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    Una spiritualità in ascolto dei giovani



    Giovanni Fedrigotti

    (NPG 1996-09-18)


    La storia della santità - che è una sicura fonte di ispirazione - è chiamata a dialogare con i segni dei tempi, che connotano la storia degli uomini d'oggi. Poiché lo Spirito non si è stancato, ma continua a camminare con l'uomo e ad inquietarlo e muoverlo da dentro.

    UNA SPIRITUALITÀ PER L'ORA PRESENTE

    In solidarietà con l'uomo moderno

    La cosiddetta svolta antropologica che fa dell'uomo la via quotidiana della Chiesa (Giovanni Paolo II) è un invito a partire dall'ascolto dell'uomo e dei suoi bisogni, per evitare che una spiritualità resti campata sulle nuvole, oppure, paracadutata su questa terra, risulti simile all'armatura di Saul, che impacciava la brillante scioltezza di Davide, lasciandolo mezzo handicappato.
    Nello spirito della Gaudium et spes - della cui promulgazione abbiamo appena celebrato il trentennale - siamo chiamati a muoverci e a salvarci in profonda solidarietà col mondo d'oggi. «Possono sopravvivere soltanto delle spiritualità che rendono conto della responsabilità dell'uomo, che danno un valore all'esistenza materiale, al mondo tecnico, e, in generale, alla storia. Dovranno morire le spiritualità di evasione, le spiritualità dualiste» (P. Ricoeur).
    Occorre condividere la crisi, piangendo con chi piange, mettendosi al passo coi viandanti di Emmaus, come Cristo, entrando in sintonia con la loro infinita tristezza, perché essi si possano sintonizzare sull'incredibile annuncio.
    La storia della salvezza non interesserà a nessuno, se - attraverso una spiritualità tutta impegnata a spendersi pro mundi vita - non potrà presentarsi al mondo e all'uomo come salvezza della storia, di quella di oggi, naturalmente. Col suo desiderio di generare un uomo planetario che trasformi la terra da aiuola che ci fa tanto feroci a villaggio globale. Il quale non può essere solo il contenitore delle nuove reti di comunicazione, ma deve diventare, almeno a livello incoativo, il Regno dei figli di Dio.
    Un mondo nuovo chiede un uomo nuovo, che sviluppi con pienezza quell'homo absconditus, che - pur frenato dal peccato, dalle ingiustizie, dalla violenza dai mille volti - sta, tuttavia, venendo faticosamente alla luce.
    Un uomo che ha per capo Cristo, per condizione la dignità e libertà dei figli di Dio, per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati, per fine il Regno di Dio (LG 9).

    I «nuovi adolescenti»

    La recentissima ricerca COSPES («L'età incompiuta», ed. LDC) ci fornisce uno spaccato aggiornato del mondo degli adolescenti italiani, dai 14 ai 19 anni. In sintesi: si giunge ad una conclusione sorprendente: al calo della pratica religiosa e dell'appartenenza ecclesiale, subentra in progressivo aumento una religiosità soggettiva, intesa come ricerca di ragioni per cui credere e sperare, lontana dalla inculturazione infantile e aperta a successivi sviluppi da conseguire nella maturità adulta.
    Tale nuova identità comporta una personalizzazione e una interiorizzazione del problema religioso e della fede. L'adolescente tenta di ancorare il bisogno religioso, insopprimibile dentro di sé, a nuovi agganci, che sente più propri, più in sintonia con l'emergere di una nuova identità: la ricerca di senso e il bisogno di sicurezza a livello esistenziale.
    Le conclusioni della ricerca suscitano interrogativi che non possono essere sottovalutati: «Troveranno gli adolescenti d'oggi chi saprà porsi accanto a loro per accompagnarli e aiutarli a riorganizzarsi attorno al senso dell'esistenza e al fondamento della fiducia vitale? Se ciò non avverrà, l'esito di questo cammino potrà essere la disintegrazione tra fede e vita quotidiana o il suo ridursi ad un simulacro e fenomeno residenziale del passato infantile e preadolescenziale».
    Pare chiaro che tutto questo abbia a che fare con un cammino di spiritualità, di cui personalizzazione, interiorizzazione, ricerca di senso, fiducia vitale siano elementi integranti.
    I giovani d'oggi cresciuti all'insegna del «mordi e fuggi», pronti a lasciarsi beatamente cullare dall'attimo fuggente, forse più preoccupante del look, che li qualifica agli occhi dell'uomo anziché dell'interiore fisionomia che li fa figli di Dio, manifestano tuttavia un intimo bisogno di approfondimenti e cammini spirituali. Se avranno la pazienza di scegliere una strada spirituale - quella più congeniale alla loro storia personale e comunitaria - e di percorrerla con paziente coerenza, potranno trovare la risposta ad alcuni degli interrogativi più pressanti. Ma sceglieranno se avranno prima trovato degli annunciatori, dei battistrada, convinti e convincenti.

