Storie (di vita vera)
Enzo Pappacena
(NPG 1996-02-46)
Una stanza, un bagno e una piccola finestra: è tutta qui la casa di Saverio. Il letto è quasi sempre disfatto e il tavolo continuamente invaso da mille oggetti strani raccattati per strada. Povera la casa tra tante case povere. Lo scenario è un centro storico dimenticato e divorato dal degrado: case sventrate e sassi per le strade sono gli unici arredi di questa parte di città un tempo la più popolosa ed oggi condannata al silenzio e alla solitudine. Ma il più solo di tutti è Saverio e con questo quartiere ha in comune il destino. «Conosco la vita...», dice con orgoglio «... e so cosa significa vivere da solo».
Sì, lo sa bene Saverio che ha appena 16 anni e da due abita da solo in quella casa. Mai nel suo povero rifugio sono entrati l'amore e la dolcezza, e pochissime volte il sorriso e la gioia gli hanno fatto compagnia. Liti furibonde tra i genitori e botte da orbi: il solo bagaglio di ricordi di un ragazzo cresciuto tra urla e violenze. Sulla spalla di Saverio una striscia di carne rigonfia, traccia indelebile di un ferro rovente scagliatogli da suo padre accecato dall'ira, è la cruda testimonianza della terribile eredità di un passato tutto da dimenticare.
«Mio padre ha sbagliato per colpa del vino... e quando uno è ubriaco non capisce quello che fa», dice raccontandomi di quella sera in cui i carabinieri arrestarono suo padre; il suo pianto disperato non bastò a fermarli e da quel giorno la casa cominciò a svuotarsi.
Mentre parla, Saverio tiene in mano un cestino realizzato con stuzzicadenti da suo padre in carcere e me ne mostra un altro che ha fatto lui stesso: triste presagio di un futuro ineluttabile? Poi con rassegnata tristezza aggiunge: «Non sono l'unico figlio di mio padre. Ne ha avuti altri cinque da altre donne». A Saverio è negata, così, persino l'illusione che tutti i pensieri del padre siano per lui.
La mamma, dopo qualche tempo dall'arresto del marito, se ne andò di notte con un altro uomo e solo dopo qualche giorno fece sapere di trovarsi in una città del Nord e di non avere alcuna intenzione di tornare: si era ormai convinto che sua madre non lo avesse mai amato.
Di lei Saverio parla poco, sente ancora forte il peso del tradimento.
Ma di tradimenti ne ha conosciuti tanti nella vita. La sua è una storia simile a quelle in cui il protagonista ogni giorno è messo alle corde dall'indifferenza che lo circonda. Ogni situazione sembra non offrire scampo; poco alla volta si perde quota e risalire è sempre più difficile.
Saverio abbandona, così, la scuola col tacito e colpevole consenso degli insegnanti che mai tentarono di avvicinare il ragazzo per provare a dialogare amorevolmente con lui.
I parenti, dopo un primo interessamento dettato dall'emotività, si sono completamente disinteressati di lui. «Troppo grande la responsabilità - aveva detto uno di loro - ... e poi Saverio è un ragazzo difficile che non si lascia aiutare».
La nonna paterna, però, è l'unica a non abbandonarlo completamente: è lei, ancora oggi, a preparargli qualcosa da mangiare all'insaputa del marito.
È così che piano piano la piazza e le strade sono diventate la sua vera casa: qui trascorre intere giornate frequentando amici che hanno ben poco da insegnargli.
Da qualche settimana, però, le cose sembrano cambiare. Saverio ha incontrato un prete che gli sa essere amico e padre fino in fondo e che col suo affetto gli riempie le giornate. Grazie a lui adesso è impegnato a volte tutto il giorno all'oratorio e spesso riesce a trovare del lavoro che gli permette di guadagnare un po' di soldi per tirare avanti.
Ma la sera quando torna a casa non c'è nessuno ad aspettarlo. È di nuovo solo, in questo quartiere mezzo disabitato dove i ragazzi come Saverio sono figli più del vino che dell'amore.