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    Adolescenti e cultura sociale



    Luigi Alici

    (NPG 1997-08-26)


    Articolerò il mio intervento sul tema dell’adolescenza attorno a due nuclei fondamentali.

    Contiguità e novità con gli orientamenti culturali contemporanei

    Da una prima lettura della ricerca COSPES emergono alcuni elementi di sintonia e anche di novità rispetto alle categorie culturali che oggi sembrano, specialmente a livello filosofico, dominanti.
    – Vi sono, sicuramente, elementi di sintonia tra il tipo di società complessa, di cultura postmoderna nella quale gli adolescenti, oggi, si vanno affacciando. Si tocca con mano la percezione dell’eclisse di alcune rigidezze e semplificazioni ideologiche, che si accompagna ad una riappropriazione del vissuto, della sfera dei sentimenti, che si manifesta soprattutto in una partecipazione più intensa al cosiddetto «orizzonte vicino», fatto di relazioni corte, e in una certa difficoltà a trasferire questa dimensione nell’ambito del cosiddetto «orizzonte lontano», dell’etica pubblica. Così come ci sono elementi di sintonia con i temi della soggettività, della frammentarietà e del pragmatismo.
    – Nello stesso tempo ho colto una serie di elementi fortemente innovativi, che si tratterebbe però di ripensare e interpretare correttamente. Un elemento di novità mi pare si possa individuare nella tendenza emergente ad un «allungamento» della sfera del desiderio, che si protende fino alla sfera dell’amicizia e dell’amore, tendendo, almeno in maniera potenziale, a saldare due dimensioni che nella cultura contemporanea vengono presentate a volte come giustapposte, o comunque, tra loro fortemente separate da una cesura, cioè la sfera del desiderio e quella dell’amore.
    Il prolungamento del desiderio passa attraverso un riconoscimento, forse ancora acerbo, però sicuramente positivo, di alcune forme di relazionalità istituita, tra le quali soprattutto l’amicizia. Il tema dell’amicizia mi ha francamente sorpreso, perché appare piuttosto assente nella cultura odierna.
    Così un altro elemento di novità è una forte attenzione, forse più in termini di domanda che di articolazione compiuta, ai temi della persona, rispetto ad un orizzonte culturale dominato da tendenze di tipo biocentrico o ambientalistico, nelle quali il tema della persona viene emarginato, se non addirittura completamente screditato.
    Nello stesso tempo emerge, anche se in un modo non del tutto lineare, un’attenzione ai temi del dialogo e delle domande di senso, che però sembrano scontrarsi con il clima di disincanto e di indifferenza che spesso a livello culturale non viene solo recepito, ma anche teorizzato.
    – Contemporaneamente emergono alcuni elementi ambivalenti, alcuni indicatori che, proprio per questa ambivalenza, domandano una maturazione educativa. Anzitutto una forte domanda di autenticità, che può essere, forse, un primo passo per ridisegnare una nuova motivazione etica. Però questa domanda di autenticità è ancora molto fragile: può preludere, come esito, alla maturazione di una nuova istanza etica, come ad una nuova forma di fragilità emozionale e, al limite, di istintualità egocentrica.
    Al contempo emerge una capacità piuttosto disinvolta di imparare a «navigare» all’interno della società complessa, che può essere un segno dei primi «anticorpi» nei confronti della frammentazione, ma anche il segno della rassegnazione alla banalità e di una navigazione di piccolo cabotaggio, al di là del quale non si guarda per paura della frustrazione.
    Allo stesso modo le domande di dialogo, a volte di protezione, possono essere assunte come indicatori di un adolescente che ha voglia di crescere, ma anche come indicatori di un potenziale pericolo di regressione.
    Questa ambivalenza credo la si possa anche riscontrare nella figura dell’educatore in genere, e dei genitori in particolare.
    L’attenzione educativa nei genitori, ad esempio, può essere il segno che si avverte la necessità di maturare una nuova identità di ruolo o, nello stesso tempo, di una insicurezza che tende a sostituire il ruolo del genitore, con il ruolo, socialmente più gratificante, dell’amico dei figli. Ho presente alcune indicazioni che ricavo dal «Terzo rapporto sulla famiglia», dove si sottolinea con forza questo aspetto, cioè la difficoltà da parte dei genitori di sentirsi mediatori, cioè coloro che insegnano ai figli ad «entrare» nella società, e quindi ad accettarne le logiche, ma nello stesso tempo ad «uscirne» in nome di logiche di tipo oblativo, superiori a quelle puramente utilitaristiche che regolano, a volte, i rapporti sociali.
    Tali elementi di novità e di ambivalenza nascondono, sicuramente, un positivo emergente che a livello culturale è sottostimato; un positivo emergente che, però, nell’impatto con l’età adulta, rischia di essere bruciato.
    In altri termini, quegli elementi di ambivalenza possono essere accolti all’interno di una cultura che da un certo punto di vista li considera positivamente, ma, da un altro punto di vista, è pronta a trascriverli all’interno di infrastrutture culturali, dove essi vengono giocati in senso negativo: il pluralismo può diventare relativismo; la capacità di affrontare situazioni diverse può diventare una forma di disincanto, di ambiguità teorizzata e stabilizzata; il pragmatismo può essere una chance, ma anche l’anticamera di una razionalità cinica in nome della quale si deposita il fardello romantico e ormai inservibile di una adolescenza alla quale si deve rinunciare se si vuole accettare la logica competitiva del mondo del lavoro.