    UNA SPIRITUALITÀ «SIGNIFICANTE»

    Una esigenza affiorante

    Nella inchiesta su La religiosità in Italia, presentata al Convegno ecclesiale di Palermo, si è ripetutamente sottolineato «il ruolo fondamentale della religione nel fornire un significato dell'esistenza umana, soprattutto in una situazione come l'attuale contraddistinta da un elevato disorientamento per eccesso di proposte e per il diffondersi di un politeismo valoriale» (Cesareo, 15). Sembra dunque emergere più una fede che risponde ai problemi del senso, che una fede di cui si fa esperienza; più una fede come significato e come ragione, che una fede come emozione e vissuto. E tutto questo in un contesto di predisposizione favorevole nei confronti della proposta cristiana e di un processo di purificazione dell'idea di Dio (Garelli, 25, 30, 31). Anche dalla ricerca COSPES sopra ricordata, risulta che «credere è - per il 62% dei soggetti, di cui 69% sono le ragazze e 73% le diciannovenni - avere delle ragioni che aiutano a vivere e a sperare». Dunque, a mano a mano che maturano, i giovani tendono a guardare all'esperienza religiosa in termini di significatività, come la maggior parte degli adulti. Anzi, questo è diventato un segno non equivoco del loro ingresso nella maggior età. Ed è su questa lunghezza d'onda, che bisognerà cercare di raggiungerli. In sostanza, gli adolescenti, i giovani e gli uomini d'oggi chiedono di più alla loro fede: in questo di più è inscritto un cammino di spiritualità.
    Una spiritualità che sappia assumere chiarezza di autocoscienza, capacità di comunicazione, dignità di riflessione culturale.
    Una interessante correlazione, che appare nella stessa ricerca, evidenzia il fatto che l'apertura culturale e l'avanzamento negli studi aiuta i giovani a perseverare nella fede!
    Probabilmente ciò avviene perché lo studio li aiuta a meglio porsi ed approfondire l'interrogativo sul significato della vita, a cui la proposta religiosa è strettamente collegata. Una ragione in più per abbracciare con convinzione il progetto di pastorale della cultura, su cui, in questi tempi, stanno riflettendo le Chiese d'Italia. Ciò non può sfuggire a genitori, educatori e maestri di spirito.
    Dalla ricerca COSPES risulta che tra i fattori a cui viene attribuita una valenza positiva nei cambiamenti circa la fede, risultano segnalate soprattutto le figure dei familiari. Seguono poi quelle degli educatori.
    L'influsso della madre è presente in misura del 42,8%, quello del padre del 34%, quello di figure dell'ambiente educativo ecclesiale e scolastico, insieme considerate, in misura del 45% (si tratta di un adulto per l'11,8%, dell'insegnante di religione per l'11,8%, di un prete o di una suora per il 14,1%).

