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    Educazione del cuore: come parlarne, come proporla



    Gianni Ghiglione

    (NPG 1996-03-35)


    Ci sono argomenti, a trattare i quali non si prova alcuna difficoltà: il soggetto non è coinvolto, ma funge da spettatore distaccato.
    Quando invece il tema riguarda la sfera affettiva, le cose cambiano: il soggetto percepisce immediatamente che si parla di lui e che l'amore, la sessualità, il cuore non sono realtà marginali, ma sono la sua stessa vita nelle sue manifestazioni più profonde e ricche.
    Inoltre innumerevoli sono le variabili che contribuiscono a complicare maggiormente una lettura attenta dei fatti, per cui sembra profilarsi l'ipotesi che dell'amore non si può parlare essendo uno dei temi indicibili, ineffabili, a meno di scadere in una passerella di vicende e pareri soggettivi.
    A stimolarci invece a riflettere su questo tema indicibile è tutta la pedagogia e pastorale odierna che ravvisa nell'educazione dei giovani all'amore uno dei nodi problematici, uno dei banchi di prova in ordine all'educazione alla fede.
    In altre parole afferma che non si dà seria educazione alla fede là dove manca una paziente, ma altrettanto chiara ed esigente educazione affettiva.

    Cosa intendiamo per «educazione del cuore»?

    Alcuni riducono questo tema all'educazione sessuale (troppo spesso scambiata o ridotta a istruzione sessuale), altri al rapporto ragazzi-ragazze con annessi e connessi, altri ad una affrettata preparazione al matrimonio. Educare il cuore di un adolescente e di un giovane significa invece mettersi al suo fianco al fine di costruire in lui una struttura di personalità armonica, che possieda:
    - una sufficiente conoscenza di sé e una conseguente accettazione delle proprie capacità e ricchezze come anche dei propri limiti;
    - una serena interazione con le persone che gli vivono accanto, realizzando comunicazioni a differenti livelli;
    - la capacità di superare il proprio mondo e aprirsi con generosità agli altri attraverso il sevizio, la gratuità, la disponibilità...;
    - la consapevolezza di essere fatti per amare e quindi l'impegno sereno di educarsi all'innamoramento senza chiusure né anticipazioni pericolose, senza paure né avventure superficiali;
    - la forza di controllare emozioni, impulsi, scelte che porterebbero a poco a poco all'indurimento del cuore;
    - il coraggio di riconoscere nel Dio di Gesù Cristo il Signore della vita e dell'amore.
    Quando il problema è affrontato in questi termini ampi e rispettosi, i giovani ci stanno: capiscono che non è un problema astratto, da salotto, ma che quel problema sono loro stessi; è la loro vita più profonda e più vera ad essere chiamata in causa.

    I giovani di oggi sono segnati da una serie di fenomeni

    La frammentazione

    Avete mai visto il parabrezza di un'auto contro cui sia stato scagliato con forza un sasso? Il vetro è andato in mille pezzettini, ma è rimasto al suo posto, non è caduto a terra. Così è il giovane anni '80-'90. Solo cinquant'anni fa le agenzie educative erano grosso modo tre: la famiglia, la scuola, la parrocchia. Tutte e tre parlavano la stessa lingua, sostenevano gli stessi valori, erano reciprocamente complementari. Non era dunque difficile al ragazzo e al giovane cogliere un certo orientamento, seguire una strada che famiglia, scuola, parrocchia concordemente indicavano come buona o come garanzia di vita onesta.
    Oggi (e non sono passati secoli!) la situazione è ben diversa. Le agenzie «educative» e i punti di appartenenza o di aggregazione si sono moltiplicati a dismisura: il gruppo sportivo, scolastico, quello del quartiere, quello del sabato sera, quello del bar o dell'oratorio; nelle scuole superiori ogni insegnante diventa una voce «educativa»; in casa ogni canale della Tv ha la sua filosofia, i suoi «prodotti» da smerciare. Al tempo stesso la famiglia, la parrocchia hanno perso parecchio terreno, esautorate e sostituite da tante altre voci. La conseguenza è che il giovane si sente come quel vetro dell'auto: a pezzi, in tanti piccoli frammenti con una apparente unità. C'è chi dice una cosa, chi dice l'opposto; ci sono mille impegni e appuntamenti da rispettare; quanta fatica nel cambiare comportamento! (Un conto è il linguaggio usato in casa, diverso quello con gli amici, all'oratorio, con la ragazza...). I sociologi dicono che oggi c'è un diffuso «camaleontismo»: ci si adatta e si cambia secondo le circostanze, con due effetti:
    - mancanza o perdita di identità: come si fa a rispondere alla domanda «Chi sono io?», se sono in perenne trasformazione? Crisi di identità o giovani senza identità, facile preda del qualunquismo;
    - difficoltà a trovare un senso per la vita: cogliere il filo conduttore che dia senso alle mille esperienze non è cosa semplice. «Perché vivo? Perché esisto? Che senso ha la vita?»: interrogativi che si pongono con sempre maggiore frequenza proprio perché ci si sente rotti dentro, incapaci di collegare le voci più disparate da cui si è bombardati e le esperienze (non di rado di segno opposto) che si fanno.

