura all’ulteriorità e alla trascendenza e che può essere espressa dalla frase: «noi due per...».
    Anche qui abbiamo le ricadute in termini etici ed educativi di questo aspetto:
    – l’apertura all’«ulteriorità» e la prima apertura all’«alterità» da parte del soggetto e della coppia, sia in termini di presa di coscienza che in termini di responsabilità;
    – la capacità di cogliere il «senso» della sessualità inteso proprio come «direzione di sviluppo» della propria esistenza e quindi come tensione alla progettualità;
    – il superamento di una progettualità che nasce dall’autorealizzazione dell’io e dall’autoespansione, ma che invece emerge come capacità di risposta all’appello alla vita dell’«altro»;
    – il superamento di una concezione riduttiva e ristretta di pro-creazione, che diventa invece apertura alla comunicazione di vita e di condizioni vitali (perciò culturali).
    Perciò pro-creare è anche donare all’altro vita, cioè cultura, educazione, senso della vita e forme anche nuove di esistenza.

    La sessualità come dinamismo che apre all’«altro sociale»

    Il riferimento all’antropologia culturale e l’accentuazione da noi data alla riscoperta dei processi di iniziazione sociale della sessualità ci permettono di ricuperare ancora più in profondità la direzione di questa pro-gettualità o pro-attività della sessualità umana: la sua potenziale apertura verso l’altro sociale. Dunque la sua dimensione di pro-socialità.
    E ciò non come un elemento di giustapposizione, ma come riconoscimento della rilevanza sociale e perciò culturale della sessualità dell’individuo, lungi dal considerarlo un mero problema o tema del privato individuale o anche del privato sociale.
    L’iniziazione sociale nelle culture aveva come scopo il modellamento delle pulsioni vitali, e perciò anche della sessualità, in modo tale che esse erano gestite correttamente dal punto di vista sociale quando l’iniziato aveva acquisito la capacità di prendersi cura di... qualcuno della tribù, ma anche di prendersi cura, riconoscendosi parte attiva, del sistema sociale, del gruppo, dei beni sociali che il gruppo rappresentava simbolicamente e custodiva.
    Dai contributi dell’antropologia culturale possiamo oggi dire che la sessualità è culturalmente matura quando il soggetto giunge a due consapevolezze fondamentali, facce di un’unica medaglia: in primo luogo quando scopre la sua limitatezza e la consapevolezza di non essere il tutto ma di essere solo «parte» (la differenza di genere è esperienza dei propri confini e della propria limitatezza) e di doversi affidare all’altro, perché se ne prenda cura e doni la risposta a bisogni a cui il soggetto non sarà mai in grado di rispondere da solo. In secondo luogo la sessualità socialmente matura comporta anche la consapevolezza e la capacità di prendersi cura dell’altro che gli si affida, proprio mentre gli comunica la sua intimità e il suo mondo più segreto. In questa prospettiva la dimensione sessuale è intrinsecamente dimensione sociale della persona.
    Ma il significato e il valore essenzialmente sociale della sessualità dal punto di vista antropologico non è tutto qui. Esiste infatti una capacità di apertura all’alterità nella forma del «prendersi cura» che va ben oltre l’altro come oggetto del proprio desiderio o come soggetto portatore di un desiderio o di promesse di risposta al desiderio.
    L’iniziazione sociale coltiva la capacità di prendersi cura dell’altro-sociale (l’altro generalizzato e universalizzato in quanto portatore di una qualsiasi differenza) che è il sistema, la società, gli altri in genere, i beni sociali materiali e simbolici, che la società rappresenta e custodisce.
    Qui è il nesso tra iniziazione sociale della sessualità e costruzione sociale dell’identità sessuale dell’uomo.
    Oggi nelle società del post-moderno, anche come esito della stessa modernità, è diventato quanto mai difficile assicurare questo compito evolutivo e questa funzione pro-sociale della sessualità, essendo in crisi sia l’iniziazione sociale che la coscienza della rilevanza sociale della sessualità.
    Il dissolversi dell’iniziazione sociale è la ragione di una situazione socio-culturale del tutto particolare per i preadolescenti: dobbiamo infatti registrare al contempo un anticipo e una precocità dello sviluppo puberale, e un posticipo forzato di ogni forma di assunzione di responsabilità sociale. Ciò produce di fatto, in un clima permissivistico, l’esercizio attivo della sessualità senza valenze di responsabilità verso qualsiasi «altro», soprattutto l’altro sociale.

    UN ADEGUATO QUADRO PASTORALE

    Abbiamo tentato di articolare la riflessione antropologica secondo i mutati paradigmi culturali e di formulare un quadro interpretativo dell’antropologia della sessualità e corporeità.
    Ancora più urgente e impegnativo diventa il compito di ricostruzione di un quadro di riferimento educativo-pastorale.
    Deve essere profondamente rinnovato, insieme al quadro e alle categorie culturali-teologiche, il linguaggio pastorale e soprattutto il linguaggio rivolto ai ragazzi e agli adolescenti, che non sono né teologi del fatto etico e nemmeno adulti maturi.
    I contributi biblici, etico-teologici e educativi pastorali proposti risultano preziosi contributi che sollecitano a muoverci in questa direzione.
    All’interno e in aderenza ai punti del quadro culturale sopraesposto, sembra comunque importante una lettura della sessualità in termini teologico-pastorali secondo la prospettiva che così viene delineandosi.