    Sulle orme di grandi maestri

    Sul binario della significatività si sono sempre mossi i più attenti educatori spirituali.
    È quanto mi sono sforzato di mostrare nell'articolo precedente.
    Nella Introduzione alla Vita devota, S. Francesco di Sales si preoccupa di spiegare che la spiritualità è il fuoco che fa ardere la vita cristiana, in ogni ambiente di vita.
    Essa è chiamata a manifestare la sua incandescenza alla corte e nei tribunali, negli eserciti e nei monasteri, nei salotti borghesi e nelle chiese. Proprio perché dà significato alla vita, la devozione - così chiama S. Francesco di Sales una spiritualità viva e vivificante - ha diritto di cittadinanza in tutti i luoghi di vita.
    Rivolgendosi ai suoi giovani nella introduzione del Giovane Provveduto, don Bosco si premura di sfatare due pregiudizi che scoraggiano l'impegno di vita cristiana, mortificando il significato del cristianesimo: e cioè che esso corroda la gioia della vita, e che basti praticarlo in prossimità della morte, in modo da avere un lasciapassare per il Cielo. Niente di più falso, replica don Bosco. Il Signore vuol essere servito in santa allegria, perché Egli è il primo servitore di quel desiderio di felicità, che ci ha messo in cuore.
    E ci tiene ad essere preso sul serio, come Uno che interviene per dare all'uomo pienezza di vita e non soltanto la solennità patetica di una marcia funebre, in vista dei funerali.

    Dentro il solco della vita

    I due santi-educatori esprimevano così il principio-base, per cui la dimensione responsoriale di una spiritualità è condizione della sua efficacia.
    Questa affermazione vuole esprimere concretamente la natura dialogica permanente di ogni cammino di spiritualità.
    Essa è dialogo del giovane con lo Spirito «Ospite dolce dell'anima», che tocca, come una brezza leggera, il volto interiore dell'uomo.
    È dialogo con la Chiesa, i suoi membri e i suoi ministri. Questo è il significato che il Sacramento della Riconciliazione assume nella prassi pastorale di Francesco di Sales, Alfonso De Liguori o don Bosco. Non è difficile cogliere come essi lo trasformino in segno e strumento di un accompagnamento, che non fa piovere dall'alto la sua proposta, ma la fa scaturire dal basso, in una reciprocità di ascolto e di illuminazione, simile alla maieutica di socratica memoria.
    Una spiritualità significativa, per giovani estroflessi e frammentati come quelli di oggi, è quella che aiuta a realizzare la necessaria unificazione vitale, passando dal fare esteriore all'essere interiore; dall'emozione affettiva e religiosa alla fedeltà, alla capacità di autonomia e al coraggio della testimonianza; dal centramento su di sé all'apertura a Cristo, Chiesa, e fratelli.
    Essa è anche sempre dialogo con le stagioni della vita dell'uomo, le sue crisi, le trasformazioni continue. Vale per molti - e per diversi stadi di vita - ciò che si dice dell'adolescente prolungato d'oggi: che si tratta, cioè, di un cantiere aperto per lavori in corso (cf ricerca COSPES).
    Che si tratti di turbolenze adolescenziali, o della cosiddetta crisi dei quarant'anni, o del ritiro dal lavoro e dell'ingresso nella vecchiaia - la crisi forse più forte della vita e della quale meno si parla - è sempre il medesimo problema, che si pone alla spiritualità: come fare i conti in termini di fede con i nuovi fenomeni posti dalle diverse età e situazioni vitali, come inserirli nella nostra personale storia di salvezza, come strapparli ad una dolorosa insignificanza restituendo ad essi il senso che hanno agli occhi di Dio?
    Una tale unificazione passa necessariamente attraverso un processo di interiorizzazione, che contrasta quell'«evisceratio mentis» (S. Bernardo) o sventramento dell'anima che è malattia endemica dell'uomo d'oggi e che porta a lasciarsi fagocitare dalle cose (da fare o da consumare), alla esibizione enfatica del look, alla immersione nella massa - delle discoteche, dei meeting, degli stadi o, più semplicemente, delle vasche percorse nelle eleganti strade di città - che, mentre rassicura, può deresponsabilizzare.
    È significante - per il giovane e l'uomo di oggi - una spiritualità che animi e sorregga la profezia, di cui la giovinezza è portatrice.
    Di qui lo sforzo in corso - presso molti conoscitori ed educatori di giovani - per inglobare negli itinerari educativi sensibilità emergenti non prive di valenza evangelica, come: mondialità e pace e scoperta degli altri popoli, volontariato ed obiezione di coscienza, emancipazione della donna e solidarietà, disarmo ed ecologia, ecc.
    Della significatività della vita spirituale fa parte anche la sua capacità di stimolare ed espandere l'autocoscienza che, nei giovani specialmente, è un'area particolarmente attiva e qualificante. Scoprire i propri doni, umani e spirituali, attraverso la mediazione della Chiesa, metterli in mano al Signore Gesù che li moltiplica, distribuirli specialmente ai più poveri e bisognosi: tutto questo rappresenta un'avventura degna della giovinezza.
    Ne è icona il ragazzo evangelico che, donando i pochi pani e pesci di cui dispone, contribuisce a sfamare una moltitudine...
    E, come il ragazzo evangelico in un unico gesto realizza la oblatività propria dell'adolescente generoso e del credente impegnato, allo stesso modo il giovane rifugge dicotomie o divorzi artificiali fra ciò che lo fa uomo e ciò che lo fa cristiano, invocando - almeno tacitamente - una spiritualità del cammino integrale, per cui si evangelizza educando e si educa evangelizzando, vivendo e comunicando una spiritualità, che è diventata l'unitario, indivisibile respiro del figlio dell'uomo e del figlio di Dio.

