Gioia Quattrini
(NPG 1996-07-71)
«Pioveva con insistenza, proprio come ora, e noi giungemmo all'appuntamento più importante della nostra vita, puntuale ma fradici, proprio come voi...». Qualcuno racconta una favola a questi poveri giovani del 2000.
«La stanza era grossa e spoglia proprio come questa, ma i giovani uomini che la riempivano sapevano che un sogno stava nascendo alla realtà e questo li avvolgeva di calore...». Sono incantata. E tutti i giovani, giunti a Bologna con me, da tutte le parti d'Italia, sotto una pioggia instancabile, ascoltano incantati l'uomo piccolo e fragile che racconta la favola più bella sulla nostra patria. Con il cuore riviviamo la notte del 26 dicembre del 1946, la notte che precedeva il giorno in cui il testo della nostra Costituzione sarebbe stato approvato in Parlamento e reso santo (nel senso che solo appartiene a questo termine antico: quello di «sancito in modo inviolabile») dalla firma di Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato ed erede della tradizione liberale; dalla firma di Umberto Terracini, Presidente dell'Assemblea Costituente e fondatore con Gramsci e Togliatti del Partito Comunista Italiano; dalla firma di Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio e già primo successore di Struzzo alla segreteria del Partito Popolare.
L'uomo piccolo e fragile continua a raccontare la fiaba: «La nostra Costituzione nasce da un crogiolo universale. Anche il più ideologizzato dei Costituenti non poteva non sentire alle sue spalle l'evento orribile della guerra mondiale e delle decine di milioni di morti, e questa consapevolezza non poteva non vincere, almeno in misura sensibile, sulle concezioni di parte e sui conflitti delle ideologie contrapposte. Per questo, tutti, diversi per tradizione culturale e per convinzioni, ci sforzammo di trovare, al di là di ogni interesse particolare, un consenso comune, più alto.
Quest'uomo piccolo e fragile che ancora sa raccontare fiabe ai giovani è don Giuseppe Dossetti. In quel lontano autunno del '46 fu lui a scrivere gli articoli 2 e 3 della nostra Costituzione: l'uguaglianza degli uomini e i loro diritti inviolabili. Per quasi 40 anni, da allora, è vissuto in una solitudine monacale a Monte Veglio con la sua Comunità della Piccola Famiglia dell'Annunziata.
Come i Padri del deserto abbandonavano la loro solitudine per ritornare alle città colpite da grandi calamità, così Dossetti, Padre della Patria, ha deciso di infrangere il suo silenzio e parlare a noi giovani, adesso, nell'ora tragica del nostro paese.
A sera tarda, ciascuno con la sua tazza di brodo caldo, i capelli ancora umidi, commenta con gli altri questa alta lezione morale e civile.
Anche noi, dalle ideologie diverse e dalle varie estrazioni culturali, sentiamo prezioso e nostro in egual misura questo testo fondamentale della democrazia ed intuiamo, ancor prima di capirlo, quanto vado difeso ad ogni costo. Certo i membri dell'Assemblea Costituente, 50 anni fa, non avrebbero potuto prevedere i delicati interrogativi bioetici sugli uteri in affitto e sui bimbi concepiti in provetta; non avrebbero potuto prevedere gli allarmanti problemi ambientali, il buco dell'ozono, gli esperimenti atomici negli atolli un tempo incontaminati. Il testo va quindi integrato con le nuove questioni che oggi si impongono, ma assolutamente tutelato da qualunque mistificazione.
Nei programmi scolastici delle scuole medie superiori ed inferiori sono previste con precisione alcune ore da dedicare a questa materia fantasma che è l'educazione civica. Nonostante questo, spesso ci si convince che sapere dove Cesare sconfisse Pompeo sia più utile o più importante che parlare dei fondamenti straordinari della nostra Repubblica. Perché non organizzare nelle classi meravigliose lezioni-dibattito sui dettami costituzionali? L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli; la libertà personale è inviolabile; tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione; la Repubblica tutela la salute... e garantisce cure gratuite agli indigenti. Ai giovani va insegnato che diritti che oggi sembrano naturali, un tempo non erano affatto scontati e che qualcuno per garantirli a loro oggi, ieri scelse la lotta dura fino al sacrificio estremo della vita.
Si insinua un sospetto: non sarà che tenere i giovani lontani dall'eredità più preziosa che i nostri padri ed i padri dei nostri padri ci abbiano lasciato, sia un ottimo modo per evitare imbarazzanti domande sulla non applicazione costante di alcuni tra i principi più importanti?