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    Napoli: progetto minori a rischio



    Enzo Pappacena

    (NPG 1996-03-62)


    Via Don Bosco n° 8: per alcuni solo un indirizzo, per molti ragazzi, invece, l'ultima speranza in una Napoli che, seppure tra mille contraddizioni, non finisce mai di svelare tutto intero il suo cuore. Sorge qui, nel quartiere Doganella, a pochi minuti dalla stazione ferroviaria, il Centro Sociale «Don Bosco».
    I Salesiani iniziarono in questo quartiere la loro attività educativa nel lontano 1934. Da allora il Centro ha accolto migliaia di ragazzi ed in particolari momenti drammatici è stato di valido aiuto per la città partenopea: in occasione del terremoto dell'80 ospitò seicento persone, scuole elementari e superiori, uffici del Comune e della Circoscrizione.
    Nel 1988, a distanza di più di 50 anni dall'arrivo dei primi Salesiani nel quartiere, il 21 ottobre il Rettor Maggiore inaugurava il Centro Sociale «Don Bosco». La presenza educativa rivolta al mondo dei minori nella città veniva, dunque, «ripensata» con l'intento di offrire risposte più efficaci a situazioni ed esigenze nuove.
    «Allo stimolo iniziale - ci dice il responsabile dell'Opera parlando delle origini del progetto - è seguito un lungo lavoro di riflessione che ha portato all'elaborazione prima di alcune bozze e poi della redazione finale del Progetto don Bosco '88. Il progetto è stato presentato, tra l'altro, anche alla città nel corso di una manifestazione che si è tenuta al San Carlo di Napoli. Si è voluto, insomma, dare una risonanza cittadina a questo progetto che chiaramente non è qualcosa che riguarda solo coloro che vi operano, ma che coinvolge in un fattivo dialogo tutta la città e l'intero territorio».
    Alla elaborazione del progetto ha collaborato, insieme ai Salesiani e ad alcuni educatori laici, anche una commissione tecnico-scientifica formata da docenti universitari e da presidenti di tribunali per minori.

    Una «struttura» diversa

    La comunità educativa, ribadendo la propria vocazione di servizio alla gioventù bisognosa, con tale progetto ha inteso riorganizzare la propria azione socio-educativa alla luce di una realtà mutata nei suoi bisogni e nelle sue emergenze. Violenza, paura, omertà costituiscono il clima che respira tanta gioventù napoletana e meridionale in genere. La criminalità organizzata e lo spaccio della droga sono spesso, purtroppo, i punti di arrivo di un itinerario caratterizzato sin dall'inizio da emarginazione e disadattamento.
    Ecco allora che dall'Istituto si passa al Centro socio-educativo polivalente dove ai ragazzi e ai giovani che lo frequentano viene offerta la possibilità di un itinerario alternativo che miri soprattutto alla promozione integrale della persona: dall'isolamento e abbandono della strada all'abbraccio, alla solidarietà e all'accoglienza di una comunità che si fa «famiglia che educa». Il ragazzo si inserisce, così, in un ambiente in cui ha l'opportunità di crescere ed autorealizzarsi. Tutto ciò attraverso la pedagogia del «cuore»: il cuore che accoglie, comprende, ha speranza e sa ricominciare. Una pedagogia che individua nel gruppo lo strumento e l'ambito privilegiato del lavoro educativo, il luogo adatto alla formazione dell'identità personale del ragazzo e lo stimolo per socializzare e comunicare. È la pedagogia costruttiva di una «nuova cittadinanza» che mira alla valorizzazione della persona come cellula fondamentale dell'intero corpo sociale.
    L'animatore/educatore si fa allora compagno di viaggio del giovane, compagno fedele e disponibile che sa amare e che vuole condividere con lui questo cammino di speranza.
    Un progetto educativo che non prevede la chiusura del Centro all'interno delle sue mura, ma semmai l'interazione con tutte le forze sociali ed ecclesiali di buona volontà dell'intero territorio partenopeo. Non sono forse le strade del dialogo che conducono alla solidarietà?

