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    Funzioni educative della famiglia oggi



    Mario Pollo

    (NPG 1997-01-40)


    Nella realtà sociale attuale la famiglia sembra aver perso, almeno ad una osservazione superficiale, il suo ruolo primario nell’educazione, nella socializzazione e nell’inculturazione delle nuove generazioni.
    Per molti versi essa sembra essere divenuta più un luogo di organizzazione degli accessi dei suoi figli alle risorse educative esterne che un vero e proprio luogo educativo.
    Sembrerebbe, infatti, che il processo di delega all’esterno di alcune funzioni che tradizionalmente si svolgevano al suo interno, che la famiglia mononucleare moderna ha attuato, abbiano investito anche la funzione educativa.
    Questo è vero solo in parte perché alcune funzioni formative di base non sono assolutamente delegabili all’esterno e sono, sempre e comunque, anche se non intenzionalmente, svolte dalla famiglia.
    Queste funzioni sono quelle che riguardano la formazione della personalità di base, ovvero la struttura antropologica della persona.
    Qui di seguito vengono analizzate quattro funzioni tra le più importanti che, lungi dall’esaurire quelle che la famiglia svolge e può svolgere, appaiono, nell’attuale contesto della cultura sociale della complessità, decisive per la formazione di una persona umana ben individuata lungo l’asse del tempo della storia e nelle relazioni con l’ambiente sociale e naturale, in grado di rispondere in modo maturo ed autonomo ai suoi bisogni e in grado di dare senso al suo esistere.

    LA FAMIGLIA COME SNODO TEMPORALE

    Una funzione fondamentale della famiglia si svolge nella dimensione temporale che caratterizza la condizione umana.
    Essa, infatti, attraverso la funzione biologica della riproduzione e quella culturale dell’educazione e della elaborazione del lutto, gestisce lo sviluppo della vita umana lungo l’asse verticale del tempo, mentre partecipa in modo attivo al coordinamento dell’azione dei suoi membri con quelle delle altre persone e delle istituzioni che formano i sistemi, i sovrasistemi e i sottosistemi sociali in cui essi sono inseriti.
    In altre parole questo significa che la famiglia è lo snodo che interrela i suoi membri con il tempo noetico da un lato e il tempo sociale dall’altro.

    La famiglia e il tempo noetico

    Il tempo noetico è il tempo tipico della condizione dell’uomo e nasce dal fatto che gli esseri umani «sono capaci di comprendere il mondo nei termini di un futuro e di un passato distanti, e non solo nei termini delle impressioni sensoriali del presente»,[1] e che le loro azioni nel presente sono influenzate dalla consapevolezza della morte, che appare come «un ingrediente essenziale del tempo dell’uomo maturo, i cui orizzonti si estendono senza limiti nel futuro e nel passato».[2]
    Il tempo che dal futuro attraverso il presente scorre verso il passato è il telaio che tesse l’ordito della vita umana nel mondo e che orienta tutte le domande e le risposte di senso degli uomini maturi emersi alla coscienza.
    Infatti, almeno nell’orizzonte dell’Occidente, la vita umana trova il suo senso nella storia, cioè nella memoria e nel progetto di futuro.
    All’interno della concezione del tempo di questo tipo, la famiglia attraverso l’educazione propone ai suoi nuovi membri da un lato la fedeltà verso la memoria e dall’altro lato la capacità di elaborare dei progetti di futuro.
    L’educazione e la socializzazione che una famiglia saldamente inserita nella nootemporalità, propone alle nuove generazioni è sempre finalizzata a porre queste in continuità con la storia, ovvero a far sì che la vita dei giovani sia coerente con la memoria del passato e con i progetti di futuro, di cui il presente degli adulti è l’espressione.
    Il tempo noetico, come si è detto, è quello che caratterizza più di ogni altro la condizione umana il cui presente è sempre l’intersezione tra passato e futuro. Una famiglia che non conserva e non trasmette la memoria e che non si pone in modo progettuale verso il futuro, non sviluppa le condizioni sia della conservazione e della trasformazione evolutiva della civiltà che della realizzazione umana dei suoi membri.
    Questo significa che essenziale per la famiglia è la sua funzione di luogo in cui si può fare esperienza del tempo noetico.