    Il presentismo

    È la storia di Pierino che, figlio di genitori benestanti, fu affidato alle sollecite cure di una baby sitter. Costei, sempre preoccupata che il suo vivace protetto non si facesse del male, lo tempestava di avvertimenti: «Quando scendi le scale, attenzione a dove metti i piedi! perché se scivoli ti rompi l'osso del collo... Pierino, fa' attenzione quando entri ed esci di casa perché vicino alla porta c'è un tappeto; se inciampi, ti rovini... Guarda dove metti i piedi: non vedi che la strada è piena di pozze d'acqua e ti insozzi le scarpe e i calzini? ecc.». Pierino arrivò alla bella età di 95 anni e in tutta la sua lunga vita non scivolò mai giù per le scale, né inciampò mai contro il tappeto d'ingresso, né si sporcò le scarpe e i calzini in una pozza d'acqua piovana sulla strada, perché guardava sempre bene dove metteva i piedi. Morì però con una sconfinata nostalgia: in tutta la sua lunga vita non si era mai accorto che sul suo capo c'era un cielo e che molto spesso questo cielo era azzurro!
    Così il giovane d'oggi pensa solo al presente, guarda il futuro immediato; non fa progetti grandiosi, ma solo a corto respiro, a «piccolo cabotaggio». Ricordate il film «The day after»? Come si fa a progettare il futuro quando si ha sulla testa un esplosivo atomico che può far saltare per aria tutto da un momento all'altro? Come si fa a sognare il proprio domani (famiglia, studi, figli...) quando non si trova un lavoro con cui mantenersi, una casa per sposarsi, quando l'economia è instabile, la pace precaria...?
    Se vivere il presente è un valore della nuova generazione, c'è, come rovescio della medaglia, una crescente difficoltà a fare le scelte definitive, totalizzanti (una professione, il matrimonio, la vita religiosa...). «Io mi farei prete domani, ma per cinque anni! Non mi sento di giocarmi tutta la vita, per sempre». Lo stesso discorso vale per il matrimonio, dove, come alternativa, si opta per la convivenza.
    Di qui un senso di precarietà, di insicurezza, non di rado mascherata con forme di aggressività e di violenza.

    Il soggettivismo

    «Io la penso così... Per me è giusto così... Non mi sento di...». Il giusto o l'ingiusto, il vero o il falso, il bene o il male non sono più il risultato di un confronto con norme oggettive, non nascono più dalla consapevolezza di avere aderito o infranto una legge; sono ora il frutto di una decisione personale autonoma, sganciata da qualsiasi parametro di confronto. Sono io (il soggetto) che decido ciò che è bene e ciò che è male e non voglio interferenze. È una libertà impazzita. Si capisce facilmente come, soprattutto a livello giovanile, non di rado capiti di giudicare buona o cattiva, vera o falsa una cosa (situazione, gesto, scelta...) in base alla propria emotività, tornaconto, comodità...
    Non è che in tempi passati i giovani fossero migliori, no. Ma c'era una differenza: un tempo si aveva la consapevolezza di aver infranto una norma, di aver fatto il male, si sapeva di essere in colpa; oggi la stessa azione viene giustificata, depenalizzata, fatta rientrare nell'alveo della propria libertà di scelta: «Mi sento di..., dunque va bene, è giusto...».
    Credo che questa connotazione dell'odierna condizione giovanile sia la più pericolosa, perché è quella che più di altre impedisce il dialogo vero e profondo sui valori, sul senso. È una specie di «libero arbitrio» sulle realtà più grandi dell'esistenza (amore, vita, morte, arte, senso...), frutto spesso di uno spirito non educato alla ricerca e al confronto serio. Su questo terreno cresce l'orgoglio di chi si sente limitato dalla norma oggettiva, dalla legge; si pensa che credere in un dato normativo esterno sia un'umiliazione puerile. È umiliante dare il proprio assenso all'oggettività di un semaforo rosso? Se sì, prova ad affidarti all'orgoglio e a non tenerne conto!
    Le difficoltà in ordine all'educazione del cuore che sono emerse da questa fotografia dei giovani sono:
    - cogliere il filo conduttore della propria esistenza;
    - pensare il futuro in termini progettuali;
    - confrontarsi con e accettare una norma oggettiva.