    La prospettiva alleanza-creazione come apertura alla logica del dono

    Intanto una lettura biblico-teologica va inquadrata nell’esperienza fondante della «alleanza-creazione» (da qui gli elementi della gratuità e della finitezza), perciò nella antropologia del dono; questo significa infatti aprire la possibilità di ricuperare a se stessi l’esperienza di un «dono» che qualifica (nel senso proprio della qualità da assicurare) la vita stessa come dono: il dono del corpo e della differenza sessuale, da vivere, come ogni dono della vita, nel riconoscimento, nell’accoglienza, fino a divenire riconoscenza e consapevolezza di una chiamata alla responsabilità.
    In questa prospettiva la creazione e i doni di essa diventano «buoni», cioè espressione anzitutto di un cuore buono che li dona. Ma essi non sono buoni solo perché vengono regalati dalle mani di Dio; essi diventano tali solo quando sono accolti e acconsentiti da un cuore buono di creatura.

    La responsabilità si coniuga come responsabilità di partnership, cioè alleanza comunicativa

    Nella logica della responsabilità generata dal dono, la sessualità allora deve poter essere interpretata e colta come un «compito affidato alla persona»: il prendersi cura di sé e dell’altro in quanto soggetti di bisogno; l’impegno nella costruzione e nel mantenimento del patto comunicativo, verso il quale la coscienza del soggetto si trova interpellata perché il corpo diventi luoghi di comunicazione profonda con l’altro e con gli altri.
    In questo senso lettura teologica e visione etica si vengono a saldare profondamente. Ogni approfondimento pastorale allora non può che ritrovarsi nella condizione di coniugare il compito di dilatare la coscienza delle persone, con il compito della libertà, che è la possibilità di superare la mera logica del determinismo biologico, per liberare l’assunzione di responsabilità.

    Dentro una progettualità e una responsabilità intorno a tutto ciò che è vita

    In terzo luogo ci sembra urgente che essa venga inserita e colta nella prospettiva della globalità del progetto di Dio sull’uomo. Questo elemento ci permette di non isolare la tematica, di non creare scompartimenti stagno, bensì di rapportarla necessariamente a quella prospettiva che dà senso all’esistenza e che si offre come senso donato da accogliere e da costruire: la prospettiva evangelica della vita piena e abbondante per tutti. Allora lungi dal porsi come valore assoluto e totalizzante, la sessualità e la corporeità vanno riconosciute come valori in sé, ma valori penultimi e dunque da rapportarsi a quel di più di senso e quel qualcos’altro come valore, che nella parabola evangelica viene descritto come la perla e il tesoro in relazione al quale davvero tutto il resto può essere lasciato e relativizzato.
    È importante allora dal punto di vista pastorale inserire qualsiasi tema antropologico di riappropriazione dell’identità personale del soggetto nella prospettiva dell’amore alla vita, di quella passione per la vita di chi non ha vita, che esige anche in certi momenti la rinuncia (divenire e farsi liberamente eunuchi per il regno dei cieli), temporanea o no che sia, la dimenticanza di sé, la posposizione delle gratificazioni e delle risposte ai bisogni soggettivi, anche i più urgenti. Si apre così la prospettiva della «progettualità», non però in quella della autoprogettualità e dell’autoespansione, ma nella linea della eteroprogettualità dell’altro e della fede.

    Quale riferimento «cristologico»?

    È particolarmente importante all’interno di questa riflessione assicurare la centralità al riferimento cristologico.
    L’interrogativo di fondo che la nostra prospettiva induce è il seguente: che cosa può offrire una riflessione cristologica alla elaborazione di una antropologia della differenza e della reciprocità tra maschile e femminile?
    La risposta ci sembra vada colta nella seguente direzione: la riflessione cristologica provocata da queste precomprensioni e interrogativi, lontani dall’interesse immediato dei testi evangelici, può indicare la prospettiva, nonché l’apertura e la direzione di un cammino, ancora tutto da esplorare, in termini di «senso» (spiritualità del Regno) e di responsabilità-impegno (un’etica al servizio del Regno come superamento di ogni visione moralistica).
    Gesù di Nazareth ci sembra possa divenire anche agli occhi del preadolescente, oltre che a quello dell’educatore alla fede, un modello di umanità in pienezza capace di aiutarlo ad integrare nell’identità personale la molteplicità delle componenti e delle dimensioni antropologiche in una figura originale che sbilancia l’identità oltre se stessa, verso l’alterità accolta nella fede.
    Del riferimento cristologico rimane fondamentale la prospettiva messianica: per essa Gesù diviene un modello di uomo che vive radicalmente per il Regno, che serve e svela, e tutta la sua esistenza appare orientata a questa causa. Egli diventa rilevante e significativo per quel modello d’identità decentrata sull’alterità: un modello d’uomo «centrato sull’altro, proprio nella sua differenza in quanto essere di bisogno». Il vivere di Gesù come uomo ripiegato e curvato sul povero introduce una struttura antropologica (l’uomo nuovo), o meglio, antropo-teologica (l’uomo nuovo abitato dallo Spirito e ologramma di Dio) alter-nativa, che sollecita a ripensare completamente il modo di vivere ogni forma di identità/differenza, compresa quella di genere. È questa nuova struttura antropologica che funge da istanza critica di ogni modello d’identità di genere e che inquieta e sollecita continuamente il soggetto ad infrangere il guscio della chiusura dentro un mondo e una relazione dettata e regolata soltanto dal desiderio.
    E più ancora: egli relativizza e dunque ridimensiona, riconducendola all’essenziale (il detto paolino «non c’è più né uomo né donna») ma senza cancellarla, ogni ricerca di identità personale, compresa quella di genere, e esaltando e riconoscendo come «centrale e risolutoria» (la salvezza dell’identità e del senso dell’esistenza) quella identità alter-nativa che si rapporta con quella differenza radicale che è l’unica davvero discriminante ed essenziale per la quale convertire ogni desiderio.
    In questo senso la sessualità è ridimensionata, per esempio de-sacralizzata rispetto ad altre visioni religiose e sottoposta al primato del Regno. Così come il familismo e altro.

