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    Il caso adolescenza. Nuovi interrogativi per gli educatori


     

    (NPG 1997-08-7) 

     

    Non passa giorno che gli adolescenti non vengano alla ribalta dei mass-media per motivi di cronaca: suicidi, morti del sabato sera, sassi dai cavalcavia... Molta gente non capisce cosa stia succedento. Ci si chiede dove stiamo andando, cosa combinano i giovani. Un certo pessimismo e sfiducia verso le nuove generazioni si coglie nell’aria.

    Ma sono solo questo gli adolescenti? Pensano solo a gironzolare tutto il santo giorno in motorino, a far danni, a spaventare le vecchiette e ad andare in discoteca al sabato sera? Per saperlo, bisogna confrontarsi con dati che dicano la condizione adolescenziale, al di là dei luoghi comuni e delle facile classificazioni.

    Consapevoli dell’importanza della questione, più di un volta sulle pagine di NPG abbiamo affrontato il tema adolescenza... Un momento di riflessione alto e significativo è avvenuto in occasione della pubblicazione della ricerca COSPES «L’età incompiuta». Abbiamo riunito attorno ad un tavolo alcuni dei principali studiosi di problematiche adolescenziali ed abbiamo chiesto loro, in base ai dati di questa ricerca e alle loro conoscenze, cosa stesse succedendo nel mondo degli adolescenti e come dovesse muoversi la riflessione pedagogica.

    Questo dossier contiene il materiale del seminario.

    Esso si compone di un contributo iniziale di Severino De Pieri in cui vengono riportati i risultati principali della ricerca. Di questa sono già stati pubblicati, a mo’ di anticipo, molti stralci su NPG (cf 8/94, 5/95, 7/95, 9/95). Ne diamo qui una lettura sintetica e globale per comodità dei lettori.

    Claudio Bucciarelli rilegge i dati nel quadro delle ricerche su giovani e adolescenti compiute in Italia in questi anni e ne individua le caratteristiche: essere centrata prevalentemente ed esclusivamente sugli adolescenti; aver colto il loro «disadattamento» come una componente trasversale a tutta la dimensione adolescenziale.

    Luigi Alici ne dà un’interpretazione alla luce delle categorie culturali odierne. Vede negli adolescenti elementi di continuità e discontinuità con queste (a testimonianza dell’evoluzione originale del mondo adolescenziale), indica quali potrebbero esserne gli esiti con utili indicazioni per chi fa educazione.

    Gustavo Pietropolli Charmet rilegge i risultati alla luce della psicanalisi. Soprattutto individua nei rapporti dell’adolescente con coloro che gli stanno attorno i punti nodali per interpretare il suo stato attuale. Vede in questi rapporti molto sovente una soluzione a problematiche interne, ma non nasconde i rischi cui essi possono andare incontro, soprattutto se gli adulti che li accompagnano non saranno attenti a fornire le risposte di cui hanno davvero bisogno.

    Pier Cesare Rivoltella affronta il tema spinoso del rapporto adolescenti-mass-media. Un rapporto distratto, e proprio per questo pericoloso: cosa di cui l’educatore deve farsi carico imparando ad usare gli stessi linguaggi massmediali nel fare educazione formale.

    Luigi Pati mette in relazione i dati della ricerca sugli adolescenti con i compiti della famiglia. Essa è chiamata ad una rinnovata attenzione, fino a progettare una vera e propria scuola per genitori. Se non ci si prepara adeguatamente si rischia di non avere più strumenti per rispondere alle sfide degli adolescenti di oggi.

    Michele Pellerey affronta il tema del rapporto degli adolescenti di oggi con la scuola. Egli individua nelle inadempienze della scuola, ma anche nella incapacità dell’adolescente a pensare al suo benessere futuro, le chiavi di spiegazione dell’attuale disaffezione dalla scuola. Utilizza le categorie psicologiche del «sé» e dell’esperienza vicaria per indicare i punti di forza su cui sviluppare una azione pedagogica.

    Giuseppe Morante mette a confronto i dati della ricerca COSPES con un’altra ricerca da lui condotta sull’insegnamento della fede. Ne risulta un quadro assai sconsolante: a fronte di una domanda profonda di senso da parte gli adolescenti non ci sono risposte... Non c’è chi si curi della loro crescita spirituale. L’impegno della Chiesa italiana si ferma con la cresima!