    SU MISURA DEI NUOVI GIOVANI

    Era facile voce profetica Simone Weil quando invitava ne L'attesa di Dio a reinventare la santità a misura dell'epoca nuova: «Oggi non è ancora sufficiente essere santo; è necessaria la santità che il momento presente esige, una nuova santità anch'essa senza precedenti (...) quasi come una nuova rivelazione dell'universo e del destino umano».

    Giovani che meritano fiducia

    Alla radice della nostra riflessione sta una fiducia motivata nei nuovi giovani del nostro tempo - che il Convegno di Palermo ci invita ad incontrare ben al di là degli stretti recinti parrocchiali - che posseggono, per così dire, una apertura spontanea nei confronti di proposte forti ed alternative, anche se lasciano a desiderare quanto a continuità e a coerenza di comportamenti (ma non è che su questo, noi adulti, possiamo ritenerci molto migliori!). Il moltiplicarsi delle scuole di preghiera e delle varie forme di volontariato - alcune delle quali assai esigenti, come il volontariato missionario ad gentes; la partecipazione crescente di giovani laici alla vita degli Istituti Superiori di Scienze Religiose; la convinta presenza giovanile in cammini diocesani ben programmati e progettati insieme; la loro partecipazione alle scuole per animatori corredate anche di titolo civile-regionale, ecc. - ci conforta in questa convinzione. Essa riceve ulteriore conferma dalla qualità dei giovani che scelgono una vita di speciale consacrazione, sposando forme di vita esigenti - in vari casi addirittura eroiche - come quella proposta da M. Teresa e dalle vocazioni di speciale consacrazione.
    A codesti giovani, più che un'unica prassi standardizzata, appare necessario proporre un grappolo di stili spirituali, che metta a loro disposizione la ricchezza carismatica della Chiesa. Laddove la comunione di comunità non è soltanto una parola, diocesi e chiesa locale diventano capaci di integrare e di proporre tutta la ricchezza di carismi (laicali, religiosi, secolari, consacrati, ecc.), che sono presenti sul territorio, attivando la dinamica, squisitamente comunionale, dello scambio dei doni.

    Percorsi obbligati

    Una preoccupazione di fondo dovrebbe accompagnare la proposta: quella di condurre i giovani su strade, che - anche se non sempre appaiono per loro particolarmente congeniali - sono del tutto indispensabili, per un cammino cristiano.
    La Via Pulchritudinis (Paolo VI) insegna a scoprire dietro ogni bellezza - dell'uomo e della donna, del mondo, dell'arte, del «veritatis splendor» - il Volto amoroso di Dio. La Via Libertatis, anziché contraddire questa fondamentale dimensione dell'uomo moderno, ne sviluppa sapientemente, nello Spirito, la prospettiva di scelta e di impegno. La Via Charitatis - su cui camminano in questo decennio tutte le chiese d'Italia - si sforza di proporre e coniugare le mille forme della solidarietà e dell'accoglienza. La Via Crucis, evangelizzando lo scandalo della croce, propone ai giovani insidiati dall'Aids dell'anima - del tutto subito, tutto facile, tutto gratis, tutto senza fatica, tutto a modo mio - la fecondità pasquale del sacrificio e della rinuncia. La Via Lucis, concentrandosi su Cristo, legge la cronaca quotidiana alla Luce del Risorto, che - come a Emmaus coi due discepoli, nel giardino con Maddalena, sulla riva del lavo con gli apostoli - ama vestire i panni della quotidianità, nei quali vuole essere scoperto («l'avete fatto a ME»). La Via Ecclesiae: se l'uomo è la via della Chiesa, la Chiesa, d'altra parte, resta l'ordinaria via dell'uomo per incontrare il Padre del Nostro Signore Gesù Cristo. La via infine, dei grandi movimenti spirituali, che hanno preparato ed accompagnato il Concilio Vaticano II: fra essi specialmente il rinnovamento biblico, liturgico, patristico.

