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    La legge sulla educazione sessuale: una storia infinita



    Enzo Pappacena

    (NPG 1997-09-32)


    Più di vent’anni di attesa per una legge che ancora non c’è. E questa volta la burocrazia c’entra ben poco. Troppo complessa la tematica e spesso molto distanti le opinioni perché in questi anni si potesse agilmente legiferare sull’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole. Decidere chi deve parlare di sesso ai ragazzi e come e quando parlarne non è, infatti, cosa facile.
    Se le prime proposte di legge sono state presentate a metà degli anni settanta, in realtà voci sul tema si erano fatte sentire già qualche anno prima. Era emersa, cioè, da più parti la necessità di dover affrontare nelle sedi istituzionali uno degli argomenti fondamentali della crescita personale. Ha preso vita, così, fuori e dentro il Parlamento, un dibattito vivo e appassionante che ha visto come protagonisti docenti di scuole di ogni ordine e grado, genitori, psicologi, sessuologi, sociologi, politici, uomini di chiesa, gli stessi ragazzi e tutti coloro che a vario titolo sono impegnati nel settore educativo. E la diversità di vedute dei partecipanti al dibattito ha evidenziato anche, qualora ce ne fosse stato bisogno, la complessità stessa del tema per le sue numerose implicanze di ordine sociale, morale, culturale, religioso. Opinioni diverse ma riconducibili, a grandi linee, a quelle due aree di pensiero che caratterizzano da sempre il dibattito culturale in Italia: l’area laica e quella cattolica.
    Intanto tutti sono d’accordo che concetto di sessualità non può essere riferito esclusivamente alla genitalità, che in realtà ne rappresenta solo una componente, ma anche agli elementi psicologici, sociali e culturali. La causa della «discordia», allora, è da ricercare in quell’interrogativo «informazione o educazione sessuale?» che evidenzia due differenti modalità di approccio al problema.

    La posizione dei laici

    I laici da sempre sostengono che la scuola occupandosi di sessualità dovrebbe offrire una informazione scientifica che, nel rispetto delle opinioni diverse, sia libera da ogni giustificazione o motivazione ideologica e religiosa. L’insegnamento di tale disciplina, puntando, inoltre, sui temi del rispetto delle persone, del rifiuto del sesso come merce e dell’uguaglianza dei sessi, dovrebbe favorire, nello stesso tempo, la formazione di una visione positiva della sessualità e di una visione serena della vita. Se, dunque, nell’informazione scientifica, propugnata dai laici e tradotta nel corso degli anni in numerose proposte di legge, sono presenti stimoli che producono effetti educativi, tuttavia, secondo tale visione, è da evitare che si «dettino» norme che regolino il comportamento sessuale dei ragazzi, pur non rinunciando ad una formazione dell’auto-regolazione della sessualità.
    L’esperienza sessuale in questa prospettiva costituisce un momento fondamentale nella relazione interpersonale e conduce ad una maggiore conoscenza di sé e dell’altro. Da tale esperienza non è escluso il piacere, anzi, al di là di ogni precetto morale, esso può essere ricercato rimanendo però sempre nei confini di una autentica responsabilità verso se stessi e verso gli altri.

    La posizione dei partiti di ispirazione cristiana

    I cattolici, nel formulare le proposte di legge al fine di istituzionalizzare l’insegnamento sessuale, hanno sempre insistito sul concetto di «educazione». Quando si tratta di dare una risposta esauriente agli interrogativi dei ragazzi del tipo: «Cosa mi sta accadendo? Il mio corpo cambia: come posso vivere serenamente tutto ciò liberandomi da ansie e paure?», la semplice informazione scientifica non basta. Occorre allora un discorso più «globale» per cui l’informativo viene a collocarsi all’interno del più ampio quadro dell’educativo. Il tema della sessualità, infatti, non può essere trattato come un tema isolato ma va collegato ai temi del corpo, dell’identità, per cui a sua volta l’educazione sessuale fa parte dell’unico grande capitolo dell’educazione della persona. Si ristabilisce così il primato della persona in contrapposizione ad ogni massificazione.
    Se si ripercorre la storia rescente del pensiero cattolico circa i temi della sessualità, ci si accorge immediatamente come con il Concilio Vaticano II si sia abbandonata la vecchia dottrina cattolica che attribuiva alla sessualità la sola funzione procreativa. Dopo il Concilio è l’amore vero con tutte le sue manifestazioni che sta alla base del matrimonio: l’intima unione tra i due e la gratuita donazione reciproca vengono posti accanto alla procreazione e all’educazione dei figli.
    Se in precedenza era la «norma» a dettare il comportamento sessuale, con il Concilio ciò che realmente assume preminenza è l’amore come «valore». Inoltre, va sottolineato che con la nuova visione cattolica è la coscienza personale ad assumere la centralità del fatto etico, naturalmente una coscienza ispirata e regolata dal valore.