    PER UNA LETTURA EDUCATIVA

    Abbiamo cercato di aprire ad una prospettiva culturale e teologica e di ricostruire un quadro essenziale dei punti di riferimento entro i quali operare il tentativo di ricomprensione del problema della sessualità in prospettiva educativa. Se in un certo senso ci si può ritrovare attorno ad un tentativo di ricomprensione culturale ed esistenziale del tema, ciò che appare particolarmente problematico dal punto di vista pastorale è la sua ricomprensione in termini educativi.
    Infatti, il nostro interrogarci sui significati antropologici della sessualità è guidato dalla precomprensione educativa: vogliamo poter aiutare i preadolescenti a crescere in umanità attraverso la scoperta, assunzione e valorizzazione della loro corporeità sessuata e la non facile elaborazione della identità/differenza di genere.
    Diventa prioritario allora ritrovare alcuni criteri che possano guidare la riflessione e la progettazione educativo- pastorale, in modo tale da essere fedeli ai destinatari e nello stesso tempo fedeli all’evento, che tutti ci supera, della vita in pienezza da servire.
    Ne prospettiamo alcuni.
    Un primo criterio è quello del primato e della centralità della persona che vive il processo; un primato che va affermato e riconosciuto sia in riferimento a qualsiasi ricodifica dei ruoli interpersonali, o dei ruoli sociali, sia contro ogni massificazione e strumentalizzazione.
    Il percorso della elaborazione dell’identità personale, compresa l’identità/differenza di genere, è quanto di più personale e unico avviene nel soggetto. Esso esige continuamente che la persona venga collocata al centro del processo di liberazione personale, attraverso la restituzione progressiva della presa di coscienza, della libertà dai condizionamenti e della assunzione di responsabilità.
    Un secondo criterio che assumiamo e che qualifica la prospettiva educativa, è quello della «globalità», che assume e dà senso ad ogni elemento di particolarità e specificità. Con ciò intendiamo affermare che l’ottica educativa non può affrontare il tema della sessualità come un tema isolato, un settore separato e non connesso profondamente con i temi del corpo, dell’affettività, della relazionalità, del senso, del cambio dell’identità preadolescenziale.
    La legge della globalità perciò esige la ricerca delle connessioni, la composizione del quadro completo di comprensione della persona e il tentativo di cogliere come questa dimensione sia in stretta connessione con tutte le altre. Si esige dunque una visione sistemica del preadolescente e della sua sessualità, e la progettazione di interventi mai isolati e puntuali, ma sempre di sistema.
    Diventa quindi fondamentale per una corretta impostazione, non isolarlo come un capitolo a sé dell’educazione dei ragazzi, fino a considerarlo una disciplina in più da insegnare, o una funzione di un singolo educatore a ciò deputato, o una responsabilità evocata a sé da una certa agenzia educativa (si vede il familismo imperante nel settore pari solo contemporaneamente alla fuga da responsabilità), ma comprenderlo dentro l’unico grande capitolo dell’educazione. Di conseguenza la scelta sarà quella di passare dall’informare all’educare (nella direzione di ricomprendere anche l’informativo dentro l’educativo).
    Perciò educazione alla differenza sessuale è soprattutto creare disposizioni affettive, coltivare l’emotività, abilitare a stabilire relazioni con l’altro, costruire e consolidare atteggiamenti e, di pari passo, ristrutturare mappe mentali/culturali di comprensione di sé del mondo.
    Un compito del genere esigerà la massima interdisciplinarietà e la interprogettualità delle agenzie educative.
    Il terzo criterio, l’evolutivo, potrebbe rappresentare una chiave interpretativa della stessa sessualità in preadolescenza: si tratta di riconoscere che il preadolescente è una persona in crescita, in quanto impegnata in un compito evolutivo del tutto particolare: l’avvio della elaborazione di un’identità personale a partire dal cambio del corpo. In questa ottica la riappropriazione consapevole e responsabile della sessualità, in quanto dimensione qualificante il divenire persona, va vista in divenire, cioè all’interno di un processo di differenziazione e di individualizzazione.
    La sessualità diviene per il preadolescente il sentiero di affermazione della propria differenza (della sua accettazione e valorizzazione) e di apertura e incontro con la differenza, di genere e non solo, dell’altro, in una reciprocità tutta da costruire.
    Il quarto criterio è quello della gradualità e della progressività; esso ci permette di cogliere il processo di attribuzione di significato alla sessualità scoperta e riappropriata in preadolescenza come un itinerario, come un cammino graduale e progressivo verso una maturità ed un equilibrio ancora lontani da venire, senza cedimenti alla pretesa del tutto e subito, sia quello dettato dall’onnipotenza infantile che dalla onnipotenza dell’adulto incapace di accettare la gradualità e i tempi di maturazione.