    Con quali linguaggi?

    Il linguaggio della serenità

    È un atteggiamento di fondo indispensabile quando si parla di cuore, di educazione all'amore, di sessualità; è un atteggiamento da coltivare tenendo presenti alcune convinzioni di base:
    - «... vide che era cosa buona!» dice la Bibbia a proposito della creazione uscita dalle mani di Dio.
    Quando poi arriva all'uomo e alla donna («maschio e femmina li creò») aggiunge «... e vide che era cosa molto buona!».
    È molto importante guardare la natura, le persone, l'uomo e la donna in tutta la loro realtà, con uno sguardo bello, sereno, privo di paura e di malizia. C'è della gente che sporca la natura, i rapporti con le persone, ciò che osserva.
    Nulla di ciò che esiste, proprio perché uscito dalle mani di Dio, è cattivo, peccaminoso, sporco! Dunque un senso di sana sportività, di serenità: non vedere il male dove non c'è (in passato questa paura del male, del peccato verso realtà del tutto innocenti e normali ha provocato dei grossi guai in tante persone, rovinandone il cuore e l'equilibrio generale)
    San Paolo dice: «Tutto è vostro», quindi l'uomo è «signore» del creato, di tutto ciò che lo circonda; e poi aggiunge: «... e voi siete di Cristo» e con questo ricorda che solo un uso cristiano delle realtà terrene gioca a favore della persona e della collettività.
    - Serenità, che in alcuni momenti diventa stupore, meraviglia per le piccole e grandi scoperte che si fanno, per le piccole e grandi gioie che si provano.
    - Agli educatori il compito di presentare l'amore (e tutto ciò che a questo tema si possa riferire) sempre in una luce di serenità, di grandezza, di incanto, di entusiasmo.