    Il contesto culturale e le agenzie educative

    Nel corso degli anni queste posizioni sono state variamente tradotte in una serie di proposte di legge (più di una quindicina in otto legislature!) che hanno avuto il merito di contribuire a far crescere il dibattito tenendo viva l’attenzione sul problema.
    È cresciuta, nello stesso tempo, sempre più la consapevolezza della necessità e dell’urgenza di una legge che permetta ai docenti di affrontare tali tematiche con i ragazzi. È importante che questi non vengano lasciati soli in un contesto culturale dominato da una logica che incessantemente invita giovani e adulti al «consumo» non solo di oggetti ma anche di esperienze. I mass media propongono una cultura del corpo che è figlia della dominante cultura di mercato. E sappiamo bene quanto peso esercitano sui ragazzi i modelli proposti da tv e riviste!
    Se, quindi, largamente è condivisa la necessità di giungere ad una soluzione legislativa che porti al più presto al dialogo educatori e ragazzi, tuttavia si assiste, purtroppo, ad una latitanza delle agenzie educative camuffata con un pericoloso gioco al rimpallo. D’altro canto non è facile per tutti affrontare tali temi con i ragazzi e la reazione dell’educatore è spesso quella della fuga dalla propria responsabilità.
    Per quel che riguarda l’ambito familiare, ad esempio, sono purtroppo poche quelle coppie di genitori che «attrezzandosi» accompagnano i propri figli lungo il cammino di scoperta e di appropriazione della sessualità. Le reazioni più ricorrenti dei genitori di fronte a tali tematiche sono caratterizzate soprattutto da ansia, imbarazzo, disagio. Ci si chiude allora in un irresponsabile silenzio che autorizza il ragazzo a cercare da sé le risposte ai propri interrogativi (si pensi con che risultati!). In altri casi, invece, i genitori si limitano a fornire esclusivamente informazioni scientifiche con un linguaggio neutro ed asettico che tutto comunica tranne la vita.
    La famiglia, dunque, primo e fondamentale ambiente educativo, con l’ottimo alibi della «maggiore competenza», demanda alla scuola la responsabilità di curare il settore più delicato della formazione. Ma, come ben sappiamo, di sesso a scuola se ne può parlare solo se esiste una legge. Ma una legge ancora non c’è.
    In questi ultimi anni si sono registrati con intensità crescente tentativi di insegnanti coraggiosi che hanno inteso affrontare i temi della sessualità, per cui se prima questi insegnanti avevano riempito le cronache scandalistiche dei giornali oppure erano stati invitati a comparire in un’aula di tribunale, oggi le loro iniziative sono frutto di scelte d’Istituto ormai ampiamente condivise.
    Ma, a ben riflettere, quale e quanto spazio oggi è concesso al «corpo» nella scuola italiana? Esiste un collegamento tra quelle discipline che lo valorizzano e le altre? Le risposte sono facilmente intuibili. In realtà non sono pochi gli addetti ai lavori che sono convinti che il corpo degli alunni inizi e finisca con lo «strumento testa».
    Del resto, ciò meraviglia ben poco se si pensa che in realtà la scuola italiana tende a tenere in maggior conto i programmi e il profitto che i problemi legati ai processi di crescita dei ragazzi. Così le emozioni, i desideri, i piaceri, le identificazioni, le proiezioni e i dolori che accompagnano la crescita dei giovani sono sistematicamente tagliati fuori da un contesto scolastico in cui i professori giudicano gli studenti in base al profitto: l’educazione viene così ridotta ad un fatto puramente quantitativo (alle nozioni si sommano i voti) in perfetta linea con il modello aziendale.
    In realtà è pur vero che se le scuole volessero, con la legge del 1975 che ha istituito i consultori pubblici, potrebbero già oggi attivare corsi di educazione sessuale. I consultori, infatti, mettono a disposizione del territorio e quindi anche della scuola figure qualificate quali lo psicologo, il pedagogista, il medico, il sessuologo, ecc., che potrebbero essere coinvolte in progetti che riguardano la sessualità. Già oggi, dunque, si può parlare in classe di sessualità eppure pochi ci provano.
    Famiglia e scuola, luoghi privilegiati dell’educativo, attraverso il gioco della delega hanno, dunque, scelto di tacere.
    Il ragazzo allora è abbandonato a se stesso nell’imparare a gestire da solo un problema che lo supera e i canali informativi principali diventano i coetanei; perciò la formazione personale si basa sul «sentito dire» e sul «visto» (pubblicazioni porno, spettacoli televisivi, ecc.). Le agenzie informali diventano, dunque, il più accessibile e meno problematico punto di riferimento per i ragazzi nel cammino per la costruzione dell’identità personale. Perciò, tutto si svolge in un sommerso dove le notizie sul sesso circolano distorte e spesso fantasiose ed inquietanti. Tutto questo in un’età in cui il ragazzo andrebbe aiutato a ridimensionare i problemi e ad allontare i sensi di colpa aprendosi a valori universali.