    Franco Santamaria e Roberto Maurizio tracciano un bilancio delle politiche in favore gli adolescenti. Anche qui il quadro è poco confortante: tolto qualche ammirevole caso di Comune particolarmente attivo sul fronte delle iniziative per la gioventù, in Italia non esiste, al contrario del resto dell’Europa, una politica a favore dei giovani e nemmeno un ministero ad essi dedicato.

    Quale lezione?

    Tra tutte le osservazioni e i contributi offerti, c’è un punto che ci obbliga ad una pausa di riflessione particolarmente importante. L’elemento più evidente di questa generazione sembra essere quello che viene chiamato ricerca di «immediatezza sensoriale», di «eccitazione», di «riempimento emotivo». Cioè la preferenza data all’irrazionale a scapito del razionale.

    Infatti registriamo una diminuita capacità di riflessione, di critica razionalmente motivata, di scelta.

    Se il compito specifico dell’adolescenza è quello di definire la propria identità, come è possibile procedere senza razionalità critica in mezzo a tante sollecitazioni?

    L’abbandono della razionalità a favore della emotività può tradursi in un beneficio per le relazioni interpersonali, ma comporta un abbassamento delle difese nei confronti dei condizionamenti e un rischio maggiore di dipendenza.

    Ecco allora emergere le patologie tipiche di questa generazione. Il disagio non più categoria sociologica (com’era l’emarginazione), bensì realtà diffusa: «categoria trasversale», come dicono gli studiosi. È il «disagio evolutivo», frutto di cattivo adattamento. Eppure tutti i sociologi ci dicono che questi ragazzi sono maestri di adattamento. Come si spiega allora tanta sofferenza, e tanto accanimento, soprattutto contro se stessi?

    Forse perché l’adattamento è solo di tipo contingente: risponde a bisogni immediati, ma è incapace di fornire risposte ai grandi perché della vita.

    Se così fosse, tutta la società, non solo le istituzioni educative, sarebbero chiamate pesantemente in causa. Perché una società che non sa fornire ragioni per vivere e sperare ai propri figli è una società sterile, destinata all’estinzione.

    Questa società, che sembra aver pensato a tutto, in realtà non tiene conto dei giovani. Non c’è posto per loro: non c’è lavoro, non ci sono spazi di protagonismo, non ci sono responsabilità, e quanto a farsi una famiglia...

    Questo i giovani lo sentono fortemente, disperatamente. Soprattutto non trovano ragioni di speranza, di vita. Ecco allora che la vita vale meno di una sensazione...

    Rinnovare i percorsi educativi

    Le istituzioni sono fortemente stimolate a farsi carico di questi problemi per dare delle risposte autentiche. Ma come fare?

    La crisi del modello tradizionale di educazione è evidente.

    Dall’illuminismo in qua (ma si potrebbe dire in tutta la tradizione occidentale) il modello di educazione è sempre stato impostato sulla comunicazione razionale. Oggi questo modello va in crisi. Il caso più evidente è quello della tossicodipendenza, ma non c’è settore della vita e del disagio giovanile che non lo denunci.

    Evidentemente ci troviamo di fronte ad un cambio epocale. Probabilmente a causa dei mutamenti sociali, si sta profilando un nuovo genotipo, più sensoriale, meno razionale, meno riflessivo del passato. Gli studi sul cervello umano ci stanno dicendo che, anche grazie ai media, si sta sviluppando maggiormente la parte destra del cervello, quella deputata all’attività espressiva, all’arte, a scapito della parte sinistra, più razionale, che finora aveva prevalso in occidente.

    Questa mutazione sta mettendo seriamente in difficoltà le istituzioni educative. Esse facevano dell’apprendimento razionale il punto di partenza per ogni ulteriore discorso. Oggi questo approccio non è più possibile. Nuove istanze si stanno manifestando nel panorama educativo. Non per niente risultano vincenti le agenzie che operano nel tempo libero: dalle discoteche ai parchi-gioco, dagli stadi ad internet... Più e prima di altri esse hanno capito il nuovo corso e, magari solo per opportunismo, si sono adeguate ai nuovi gusti.