    Il progetto

    «Il progetto stilato - ci riferisce il responsabile del Centro - non può chiaramente dirsi definitivo, perché nel corso di questi anni in base al mutare delle situazioni, delle persone, alcune cose sono state modificate. In certi casi si è assistito al venir meno di alcune figure; in altri, invece, si è giunti al completamento di ciò che nel progetto per alcuni versi era solo abbozzato. Si è aggiunto, ad esempio, un regolamento interno che meglio definisce i ruoli e i compiti di ciascuna figura prevista dal progetto. Insomma, mano mano le cose vanno completandosi. Penso che durante questo anno arriveremo ad una ristesura del progetto in base, appunto, alle variazioni avvenute fino ad oggi».
    Il Progetto educativo «Don Bosco '88» comportava anche una revisione degli ambienti preesistenti: occorreva che le strutture fossero in linea con il progetto. Pertanto, gli edifici che un tempo costituivano l'Istituto sono stati così rispettivamente utilizzati: per uffici e abitazione della comunità educativa, per la lavanderia, la cucina e le mense, per le Comunità-Famiglia e i Gruppi di intervento diurno, per la Scuola media statale e il teatro, per laboratori espressivi e manuali, per la catechesi e la banda musicale, per l'Oratorio ed il C.A.M. (Centro Aiuto al Minore) - Telefono Azzurro, per la comunità «La Palazzina».
    «Abbiamo cercato - ci informa ancora il responsabile - di ristrutturare gli ambienti in maniera tale da rendere possibile un'educazione individualizzata, perché l'idea centrale del nostro progetto educativo è proprio questa: il ragazzo con le sue esigenze, con i suoi bisogni più o meno evidenti è al centro dell'attenzione, e la comunità educativa e il Centro si adattano a lui, cercando di offrirgli risposte adeguate. Il criterio è ancora una volta quello dell'Oratorio, l'Oratorio che diventa casa. Si ritorna cioè al criterio dell'Oratorio di Valdocco: l'Oratorio che è casa, chiesa, parrocchia, scuola, cortile».
    Gli ambienti sono stati ristrutturati con grandi sacrifici da parte della comunità educativa giacché non sempre una risposta adeguata è giunta dalle istituzioni pubbliche. «Purtroppo - prosegue il responsabile - viviamo in un contesto anche abbastanza difficile come quello di Napoli e della Campania con amministrazioni che sin dall'inizio del progetto si sono dichiarate entusiaste ma che poi non sempre hanno saputo offrire un aiuto sostanziale. Poiché ogni intervento educativo ha un suo costo, si capisce bene come il fattore economico sia un fattore che ancora tante volte ci condiziona. Purtroppo dobbiamo dire che i ritardi nei pagamenti, i ritardi nella stesura delle convenzioni con Comuni o la non disponibilità di certi Comuni ad arrivare alla convenzione ci pongono spesso davanti a situazioni davvero spiacevoli».
    Una società che ama definirsi civile non può, attraverso le proprie istituzioni, sottrarsi al fondamentale dovere di favorire in ogni modo la crescita umana, sociale ed economica di ogni suo componente. In tal senso risulta necessario e prioritario investire coraggiosamente risorse finanziarie adeguate per progetti che riguardano i minori.

    Il dialogo con le istituzioni

    Le istituzioni con le quali il Centro dialoga sono tante, giacché si tratta di una delle poche strutture educative realmente funzionanti nella Regione e capace di offrire un servizio, seppure tra tante difficoltà, qualitativamente apprezzabile e nello stesso tempo indispensabile di una realtà come quella campana dove il degrado umano e sociale raggiunge livelli impensabili.
    Sono innanzitutto il Comune di Napoli e quelli di tutta la Campania a rivolgersi alla comunità educativa del «Don Bosco» per accogliere ragazzi bisognosi di un serio intervento educativo. Altro importante interlocutore è il Tribunale per i minori. Anzi, i ragazzi accolti nel Centro per decreto del Tribunale aumentano sempre più. Il Centro, inoltre, dialoga quotidianamente con la Scuola Media Statale che è ospitata all'interno della struttura stessa, e con quelle Scuole Superiori Statali che sono frequentate da alcuni ragazzi del Centro.
    Infine l'Opera collabora con alcune associazioni di volontariato, con il Telefono Azzurro (che ha sede al suo interno), la Croce Rossa e altri Clubs che offrono la loro volontaria collaborazione per la realizzazione di determinati progetti in favore dei ragazzi.