    La famiglia e il tempo sociale

    Il tempo sociale è null’altro che la socializzazione del tempo che si esprime nella sincronizzazione e nella pianificazione delle azioni collettive senza cui nessuna società può esistere. Il tempo sociale è fondato sull’esistenza del presente sociale, che è l’intervallo di tempo necessario a consentire alle persone di agire di concerto. Il presente sociale si forma e si mantiene attraverso la comunicazione che interrela i membri di un determinato gruppo sociale, e l’ampiezza dell’intervallo temporale che lo costituisce dipende dalla velocità dei processi di comunicazione. È chiaro che quando i messaggi venivano portati da corrieri a cavallo il presente sociale era molto esteso, mentre ora che i messaggi viaggiano alla velocità della luce esso è molto ridotto.
    Il tempo sociale è tanto più sviluppato nella vita delle persone che fanno parte di una società quanto più esse sono in relazione. Più questo tempo è sviluppato, più gli stili di vita, i valori e le condotte delle persone divengono omogenei.
    Occorre dire che il tempo sociale ha valore solo se si armonizza con il tempo noetico, ovvero solo se le esigenze della sincronizzazione sociale non entrano in conflitto, o ostacolano, il progetto particolare di vita dell’individuo, non mettono cioè in pericolo la sua unicità, la sua differenza, la sua differenza particolare, ovvero non minano la sua identità personale e storico-culturale. Una funzione della famiglia è appunto quella di garantire la socializzazione del tempo cercando di garantire nel contempo la possibilità ai suoi membri di realizzare la loro unicità personale, i loro progetti individuali di vita all’interno della fedeltà alle radici culturali che li nutrono.
    Da questo punto di vista la famiglia può essere considerata uno spazio che neutralizza parzialmente le istanze del tempo sociale, per consentire ai suoi membri di prendersi cura della loro individualità da un lato e dall’altro lato di elaborare la memoria della loro identità storico-culturale. Quest’ultima funzione vale in modo affatto particolare nel caso in cui la cultura di origine della famiglia è diversa da quella della società in cui è inserita.
    Questa funzione è molto importante in quanto oggi si assiste, invece, a una dilatazione della temporalità sociale prodotta dai bisogni delle economie e delle culture delle società complesse.
    Infatti «via via che i bisogni e le necessità politiche costringono il genere umano ad adottare un comune ritmo di lavoro, procedimenti industriali simili e ragionamenti scientifici identici, viene a mancare la base stessa della molteplicità dei modi di socializzazione e di valutazione del tempo, che ci ha accompagnato sin dall’inizio della storia».[3]
    Le tecnologie della comunicazione che mettono in relazione gli individui nelle società complesse tendono sempre più a far dipendere, per la loro sopravvivenza, questi individui dalla rete del sistema informativo in cui sono inseriti. La possibilità di lavorare a distanza, di avere diagnosi sulla loro salute via telefono, di ricevere tutto ciò che hanno bisogno a domicilio, di avere informazioni in tempo reale attraverso la televisione e la radio, di partecipare a video-conferenze, ecc., fa sì che le persone debbano occuparsi solo del loro presente, mentre la capacità di fare progetti a lunga scadenza, come l’imparare dal passato, dipende sempre di più dagli specialisti.
    Il presente diventa l’unica dimensione esistenziale significativa per la vita delle persone. La storia, invece, diventa un impaccio, perché è molto più semplice garantire «la collaborazione tra persone prive di senso storico, che non fra popolazioni con storie diverse e solitamente antagoniste».[4]
    L’omogeneizzazione della temporalità degli individui, oltre che dall’abolizione della loro dimensione esistenziale di tipo storico, è causata anche dall’ingrigimento del calendario, ovvero dalla riduzione delle differenze tra il giorno e la notte, delle distinzioni tra i giorni della settimana, tra i giorni feriali e quelli festivi e, infine, delle diversità tra le stagioni.
    Negli Stati Uniti ci sono negozi e supermercati che stanno aperti 24 ore; in Italia a Roma si cerca di abolire la chiusura domenicale dei negozi e c’è chi vorrebbe abolire il riposo festivo dei lavoratori, per distribuire in modo più funzionale l’alternanza dei giorni di lavoro e di riposo. Ma oltre a questo si mangiano frutti e verdure senza più alcun riferimento alla stagione della loro maturazione, e la gente pratica le stesse attività in inverno come in estate.
    L’ingrigimento del calendario non è, quindi, che il segno della colonizzazione del tempo che oggi è in atto. A questo proposito un sociologo, Murray Melbin, «ha osservato che la vita sociale notturna nelle aree urbane assomiglia alla vita di frontiera, e ha chiamato questo fenomeno colonizzazione del tempo... Ma come è avvenuto per le vecchie zone di frontiera, il mondo notturno si prepara a diventare l’abitazione di tutti».[5]
    Proprio per l’esistenza di questa colonizzazione del tempo sociale, di assoluta prevalenza del tempo sociale sul tempo noetico, questa funzione della famiglia appare vieppiù rilevante ed essenziale e solo parzialmente delegabile al proprio esterno.
    Strettamente dipendente da questa funzione nella dimensione temporale, vi sono quelle della sicurezza psicologica e della riproduzione biologica e culturale della civiltà.

