Lettera aperta alle «vecchie generazioni»
Cinzia Gaudiano
(NPG 1997-07-02)
Capire i giovani d’oggi? Capirli nel senso di comprenderli, condividere le loro opinioni, le loro problematiche, oppure capirli nel senso di «studiarli», quasi fossero una razza distinta e un tantino «bastarda» rispetto al resto dell’umanità? Forse sarebbe giusto (e anche un po’ più umano) capirli attraverso quelli che sono i loro sogni, le loro realtà, i loro problemi, le loro capacità; ma, nonostante tutto, non è neanche sbagliato capirli attraverso questo loro, nostro essere un po’ al di fuori, questo volerci distaccare dal resto del globo, questo voler far vedere che siamo diversi noi... siamo giovani!
E dove vi deludiamo? Dove invece potete dire di essere fieri di noi?
Non lo sappiamo più, è difficile orientarsi.
C’è chi ha solo parole di rimprovero per noi e chi invece ci crede e ci investe nel futuro.
Sono pochi questi ultimi e, se guardiamo il tasso di disoccupazione giovanile, direi che stanno scomparendo!
E allora che facciamo noi?
Andiamo all’università e ci laureiamo, andiamo all’estero e impariamo l’inglese, stiamo a casa e spediamo curriculum vitae a centinaia, ci improvvisiamo animatori turistici, rappresentanti, lavoriamo da un avvocato per duecentomila lire al mese, andiamo in discoteca, andiamo in palestra – perché l’esteriore è importante, molto importante! – ci compriamo la macchina e, se non basta, il telefonino... e le rate non si contano, andiamo al cinema e, ahimè... andiamo anche in crisi!
Detto così sembra che tutti i problemi ce li abbiamo noi; ma, forse forse, qualche problema ce l’abbiamo per davvero.
Ma mi sembra che alla fine il problema di fondo è che non ci amiamo quanto dovremmo, non amiamo quanto dovremmo amare e non ci amano quanto dovrebbero amarci.
L’amor «proprio» non è prendersi cura del proprio corpo o seguire una dieta equilibrata, cioè lo è, in parte; ma amarsi significa interrogarsi e, nei momenti-no, trovare delle risposte a partire da noi stessi, per poi capirsi in relazione al mondo intero, e cercare di essere sempre in sintonia con esso, e cercare di renderlo armonioso o, per lo meno, vivibile.
Amor «proprio» è anche quindi tollerare, partecipare a ciò che ci circonda e uscire dall’egocentrismo, dall’iperegoismo che oggi domina.
L’amore per il prossimo è invece quella parte del nostro corredo genetico che dovrebbe emergere con più facilità, ma, proprio perché «genetico», è necessario che ci abbiano insegnato ad amare, per darcene a nostra volta la possibilità.
I più fortunati di noi hanno appreso l’esperienza dell’amore in famiglia, quelli con famiglie solide alle spalle. E gli altri? Dove impareranno che amare è l’essenza pura della vita?
Mi rivolgo a tutti voi, adulti che incontriamo, adulti che ci incontrate, adulti che ci considerate (ci temete?) il futuro. Se ci amate un po’ di più potremmo forse sentirci più sicuri, più protetti e quindi più forti. Sentendoci amati affronteremmo la vita nel modo giusto e non scapperemmo alla prima difficoltà. E poi, sentendoci amati, vi ameremmo.
È un lavoro di gruppo, questo: nessuno può permettersi di rimanere assente!
Ma che non ci siano professori, mi raccomando, perché voi, come noi, avrete sempre qualcosa da imparare.
Sì, forse proprio da noi, talvolta strafottenti o svogliati, ma pur sempre vivi e presenti.