    IL PORSI DELL’EDUCATORE

    La figura e la funzione dell’educatore in questo processo appare sempre più necessaria, anzi indispensabile.
    Come reagisce e si comporta l’adulto all’affiorare del problema della sessualità del preadolescente? Come coglie i segnali del disagio del vecchio e le manifestazioni di curiosità e di scoperta del nuovo?
    Differenti e molteplici possono di fatto essere le reazioni e i comportamenti dell’adulto.
    Spesso la reazione dell’adulto è di differenza o di tolleranza, mentre in passato era più di tipo difensivo e repressivo; ma in realtà anche gli atteggiamenti odierni coprono e fanno trasparire in genere ansia e/o sconcerto.
    In genere comunque l’adulto nelle sue funzioni educative sembra trovarsi «spiazzato», quindi disorganizzato, disorientato e impreparato.
    Alcuni comportamenti dell’adulto evidenziano questo tipo di reazione predominante:
    – anzitutto quello che misconosce e nega il problema, perciò minimizza gli interrogativi dei ragazzi, scivola sulla profondità delle loro richieste, considerandoli quasi banali e riducendoli a curiose domande da bambini vivaci. Egli tende perciò a minimizzare il livello di coinvolgimento del problema, e a negare l’esistenza di quei segnali che rivelano come il preadolescente non solo esplori e tenti di conoscere, ma spesso tenti anche di vivere e di sperimentare;
    – un altro comportamento dell’adulto è quello di chi, non potendo fuggire, si pone sulla difensiva, attivando l’intero sistema di difese: elabora interventi formalizzati il più possibile, utilizza un linguaggio neutro, asettico, assolutamente scevro da vissuti personali e dal racconto della propria esperienza preadolescenziale e adulta, un linguaggio che utilizza appieno la copertura del linguaggio scientifico.
    L’adulto di fronte al preadolescente rischia di non sapere come porsi, che cosa dire e che cosa fare: si trova infatti di fronte ad uno zoccolo duro di contenuti e di vissuti da gestire, perché quello che il preadolescente pone non sono le solite domande curiose dei bambini, ma è un problema globale, non una serie di informazioni da passare.
    Il preadolescente provoca l’educatore sui vissuti e sugli atteggiamenti personali, sul modo di porsi di fronte alla propria sessualità e a quella dell’altro. Il preadolescente sconcerta e disarma.
    Di fronte a lui, le difese diventano foglie di fico.
    Egli cerca una comunicazione autentica e carica di vissuti sul problema.
    L’adulto invece appare più spesso preoccupato dall’armamentario teorico con cui affrontare questo problema.
    Lo sconcerto e l’impreparazione conducono spesso l’adulto alla fuga dalla propria responsabilità, come di fatto si verifica tra scuola e famiglia.
    Tale comportamento di fuga degli adulti si traduce infatti in:
    – un rimpallo di responsabilità che diventa comportamento di delega verso un compito educativo che il momento evolutivo esige, e ciò anche con la scusa, per nulla ingiustificata, della impreparazione;
    – un compromesso tacito tra adulto e preadolescente che si potrebbe tradurre in un messaggio implicito che, codificato, suona più o meno così: «Tu fai quello che vuoi, e io faccio finta che non ci sia alcun problema!».
    Ma proviamo a scavare più in profondità per cercare di capire lo smarrimento e la dislocazione dell’educatore adulto.
    L’educatore è spaventato e soprattutto disorganizzato dall’«ambivalenza» che attraversa il vissuto e gli atteggiamenti del preadolescente stesso, e che si configura come un ritorno a forme regressive ed infantili della sessualità: ambivalenza e ansia vengono così amplificate fino ad essere percepite come esperienza di ambiguità.
    Da qui una serie di interventi urgenti per bonificare i vissuti e l’approccio relazionale e aprire così il varco ad una autentica comunicazione intergenerazionale (dunque nella differenza, non solo di genere) che proprio in riferimento a queste tematiche appare quasi come l’unica via risolutiva dei problemi e liberatrice delle persone.