    L’equilibrio tra tempo noetico e tempo sociale

    La funzione di integrazione temporale svolta dalla famiglia è anche il fondamento di altre due funzioni che gli studiosi, da tempo, hanno attributo ad essa. Si tratta, tra l’altro, di due funzioni essenziali per la vita umana: l’una a livello individuale e l’altra a livello sociale.
    La famiglia, almeno nella sua forma moderna, garantisce alle persone il soddisfacimento di «alcuni [...] bisogni primari: il bisogno psicologico di sicurezza, di stare insieme, di soddisfare le esigenze di sesso, di procreare».[6]
    Ma oltre ad essere un luogo della risposta ai bisogni psicologici e biologici tipicamente umani, la famiglia è anche l’area della riproduzione del sistema sociale sia a livello della conservazione della specie che della cultura sociale, intesa come insieme dei codici e delle tecniche del vivere.
    Infatti è all’interno della famiglia che si realizza il primo e più rilevante stadio dei processi di socializzazione e di inculturazione, attraverso i quali avviene l’interiorizzazione dei valori sociali e degli stili di vita che sono tipici di un certo sistema sociale.
    In altre parole questo significa che è all’interno della famiglia che si gioca gran parte della possibilità del nuovo individuo di adattarsi al sistema sociale.
    La funzione di riproduzione del sistema sociale è assicurata anche dalla famiglia sul versante economico, in quanto essa può essere considerata una piccola impresa economica con entrate e uscite. Una impresa che acquista beni e servizi e fornisce risorse umane e finanziarie all’organizzazione economico-sociale in cui è inserita.
    Questa funzione sociale svolta dalle famiglie appare talmente rilevante che alcuni studiosi [7] la individuano come un vero e proprio sottosistema societario in quanto:
    «a. Esse assolvono di fatto una quantità enorme di funzioni sociali che nessun Stato, nessuna amministrazione collettiva, nessun mercato, nessuna agenzia, pubblica o di altro tipo, può “socializzare”, ma che neppure possono essere “privatizzate”, nel senso di essere considerate una faccenda di mera responsabilità dei singoli, magari per scaricare lo Stato di responsabilità collettive (come ad esempio i servizi sociali);
    b. esse utilizzano bensì i mezzi degli altri sottosistemi (il denaro dell’economia, il diritto del sistema politico-amministrativo, l’influenza del sottosistema integrativo delle associazioni), ma hanno anche un loro mezzo simbolico proprio e specifico di comunicazione. Questo mezzo è la reciprocità di mondo vitale, la quale non solo caratterizza la famiglia come “scuola di umanità”, ma può e deve essere generalizzata come reciprocità tout court per far funzionare correttamente gli altri sottosistemi e i loro reciproci sistemi e i loro reciproci interscambi. Senza reciprocità non ci possono essere fiducia ed equità. Non si può fare appello a quelle basi non-contrattuali del contratto che attivano e rendono effettivi qualsiasi accordo, informale o formale, nella società. La reciprocità, come mezzo generalizzato di interscambio, è la base culturale per il corretto funzionamento di tutte le istituzioni sociali, quale che sia il sottosistema di appartenenza. Ed essa si forma, cresce e matura nella famiglia prima che altrove.
    Questo sottosistema dunque:
    a. assolve funzioni per l’intera società;
    b. lo fa in costante connessione e interazione con tutti gli altri sottosistemi;
    c. esso è insostituibile (non ammette equivalenti funzionali».[8]
    Queste funzioni sociali della famiglia sono in aumento nonostante si assista ad una marcata accentuazione del suo carattere privato. E questo pone un problema che, come afferma Donati, non consiste nel «prendere atto che la famiglia conta sempre meno sul piano politico e pubblico, ma al contrario si tratta di capire come e perché la sua rilevanza sociale aumenta in modo latente e per così dire non riconosciuto.[9]
    È interessante osservare come tanto le funzioni di tipo individuale quanto quelle di tipo sociale richiedono la collocazione della famiglia lungo entrambi gli assi temporali. Ovvero lungo l’asse verticale del tempo noetico e quello orizzontale del tempo sociale. Quando la collocazione della famiglia è in prevalenza lungo un solo asse, tanto le funzioni a livello bio-psicologico che quelle a livello sociale risultano carenti.
    Non è un caso che all’estensione della definizione di famiglia a quei nuclei umani in cui è assente la funzione della riproduzione biologica, faccia da contrappunto nel nostro paese una forte crisi della natalità. Lo sganciamento della famiglia dall’asse verticale del tempo noetico, dalla solidarietà intergenerazionale e viceversa il prevalere della sua espansione lungo l’asse orizzontale del presente sociale, impedisce alla famiglia la funzione della riproduzione biologica e culturale e, quindi, della stessa civiltà. Questa dipendenza delle funzioni della famiglia dall’equilibrio tra l’asse orizzontale del tempo e quello verticale è confermato anche dall’osservazione della funzione della famiglia nell’integrazione dei diversi tipi di bisogni individuali e sociali che vivono i suoi membri. Bisogni che possono essere raggruppati, da un punto di vista diverso dal precedente, in due classi:
    – quella dei bisogni rigidi, legati alla struttura biologica e psicologica dell’individuo;
    – quella dei bisogni mobili, più sofisticati, legati alla struttura economica, sociale e culturale della società.[10]
    Questa distinzione consente di comprendere che la famiglia deve necessariamente, se vuole rispondere alle sue funzioni, essere da un lato stabile e dall’altra mutevole.
    Deve essere mutevole per poter svolgere il suo ruolo all’interno delle trasformazioni economiche, sociali e culturali del sistema sociale. Deve essere stabile per garantire alla persona che vive al suo interno la risposta ai bisogni psicologici e biologici a cui nessun uomo può rinunciare senza mettere in crisi la sua stessa umanità.
    La stabilità è assicurata alla famiglia dal suo inserimento nell’alveo vitale del tempo noetico, mentre la mutevolezza dalla sua capacità di dispiegarsi nella comunicazione che struttura il tempo sociale.