    Il linguaggio della serietà

    È l'altro atteggiamento da coltivare e far maturare per un approccio corretto al tema «cuore». La Bibbia ci narra pure che il creato, uscito perfetto dalle mani di Dio, fu poi rovinato dalla disubbidienza dell'uomo: una vera tragedia che ha investito la natura, l'uomo e la donna, i rapporti reciproci, la relazione con Dio...
    «Si accorsero di essere nudi!» Non si tratta tanto di una nudità fisica, quanto di una povertà esistenziale che viene scoperta, che si manifesta immediatamente in accuse reciproche («è stata lei!», «è stato lui!»), in un penoso scaricarsi colpe e responsabilità. L'armonia è rotta e le pagine bibliche seguenti ne daranno ampia conferma. Il rapporto uomo-donna d'ora in poi sarà all'insegna della faticosa conquista di un'unità perduta, sempre sotto il pericolo e la minaccia di barbarie, di scontri, incomprensioni, violenze di tutti i tipi, del fallimento.
    Tutto questo, sul piano formativo personale, richiede serietà, cioè non essere degli ingenui, dei superficiali, che non tengono conto della realtà del male, presente dentro e fuori di noi, nell'egoismo che può compromettere le relazioni tra le persone facendo sì che una strumentalizzi l'altra o che entrambe non entrino nel vivo dell'alleanza, ma si fermino alla superficie di un rapporto affettivo.
    L'amore, in tutte le sue forme espressive e in tutte le situazioni di vita, se non è giocato con serietà (nel rispetto e nella ricerca del vero bene dell'altro) ha effetti distruttivi per la persona:
    - blocca il dialogo, quindi impedisce la crescita di un rapporto profondo;
    - abitua alla ricerca egoistica del piacere, portando il soggetto a livelli di regressione infantile;
    - umilia e strumentalizza entrambi;
    - preclude la strada ad altre forme di relazione e di incontro;
    - toglie il gusto delle cose belle e pulite della vita;
    - indurisce il cuore verso gli altri e verso Dio;
    - crea uno stato confusionale anche nei rapporti con se stessi.
    Parlare di serietà nell'educazione del cuore significa riconoscere la realtà in tutti i suoi aspetti, compresi quelli meno piacevoli o evidenti.
    Se è vero che la persona ha come esigenza fondamentale quella di amare e di essere amata, la serietà dice che questa ricerca di amore-donato e amore-accolto deve essere libera da forme inquinanti, quali l'egoismo, il possesso, il narcisismo... Il grano deve fare i conti con la zizzania: se la serenità sottolinea la positività e la ricchezza del grano, la serietà invita a fare i conti anche con quelle realtà che potrebbero compromettere il buon raccolto.
    Sempre tenendo presenti le difficoltà emerse dall'identikit dei giovani anni '90, la serietà mi porta a presentare l'amore come forza unificante, misterioso filo di Arianna che collega le varie esperienze, che mette in risalto la nostra vocazione più vera e che fa capolino dappertutto se si scava dentro ciò che proviamo, viviamo, facciamo... È una forza, quella dell'amore, che unifica dando gusto e senso al nostro vivere.
    Il rileggere fatti, incontri, esperienze in quest'ottica produce nel soggetto un rinforzo positivo nella ricerca di unità della sua personalità.
    Non si tratta di inventare nulla, ma di leggere ad un livello di maggiore profondità.
    Valore che richiede tempi lunghi: la serietà nell'amore e dell'amore non ha nulla da spartire con l'avventura facile e di breve durata. Pensare l'amore significa fare i conti con i tempi lunghi di preparazione, di conoscenza, di formazione personale e di coppia. Inoltre esige un'educazione alla progettualità, al pensare le cose senza lasciarle al caso... Tutto questo si scontra contro la tendenza al «lasciarsi vivere» o al vivere alla giornata. L'amore serio (e l'educazione del cuore che a questo mira) è quindi un aiuto a superare la totalizzazione del presente per cogliere orizzonti più ampi in cui collocarsi e programmare.
    «Beruf»: è una parola tedesca già cara a Max Weber, che ha un doppio significato: compito da svolgere e vocazione cui rispondere.
    Mi pare che l'amore, rivisitato nell'ottica della serietà, presenti entrambi questi aspetti che diventano fonte di educazione e di formazione per i giovani:
    - compito da svolgere: l'amore non è un optional che posso inserire o meno nella macchina della vita, ma un qualcosa che mi interpella e mi supera. È un compito cui non mi posso sottrarre, che mi si presenta con una carica di cogenza. La risposta seria non è: «mi piace..., non mi piace...» - «mi sento..., non mi sento», ma «devo, quindi mi impegno a svolgerlo»;
    - vocazione cui rispondere: l'amore si porta dentro una valenza di infinito, di eternità. Rispondere all'amore è scoprire anzitutto questo dato oggettivo che mi supera e che mi invita a rispondere a questa presenza di infinito e di eternità.
    Per il credente non è difficile riferirsi all'immagine di Dio di cui parla il primo libro della Bibbia e che Agostino stupendamente commenta: «Il nostro cuore è fatto per Te, Signore, e non trova pace fin quando non raggiunge Te».
    Il linguaggio della serietà invita l'educatore a conoscere la fenomenologia dell'amore per scoprirvi quegli elementi che servono per un corretto aggancio antropologico ad una corretta e solida educazione affettiva.