    Cosa resta alle istituzioni tradizionalmente deputate all’educazione? Ritirarsi? Scomparire? Attestarsi sulla difesa ad oltranza dei valori della razionalità occidentale? Oppure passare armi e bagagli al nemico, ricostruendosi dei percorsi educativi motivati più emotivamente che razionalmente?

    È evidente che non si può rinunciare totalmente alla razionalità. M. Pellerey pone con chiarezza il problema: «benessere presente o benessere futuro?». Le istituzioni, non solo quelle educative, sono state inventate per dare futuro alle conquiste di una società. È evidente la loro incompatibilità con le attese immediate o individualistiche. Pertanto le istituzioni educative premono, per propria costituzione, su valori e istanze di maggior durata da quelle del quotidiano. Questo però non toglie la necessità di giustificarsi agli occhi di chi ne usufruisce, dimostrando di essere capaci di rispondere ai bisogni degli utenti. Pertanto se le esigenze degli adolescenti di oggi sono di orientamento di vita, di senso a ciò che si sta facendo, di ricerca di relazioni umane significative anche nel rapporto educativo, queste non possono essere disattese. Si tratterà di coniugare razionalità ed emotività, competenza e relazionalità. Tutto ciò comporta una ristrutturazione dei percorsi educativi.

    Una via interessante potrebbe essere quella prospettata da L. Alici: qualcosa che costituisca una alternativa vera sia alla razionalità forte, di stampo illuministico, che alla pura emozionalità.

    Anche perché gli adolescenti mentre domandano relazioni più umane, sembrano chiedere anche adulti significativi, capaci non solo di dire parole saccenti, ma di essere guide e modelli di comportamento. Forse che, dopo anni di monopolio scientifico, preciso ma settoriale e frantumante, ci troviamo di fronte alla richiesta di una comunicazione sapienziale?

    Le richieste degli adolescenti sembrano indicare questa direzione. In ogni caso necessitano adulti che siano riusciti a fare sintesi nella propria vita e a comunicare una ragione per vivere...

    Costruire percorsi personalizzati

    Un’altra osservazione può emergere da queste note: quale valore dare alle indicazioni della ricerca, di ogni ricerca?

    Il rischio di essere contenti una volta individuato il problema, fatte delle classificazioni, coniate delle etichette, è alto...

    C’è una affermazione agli inizi della ricerca, apparentemente deludente, in realtà di grande significato: «il profilo adolescenziale appare non solo variegato, ma quasi indefinibile».Questa resistenza degli adolescenti a una qualsiasi classificazione ha una enorme valenza educativa. Proprio quando ci si avvicina alla qualità più profonda, in quello stesso momento, ci si accorge di non poter identificare e utilizzare una categoria; di avere di fronte solo delle persone.

    Allora il progetto educativo, mentre sa e vuole conoscere dei comportamenti generali, non può non aprire un nuovo registro: quello dei comportamenti personali, delle problematiche del tutto particolari; quello di una competenza del tutto nuova, dove la teoria di carattere generale si scontra o si completa con i problemi della persona; dove i problemi dell’adolescente si presentano come problemi personali a coloritura particolare.

    Si può avere un approccio istituzionale e organizzativo dell’adolescenza, oppure avere degli itinerari educativi. Sono due cose molto diverse che, in apparenza, sembrano antitetiche: ma si sa come nella scuola la pedagogia si bruci immediatamente quando rimane istituzionalizzata e prescritta, mentre un approccio istituzionalizzato può convivere con itinerari educativi che portano a destinazione qualitativa quello che è stato fissato dall’approccio istituzionale.

    Sarà perciò opportuno evitare di contrapporre pregiudizialmente pedagogia per l’adolescenza a pedagogia per l’adolescente, ricordandosi che i progetti generalizzati rispondono a indicazioni che vengono dalle ricerche e che si propongono risposte generalizzabili. Ma queste vanno sempre contestualizzate e particolarizzate, perché non si educa una generazione, ma singole persone. Ogni adolescente attende una risposta per sé, pur se inserita in un contesto più ampio. Perciò ci vorrà sia l’approccio istituzionale alla categoria e d’altra parte itinerari educativi personalizzati che lo completino e lo rendano adatto ad ogni singola persona nella sua specificità ed originalità.


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