    Giovani con cui crescere insieme

    Al Convegno di Palermo, l'ambito giovani ha invitato ad abbandonare la consueta distinzione fra vicini e lontani, per cercare di raggiungerli tutti, con una rinnovata spiritualità dell'accoglienza, che sa accostarsi e camminare con loro con stile feriale. Occorrerà allora definire «frange di spiritualità laicale e giovanile», cui possano aggrapparsi questi giovani, per cominciare il dialogo ed avvicinarsi a Cristo e alla sua Chiesa.
    Ma l'amore all'uomo e ai giovani d'oggi ci rende avvertiti dei limiti e delle malattie spirituali che li insidiano, e che potranno trovare, in una spiritualità correttamente impostata, quel «supplemento di anima» (Bergson) e di risorse di guarigione, che permetterà di fronteggiarle con speranza di successo.
    Messa da parte - ormai definitivamente - la baldanzosa illusione di poter passare dall'uomo al superuomo (comunque lo di voglia definire, con contenuti «up to date») - ci assumiamo più modestamente l'impegno di passare - in compagnia di tutti gli uomini e i giovani d'oggi - da «meno uomo» a «più uomo», che è poi l'impegno etico e spirituale fondamentale, che ci spinge verso «l'uomo che piace a Dio», che è Cristo Gesù, nostro modello e immagine del Padre.
    La spiritualità che viviamo, ma soprattutto quella che ci sforziamo di comunicare, non è un dono generico e preconfezionato, ma un contributo mirato alla crescita degli uomini e dei giovani d'oggi. Dalle loro invocazioni vengono orientate le nostre risposte, poiché chi ha un ministero di guida spirituale è chiamato, anzitutto, ad essere dialogocentrico più che logocentrico (Habermas). Le loro stesse ferite guidano gli interventi del Samaritano. Aiutarli in alcuni passaggi e conversioni (si tratta anche qui di una Pasqua di grazia e di liberazione!) è compito dell'educatore cristiano di oggi. Il quale è cosciente che la cura delle altrui ferite gli sarà di aiuto a rimarginare anche le proprie.

    Cammini di conversione comune

    * Dall'«homo sentimentalis» al credente.
    «Mi sento», «non mi sento» sembrano essere diventati i supremi criteri di giudizio e di scelta del giovane d'oggi, talmente malato di soggettivismo e di chiusura su di sé che la relazionalità anziché quotidiana dimensione di vita, pare essere diventata una sfida pressoché inaffrontabile. I nostri vicini d'oltralpe parlano della Beziehungslosigkeit (perdita della relazione), come di una malattia dominante della nostra epoca. Gettando l'ancora in Dio (ma restando ben piantati sulla roccia della sua Chiesa!), troviamo la giusta posizione per accostarci al fratello, e per camminare con lui.
    È una spiritualità relazionale - a tutto campo: da Dio all'uomo - quella di cui abbiamo bisogno.

    * Dall'«homo faber» all'uomo responsabile.
    L'antico mito onnicomprensivo del progresso indefinito non è ancora tramontato del tutto, ma rivive in mezzo a noi sotto la forma della illimitata fiducia nel progresso tecnologico, fino alla esplicita o tacita affermazione di principio: «Si può fare, dunque è lecito e buono». Seguono le esplosioni nucleari, le gestazioni in uteri familiari, o in affitto o in condominio, le operazioni economiche spregiudicate, i disastri ecologici che ipotecano negativamente il futuro, ecc.
    Una spiritualità della responsabilità - che raccolga il messaggio dell'«I care» di don Milani - formerà uomini e donne capaci di battersi con coraggio ed efficacia sulle nuove frontiere.