    Il linguaggio della vicinanza

    Riferimenti obbligati sono il Sistema Preventivo e la Lettera da Roma del 1884 di don Bosco.
    Alcune espressioni:
    «L'educatore è un individuo consacrato al bene dei suoi allievi, perciò deve essere pronto ad affrontare ogni disturbo, ogni fatica per conseguire il suo fine, che è la civile, morale, scientifica educazione dei suoi allievi» (S.P.).
    «Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati» (Roma).
    «Chi sa di essere amato, ama; e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani» (Roma).
    È lo stile educativo di Don Bosco, è lo spirito di famiglia che deve essere presente nell'educatore, grazie al quale «i cuori si aprono e fanno conoscere i lor bisogni e palesano i loro difetti».
    Questo stile di ogni presenza educativa, dove gli atteggiamenti, i linguaggi che si usano e i modelli che circolano sono in sintonia con un progetto di educazione globale del giovane, è un ottimo servizio in ordine all'educazione del cuore.
    Per i giovani sentirsi amati è fonte di rinascita, specie nel nostro tempo così avaro di gratuità e di dono.
    Tra questa ricerca di sintonia col giovane è importante il contributo delle scienze umane - psicologia, pedagogia, didattica... - in quanto aiutano a cogliere e a chiarire comportamenti e meccanismi tipici di certi ambienti e di certe età.

    Una pedagogia dell'impegno

    La volontà

    Il giovane oggi non è aiutato a costruirsi una volontà robusta, anzi gran parte di ciò che lo circonda concorre alla formazione di persone dalla spina dorsale debole. Si tende a togliere tutte le difficoltà, ad accontentare ogni desiderio, a non imporsi alcun limite, a non aver regole, per cui ci si comporta «come ci si sente», che significa «come si vuole».
    Mettono tristezza quei genitori ed educatori permissivi, che concedono tutto pur di non aver fastidi, che non chiedono nulla di impegnativo, che non esigono ciò che è doveroso esigere (la buona educazione sempre, lo studio o il lavoro eseguiti con cura...). Questi non fanno il bene dei giovani, anche se sul momento sono molto graditi. La vita, lo sappiamo, presenta prima o poi difficoltà, dolori, sacrifici non piccoli: chi è impreparato soccombe. San Tommaso, esagerando un po', diceva che una persona vale quanto vale la sua volontà.
    Un saggio educatore suole ripetere: «Occorre allenare la volontà a rinunciare anche ad alcune cose lecite perché sia pronta e allenata a dire di no a quelle illecite».

    Il carattere

    Una delle piaghe della nostra società è l'aumento delle separazioni e dei divorzi, cioè il fallimento dell'amore. Nel 90% dei casi la causa va attribuita al carattere di uno dei due o di entrambi i partners: incapacità di fedeltà, di perdono, di pazienza, di sacrificio; pigrizia nei propri doveri, superficialità, desiderio di continue novità; non controllo della propria emotività, ira, mutismo; mancanza del senso di concretezza; apparenza, spreco; incapacità di manifestare i propri sentimenti; attivismo esagerato, hobbies incontrollati, gelosia, invidia. Di qui l'esigenza di dare una grande importanza, tra i dodici e i vent'anni, alla formazione di un carattere «equilibrato» che è un po' il rovescio della medaglia di quanto detto sopra. Ripeto: è un settore su cui si lavora troppo poco, anche in ambienti religiosi. Il buon cristiano si innesta su una persona dall'umanità ricca, equilibrata, capace di dominarsi, di perdonare, di entrare in comunione con gli altri, superando facili egoismi. È a questa ricchezza di umanità cui bisogna puntare attraverso la scuola, la famiglia, il gruppo, l'amicizia, la religione.
    Questo lavoro su di sé dura tutta la vita, ma è soprattutto nel periodo dalla preadolescenza alla giovinezza in cui si devono fare gli sforzi maggiori perché, a mano a mano che cresce l'età, la persona è sempre meno disponibile al cambiamento. Si dice che diminuisce la flessibilità e subentra la rigidità, cioè l'incapacità di modificare gusti, atteggiamenti, idee, comportamenti, difetti e limiti del proprio carattere.
    In conclusione, il carattere è un po' lo specchio del cuore, dice all'esterno cosa bolle in pentola, quali realtà si calano nel profondo di noi stessi. «È dal cuore dell'uomo che nascono...» (Mt 15, 16-20).