    Un ruolo da riscoprire

    Occorre sostenere perciò l’adulto nel riconoscere e prendere coscienza anzitutto dei propri atteggiamenti verso la sessualità in quanto condizionati dalla educazione tradizionale ricevuta e solo parzialmente assimilata, caratterizzata per lo più da imperativi tabuistici, repressivi e svalutativi, di certo maschilisti, e spesso fortemente colpevolizzanti.
    E questo è il passato dell’adulto tutto da elaborare.
    Ma occorre anche da parte dell’adulto prendere coscienza del condizionamento presente di una cultura di massa fortemente svalutativa della globalità, riduttiva, consumista e individualista.
    È questa un’ottima occasione che ci regalano i preadolescenti per una rielaborazione critica del proprio passato e spesso anche di un presente che appare soltanto come prolungamento non creativo del passato.
    Occorre però tener presente che il posizionamento critico verso una concezione superata implica anche la messa in discussione di atteggiamenti ingenui, ad essa conseguenti, per assumerne di nuovi, frutto di libertà.
    Una urgenza che deve interpellare gli adulti poi è quella di offrire modelli di educatori al maschile e al femminile, contro la femminilizzazione dei ruoli educativi e la loro desessualizzazione, e contro la maschilizzazione dei ruoli clericali.
    Occorrono modelli adulti forse in gran parte da inventare, modelli che risultino naturalmente capaci di integrare e di armonizzare la differenza al proprio interno e si pongano quali soluzioni nuove e creative alle esigenze di paritarietà nella asimmetria, e di reciprocità nella differenza.

    La parola dell’adulto che rompe il silenzio

    Infine una urgenza che interpella ciascun adulto e che possiamo denominare come «la morsa del silenzio da infrangere» per liberare la parola che indica i limiti e i confini, chiamando per nome le cose.
    Perché anche nel campo della corporeità, della sessualità, dell’affettività e della relazionalità, quali aree di un medesimo campo esperienziale, vige ciò che è essenziale in qualsiasi ambito educativo: l’educazione è sempre l’intervento teso a dissolvere il delirio dell’onnipotenza infantile, individualmente o collettivamente gestita, attraverso la «parola imperativa» (la legge) che proviene come istanza dalla stessa «realtà» (nel suo spessore più profondo e misterioso) ed in particolare dall’alterità dell’altro (e non dal verbo onnipotente di un padre dispotico e castrante).
    Alle strette tra un’educazione ricevuta di tipo repressivo e una dilagante cultura permissiva, falsamente liberatrice, genitori e adulti preferiscono tacere, fare silenzio, rinunciare a qualsiasi ruolo che li veda «porsi in-differenza e anche in-conflitto», anziché in complicità, con i preadolescenti.
    In questo campo è preferita la latitanza di ruolo, soprattutto se esso deve mettere in gioco anche la funzione paterna in quanto principio di limitazione.
    Ma il silenzio ha un significato, anzi ha molti significati.
    Con il silenzio e la latitanza l’educatore lascia in balia dell’emotivo e dell’inadeguatezza interpretativa il preadolescente, il quale non può che assumere acriticamente e passivamente le interpretazioni del suo vissuto sessuale circolanti nella compagnia dei coetanei e nella cultura del consumo di massa o dell’immaginario televisivo coltivato dai serials e dalle telenovelas.
    È importante invece ed essenziale per il preadolescente che l’adulto espliciti la propria visione della sessualità, in cui egli giochi il proprio sistema valoriale e i propri modelli capaci di integrare identità e differenza nel gioco tra desiderio e limite.
    L’adulto ha la possibilità nel suo rapporto con il preadolescente di definire la propria collocazione e posizione della sessualità e di indicare i confini e i limiti che egli pone anzitutto a se stesso e che riconosce.
    L’adulto si pone così nell’atteggiamento di «permesso rassicurante» di colui che indica i confini.
    Il preadolescente non possiede ancora la consapevolezza dei confini e dei limiti, propri e altrui, ma ha bisogno di conoscerli e di rielaborarli in compagnia dell’educatore.
    Eppure tutto ciò l’adulto non lo comunica con il preadolescente anzitutto verbalmente, con una bella riflessione articolata o una unità didattica apposita.
    Certo, sono quanto mai necessari i momenti e i tempi in cui la parola fiorisca e diventi dialogo, narrazione, confronto critico: i preadolescenti vivono quotidianamente in uno stato di sottoutilizzo della parola parlata, del discorso ragionato, della comunicazione verbale significativa tra i coetanei e con l’adulto.
    Tuttavia ciò che l’adulto comunica loro è anzitutto quello che egli mette in circuito della comunicazione attraverso la parola che si fa corpo, che si fa gesto, la parola «non parlata» ma agita come relazione interpersonale cercata, realizzata, indotta nel gruppo, proposta e fatta sperimentare nel vissuto.
    Infatti il modo di vivere nella globalità la propria identità/differenza psicosessuale e culturale e lo stile di tradurla nelle relazioni quotidiane diviene il modo ordinario per comunicare con l’altro sollecitando in lui l’emergere della propria identità/differenza e la sua apertura all’altro.

