Enzo Biagi
(NPG 1997-09-51)
Cari ragazzi, da qualche tempo le cronache si stanno occupando un po’ troppo di voi. Feste che si concludono con demenziali vandalismi, tiri di pistola a un vago bersaglio che spengono innocenti vite. C’è in giro una specie di cupa voglia di autodistruzione.
Uno scrittore che morì nella prima guerra mondiale ha detto: «Sono così brevi i giorni dei vent’anni». È vero, passano in fretta e una generazione va, conferma l’Ecclesiaste citato da Hemingway, e l’altra viene.
Tocca a voi: io non vi conosco. I sociologi avvertono in voi mutamenti improvvisi. Tempo fa volevate evadere, dicono, lasciar casa e famiglia: adesso nessuno vi sposterebbe neppure a colpi di cannone. Vi sentite protetti e godete di tante comodità. Sapete molte cose, siete più forti di noi. Vi abbiamo riempiti più di vitamine che di idee e di speranze.
Nelle nostre scuole c’erano il calamaio, la carta assorbente; nelle vostre c’è il computer. I paesaggi dei nostri sogni erano descritti da Salgari, da Conrad, o da Joyce, i vostri sono compresi negli «inclusive tours», esaltati nei documentari televisivi. Avete visto in diretta un uomo passeggiare sulla Luna: altro che Jules Verne.
Sono le donne le più intraprendenti e non mi stupisco: da sempre si compromettono di più con la vita. È Anna Karenina che paga per la sua passione, non lo stupido e orgoglioso Wronskij.
Io sono il superstite di un altro mondo: quello della radio a galena, una cuffia con la voce che ogni tanto si perdeva, e voi navigate su Internet. Noi siamo cresciuti con le favole dei fratelli Grimm e abbiamo pianto per Nemecek, l’infelice protagonista di una banda di ragazzi che giocavano alla guerra nell’Orto botanico di Budapest.
Volevano farsi largo, ed esagerarono nel prendere le misure, nello spazio: molti sono spariti in una bufera di sabbia e di neve.
Quando noi eravamo piccoli, il che non risale proprio a un secolo fa, c’erano gli spazzacamini, i carbonai, i venditori di ghiaccio: c’era la natura. Sapevamo come nascevano i gattini. Leggo che da un’inchiesta risulta che i bambini romani, età dai tre agli otto anni, pensano che i polli non razzolano nei campi, nei cortili, ma vengano prodotti nelle fabbriche, in due versioni: crudi o cotti.
Non basta avere allungata l’esistenza, forse bisogna renderla anche più umana. E molte cose si possono programmare: ma non c’è tranquillante per vincere la solitudine e la malinconia. Che qualche volta sono anche un dono.
(Corriere della sera – Sette 27/1997)