    Il Telefono Azzurro

    Il Telefono Azzurro è un'associazione nata nell'Opera nel 1986 e conta sull'aiuto di numerosi volontari che provengono da tutti i quartieri della città. Questa esperienza è cresciuta velocemente. Oggi è una associazione legalmente riconosciuta ed iscritta all'Albo regionale del volontariato. Ha un raggio di azione molto vasto ed ha già creato una rete di rapporti con alcune comunità della Campania. Poiché le segnalazioni arrivano anche da altre regioni, come ad esempio la Sicilia e la Puglia, si sta cercando di estendere questa esperienza anche fuori dai confini regionali.
    L'associazione Telefono Azzurro (da non confondere con l'omonima associazione di Bologna nata dopo) è, inoltre, in rapporto con la Facoltà di Sociologia dell'Università di Napoli che, attraverso i suoi docenti, ha mostrato interesse per una stretta collaborazione.

    Un lavoro «in rete»

    «Abbiamo un continuo dialogo con le istituzioni - afferma il responsabile dell'Opera -, dialogo che è necessario per la nostra attività: noi non ci riteniamo un'isola tutta chiusa in se stessa ma cerchiamo sempre un rapporto stretto con queste istituzioni, giacché sono gli stessi servizi sociali comunali, lo stesso Tribunale per i minori a chiederci di intervenire su alcuni casi difficili. Si cerca di instaurare, dunque, un rapporto fatto di comunicazioni, di scambio di informazioni da una parte e dall'altra. Sono anche altri gli interlocutori: la Pretura (Ufficio Tutele), la Provincia, la Circoscrizione in cui siamo inseriti. Cerchiamo, inoltre, di essere presenti in ogni occasione, convegni o incontri, in cui si dibattono temi inerenti la problematica minorile. Annualmente viene organizzata una tavola rotonda su un tema riguardante i minori e le loro difficoltà di crescita. Il Telefono Azzurro ha organizzato già per tre anni un convegno residenziale al quale hanno partecipato operatori sociali, docenti e assistenti sociali per riflettere per tre giorni su queste tematiche.
    Questo è anche un modo per conoscersi, per creare rapporti, legami che poi si mostrano utili al momento opportuno».

    Un difficile dialogo

    Se sono tante le istituzioni che credono nel progetto «Don Bosco», tuttavia non poche sono le difficoltà che spesso rendono difficile il dialogo con esse. Secondo il responsabile, queste sono le ragioni: «Qui ci sono un centinaio di ragazzi divisi in cinque Comunità-Famiglia; sono ragazzi che hanno bisogno, oltre che di un intervento educativo che miri tra l'altro ad un recupero scolastico, anche di alloggi. Hanno bisogno, insomma, di stare qui perché non hanno un ambiente educativo valido per la loro crescita.
    È il Comune o il Tribunale, in base ad una indagine svolta dagli assistenti sociali, che chiede che questi ragazzi possano essere accolti in comunità. Chiaramente per il mantenimento e per l'organizzazione della vita di questi ragazzi c'è bisogno di un intervento economico. Per questo motivo con i Comuni di origine si stipulano delle convenzioni con cui questi si impegnano a pagare una retta che, se confrontata a livello nazionale, si rivela molto bassa, ma che qui, per le finanze dei nostri Comuni, sembra alta: ecco perché i Comuni cercano di ridurre proprio al minimo questo tipo di spese. Dobbiamo dire, però, che negli ultimi anni è cresciuta la sensibilità verso questo tipo di problemi; tuttavia le difficoltà permangono, giacché sono in difficoltà di bilancio gli stessi Comuni. Il Comune di Napoli, ad esempio, è in dissesto finanziario dichiarato e per più di un anno è rimasto indietro nel pagamento delle rette dei ragazzi.
    Ora se pensiamo che un certo numero di ragazzi che vivono nelle Comunità-Famiglia sono di Napoli, si capisce subito quali serie difficoltà incontriamo nella nostra opera educativa. Il Centro ha delle spese non soltanto di manutenzione ma anche di personale, perché non sono solo i volontari che collaborano al progetto, vi è un certo numero di educatori assunti con un regolare contratto di lavoro».

    Gli ambienti educativi

    Nonostante le difficoltà, il Centro sociale «Don Bosco» per tanta gioventù, che vive nel bisogno più estremo relegata ai margini di una società sempre più distratta, rappresenta sicuramente uno dei pochi punti di riferimento credibili della metropoli partenopea. La solida organizzazione interna, la competenza degli operatori del Centro e soprattutto il loro grande cuore, costituiscono l'ossatura del progetto.
    Sono quattro i principali ambienti educativi previsti dal progetto: le Comunità-Famiglia, i Gruppi di Intervento Diurno, la comunità di accoglienza «La Palazzina» e l'Oratorio-Centro Giovanile.