    LA FAMIGLIA COME SISTEMA RELAZIONALE E SIMBOLICO

    La famiglia è un sistema relazionale, ovvero un insieme di persone che sono protagoniste di una relazione di interazione attraverso cui formano un tutto, una unità, pur senza perdere la loro identità individuale. Un tutto che influenza la loro individualità così come questa influenza il tutto; dove, quindi, non è possibile capire il comportamento e l’atteggiamento del singolo membro se non lo si rapporta a quello degli altri membri e dell’insieme. Le relazioni tra le persone sono il tessuto connettivo che consente loro di formare il sistema famiglia e senza le quali la famiglia non esisterebbe.
    Il tipo di relazione tra i membri della famiglia caratterizza sia la famiglia che la sua funzione verso i suoi membri.
    Vi sono ad esempio sistemi di relazione che favoriscono la realizzazione personale dei membri della famiglia e altri che, al contrario la ostacolano o addirittura, essendo patologici, fanno ammalare alcuni di essi. È chiaro che la famiglia «normale» si caratterizza perché favorisce la realizzazione umana dei suoi membri tanto nella direzione dell’autonomia quanto in quella della solidarietà.
    Se è pur vero che tutti i sistemi sociali sono tessuti, connessi, dalla relazione, occorre però segnalare che le relazioni familiari possiedono delle caratteristiche affatto particolari, nel senso che sono relazioni in cui si dispiegano tutte e tre le forme di comunicazione che sono tipiche della condizione sociale umana:
    – lo scambio di segni (informazioni);
    – lo scambio parentale e genetico (formazione delle strutture della parentela attraverso il matrimonio e la procreazione);
    – lo scambio economico (beni e servizi).
    Ma non solo. Tutte e tre le forme di comunicazione hanno, nella famiglia, un forte senso esistenziale e sono fortemente connotate da tonalità di tipo affettivo.
    La qualità di una famiglia dipende dalla qualità e dalla quantità di tutti e tre i tipi di comunicazione, dal senso esistenziale e dalla tonalità emotiva e affettiva che contrassegna il loro svolgersi.
    Tuttavia, la famiglia è un sistema relazionale non solo per la rete di interazioni che sviluppa al proprio interno ma anche per le relazioni che sviluppa con i sovrasistemi naturale e sociale di cui fa parte.
    Da questo punto di vista la famiglia può essere considerata un luogo di mediazione tra gli individui che la formano e la società.[11]
    Nella società moderna complessa questa forma di mediazione si è ridotta rispetto al passato ma non è affatto scomparsa. Basti pensare al ruolo che la famiglia gioca nell’influire sulla carriera scolastica dei ragazzi o nella strutturazione delle forme di adattamento degli stessi ragazzi alla vita sociale. Se in molte aree della vita degli individui il loro rapporto con i sistemi sociali di cui fanno parte è diretto, in altre aree esso è mediato dalla famiglia o perlomeno ne è profondamente influenzato.
    Occorre poi anche tenere presente che la famiglia, in quanto sistema di comunicazione aut di relazioni, è il luogo dell’interpretazione, ovvero il luogo in cui la persona produce il significato delle proprie esperienze di relazione all’interno e all’esterno della famiglia. Questo rende la famiglia un luogo simbolico, ovvero un luogo in cui la percezione della realtà interna ed esterna della persona viene organizzata, strutturata e dotata di significato e, quindi, un luogo dove la persona costruisce il mondo che abita. Questa costruzione del mondo, che ha le proprie radici lungo l’asse del tempo noetico e si dispiega lungo l’asse del tempo sociale, costituisce il nucleo più profondo dell’essere nel mondo della persona al di là di tutte le trasformazioni che questa stessa persona ha lontano dalla famiglia.
    Proprio per questa sua qualità la famiglia appare un luogo della condizione umana non facilmente surrogabile o sostituibile o, addirittura, eliminabile. Perché è la presenza delle tre forme di comunicazione in un unico luogo ciò che consente alla persona un esperire unitario di se stessa, della realtà e del mondo, aldilà di tutte le frammentazioni che il suo viaggio nello spazio-tempo gli fa incontrare. Le funzioni individuali e sociali prima descritte non potrebbero essere svolte dalla famiglia se in esse non fossero presenti tutte e tre le forme di comunicazione e se esse non fossero inscritte, attraverso l’emozione e il significato in un orizzonte simbolico.