    * Dal giovane narcisista a quello contemplativo.
    Oggi a Prometeo è subentrato Narciso. Alla volontà di potenza è subentrato il desiderio di ammirazione, di essere il centro del mondo, degli affetti, dell'attenzione. Di qui la cura dell'immagine («tu sei quello che gli altri vedono»), il ritorno rampante del principio del piacere (non è anche il titolo di una ambiziosa rivista?), l'angoscia di tutti coloro (divi/e, cantanti, modelle/i, stars d'ogni schermo...) che vivono, per così dire, di una identità ricevuta o riflessa, confezionata dagli altri, e quindi sempre a rischio di smarrimento, o quanto meno, di appannamento e di usura.
    Occorre una spiritualità della contemplazione e del rendimento di grazie, che spinga in profondità a scoprire il proprio dono, e renda felici dei doni che brillano nella vita degli altri, e accenda l'amore nella contemplazione del Donatore di tutto.

    * Dal giovane consumista al giovane oblativo e solidale.
    L'avere - e i soldi che ne sono lo strumento - rischia di soffocare l'essere. E le cose che si ammucchiano di fuori fanno violenza alla crescita e allo sviluppo di quelle che, da dentro, chiedono di venire alla luce, proprio come accade al buon seme della parabola, che rimane strozzato dai cespugli spinosi, che ingombrano il campo. Per non diventare schiavi di emozioni spirituali inconcludenti, o ridurci a monotoni celebranti della festa della corporeità, occorre misurarsi con la serietà dell'esperienza del dono di sé, che offre all'emozione un volano e al corpo un cardine interiore. Al di là dei grandi progetti - che si potranno pur coltivare - occorre creare la coscienza che è sul terreno della vita di ogni giorno che cresce la pianta della oblatività: «Quelli che invocano la pace sulla montagna siano disposti a porre segni di pace nella pianura della vita quotidiana» (Tonino Bello). Chi legge le biografie di ragazzi scritte da don Bosco coglierà senza difficoltà la mirabile concretezza con cui egli sapeva orientare i loro fervori - bisognosi anch'essi di guida e di correzione - verso il «terribile quotidiano».
    Un aiuto mirato potrà essere propiziato da una spiritualità che dia il gusto e l'energia per fare della propria vita, e di ogni altra cosa, un «dono», rilanciando continuamente la sfida che «c'è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35). Tale dono appare oggi urgente nei confronti della nostra società.
    Nel Convegno di Palermo si è sottolineato - a questo proposito - che non può essere cambiata la città dell'uomo, se non da chi è radicato in Dio. La ricerca sopra menzionata ha evidenziato come «la dimensione caritativa nella identità del credente di oggi sia profondamente radicata in motivazioni religiose e rappresenti uno dei tratti distintivi più qualificanti agli occhi dei credenti e dei non credenti» (Lanzetti, 280). I giovani d'oggi avranno bisogno di spiritualità per essere cittadini di questo Paese.

    * Dal giovane «audiovisivo» a quello «interiore».
    La «terza scuola» (come viene spesso chiamata quella dei media, che si affianca a scuola e famiglia) è «terza» solo per... convenzione. Ma, nella realtà, è assai spesso «prima», sia in termini di tempo speso, che di influsso esercitato, sia sulle giovani generazioni, che sulle schiere, devotamente genuflesse, dei teledipendenti più adulti. Si rischia di essere stampati - nelle conoscenze, nei criteri di giudizio, nelle scelte - dal di fuori, dalla macchina audiovisiva. L'espressione di ciò che siamo è sostituita dalla impressione di ciò che dobbiamo essere, a giudizio altrui.
    Occorre riaprire le sorgenti della interiorità (fatta di silenzio, riflessione, studio, autenticità...), dando respiro all'anima e al cuore.
    La spiritualità rappresenta il fluire di una tale sorgente, che cava dalle profondità di Dio e dell'uomo i lineamenti che disegnano il volto.