    Le Comunità-Famiglia

    Un centinaio di ragazzi, la cui età varia tra gli 11 e i 14 anni, sono accolti nelle 5 Comunità-Famiglia presenti nel Centro. Ciascuna Comunità, che ospita non più di 20 ragazzi, ha il suo appartamento attrezzato di tutto punto con camere con 4 posti-letto, salone di studio, soggiorno, sale di libere attività e servizi. I ragazzi vivono qui tutto l'anno mantenendo però gli opportuni contatti con la propria famiglia nel fine-settimana e nelle vacanze. La maggior parte di essi è stata affidata al Centro dal Tribunale per i minori e dai Servizi sociali del Comune. Seguiti dagli animatori (3 per ogni Comunità), questi ragazzi hanno l'opportunità di assolvere all'obbligo scolastico presso la Scuola media statale annessa al Centro, di svolgere attività integrative e di tempo libero, socializzando con i coetanei che frequentano l'Oratorio, e di fruire di tutti quei servizi indispensabili per una crescita che possa dirsi integrale.
    I tre animatori responsabili di ciascuna Comunità compilano schede di cronaca e di osservazione partecipando alla verifica del programma educativo di ogni ragazzo. Essi fanno riferimento al Coordinatore, il quale ha il preciso compito di coordinare tutti gli animatori delle Comunità-Famiglia, i ragazzi, i programmi e la vita delle Comunità, curando nello stesso tempo i rapporti con il Direttore del Centro e mantenendosi in contatto con l'équipe tecnica, con i professori della Scuola media, con la famiglia d'origine e con le assistenti sociali dei Comuni di provenienza.
    «La Comunità-Famiglia - sottolinea il responsabile - cerca di riprodurre per quanto è possibile il cliché familiare, in un clima di serenità, lontano dagli irrigidimenti disciplinari caratteristici delle strutture collegiali di qualche anno fa. Il ragazzo al mattino esce dalla Comunità-Famiglia con lo zaino così come se uscisse da casa e va a scuola che, sebbene inserita nell'ambito del Centro, è una struttura indipendente dove affluiscono i ragazzi della zona. Terminate le ore di lezione, il ragazzo ritorna per il pranzo. Nel pomeriggio, dopo lo studio (in cui è seguito dagli educatori), ha la possibilità di frequentare dei laboratori che abbiamo messo su noi stessi per attività di tipo manuale; oppure può scegliere di fare attività sportiva, libera o organizzata, o partecipare alle attività dell'Oratorio. L'Oratorio è aperto a tutti, quindi anche i ragazzi delle Comunità possono accedervi. Allo stesso modo i laboratori (ceramica, elettricità, falegnameria, cuoio, dattilografia, banda musicale, scuola calcio, scuola pallacanestro, ecc.) sono aperti ai ragazzi dell'Oratorio. Proprio in questi ambienti e in questo clima il ragazzo è aiutato a tirar fuori e a scoprire tutte le proprie capacità: si continua così in quel lavoro educativo che mira alla sua crescita globale».

    I Gruppi di Intervento Diurno

    Altri 150 ragazzi, con le medesime problematiche e di età egualmente compresa fra gli 11 e i 14 anni, sono accolti nei Gruppi di Intervento Diurno. Giungono al «Don Bosco» alle otto del mattino e ritornano a casa alle diciotto, giacché l'ambiente familiare non nuoce al loro iter formativo. I ragazzi sono distribuiti in 5 gruppi guidati ciascuno da due educatori, ai quali si uniscono molti volontari nelle ore dedicate al doposcuola. Tutti i gruppi hanno come responsabile un coordinatore con gli stessi compiti del coordinatore delle Comunità-Famiglia. Le attività che si svolgono durante la giornata sono simili a quelle delle Comunità-Famiglia.
    Questi ragazzi sono accolti con l'intervento del Comune o della Fondazione Banco di Napoli che si impegna ad assisterne un certo numero.