    ALCUNI NODI PROBLEMATICI

    Il secondo nucleo di considerazioni lo vorrei articolare attorno a tre nodi fondamentali di carattere culturale: il tema della persona, o se si vuole il rapporto fra interno/esterno, interiorità/esteriorità; il tema dei sentimenti, o se si vuole il rapporto tra immediatezza e mediazione; il tema dell’alterità: per mantenere la simmetria, si potrebbe parlare di rapporto tra singolare e plurale.

    Il rapporto interno–esterno

    Nella cultura contemporanea il rifiuto delle sicurezze e del razionalismo moderno, centrato su un modello antropocentrico, ha portato a volte ad un eccesso di legittima difesa nei suoi confronti. Per cui, a livello culturale, è dominante un atteggiamento di sospetto, se non addirittura di discredito nei confronti di tutti quei richiami alla centralità della persona, che tendono ad essere letti come richiami di tipo antropocentrico, cioè come richiami ad una persona intesa come il padrone indiscriminato del mondo della natura e della storia.
    La forte attenzione al tema della persona pone allora questa sfida a livello culturale, se cioè sia possibile rinnovare una cultura della persona in termini non antropocentrici. Una cultura, in altri termini, che consideri la persona, e la sua differenza nei confronti del mondo della natura, non in termini di potere, ma in termini di dovere e di amore. È cioè possibile difendere un primato della persona che non accrediti la persona come padrone del mondo della natura? Se essa ha una superiorità è perché ha dei doveri nei confronti del mondo naturale, è perché ha delle risorse di carattere oblativo. Questa sfida investe anche la cultura cristiana in senso lato.
    A livello culturale, attorno a questo arcipelago di problemi emerge in maniera abbastanza evidente il tema del processo dell’integrazione del sé e dell’autodefinizione, dell’espansione della sfera vitale. In fondo è il problema che i filosofi definirebbero come la capacità di mettere in correlazione identità e differenze.
    Se manca questa capacità di correlare identità e differenze, allora il rischio è quello di non vivere la molteplicità, la complessità, come occasioni di arricchimento, bensì di viverle in maniera sincretistica, cioè in una forma di zapping spensierato, per cui si passa da un’offerta all’altra, senza la capacità di mediare, di integrare le differenze all’interno di una identità: di una identità irriducibile, di una identità del sé.
    Questo problema di sintesi tra identità e differenze si pone a vari livelli: a livello sessuale, come a livello culturale. Se ad esempio nel grande dibattito sul rapporto tra le «culture» e la «cultura» manca questa sintesi, è chiaro che manca anche la capacità di riconoscere la universalità della cultura.
    Se non si trova questa capacità di universalità, il rischio è che l’etico scada nell’etnico, che l’ethos scada nell’etnos, perché c’è un deficit di sintesi fra identità e differenze. Lo stesso problema si pone per quanto riguarda il vissuto storico, e mi pare che emerga in maniera abbastanza forte. Un’adolescenza schiacciata sul presente è un’adolescenza che ha paura del futuro, ma che ha anche un deficit di memoria. Diceva Gabriel Marcel che la memoria è «la speranza del futuro». La capacità di superare la frammentazione del tempo psichico avanza nella misura in cui si riconosce un centro interiore del divenire che fa sintesi, ed è precisamente la memoria, non intesa solamente in senso psicologico, come il luogo dei ricordi, ma intesa in senso dinamico, come la testimonianza interiore del divenire, presupposto indispensabile per guardare avanti.