    La fantasia

    Si dice che oggi i bambini, a forza di guardare la Tv, abbiano una fantasia più ricca dei loro coetanei di cinquant'anni fa. Il mondo del sogno, del fantastico, dell'irreale è una dimensione della persona, ricca di suggestioni e di sensazioni piacevoli che permettono di perpetuare, al di là di un mondo realista e ingolfato nel pragmatismo, il «fanciullino» che c'è in ognuno di noi.
    La nostra fantasia è alimentata da quel che si vede, si vive, si sente. Gli occhi sono una delle fonti di maggior arricchimento per la fantasia. Funzionano da cinepresa che tutto registra: la fantasia poi lavora sul materiale registrato facendo collages strani, mutandone la carica emotiva, aggiungendo o togliendo particolari... Tutto questo quando siamo più tranquilli e rilassati. Se la cinepresa ha immagazzinato materiale «pulito», le fantasie saranno di un certo tipo; se invece il materiale è «sporco» ne seguiranno fantasie conseguenti.
    Don Bosco diceva che il male entra nel cuore di un giovane dalla finestra che sono gli occhi. Si impone quindi un controllo selettivo su quanto si guarda, si legge, si ascolta... È incalcolabile il male devastante che operano nel cuore dei ragazzi, giovani e adulti (sposati compresi), certi spettacoli, giornali, discorsi...
    Dalla visione si passa alla fantasia con forti ripercussioni emotive, che stimolano l'azione. La masturbazione in genere ha questa dinamica.
    Gesù parla di «digiuno»: far digiunare gli occhi dal male. Se la volontà è fragile e incapace a resistere alla tentazione (molte volte sfacciata e provocante), inizia una dipendenza, una schiavitù da certi stimoli che diventano sempre più indispensabili, una forma di droga, non meno pericolosa e nociva di quella in polvere bianca.
    È inspiegabile il totale silenzio dei genitori, educatori, di forze sociali e religiose di fronte al dilagare della immoralità attraverso la carta stampata e lo spettacolo, salvo poi rimanere interdetti e sconvolti di fronte ai tristi effetti di una simile «scuola».

    Una guida

    Le alte cime si raggiungono con l'aiuto di una valida guida. Certi traguardi nello sport e nel campo artistico si ottengono solo se ci sono un allenatore e un maestro esperti. Anche nell'educazione del cuore è decisivo l'apporto di qualche persona amica, saggia ed esperta che diventi guida nel cammino della vita.
    La guida deve essere persona verso la quale si nutrono sentimenti di fiducia, di cordialità, di simpatia. Ci si mette nelle sue mani perché la si stima saggia, esperta, capace di darci una mano. Alla guida si obbedisce, anche quando la medicina da prendere è amara; non la si cambia ogni stagione; per lei si prega perché mi sappia aiutare a realizzare nella mia vita il progetto di felicità che Dio ha preparato per me.
    Chi trova una guida, trova un tesoro!
    Se deve essere così, escluderei dalla scelta come guida i coetanei. È vero che essi ti capiscono bene, colgono bene i tuoi problemi proprio perché li stanno vivendo anch'essi.
    Difficilmente però sanno fare di più che raccogliere le tue confidenze o il tuo sfogo. Mancano di esperienza e, non di rado, di discrezione e di capacità di mantenere il segreto di quanto ascoltato.

    Sacrificio=allenamento alla fatica

    È legato strettamente al discorso fatto prima: è nelle cose che costano che si irrobustisce la volontà; le grandi vette (i valori) non si raggiungono in carrozza, ma solo con sforzo e impegno.
    La fatica è l'ingrediente della vita: «Ti guadagnerai il pane con il sudore della fronte». E il pane significa tutto quello che occorre per vivere con dignità e decoro.
    La stessa fatica si fa per essere fedeli al lavoro, allo studio, alla vita di gruppo, all'animazione dei più piccoli, alla strada intrapresa...
    Sono una calamità gli educatori-genitori che non offrono occasioni di fatica ai giovani: alla prima influenza (=difficoltà) soccomberanno, perché non hanno difese!