    La Palazzina

    La comunità di accoglienza «La Palazzina» è stata ideata con l'intento di ospitare ragazzi di 15-18 anni con esigenza di casa per abbandono, solitudine, violenza e con problemi di inserimento sociale e di lavoro. Attualmente i ragazzi che vivono in comunità sono una quindicina: alcuni di essi fequentano qualche corso professionale all'esterno del Centro, altri invece si avviano ad un'attività lavorativa. «Contattiamo noi stessi - ci dice il responsabile del Centro - artigiani e commercianti presenti in città per offrire una possibilità di lavoro a questi ragazzi che hanno magari già adempiuto all'obbligo scolastico e che non hanno voglia o capacità di continuare negli studi. Molti di loro giungono da noi a 16-17 anni, e nel breve tempo che abbiamo a disposizione (considerato che l'intervento può durare al massimo 3 anni e che spesso i ragazzi si fermano da noi solo per alcuni mesi) dobbiamo cercare di offrire delle possibilità che li aiutino effettivamente ad inserirsi bene nella società. Spesso l'intervento si deve estendere anche all'ambiente familiare per ricostruire rapporti interrotti, un rapporto con il papà, la mamma. In alcuni casi si deve aiutare il ragazzo nel campo scolastico facendogli conseguire la licenza media nel giro di un anno perché ha già superato l'età dell'obbligo.
    Questi ragazzi, inoltre, hanno la possibilità di andare fuori per lavorare o seguire corsi. C'è, perciò, tutta una rete di rapporti con datori di lavoro, negozi, scuole, ristoranti, pizzerie, officine. Il Centro, insomma, si apre all'esterno giacché è impensabile che esso possa rispondere autonomamente a tutti i bisogni dei ragazzi. Proprio per questo uno degli educatori della «Palazzina» ha il compito di mantenere i contatti con la scuola, con i datori di lavoro, con i responsabili dei corsi professionali e con la famiglia di origine: il suo è un lavoro di cucitura. Per i ragazzi della «Palazzina» - continua il responsabile - stiamo cercando di avviare un discorso nuovo: vorremmo che ad occuparsi di loro fosse una coppia che si sentisse affidataria di 6-7 ragazzi. Si vuole in altri termini cambiare lo stile: i ragazzi non sarebbero più affidati a degli educatori singoli con il sistema dei turni di rotazione, ma ad una coppia che, vivendo nella «Palazzina», riesca a ricreare il clima familiare, lontano dal clima di collegio e diverso dal clima di comunità. È chiaro che bisognerebbe assicurare a questa coppia di che vivere. Del resto ci sono esperienze simili in altre parti d'Italia».

    L'Oratorio come «centro di incontro con tutti»

    L'Oratorio-Centro Giovanile è l'ambiente educativo che raccoglie il maggior numero di ragazzi. In esso i ragazzi provenienti dal quartiere Doganella e da altre parti della città incontrano quelli della «Palazzina», dei Gruppi di Intevento Diurno e delle Comunità-Famiglia condividendo momenti altamente formativi. In questo modo si supera qualsiasi rischio di ghettizzazione e si punta invece alla osmosi sociale.
    D'altro canto, i quartieri che gravitano attorno al Centro sono molto popolari con grosse carenze di spazio a tutto svantaggio delle attività ludiche e del tempo libero. L'Oratorio diventa, dunque, punto d'incontro per centinaia di ragazzi e servizio alla città, alla società civile, alle famiglie. Quest'anno gli iscritti alle attività oratoriane, divisi per fasce di età (dalle ultime classi delle elementari in poi), sono stati circa 900.
    L'Oratorio mira alla promozione integrale dei ragazzi e dei giovani attraverso attività prevalentemente di tempo libero organizzate in forme aperte, innestate nella vita e rispondenti ai loro interessi più vivi e vari. Numerose le attività che vi si praticano: ricreative, sportive, turistiche, musicali (banda musicale, complesso, coro, scuola di chitarra), catechistiche (affidate ai catechisti e ad un coordinatore pastorale di tutto il Centro Sociale), manuali e lavorative (corsi di dattilografia, falegnameria, elettricità, traforo, cartellonismo, ecc.). Queste offrono al ragazzo l'opportunità di coltivare le proprie potenzialità sviluppando il senso sociale di partecipazione per una nuova cittadinanza fondata sulla solidarietà, permettendogli, inoltre, di avvicinarsi ai valori evangelici.
    È evidente, dunque, il ruolo dell'Oratorio in un discorso di prevenzione primaria e secondaria su un territorio a grande rischio per fenomeni di droga e delinquenza minorile.
    L'incaricato dell'Oratorio-Centro Giovanile è il coordinatore di tutte le attività ed è coadiuvato dai coordinatori delle Comunità-Famiglia e dei Gruppi di Intervento Diurno, da un catechista e dagli animatori di tutti gli ambienti educativi. L'incaricato ha anche il compito di tenere vivi i rapporti con le famiglie dei ragazzi, con gli enti preposti alla cultura, allo sport e al lavoro, con l'équipe tecnica del Centro Sociale e con le varie associazioni. Cura, inoltre, pastoralmente la liturgia e la vita religiosa del Centro.