    * Dal giovane di «piccolo cabotaggio» al giovane capace di un progetto di vita cristiano.
    La sovrabbondanza delle possibilità favorita dall'onnipresenza della comunicazione; il cosiddetto «pensiero debole», che s'accompagna spesso a scelte ancor più deboli; l'ulteriore prolungamento dell'adolescenza (che sembra, ormai raggiungere e superare la soglia dei trent'anni...), vista come stagione della vita nella quale, per definizione, tutte le opzioni restano aperte al servizio di una identità ancora flessibile; la caduta di credibilità del mondo adulto, travolto dallo scandalo e dalla infedeltà al proprio progetto vitale e professionale: ecco alcuni degli elementi che frenano la progettualità dei nostri giovani, affondandola nelle sabbie mobili di una insicurezza ed indecisione, fattesi spesso croniche.
    Si sente il bisogno di una spiritualità che sia di aiuto a costruire gradualmente persone capaci di decidere - guardando a Dio e all'uomo - e di impegnarsi a mantenere fedeltà alla propria decisione.

    * Dal giovane dell'«attimo fuggente» a quello che «santifica il momento presente».
    Si è evidenziato, assai a proposito (cf Goffi-Secondin) come la cangiante percezione del tempo possa modificare il significato della spiritualità, che tende, per sua natura, a collegare con la storia di salvezza il passato, a inquadrare nella speranza le prospettive di futuro, a sigillare con la carità l'impegno del presente. La «perdita della memoria» ha svuotato e confuso i lineamenti del passato.
    La svolta epocale in corso e una sottile coltre d'angoscia ha relegato fra ombra e penombra il futuro. E il presente appare di nuovo sottomesso al rischio del «carpe diem» di un sempre riaffiorante paganesimo pratico: «coroniamoci di rose, prima di vederle marcire», «mangiamo e beviamo, perché domani moriremo»! Appare ridotto «l'orizzonte di attesa», a favore dello «spazio di esperienza» (Koselleck).
    È nota la dottrina, ormai classica, del gesuita P. De Caussade sulla «santificazione del momento presente», elaborata in ambiente saturo della spiritualità di S. Francesco di Sales: essa contiene elementi di grande valore che, trasmessi sulla lunghezza d'onda dei giovani d'oggi, possono dare respiro spirituale alla dominanza che il presente ha nella loro vita (e ciò senza rinunciare, beninteso, ad aiutarli a pensare e progettare il futuro).

    * Dal giovane che «dice preghiere» al giovane che «prega la vita».
    È convinzione condivisa dei maestri spirituali che il nostro stile di preghiera sia il rivelatore della qualità della nostra vita spirituale. «Camminare davanti a Dio» esprimeva per l'uomo biblico la capacità di dialogare stabilmente con Lui. Il compianto don Egidio Viganò chiamava questa la «grazia di unità», a cui conduce ogni cammino di seria spiritualità. Ne abbiamo un eloquente esempio nella preghiera prediletta della Chiesa, quella dei Salmi. In essi ogni stato d'animo e situazione della vita vengono pregati: entusiasmo e disperazione, sconfitta e vittoria, spasimo della solitudine e felicità della compagnia, letizia prorompente della vita di grazia e pentimento sofferto per il proprio peccato.
    Varie volte, in questi anni, si è tentato di scrivere (o di cantare) - con diverso esito - i salmi dell'uomo moderno. Una cosa è certa: una spiritualità deve essere di aiuto a ciascuno di noi a riscriverli a modo proprio. «I salmi sono stati tradotti in tutte le lingue - esclamava Paul Claudel - perché non dovrei tradurli in claudeliano?» Ed aggiungeva che di essi aveva fatto la sua «cavalcatura spirituale», per passare, ogni giorno, dall'«al di qua» all'«al di là»...

    SOGNO UN SANTO COME...