    LUOGO DELLA COMPLEMENTARIETÀ TRA MASCHILE E FEMMINILE

    In molti miti arcaici sulle origini si narra la nascita del mondo come separazione, di solito traumatica, del principio maschile da quello femminile, che prima erano integrati in una totalità indifferenziata.
    Secondo il pensiero mitico il maschile e il femminile sono parti complementari, e quindi incomplete, di una unità originaria.
    Secondo questa forma di pensiero arcaico, ma non per questo falsa, il rapporto di amore tra il maschio e la femmina non è né una semplice necessità fisiologica, né tantomeno solo una gioia gratuita, ma la ricerca della completezza del proprio sé nell’unità e nella pienezza paradisiaca delle origini.
    Ma non solo. Il rapporto tra il maschile e il femminile è una delle relazioni tra gli opposti che è alla base della vita. Questo principio lo si ritrova tanto nell’antica filosofia cinese, quanto in quella più vicino a noi, nella filosofia presocratica dove è magistralmente espressa da Eraclito.
    La famiglia, attraverso la coppia che la fonda, è in questa prospettiva il luogo di questo incontro-scontro tra maschile e femminile ed è, di conseguenza, il luogo non solo della generatività biologica della vita, ma quello da cui promana l’energia creatrice che è alla base della tutela della vita umana espressa nelle forme della civilizzazione.
    Questa complementarietà fondamentale del maschile e del femminile è stata scoperta dalla biologia e dalla psicologia addirittura all’interno del singolo individuo umano. Infatti il maschio, accanto ad un maschile dominante, ha in sé un femminile recessivo, mentre la femmina ha, accanto al femminile dominante, un maschile recessivo.
    La conquista della condizione adulta da parte di un individuo, che coincide con una più completa realizzazione del proprio sé, richiede anche un maggior riconoscimento ed integrazione del carattere sessuale recessivo nella sua personalità. Un maschio diventa un individuo più completo quando lascia spazio all’espressione del femminile che è in lui, così come una femmina raggiunge la stessa condizione quando riesce ad esprimere il maschile che è in lei.
    La dinamica relazionale della coppia, oltre ad essere il luogo dell’incontro della complementarietà maschile e femminile, è anche il luogo della scoperta della complementarietà interna del proprio maschile e del proprio femminile.
    Questo fatto è quello che consente di affermare che la famiglia esiste nella sua completezza solo quando è strutturata intorno alla complementarietà della coppia maschio-femmina e, quindi, di negare la possibilità della famiglia in assenza di questa complementarietà.
    Con questo non si vuole affermare che non esista la possibilità per la persona di acquisire la propria completezza all’infuori del rapporto di coppia, ma solo affermare che essa è un luogo privilegiato per la ricerca di tale completezza.
    Se a questo si aggiunge l’altra scoperta della psicologia, che la completezza del sé nell’adulto si accompagna, oltre alla maggiore complementarietà tra il maschile e il femminile, anche l’integrazione delle diverse età della vita nella sua personalità, si vede che la famiglia consente questa ulteriore integrazione in quanto essa è il luogo della complementarietà lungo l’asse del tempo di più generazioni, e quindi di più età, in un unico luogo. La persona nella famiglia vive quotidianamente questa complementarietà delle età. Ad esempio la coppia vive il rapporto con i propri genitori e con i figli. Questi ultimi con i genitori e i nonni. I nonni con i figli e i nipoti. La complementarietà delle generazioni nella famiglia non è perciò solo funzionale alla riproduzione della cultura sociale e della specie, ma anche alla realizzazione umana delle persone che la formano.