    La Scuola

    All'interno del Centro è ospitata una Scuola media statale frequentata dai ragazzi del «Don Bosco» e da altri studenti della zona. «Ci siamo chiesti qualche volta - ci riferisce il responsabile - se non era il caso di gestire noi stessi una scuola secondo i nostri criteri, la nostra pedagogia e la nostra esperienza; ma creare una scuola per soli ragazzi in difficoltà significa realizzare dei ghetti. Del resto dobbiamo anche dire che con gli insegnanti statali si cerca di collaborare: alcuni educatori del Centro, insegnando Religione in questa Scuola media, sono in contatto continuo e quotidiano con i colleghi delle altre discipline».
    Per venire incontro alle esigenze di quei ragazzi che hanno accumulato dei ritardi negli studi, la Scuola media ha attivato in questi anni un corso sperimentale, il «corso fantàsia», della durata di due anni con delle ore di laboratorio (per elettricisti o per operatori di computer) per consentire al ragazzo in poco tempo di conseguire la licenza media e di ottenere nello stesso tempo una qualifica. «Purtroppo - precisa il responsabile - dobbiamo dire che questa esperienza, che è al quarto anno di vita, probabilmente non potrà più continuare a causa di alcune difficoltà: i laboratori con le attrezzature dipendono dalla Regione e questa, purtroppo, non ha i mezzi per continuare a finanziare tale esperienza».

    Il problema del «dopo»

    «Particolare attenzione - sostiene il responsabile - rivolgiamo al «dopo terza media», anche se le difficoltà che incontriamo sono tante. Sappiamo bene che non cercando delle soluzioni al problema si rischia di vanificare il lavoro che negli anni precedenti si è svolto nel Centro. Stiamo concentrando, quindi, tutta la nostra attenzione su questo problema. Abbiamo presentato, infatti, il progetto per due corsi puntando su qualifiche molto pratiche che possano offrire al ragazzo un reale sbocco lavorativo: si è pensato ad un corso che formi operatori alberghieri e, grazie alla donazione di un laboratorio informatico, ad un altro corso che avvii i ragazzi alla conoscenza e all'uso del computer. Abbiamo anche interpellato delle ditte per vedere se vi era da parte loro la disponibilità ad attrezzare qui nel Centro laboratori in collegamento con fabbriche per la preparazione di operai specializzati o per la produzione anche di alcuni oggetti. Tentativi in questa direzione ne abbiamo fatti e ne stiamo facendo, anche se non è facile avere delle risposte in questo particolare momento di grande crisi. Tuttavia intendiamo proseguire in questa direzione».
    Per il momento quei ragazzi del Centro che mostrano particolare volontà nel continuare gli studi dopo la terza media sono aiutati dagli stessi educatori. «Aumenta per noi - prosegue il responsabile dell'Opera - il lavoro per i nostri ragazzi: frequentano scuole diverse, dislocate in posti diversi e bisogna seguirli nel loro grado di partecipazione, nella frequenza alle lezioni, ecc., però ne vale la pena perché sono ragazzi che promettono».