    Il rapporto tra immediatezza e mediazione

    Il secondo nodo riguarda il tema del vissuto che viene giocato prevalentemente sul piano dell’immediatezza sensoriale o emozionale, e corrisponde ad un declino di fiducia nei confronti della ragione.
    Ma, ancora una volta, di quale ragione? Di una razionalità illuministica, universalistica che non aveva rispetto per il singolare, per il vissuto, che tendeva ad integrarlo nell’intero con una operazione dialettica molto disinvolta, che ha avuto varianti anche a livello politico. A questa sfera dei sentimenti è legata, e questo è l’aspetto positivo, una possibilità di immediatezza e di autenticità affettiva, che si esprime attraverso una sintonia emozionale, di cui l’adolescente si scopre depositario. Essa diventa lo strumento ermeneutico per riconoscere l’autenticità nei rapporti interpersonali e diventa anche uno strumento critico, serve come forma di sospetto anti-ideologico. Su questo senso di autenticità si ricostruiscono le relazioni intersoggettive, l’amicizia, l’amore, le attese educative, la domanda nei confronti dell’educazione, nei confronti della famiglia. Quindi c’è la tendenza ad aprire la sfera dei sentimenti oltre la dimensione dell’immediatezza. Però anche qui, il passo avanti a livello educativo, e prima ancora a livello culturale, sta nella capacità di fare sintesi tra l’immediatezza dei sentimenti e la capacità di mediazione che è propria della ragione.
    Il prezzo che si paga per distanziarsi dalla cultura illuministica moderna, a questo punto, sarebbe troppo alto, se consistesse in una rinuncia totale alla ragione. Bisogna trovare un’alternativa non emozionale alla «ragione forte». Se manca questo, il rischio appunto è di perdere la capacità di costruire un nuovo ethos. I sentimenti da soli, senza mediazione razionale, non bastano a costruire un nuovo ethos.
    Si può istituzionalizzare l’amore? Questa è la sfida che si pone. Probabilmente gli adolescenti della nostra società risponderebbero istintivamente di no. Il rischio è che allora l’etico non solo decada nell’etnico, come si diceva prima, ma che decada nell’estetico, nel senso più superficiale della parola.
    Bertrand Russel racconta che un giorno, andando in bicicletta, si accorse improvvisamente di non «sentirsi» più innamorato della prima moglie e da quel momento decise di lasciarla. Mc Intyre cita questo episodio nel libro «Dopo le virtù», definendola «una tipica reazione estetica, e non etica». A livello etico le nostre scelte si esercitano presupponendo il bene e il male. A livello estetico il bene e il male, invece di essere presupposti delle scelte, diventano oggetti delle scelte. Posso decidere di scegliere usando i parametri: bene/male; oppure usando i parametri: mi piace, non mi piace; mi va, non mi va. Se manca questa capacità di fare sintesi tra immediatezza e mediazione, il rischio è che l’etico si appiattisca nell’estetico.

    Il rapporto tra singolare e plurale

    L’ultima considerazione riguarda il tema della relazione, della capacità relazionale che tocca oggi un nerbo scoperto della cultura contemporanea, la quale insiste molto sui temi dell’individualismo e del recupero del privato, ma poi è piuttosto in affanno per rispondere a tutto quel complesso versante dell’etica pubblica, alla quale a volte si danno risposte estrinseche, o in termini contrattualistici, o in termini utilitaristici. A livello culturale, questa forma di schizofrenia tra privato e pubblico produce una doppia verità: c’è un vissuto soggettivo, che viaggia secondo parametri estetici, e c’è lo sporco compito di fare i conti con le leggi finanziarie, gestite secondo criteri puramente contabili.
    Questa attenzione al valore dell’altro sicuramente è il segno che sta maturando qualcosa, che cioè bisogna superare una visione soggettivistica. Direbbe Lévinas: «è il segno che l’altro viene prima dell’Io». È il segno che io non incontro l’altro a partire da una mia identità precostituita, ma che io conquisto la mia identità a partire dall’altro.
    Qui la maturazione può avvenire però quando questa dimensione dell’alterità passa dalla «seconda» alla «terza» persona, per evitare il pericolo di una alterità giocata prevalentemente sul tema della seconda persona, l’Io e il Tu. Non si costruisce una società senza la terza persona. La terza persona è veramente il «terzo» che sfugge, che io non raggiungo attraverso una sintonia emozionale, ma solo attraverso una capacità critica e razionale. Il Terzo è l’umanità futura al quale consegniamo una società degradata. Il Terzo è l’extracomunitario, non quello oleografico che non mi mette in crisi, ma quello che mi suona il campanello all’ora di pranzo.
    C’è un’alterità nella quale io mi sento gratificato, che può essere quella del piccolo gruppo, che può anche accendere piccole forme di egoismo di gruppo, forse più pericolose delle forme di egoismo individuale. Ma l’alterità si dilata se comprende appunto il terzo, perché attraverso questa via io arrivo ad un’alterità più alta, primo passo per arrivare alla trascendenza. Dall’altro, con la lettera minuscola, all’Altro, con la lettera maiuscola.
    La sfida che nasce, dinanzi a questi nodi a livello culturale e a livello educativo, riguarda la necessità di attrezzarsi per far maturare tali risorse in maniera che l’età adulta non rappresenti una soglia critica nella quale si entra accettando altre logiche di tipo utilitaristico, per cui dall’età dei sentimenti si passa all’età della ragione nel senso peggiore del termine. È importante che, a livello educativo, attraverso il tirocinio della pazienza, della fedeltà, della sofferenza, cioè di quei buchi neri che non compaiono nell’indagine, e confluiscono nel più generale tema del male, si possa dilatare veramente il desiderio, raccogliere queste istanze e innestare al loro interno il confronto con la ragione e con la necessità di una maturazione critica, per evitare che nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta si sovrapponga al bisogno emozionale dell’autenticità il cinismo della ragione utilitaristica.


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