    Conclusione

    L’analisi di alcune delle funzioni educative che la famiglia deve svolgere indica con sufficiente chiarezza che essa ha un ruolo fondamentale nell’avventura dell’umanizzazione, ruolo che non è surrogabile, se non molto imperfettamente, da altre agenzie e luoghi educativi. Non solo. Essa indica anche che non può esistere una famiglia se essa non è segnata dall’assunzione di responsabilità degli adulti che la formano verso le nuove generazioni alla cui generazione contribuisce in prima persona e verso le generazioni che l’hanno preceduta e a cui essi debbono la propria esistenza biologica, psicologica e culturale.
    Una famiglia che non si apre al tempo della storia contribuisce ad introdurre nel percorso della civilizzazione una misura di distruttività.
    Oltre a questo la famiglia deve essere per i suoi figli il luogo dove la congerie di stimoli, sensazioni e percezioni che ricevono dall’ambiente esterno è in grado di ordinarsi in un mondo al cui interno gli atti della loro vita trovano un senso non contingente e precario.
    È questo mondo quello su cui le altre agenzie educative potranno agire per affinarlo, espanderlo, modificarlo. Senza questo mondo il lavoro di tutte le agenzie educative ha una assai bassa probabilità di essere significativo. Basti pensare a come i ragazzi che non possono contare nella loro famiglia su questa esperienza di costruzione del mondo normalmente incontrano il fallimento nel loro percorso formativo all’interno della scuola.
    La famiglia, nonostante i sogni, o gli incubi, dei falsi profeti è il luogo senza il quale l’uomo perde se stesso all’interno dell’orizzonte chiuso dei suoi bisogni, e la catena ontogenetica della civilizzazione rischia di spezzarsi.


    NOTE

    [1] Fraser J. T., Il tempo, una presenza sconosciuta, Feltrinelli, Milano 1993, p. 17.
    [2] Fraser J. T., op. cit., p. 22.
    [3] Fraser J. T., op. cit., p. 300.
    [4] Fraser J. T., op. cit., p. 304.
    [5] Fraser J.T., op. cit., p. 305.
    [6] Acquaviva S., in Ritratto di famiglia degli anni ’80, Bari 198, p. 5.
    [7] Donati P., I nuovi bisogni delle famiglie e le prospettive nelle politiche di Welfare, in Donna e Società, 94-95, anno n. 24, pp. 221-242.
    [8] Donati P., op. cit., pp. 232-233.
    [9] Donati P., op. cit. p. 233.
    [10] Acquaviva S., op. cit., p. 7.
    [11] Donati P., Le nuove mediazioni familiari, in Donati P. (a cura di), Terzo rapporto sulla famiglia in Italia, Edizioni S. Paolo, Milano 1993.


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