    L'affidamento

    Uno dei campi in cui la comunità educativa del Centro sta spendendo molte energie è quello dell'affidamento. Si cerca di dare una risposta concreta in questa direzione ai bisogni di quei ragazzi privi di un ambiente familiare idoneo. A tal proposito è nata all'interno del Centro Sociale l'associazione di famiglie affidatarie «Mamma Margherita». Di essa possono far parte nuclei familiari e anche persone singole.
    A tal proposito il responsabile sostiene: «Sono molti i ragazzi 'mandati' temporaneamente dal Tribunale nella Comunità, in attesa di trovare una famiglia affidataria. Il discorso sull'affidamento è assai delicato e complesso. Su di esso si organizzano molti convegni, incontri, tavole rotonde e noi stessi alcuni anni fa ci siamo fatti promotori di un convegno nazionale che si è svolto nel Centro. Nello stesso tempo, ci siamo resi promotori di un'associazione di famiglie affidatarie che purtroppo stenta a decollare. Il discorso affidamento diventa ancora più difficile se coinvolge ragazzi preadolescenti o adolescenti. Un po' per l'età: sono ragazzi che in genere a questa età si sganciano dalla famiglia; questa è l'epoca della 'desatellizzazione'. In questo periodo i cui i ragazzi sono alla ricerca di uno spazio personale e di amicizie proprie diventa difficile 'inserirli' in una famiglia: c'è quindi una difficoltà di tipo psicologico. Ce n'è poi anche un'altra di ordine economico-sociale: ci sono delle famiglie ospitali e accoglienti però con problemi seri di abitazione e di lavoro. C'è, infine, anche una certa riluttanza, per cui molte famiglie alcune volte sono dubbiose sulle possibilità di recupero del ragazzo, altre volte hanno timore di eventuali rapporti con la famiglia di origine. Operiamo, dunque, tra queste difficoltà; però bisogna riconoscere che anche in questo campo si sono fatti molti passi in avanti. Infatti, abbiamo diversi ragazzi che hanno iniziato un affidamento per il momento prefestivo, festivo e nei periodi di vacanza. Sono affidati a famiglie contattate da noi e segnalate al Comune o al Tribunale. Queste famiglie, oltre ad un letto e al vitto, offrono a questi ragazzi soprattutto la loro disponibilità a diventare amici e il calore di una vera famiglia.
    Allora, ciò che mi sembra importante è che accanto ai nostri ragazzi stiano non solo gli educatori del Centro ma anche un papà, una mamma e dei coetanei che possano in qualche modo ricreare un contesto familiare sereno».

    Le strade che portano al centro

    La maggior parte dei ragazzi giunge al Centro in seguito a segnalazione dell'assistente sociale del Comune o del Tribunale per i minori.
    A volte, però, sono le famiglie stesse a chiedere l'intervento della comunità per risolvere situazioni davvero drammatiche.
    Inoltre, il Telefono Azzurro ed altre associazioni di volontariato (in particolare le volontarie vincenziane) svolgono un ruolo importante nell'individuazione di casi bisognosi di un serio ed immediato intervento di recupero.
    Non è raro, poi, il caso in cui è lo stesso educatore ad invitare i ragazzi che incontra (magari alla Stazione Centrale) a frequentare il Centro: al suo occhio non sfuggono certamente i segni più o meno evidenti dell'abbandono e della sofferenza.
    «Soprattutto nel caso di segnalazioni da parte di Enti - dice il responsabile -, prima dell'ingresso in comunità del ragazzo, noi vogliamo incontrarlo, parlare con lui in modo da renderci conto se possiamo offrire risposte concrete e valide ai suoi bisogni. Questo perché ai vari enti spesso interessa solo ed esclusivamente collocare da qualche parte questi ragazzi. A noi invece interessa che il ragazzo abbia quelle risposte di cui ha bisogno. Perciò se ci segnalano ragazzi che vivono problematiche alle quali noi non possiamo rispondere, siamo, purtroppo, costretti a dire di no. Chiaramente noi non selezioniamo i ragazzi in base all'intelligenza, alle capacità, ecc., ma in base ai loro bisogni. Faccio un esempio: se c'è un ragazzo che ha problemi di handicap fisico, al momento noi non possiamo rispondere ai suoi bisogni: la struttura non è pensata per questo, perciò non possiamo offrirgli un intervento specifico, come ad esempio di educazione motoria. Il ragazzo non avrebbe dunque ciò di cui ha bisogno. Certo la prospettiva è quella di renderci capaci di dare risposte anche a questi tipi di bisogni».