    L'amicizia

    È uno degli argomenti «calamita» dei preadolescenti e adolescenti. Sentono il bisogno di avere amicizie vere, profonde, persone che sappiano star loro vicine e alle quali poter tranquillamente confidare le proprie paure, difficoltà, momenti di bassa...
    Non c'è giornale o rivista indirizzato a questa fascia di età che non tratti l'argomento in grande. E poi?
    Mi sembra che oggi sul mercato giovanile di amicizia ce ne sia poca, perché non si tratta di un «prefabbricato» pronto all'uso, ma richiede pazienza, tempo, volontà, impegno: va costruita!
    L'amicizia è il preludio, la piattaforma dell'amore!
    Ecco alcuni vantaggi che essa offre. Aiuta il giovane a:
    - conoscersi: gli altri sono un'enorme fonte di conoscenza di sé: chi sono io, lati positivi che possiedo e ciò in cui devo migliorare...;
    - fare esperienza di accoglienza: apre il cuore;
    - superare i sentimenti della simpatia/antipatia (no alla selezione!);
    - scoprire le persone: allarga la base di conoscenza e la capacità di incontro. Questo è importantissimo in vista delle scelte di un/una compagno/a di vita;
    - discernere il bene dal male, le compagnie che fanno crescere da quelle che avviliscono;
    - essere coraggioso nelle proprie convinzioni e nella testimonianza da offrire;
    - sacrificarsi per quelle persone che si fanno amiche.
    Nella costruzione dell'amore l'amicizia è il fondamento. Se non è mossa dalla passione o dai vincoli di sangue, l'amicizia ha maggiori possibilità di esprimere la libertà dell'amore, libertà necessaria perché essa giunga alla sua maturità. In qualsiasi tipo di amore la fedeltà diventa matura quando è libera, e questa libertà si ha nella misura in cui quell'amore si è integrato con l'amicizia.
    L'amicizia è l'unica esperienza d'amore universale, quella che ognuno può provare; e per questo come simbolo è ugualmente significativo per tutti. I celibi non avranno mai esperienza d'amore paterno o materno; gli orfani non proveranno mai l'amore filiale; i figli unici non conosceranno l'amore fraterno; molti uomini e donne, per vocazione o per le circostanze, non conoscono né il fidanzamento né il matrimonio (Cristo stesso non ne ha avuto esperienza). Invece, qualsiasi persona può conoscere l'amicizia, come anche Gesù Cristo la conobbe.
    La vocazione all'amore d'amicizia è universale, come lo è l'amore che Dio offre in Gesù.
    L'amicizia comporta una mutua scelta. Gli amici si scelgono liberamente, non vengono imposti. Altrettanto accade nella relazione fra Cristo e noi. Egli ci ha scelto come suoi amici liberamente, da sempre. «Non siete stati voi che avete eletto me, ma io ho eletto voi» (Gv 15, 16).
    Ma anche noi dobbiamo scegliere Lui, come amico personale, per tutta la vita. Il cristiano è colui che opta coscientemente per Gesù come amico, con tutte le conseguenze che ne derivano. Anzi. In questa scelta reciproca Dio prende sempre l'iniziativa. È stato lui ad amarci per primo, a cercarci, ad attirarci a sé, nelle circostanze della vita, fino a che fossimo in grado di scoprirlo e sceglierlo. In questo processo Dio non si impone. Ci lascia liberi di accettare o meno la sua amicizia.
    La scelta d'amicizia è gratuita. Non esistono preventivamente obblighi né di sangue, né di promesse, né di associazione, né di nessun altro tipo che ci costringano ad essa. Non vi sono circostanze che la impongano, né un lavoro comune, né una condivisione di ideali; nessuna.
    Parimenti, l'amore di Dio ci viene offerto in amicizia senza condizioni previe, senza alcun merito da parte nostra. Dio ci vuole come suoi amici così come siamo, con le nostre manchevolezze e peccati, e per sempre.

    Un certo bagaglio di conoscenze

    La scoperta dell'altro sesso che inizia con la preadolescenza continua durante l'adolescenza e la giovinezza. Questo cammino va accompagnato da conoscenze di diversa natura che partono dalle differenze biologiche fino ad arrivare a quelle psicologiche, spirituali che toccano le radici più intime dell'essere dell'uomo e della donna.
    Oggi esistono libri per differenti livelli culturali e per tutte le tasche finalizzati a tratteggiare la ricchezza e la diversità del mondo maschile e femminile: metterli nelle mani dei giovani è molto utile.
    Concretamente: impegnare il giovane, secondo le sue possibilità e capacità, in un servizio, che è una forma concreta per sperimentare il dono di sé.
    Alcuni esempi: dopo-scuola per ragazzi in difficoltà, animazione a diversi livelli, musica, teatro, allenatore sportivo, catechista o aiuto-catechista, segreteria... fino a scelte impegnative quali l'obiezione di coscienza o vocazionali.