    UN PROGETTO PER OFFRIRE CAMMINI E NON RISPOSTE

    Quello che ci interessa dal punto di vista educativo pastorale non è dunque una serie di risposte ad interrogativi tesi a chiarire «fin dove» e «fino a che punto». E neppure ci interessa l’elaborazione di risposte che siano in grado di tacitare domande intellettuali o anche esperienziali.
    Quello che riteniamo importante è invece indicare cammini, individuare obiettivi di cambiamento e tappe di crescita formulati in termini di coscientizzazione e responsabilizzazione.

    La logica entro cui immaginiamo il cammino: la logica del seme

    È importante anzitutto richiamare la logica entro cui noi pensiamo sia possibile attivare un cammino di compagnia educativa con i preadolescenti, elaborando con loro il problema evolutivo che qui consideriamo.
    Si tratta della logica delle scelte educativo-pastorali che ci hanno guidato in questi anni nella progettazione di quello che abbiamo chiamato l’itinerario di educazione alla fede.
    La logica è dunque quella del seme: ogni piccolo passo di scoperta, accettazione e responsabilizzazione intorno alla propria vita nella direzione di una conquista dell’identità personale e della solidarietà, con una passione crescente per la vita verso una apertura oltre se stessi e il proprio mondo soggettivo, è già un modo di vivere in piccolo, anticipandola, la grande meta dell’identità riconquistata ma anche risignificata nell’incontro con il mistero della vita che viene incontro a ciascuno.
    La logica del seme è dunque la capacità di riconoscere quello che c’è già di accoglienza della vita anche nelle forme immature ed incompiute del non ancora.
    È dunque la saggezza del contadino di non pretendere ancora dall’albero la fioritura o i frutti maturi quando invece spuntano soltanto i primi germogli della pianticella o le prime gemme.
    Proprio nel campo della identità di genere il cammino del preadolescente è lento e difficile, pieno di ostacoli e di trabocchetti: si tratta di un cammino che, nel disorientamento generale delle direzioni e nel caotico incrociarsi delle proposte più dissonanti e al contempo affascinanti, si smarrisce facilmente o si arresta, confondendo, tanto per proseguire la metafora, le cisterne screpolate e secche con le sorgenti fresche e dissetanti.
    Quello che comunque è importante ritrovare, nella prospettiva dell’itinerario, è che il cammino educativo che implica la rielaborazione delle tematiche del corpo, della sessualità, dell’affettività e della relazionalità, non va pensato come un altro itinerario, un cammino parallelo all’itinerario da noi elaborato per la preadolescenza.
    È lo stesso cammino, con le stesse tappe e gli stessi movimenti progressivi. È sempre l’unico grande cammino di conquista-elaborazione-dono dell’identità e dell’incontro con l’alterità.
    Si differenzia nel fatto che queste tematiche, profondamente connesse e richiamantisi a vicenda, vanno pensate come una risorsa, un grande tema generatore d’identità, di alterità e di cultura, di incontro con la vita e il mistero che essa porta con sé fino a riconoscerlo nella compagna del grande Signore della vita. Esse costituiscono allora per la preadolescenza un «sentiero privilegiato» della ricerca di sé e dell’altro e del mistero.
    Un percorso appassionante di avventura nella vita che ha come esito sempre un incontro liberante e appagante, non frutto dell’onnipotenza del desiderio ma del venir incontro della Vita nella sua oggettività e trascendenza. Per questo la componente di identità/differenza personale e culturale non deve restare in educazione solo un tema diffuso, da lasciare alla occasionalità dell’esperienza educativa. Esso può essere tematizzato e divenire vera e propria «tappa» dell’itinerario che elabora il «cambio dal punto di vista del corpo e della differenza di genere che esso comporta» sollecitando il cammino stesso di elaborazione dell’identità.

    Sulla meta e sugli obiettivi

    Tutta la tematica va dunque privilegiata e tematizzata all’interno delle tappe della prima area dell’itinerario di educazione alla fede: la tappa dell’identità personale, sociale e culturale aperta all’invocazione.
    Con essa intendiamo aiutare il preadolescente ad appropriarsi e a riscrivere la passione per la vita dentro il proprio vissuto (anche partendo dalla scoperta del desiderio nelle sue diverse forme) per aprirsi alla responsabilità intorno ad essa, fino a riconoscerne l’apello nella vita dell’altro e nel mistero che abita la stessa vita. Da qui una educazione alle scelte di vita, alle scelte per la vita di tutti.

