Gioia Quattrini
(NPG 1996-03-33)
Ad un soffio dal nuovo millennio, l'uomo moderno è in rotta con il proprio padre. Conserva, è vero, una certa eredità di affetti e la capacità di investire il patrimonio già accumulato su questo pianeta, ma questi affetti non fortificano come dovrebbero, non danno più calore.
Ad insinuarsi è, così, la cultura del presente. La lotta con il tempo ha tolto all'uomo, schiacciato tra una fila al semaforo rosso e quella alla cassa del supermercato, il gusto di coccolarsi sotto le coltri del suo passato, sognando il suo futuro. L'uomo moderno non indugia, è in guerra aperta con la sua realtà e con quello strumento di tortura che è il tempo sociale, indispensabile per l'organizzazione collettiva ma fatale per l'emotività dell'individuo. Spostandosi con velocità, dall'ufficio al commercialista, il tempo non può raggiungerci e, nel vorticare dei luoghi, esso esplode in un presente costante. Nasce un'assuefazione al fragile impegno, paura dell'intimità ed insofferenza per i legami.
I giovani sono in pericolo. Senza passato e senza futuro, la loro mente potrebbe acquistare in ampiezza e perdere in profondità; il loro pensiero diverrebbe abile a riflettere ma inetto a penetrare.
La realtà presente sarà per i giovani difficile da risolvere senza l'aiuto di un passato cui sia stata potenziata la resistenza. Ed ancora lo scandalo di un passato di lager e corruzioni risulterà riscattabile solo in previsione di un domani che nella sua luce di giustizia riveli il senso delle tenebre di ieri.
È evidente il tentativo di impoverire la gioventù derubandola della sua coscienza storica; è evidente il tentativo di indebolire la gioventù smorzandole il domani. Il futuro sta perdendo il senso che gli dava l'ideologia, ricade così o nell'immagine consolatoria dell'utopia o nella paura della catastrofe finale.
Gli uomini e le donne a venire non cadano nel tranello. L'immagine del futuro è un cenno con cui ognuno di noi dice sì o no al presente, per dargli uno sviluppo che condensi desideri ed aspirazioni e giusti timori. Dall'idea di ciò che si potrà costruire nascono le motivazioni dell'agire: il futuro diviene così al tempo stesso padre e figlio del presente. Non fuga dalla realtà ma tensione. Tutti coloro che, per motivi di lavoro od altro, frequentano gli ambienti scolastici, le università, i circoli dove i giovani si incontrano per riflettere e confrontarsi, questi possono testimoniare di aver trovato una forte apertura al dialogo, lo sforzo sano di adattare le pulsioni interne al mondo esterno. Il passato è l'alveo della sicurezza, del senso critico, garante delle trasformazioni, non va abbandonato con diffidenza. Non si deve cedere alla tentazione di guardare increduli verso i valori fondamentali di cui nessuna esistenza può fare a meno. La luce delle fedi non si deve affievolire solo perché ricevute in eredità da padri più o meno amati.
Il vivere moderno ossessionato dall'organizzazione ha espropriato gli spazi individuali che sono da sempre la dimensione dell'identità. E così pure ha fatto con il tempo. Ad unirci è il sistema degli orari e non più la memoria. Perdere il senso della continuità, però, rende prigionieri del presente e della falsa immagine di mutamento che è propinata quotidianamente alla gioventù. La cultura del mutamento è la risposta ad una vertigine: non voler sapere della morte e temere della mancanza di riferimento. È fuga. La verità è un'altra: il cambiamento è un mezzo e non un fine; avviene in funzione di valori e non è valore esso stesso. Ciò che risulta essenziale nell'affrontare un mutamento è di certo la memoria. Essa è tutto quanto di noi possa parlare a quelli che ci accompagnano nel cammino che a questo mutamento conduce. La memoria, in quanto matrice, è il forziere che difende la nostra evoluzione. Senza passato non c'è se non qualche sporadico spunto che si smorzerà da solo, senza lasciare traccia.
Gli errori che percorrono la storia sono tragicamente sempre gli stessi e la sensazione è che duemila anni non abbiano insegnato niente a nessuno. Questo è probabile, finché correnti culturali, così dette di «revisionismo», si batteranno per dimostrare che i lager furono un'invenzione degli alleati (forse tra cinquanta anni sentiremo dire la stessa cosa anche dei campi di concentramento in Bosnia), che le civiltà dell'America Latina non furono distrutte dai conquistatori ma si esaurirono perché troppo deboli ed elementari. Lo scandalo della storia è che mai nessuno ha avuto il coraggio di ammettere che la misura era stata passata, che l'orribile era già accaduto, irrimediabilmente. Gli argomenti sui quali nelle aule scolastiche si glissa, troppo delicati o troppo attuali, dovrebbero essere i punti di forza della didattica: si ammettano le colpe senza astio o vergogna, altrimenti sarà la scuola ad insegnare l'omertà, il silenzio complice, l'arte di insabbiare.
Non possono aver valore le riflessioni pretestuose sul rischio di alimentare i rancori e le vendette. Altra cosa è il perdono rispetto alla memoria. Non può esservi il primo senza la seconda. E poi, quali rancori potrebbero alimentarsi se gli orrori della storia, finalmente portati alla luce, non lascerebbero di certo a nessuno la possibilità di gridare allo scandalo. Nessuno può tirarsi fuori. Parlino ai giovani le generazioni del passato, nonni, padri, insegnanti, gli spieghino con umiltà dove, come e quali furono le condizioni che li portarono a sbagliare. I giovani ascolteranno con la stessa umiltà e forti guarderanno al futuro non con la certezza di evitare gli errori, ma con il proposito di commetterne, ma diversi. È nella diversità l'evoluzione e non nella perfezione. L'importante è tendere ad essa e non raggiungerla.
Si esce dalle scuole superiori sapendo esattamente date e luoghi delle battaglie più importanti della Seconda Guerra Mondiale, ma sul Processo di Norimberga scende sempre un velo pietoso. Ed ora che l'ONU ha deciso di fare qualcosa di simile per i crimini con l'umanità della Bosnia, come faremo a spiegare alle nuove generazioni che qualcosa poteva essere evitato, ma che dove si continuerà a tacere, probabilmente allo scandalo di questo secondo processo ne seguiranno altri?
Il passato si mette a tacere o si smorza con la demagogia e l'utopia. Non è vero che gli uomini sono tutti uguali. Magari fosse così. Essi nascono da civiltà e sotto cieli distanti, e questo li rende irrimediabilmente diversi. In questa diversità, però, essi hanno stessi diritti e stessi doveri.
Mettiamoci seduti accanto ai nostri figli mentre guardano in televisione un bellissimo film western, e quando loro, presi dalla suspence, faranno il tifo per i cowboys, istintivamente, come se dalla parte di chi stare l'avessero impresso nel codice genetico, rompiamo il silenzio complice di secoli e spieghiamogli come andarono realmente le cose. Da soli troveranno le giuste conclusioni e il futuro sarà salvo.