    Una nuova proposta

    È necessario ed urgente, perciò, recuperare alla sfera dell’educativo, mediante una progettualità che veda coinvolte tutte le agenzie educative, prime fra tutte scuola e famiglia, la sessualità per l’importanza che essa riveste nel determinare la struttura personale e i rapporti interpersonali.
    E se l’iniziativa di alcuni insegnanti o genitori, per molti versi, è lodevole, essa non basta a risolvere un problema di così vaste proporzioni. Ciò che occorre realmente è una legge che favorisca e regolamenti l’introduzione nelle aule scolastiche dell’educazione sessuale.
    In verità, bisogna dire che negli ultimi anni si sta assistendo ad un avvicinamento tra le posizioni, un tempo molto distanti, di forze politiche diverse. Laici e cattolici sembra abbiano trovato punti di convergenza. Testimonianza ne è la presentazione di una proposta di legge unificata che rappresenta non solo la sintesi di opinioni diverse ma anche il superamento della vecchia diatriba tra «informazione» ed «educazione». Il documento, che porta il titolo «Norme sull’informazione e sull’educazione sessuale nelle scuole», elaborato ed approvato in data 3 luglio 1991 dalla VI Commissione, era giunto fino alla sede legislativa, ma non all’approvazione finale a causa dello scioglimento anticipato del Parlamento. La stessa proposta è stata ripresentata il 7 aprile 1995 e reca la firma di ben 73 parlamentari di forze politiche diverse, ma anche in questo caso la caduta del Governo non ha permesso che il documento diventasse legge.
    La proposta però rimane ed è segno di una effettiva volontà di cambiamento culturale. In essa viene sottolineato che la scuola, concorrendo in collaborazione con i genitori allo sviluppo integrale della personalità degli alunni, contribuisce «a far acquisire la conoscenza e la consapevolezza degli aspetti e dei significati della sessualità, anche attraverso una corretta informazione; a fornire ai giovani gli strumenti culturali e i criteri di giudizio, per assumere comportamenti responsabili e rispettosi di sé e degli altri; per riconoscere il valore della diversa identità maschile e femminile; per educare ad una cultura della diversa identità maschile e femminile; per educare ad una cultura della sessualità responsabile verso la procreazione e attenta ai valori della vita, della famiglia, della socialità e delle relazioni interpersonali, sempre nel pieno rispetto della dignità personale e della coscienza morale e civile dei giovani, delle loro scelte individuali, nonché della libertà di insegnamento dei docenti». Viene, inoltre, posto l’accento sulle modalità d’insegnamento delle tematiche relative alla sessualità: esse non devono costituire materia a sé stante ma essere inserite in un progetto educativo che sia caratterizzato dall’interdisciplinarità. È possibile anche richiedere un contributo di esperti esterni alla scuola.
    I contenuti dell’insegnamento attengono all’informazione scientifica e agli aspetti psicologici, affettivi, etici, sociali, antropologici, storici, culturali e giuridici della sessualità. Essi, inoltre, adeguati all’età degli alunni vanno inseriti in un quadro di pluralismo culturale.
    Al fine di creare un collegamento tra scuola e famiglia nel documento si legge che «iniziative di approfondimento e di sensibilizzazione sulle tematiche inerenti alla sessualità possono essere rivolte specificatamente ai genitori».
    Siamo forse giunti al capitolo finale di una storia infinita? Ai governanti... l’ardua sentenza.
    Ai genitori, agli insegnanti e agli educatori in genere invece il compito più difficile: trasformare gli articoli di una legge in un servizio amorevole verso le nuove generazioni affinché crescendo in armonia e in comunione con gli altri sappiano gustare meglio il dono della vita.


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