    Gli obiettivi

    Nel tentativo di operazionalizzare e articolare le tappe del cammino sarà importante anzitutto non tanto puntare prioritariamente sui comportamenti (e il dibattito recente sulla masturbazione negli adolescenti tra repressione e lassismo ne è un indice palese) quanto preoccuparsi di costruire e stabilizzare atteggiamenti.
    Quali gli atteggiamenti oggi da privilegiare?
    – Quello del superamento di un atteggiamento padronale rivolto anzitutto verso se stessi. Non più «padrone di sé» ma «custode di un tesoro». Questo implica la consapevolezza di avere dentro una forza (la forza della vita) più grande di sé, che può riuscire difficile da capire, da organizzare, da gestire, e che appella alla responsabilità verso qualcosa di grande.
    È l’atteggiamento di chi si riconosce posseduto dalla vita, e collocato dentro un alveo che lo precede e lo supera; è la dimensione del «sentirsi a servizio e a custodia di una realtà di cui non si può disporre mai pienamente: è l’essere progettati dentro il grande progetto della vita che sollecita alla progettualità secondaria, cioè acconsentimento e collaborazione».
    Sembra, questo, delinearsi come un antidoto da un lato al consumismo sfrenato nell’ambito della sessualità, dove la fruizione diventa consumo senza attenzione verso alcunché di alterità, e al contempo antidoto a quegli atteggiamenti nevrotici tutti giocati sull’autocontrollo, sulla rinuncia, sul dominio di sé, che tuttavia appaiono espressioni di un io dominatore e non di un io che si prende cura.
    – Un altro atteggiamento è quello di vivere in termini di positività, di realtà buona da costruire, la concretezza della vita che si manifesta nella relazione dell’individuo con la propria corporeità e, più ancora, nell’incontro con l’altro pur nello spessore della sua corporeità e differenza. Il preadolescente deve poter essere felice e soddisfatto dall’esser fatti e costituiti così.
    È il vivere a proprio agio nel corpo sessuato e vivere la gioia del rapporto con l’altro. La scelta: decido di essere quello che sono!
    – Il terzo atteggiamento è quello che permette di vivere se stessi come apertura all’alterità, come «essere fatti per l’altro». È la accoglienza di una forza di vita che proietta il soggetto oltre se stesso, che, richiedendo il superamento di tutte le chiusure, lo apre verso l’altro. Si tratta cioè di superare l’atteggiamento di chiusura narcisistica ed egocentrica, di superare i ripiegamenti consolatori e di autogratificazione, imparando a riconoscere che questa spinta verso l’altro deve regolare in qualche modo i rapporti con gli altri, fino a superare la stessa logica del desiderio.
    – Altro atteggiamento è il senso della creaturalità. Si tratta di cogliere un legame tra quello che si vive di sé e della vita e il mondo in quanto creazione. È la consapevolezza di non essere buttato a caso dentro il mondo con questa energia vitale, ma di essere collocato dentro il mondo con un progetto particolare: il segno esplicito di chi ti ha voluto perché non vivi per te, ma con gli altri e per gli altri.
    – In sintesi è l’opportunità di vivere e condividere l’atteggiamento di responsabilità di fronte ad un dono. Il preadolescente comincia a vivere con un sapore diverso la vita e i rapporti. Si sente «cambiato e diverso», si sente «un altro». Tutto ciò lo sollecita alla «presa in carico» del compito di elaborare l’identità di genere: poter dire chi si è nella propria differenza di genere; scoprire ed elaborare una componente essenziale dell’identità.
    – L’atteggiamento dell’accettare di essere fatti e di acquisire la capacità di saper comunicare se stessi attraverso il corpo. Si tratta di saper conoscere e possedere il linguaggio del corpo perché diventi il linguaggio dei sentimenti e dell’amore.
    – Infine l’atteggiamento dell’attesa, della pazienza, del non aver fretta, del saper riconoscere e accettare i limiti e le esigenze che il cammino di crescita esige, perché ogni gesto, ogni atto diventi segno di qualcosa di importante per sé per gli altri. Da qui la capacità di differire le gratificazioni, di progettare cammini e rapporti da costruire, di rinunciare a quell’imperativo nevrotico che abita la vita del ragazzo che è quello del «tutto e subito».
    Possiamo ipotizzare un cammino che porti a «vivere» felici la propria sessualità da preadolescenti? Crediamo di sì: ritrovando nella esperienza quotidiana la possibilità di sprigionare un «progetto di gioia di vivere e di promessa di felicità», non a poco, bensì a caro prezzo.
    Da qui immaginiamo alcuni movimenti dell’itinerario nella prima area, quella dell’identità da ricostruire.