    Si cerca una traccia di spiritualità, per abbozzare cammini di santità.
    C'è chi si domanda se, procedendo con beatificazioni e canonizzazioni a getto continuo, Giovanni Paolo II non corra il rischio di attivare un processo di inflazione... Von Balthasar proponeva di introdurre una distinzione fra i santi che «il Signore dona alla sua Chiesa» e quelli che «la Chiesa presenta al suo Signore». E voleva indicare coi primi i santi i cui carismi sono dati per rinnovare la chiesa ed incamminarla su nuove strade; coi secondi coloro che vivono con eccezionale fedeltà il quotidiano impegno cristiano.
    Si può anche osservare che quel tanto di «demitizzazione» che può essere indotta dal grande numero di «nuovi» santi e beati può essere letta anche in chiave di accessibilità. Appare più chiaro, in questo modo, che i «santi da altare» sono, anzitutto, «santi di strada», di scuola, di casa, di officina ecc. Che «è facile farsi santi», come diceva familiarmente don Bosco ai suoi ragazzi (non senza frutto, visto che fra gli ascoltatori c'era S. Domenico Savio, il Beato Michele Rua, il Beato Filippo Rinaldi, ecc.).
    Ogni discorso spirituale ha bisogno di incarnarsi: nelle carne di Cristo, anzitutto, ma anche in quella dei suoi santi, poiché - suggerisce S. Francesco di Sales in una famosa lettera a Mons. Fremyot - «fra il Vangelo e la vita dei santi c'è la stessa differenza che corre fra una musica scritta e una musica cantata». Che, tradotto, vuol dire: spesso, il Vangelo predicato con maggior efficacia - specie per i piccoli e i poveri - più che quello declamato dai pulpiti, è quello incarnato nella vita dei santi, cioè dei «cristiani davvero buoni». È quanto intendeva proporre il compianto Mario Pomilio, col suo romanzo Il Quinto Evangelio, che ogni generazione cristiana è chiamata a riscrivere.
    Christifideles Laici al n. 56 presenta, non a caso, una pagina di S. Francesco di Sales che tanto ha promosso la spiritualità dei laici. Essa «deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall'artigiano, dal domestico, dal principe, della vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata (...). È un errore, anzi un'eresia - prosegue Francesco di Sales - voler escludere l'esercizio della devozione dall'ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati».
    Lo stesso Sinodo sollecitava una maggiore valorizzazione della santità: incoraggiare cristiani generosi a schierarsi su tutte le frontiere della storia. Ciò appare indispensabile per creare una linea di equilibrio fra certe spiritualità di fuga, incapaci di vera solidarietà col mondo e quel «furore della carità» - come lo hanno chiamato nel Convegno di Palermo - che perde la sua radicazione spirituale.
    Un amico mi confidava il suo sogno di scrivere un libro, cui avrebbe posto come titolo «I santi che hanno fatto l'Europa». Intendeva presentare figure come Robert Schumann e Alcide De Gasperi, di cui si è introdotta la causa di beatificazione.
    Un altro libro si potrebbe scrivere su «I santi che hanno fatto la Costituzione»: pensiamo a Giorgio La Pira, a Giuseppe Lazzati e al loro significativo contributo, in quell'ora storica del nuovo risorgimento italiano.
    Si è scritto su «Le sante che hanno educato i santi»: pensiamo a Monica, madre di Agostino; a Margherita, madre di don Bosco, ecc. Si stanno moltiplicando le storie delle «madri che hanno dato la vita per i figli», propri ed altrui... Sono noti gli eroismi di coloro che sono morti per la pace, per la fraternità fra i popoli, per non abbandonare le frontiere della missione...
    Ripetutamente, in documenti assai autorevoli, Giovanni Paolo II ha invitato a scrivere il «martirologio del nostro secolo», per riconfermarci che è sempre tempo di spiritualità e di santità.
    P. Mondrone aveva lanciato una collana per aiutarci a scoprire «I santi che sono fra noi» e per aiutarci a varcare quella «soglia», che a tanti di noi, forse - e magari solo per colpa dell'immaginario collettivo - è stata presentata come troppo elevata.
    Parlare di spiritualità, infatti significa dare ascolto al cuore dell'Antico e del Nuovo Testamento, laddove si dice: «Siate santi, come io sono Santo» e: «Questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione». Si tratta di un ascolto attento, con gli occhi puntati verso il futuro.
    Esso ci dirà il come di questa nuova santità, di cui sentiamo un immenso bisogno, ancor prima di poterne definire con precisione i lineamenti.
    «Hodie sanctis vehementer indigemus», ha scritto uno dei recenti sinodi: «Oggi abbiamo un disperato bisogno di santi».
    Essi sono un segreto dello Spirito, che è sempre «al lavoro», anche in questo tempo nostro. Un segreto che viene scoperto da chi - ogni giorno - trova spazi per comunicare con Lui, ricevendone Vita.


    T e r z a
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