    La comunità educativa

    Un'équipe tecnica formata da un medico, da uno psicologo, da un pedagogista, da un assistente sociale e dal direttore del Centro, ha la funzione di accogliere il ragazzo con alcuni colloqui estesi anche alla sua famiglia, ai servizi sociali del Comune e, quando occorre, al Tribunale per i minori. Tali colloqui mirano soprattutto a ricostruire il vissuto del ragazzo, a far emergere i suoi bisogni e le sue qualità ed eventualmente a motivarlo ad un ingresso nel Centro. L'équipe ha, inoltre, il compito di elaborare, unitamente ad animatori e coordinatori, un programma educativo individualizzato, decidendo concordemente con il ragazzo, la famiglia e i servizi territoriali competenti, l'ambiente educativo del Centro entro cui inserirlo. All'équipe è affidato anche l'incarico di verificare periodicamente con l'aiuto di animatori e coordinatori il cammino di ogni ragazzo.
    In stretto contatto con l'équipe lavorano gli educatori. Alcuni sono religiosi consacrati; altri, la maggior parte, sono laici. Molti di essi per tanto tempo hanno partecipato da volontari alla vita del Centro, contribuendo tra l'altro alla stesura del progetto stesso. Nel corso di questi anni hanno acquisito sul campo esperienza e competenza che oggi, con un regolare contratto di lavoro, mettono al servizio dei ragazzi. A questi si aggiungono nelle attività educative gli obiettori di coscienza e i volontari che prestano la loro opera soprattutto durante il pomeriggio nelle attività di doposcuola, laboratorio, sport e animazione dell'Oratorio.
    Per tutti gli educatori sono previsti incontri formativi di studio, di approfondimento e di confronto. Partecipano, inoltre, divisi per settori, ad incontri organizzativi e di verifica che si alternano settimanalmente. Infine, durante l'anno, si hanno tre incontri (all'inizio di programmazione, a metà e a fine anno di verifica degli obiettivi) ai quali sono invitati tutti gli operatori del Centro (quasi a ribadire l'unità sostanziale dell'attività educativa del Centro) che possono così scambiarsi informazioni e conoscenze.

    Il gioco

    Un'attività che impegna ed appassiona molto gli educatori è quella dell'estate: a luglio, al termine dell'anno scolastico, si svolge l'Estate Ragazzi. «Negli anni scorsi l'abbiamo realizzata tutti insieme, Gruppi Diurni, Oratorio e Comunità-Famiglia; quest'anno per motivi logistici, poiché è cresciuto il numero soprattutto di coloro che frequentano l'Oratorio, abbiamo sperimentato una nuova formula. Le attività, infatti, si sono svolte separatamente, per gruppi, ricercando l'unità negli obiettivi e nelle mete educative. Nell'ultima settimana di luglio, infine, i tre grandi gruppi si sono ritrovati insieme per alcune iniziative in comune».
    Il gioco di gruppo, dunque, come momento fondamentale per mediare valori che valgono la crescita integrale del ragazzo. Il «buon cristiano ed onesto cittadino» rimane ancora il punto di riferimento essenziale del cammino educativo.
    «Cerchiamo di insegnare ai ragazzi che vivono nel Centro o che lo frequentano ad essere cittadini nuovi di una nuova città. Spesso abbiamo preso come tema delle attività estive 'la Neapolis', 'la nuova città'. Vorremmo insegnare la convivenza civile in una città dove prevale l'ingiustizia, la prepotenza, la dimensione camorristica; vorremmo aiutare i ragazzi a diventare i costruttori di una città nuova fondata sulla solidarietà, sul senso della giustizia e della libertà, sulla partecipazione, diventando così protagonisti attivi della propria vita, non semplici spettatori passivi.
    Questi sono obiettivi di fondo e a lungo termine. Perciò tutto quello che si fa tende a questo. Io vedo - conclude il responsabile - come gli educatori anche nell'organizzare un gioco semplice sono attenti a questa problematica. Abbiamo, infatti, realizzato dei giochi che divertendo molto i ragazzi si sono rivelati profondamente educativi. Giochi che fanno conoscere la città, il proprio quartiere, giochi che insegnano a diventare cittadini nuovi: invece di vincere dei punti si vince una scuola o un ospedale o un centro sociale. Il ragazzo collabora allora insieme agli altri componenti del gruppo ad arricchire il proprio quartiere con servizi socialmente utili. Vi sono poi anche dei giochi che hanno come sfondo l'Europa con la finalità di allargare sempre più la mente del ragazzo».
    Un progetto, dunque, proiettato verso il futuro ma lungo il solco di una tradizione educativa che affonda le sue radici nel cuore e nella mente di Don Bosco. I ragazzi che oggi vivono nell'emarginazione (e sono tantissimi!) così come cento anni fa hanno bisogno soprattutto di attenzione, di amorevolezza, di sentirsi accolti in una casa, di chi li aiuti ad incontrarsi con gli altri, di chi annunci loro il messaggio dell'Evangelo.
    Questi ragazzi, con i loro problemi, difficoltà, esigenze, chiedono in altri termini, alla comunità educativa di mantener fede alla propria vocazione di servizio e quindi alla propria identità. Tutto ciò nello stile dell'accoglienza che non è solo semplice assistenza ed offerta di beni e servizi, ma soprattutto condivisione e amore senza riserve.

    Centro Sociale Don Bosco (don Gregorio Varrà)
    via D. Bosco 8 - Napoli tel.081/7511340


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