    I movimenti dell’itinerario

    Abbiamo indicato alcuni obiettivi prioritari espressi in termini di atteggiamento.
    Ora, in prospettiva dinamica, secondo la logica cioè del divenire progressivo della persona, cerchiamo di formulare alcuni tra i movimenti progressivi di un itinerario di costruzione dell’identità personale del preadolescente (prima area del nostro itinerario) che, muovendo dai punti di partenza reali dei destinatari, siano anche in grado di farli camminare e permettere loro di integrare ed elaborare i cambiamenti che vogliamo produrre nella compagnia dei soggetti.
    Questi alcuni movimenti progressivi che ipotizziamo:
    * dalla paura e dalla vergogna alla sorpresa, allo stupore, fino alla gioia della scoperta e della accettazione della differenza di genere che segna non solo il corpo, ma la propria identità personale;
    * dall’incontro con la propria differenza sessuale all’apertura e all’incontro con la differenza di genere che segna anche l’identità dell’altro;
    * dalla curiosità e dal desiderio di conoscere e dalla voglia e fretta di voler subito sperimentare al saper attendere e al saper riconoscere e accettare di crescere assumendo la propria responsabilità;
    * dal sogno del corpo bello, piacevole, efficiente, prestante, affascinante, al prendersene cura e ad averne rispetto anche accettandone i limiti e le regole;
    * dalla cura e dall’attenzione verso se stessi al rispetto e al prendersi cura dell’altro;
    * dalla logica del consumo e del piacere immediato al cogliere nel corpi segnali di una chiamata alla progettualità e all’apertura all’altro;
    * dalla centratura verso se stessi, la propria identità sessuale al bisogno di aprirsi agli altri e all’altro nella sua differenza anche di genere;
    * dal piacere a sé e per sé al desiderio di piacere e di far piacere all’altro;
    * dalla logica del desiderio, che colloca gli altri nella prospettiva del possesso, alla logica del dono attraverso la presa di coscienza dell’altro come essere di bisogno: accettazione della scoperta di essere chiamato ad essere dono per gli altri;
    * dal corpo vissuto come spazio di fruizione al corpo vissuto come spazio di comunicazione con l’altro;
    * dal piacere di essere se stessi, di star bene nel proprio corpo e di essere felici della propria sessualità, alla gioia di comunicare con il proprio corpo l’amore alla vita e il rispetto del suo mistero. Abbiamo provato ad individuare alcuni movimenti dell’itinerario in questa prospettiva pensando alla prima area. Il cammino tuttavia può essere articolato lungo tutte le quattro aree dell’itinerario da noi formulato in questi anni. In questa prospettiva il tema della sessualità-comunicazione-gratuità si articola e viene risignificato attraverso quei quattro momenti che rappresentano quattro diversi livelli di presa di coscienza credente, che diventano però anche operativamente un modo di crescere in responsabilità.
    In questa prospettiva richiamiamo solo alcune tappe importanti.
    * L’area dell’incontro con Gesù di Nazareth il Signore della vita diventa allora la possibilità offerta ai preadolescenti di ritrovare in Gesù il modello di un uomo che vive raccolto su un’unica grande causa (la vita degli altri) e la possibilità di risignificare una identità anche di genere riconquistata a sé, e che viene totalmente messa al servizio della comunicazione della vita per gli altri e alla costruzione dell’amicizia e della fraternità con ogni uomo, fino al punto da accettare con gioia la possibilità della rinuncia all’esercizio della sessualità genitale come chiamata al dono radicale per i fratelli.
    * E ancora l’area dell’incontro con la Chiesa risignifica ulteriormente la dimensione comunitaria, perciò di tipo comunicativo e solidale, di uno stile di vivere cristianamente la propria identità di genere: una nuova compagnia di uomini e di donne che si fanno solidali e, superando la logica del desiderio e della chiusura nelle solidarietà chiuse, dilatano la passione per la vita e l’apertura all’altro fino ad abbracciare ed accogliere chi vive prigioniero della solitudine e dell’abbandono.
    * L’area infine del ritorno alla vita tra progettualità, impegno quotidiano e celebrazione, diviene lo spazio dove, accogliendo la propria sessualità e gli appelli che l’identità sessuale contiene, ci si apre all’impegno del sogno della vita in grande e felice per tutti, e quindi del progetto e della responsabilità quotidiana a custodire e far crescere il dono, e a vivere il corpo come lo spazio della benedizione e della festa aperta a tutti.

    ORGANIZZANDO LE RISORSE

    Ci rendiamo conto del contributo determinante dell’esperienza, che qui non diventa fare esperienza di sessualità, bensì «fare esperienza di relazionalità sessuata»: infatti si tratta prioritariamente di un problema di autodefinizione che si può realizzare solo attraverso l’esperienza di qualità nella relazione vissuta con la differenza, anche e non solo di genere. Lo spazio vero di risorsa dell’educazione sessuale è quello della relazione vitale e della comunicazione vissuta.
    Da qui l’importanza di curare la qualità delle relazioni maschio/femmina nel gruppo o nei rapporti diadici e amicali. Ma qui dentro anche il problema del «disturbo», che invece è risorsa (da saper gestire educativamente come occasione di crescita), costituito dal problema affettivo e dei giochi di coppia nel gruppo.
    Sottolineiamo inoltre il contributo specialissimo che possono offrire gli educatori (genitori anzitutto e non solo) su due versanti: come modelli maschili e femminili, e come portatori di modelli di reciprocità.
    Inoltre ritroviamo tutta la rilevanza educativa di quelle attività (sport, gioco, espressività corporea, danza...) che sviluppano la capacità di comunicare con il corpo e facilitano nel preadolescente l’acquisizione dei linguaggi del corpo.
    Un tema essenziale invece è quello dei linguaggi: l’educazione alla sessualità del preadolescente implica l’esercizio e la capacità di utilizzare, valorizzare e comunicare con i «linguaggi del corpo»; il corpo d’altra parte appare davvero come il tema generatore alla comunicazione nell’età della preadolescenza.
    Di qui la grande risorsa di tutte quelle discipline e attività che esercitano le capacità comunicative ed espressive del soggetto corporeo (mimo, drammatizzazione e recitazione, danza, gioco, sport, ritualità).
    Qui dentro acquista significato e compatibilità anche quella serie di interventi che passano sotto la denominazione di «educazione sessuale». Su questo tema seguiranno contributi specifici.


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