    La fede: scoperta di Gesù come maestro d'amore

    Il credente sa che Dio in Gesù si è manifestato come Dio-Amore, che va incontro all'uomo, ad ogni uomo, come Padre accogliente e misericordioso. Una goccia, una scintilla di questo Amore è stata riversata nei nostri cuori, costruiti ad immagine del cuore di Dio.
    Veniamo dall'Amore e camminiamo verso l'Amore.
    In questo settore, forse più che in altri, vale la parola di Gesù: «Senza di me non potete fare nulla».
    L'educazione all'amore è sempre stata difficile, ma oggi la violenza e la sfacciataggine del male è tale che senza un ancoraggio solido a Lui, diventa impossibile. Spesso penso al bombardamento cui sono soggetti i nostri giovani: spettacoli televisivi e film, pornografia, i telefoni 144... la libertà e l'ambiguità di tanti modi di divertirsi, la mentalità di un mondo che deride i valori veri dell'amore fino a farti sentire anormale se ci credi e li vivi... La castità ai più appare come un handicap di cui è bene liberarsi al più presto.
    Occorre che ci siano persone capaci con la loro vita e il loro entusiasmo di far incontrare i giovani con un Gesù adulto, maturo che si presenta come:
    - senso della vita: «è Lui il senso della vita», recita una canzone; «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna»;
    - colui che dà prospettiva di futuro all'esistenza: apre al servizio, al dono, alla gratuità fino all'estremo, fino all'incontro con Lui, Vita e ricompensa per sempre;
    - norma (Via, Verità) cui obbedire. È l'incontro con un Maestro esigente, che non scende a patti per amore di populismo e per paura dello scontro (cf il Discorso sul Pane di Vita).
    Concretamente: i pilastri di un rapporto profondo con Gesù, visti non come pratiche da compiere, ma come segno di una scelta di amicizia e di amore che tocca il cuore e dà senso al nostro camminare sono:
    - la preghiera di ogni giorno: un dialogo con l'Amico e la sua Parola, che diventa la norma con cui confrontarsi;
    - l'Eucaristia, vissuta come alimento e sostegno «per giungere fino al monte di Dio, l'Oreb» (cf Elia);
    - la Riconciliazione-direzione spirituale: momento della verifica della rotta e purificazione del male compiuto;
    - «prendere Maria in casa»: un rapporto figliale e una imitazione della Piena di Grazia.

    Esperienze che possono aiutare

    Alcune esperienze che possono aiutare all'educazione affettiva. Si tratta di momenti privilegiati per la formazione della volontà, del servizio, dell'apertura generosa verso gli altri e quindi indirettamente una lotta all'egoismo.
    Saranno rapidi cenni.
    - Educare alla comunicazione
    * con se stessi, attraverso la riflessione, il silenzio, la lettura guidata di testi significativi;
    * con gli altri, dove emerge il proprio carattere (positivo e negativo), le barriere comunicative (i pregiudizi, il narcisismo, l'incapacità di cogliere l'altro...); l'esercizio all'empatia, alla cordialità, alla genuinità...
    - Educare all'animazione come stile di vita
    * L'animazione è una qualità che sottende le azioni più disparate e che ha da fare con la voglia di vivere, la gioia, la speranza, la crescita dell'altro... la gratuità...
    Il farlo diventare stile di vita, non comportamento ad orologeria, è rendere vera l'animazione.
    - L'accompagnamento spirituale
    Far camminare il giovane su un progetto che tiene conto dei tempi e delle difficoltà, che cammina per gradi progressivi all'insegna dell'impegno (serietà) e della fiducia.
    Una parte spetta al settore-fede (preghiera, sacramenti...) e un'altra alla maturazione della volontà, del carattere, dell'affettività.
    La verifica costante, metodica, fatta di fronte ad un amico adulto, alla luce del Signore, è il segreto per raggiungere mete insperate.

    Conclusione

    All'inizio ho detto che l'educazione del cuore è un tema difficile da trattare.
    Ora aggiungo che però bisogna parlarne bene, con serenità, fiducia ed entusiasmo.
    C'è molta latitanza da parte di genitori, educatori, insegnanti, sacerdoti... Il silenzio su ciò che più conta nella vita non ha mai fatto onore a nessuno.


    T e r z a
    p a g i n A


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