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    Alleducatore... cercasi



    Dalmazio Maggi

    (NPG 1996-04-51)


    Quando l'uomo organizza lo sport per il guadagno, tende allo spettacolo; quando in funzione dei trofei, mira alla vittoria; quando in funzione educativa, pensa alla persona. Il fatto che l'attività sportiva sia largamente gradita, anche nei suoi aspetti impegnativi e «costosi», facilita il compito educativo, soprattutto per una robusta formazione alla socialità, ecclesialmente importantissima, in un tempo sempre più frantumato e segnato dal soggettivismo e per un'energica proposta di vita, particolarmente difficile in una società opulenta e appiattita sulla mediocrità.

    ISTANZE EDUCATIVE

    Senza la pretesa di delineare in modo compiuto itinerari veri e propri, è opportuno evidenziare alcuni riferimenti utili alla elaborazione di cammini di formazione nelle diverse realtà educative.

    Educare alla gratuità

    La dimensione ludica dell'uomo si rivela nella sua identità di gratuità: questa, verificabile dall'esperienza umana, appartiene all'essenza stessa dell'uomo, in quanto creato a immagine di Dio, somma e perfetta gratuità. Ma il dato naturale va accolto, educato, arricchito di valore. Così anche nello sport la dimensione ludica si accompagna, in profondità, alla gratuità. Per crescere nella gratuità è necessario operare un passaggio:
    - dallo sport dove tutto è commerciale, tutto va pagato, tutto va comperato... al gioco che mette in evidenza il valore della gratuità;
    - dallo sport dove tutto è competizione, tutto è prestazione, tutto è tornaconto... al gioco che mette in evidenza il valore del divertimento;
    - dallo sport che porta all'estremizzazione e alla violenza, all'efficientismo, alla strumentalizzazione, al tecnicismo, alla ripetitività... al gioco che mette in evidenza il valore della simbolicità, l'esperienza di gioia, di creatività, di fantasia,

    Educare all'agonismo

    L'istanza agonistica è connessa all'esperienza umana: già nella prima fanciullezza si manifesta in forma pienamente riconoscibile. Quanto di essa appartenga alla natura dell'uomo e quanto sia segno dell'influsso del peccato delle origini è quasi impossibile dirlo. A noi basta qui rilevare che la realtà agonistica è sempre costituita dall'intreccio di queste due radici, la natura e la condizione storica, che impongono una precisa attenzione educativa. Per vivere l'agonismo è necessario operare il passaggio:
    - dalla competizione diretta, in cui vige il mito della vittoria, del superamento e della eliminazione dell'altro... a quella indiretta, nella quale l'emulazione tende al risultato senza farne il valore principale e decisivo;
    - dalla prospettiva esclusivamente agonistica... alla possibilità di esprimere al massimo grado le potenzialità dell'opera creatrice di Dio;
    - dall'aggressività, dalla rivalità, dalla violenza... allo sforzo, alla emulazione, al rispetto del concorrente, al riconoscimento del suo valore, al desiderio di ottenere un risultato e vincere;
    - dalla legge del più forte... al rispetto delle regole del gioco, alla lealtà, alla capacità di autocontrollo, alla disponibilità alla collaborazione;
    - dal protagonismo individuale, in cui a prevalere è il singolo e la personalità dell'altro viene schiacciata o misconosciuta, dal gregarismo avvilente... al gioco di squadra, in cui ognuno ricopre un ruolo ugualmente importante per il risultato, alla vittoria corale.

    Educare alla sconfitta

    Imparare a perdere senza considerarsi perdenti è un traguardo ambìto da ogni progetto educativo: ne dipendono in larga misura l'equilibrio emotivo e la tenuta di personalità del soggetto. Una qualità che non si improvvisa: ciascun uomo conosce la frustrazione della sconfitta e la gelosia verso il vincitore. Essa richiede, piuttosto, una sensibilità basata sull'assimilazione di valori fondamentali, coltivata attraverso un vero tirocinio educativo, mediante dinamica di gruppo, revisione di vita, ecc., inserita in una atmosfera favorevole, in cui si indagano le cause dell'insuccesso, invece di perseguire il «colpevole» e lasciare che l'aggressività si scateni sul capro espiatorio. Per educarsi alla sconfitta è necessario operare il passaggio:
    - dal considerarsi superiore agli altri, quasi onnipotente... a scoprire la propria corporeità e riconoscere i limiti e le cadute di forma, senza farne una tragedia, accogliendoli come segni di quella precarietà e imponderabilità da cui è segnata l'esistenza umana;
    - dalla presunzione, che rovescia sugli altri la responsabilità della sconfitta, dall'introversione che cade nella prospettiva di ineluttabilità e tende a sfociare nello sconforto... al confronto, alla riflessione comune e all'approccio sereno con la realtà dell'essere tutti difettosi;
    - dalla cura eccessiva e medicalizzazione inquinata... all'accettazione del corpo come capolavoro di Dio;
    - dalla strumentalizzazione e dall'efficientismo... alla capacità di meraviglia;
    - dalla schiavitù del risultato tecnico... al rispetto della persona integrale;
    - dal considerare soltanto i propri errori e cercare il capro espiatorio... al riconoscere i meriti degli altri, che hanno giocato meglio.

    Educare alla vittoria

    Educare alla vittoria è forse più difficile, ma non meno necessario che educare alla sconfitta, a causa della minore disponibilità psicologica a considerare le situazioni positive come problematiche e in qualche modo bisognose anch'esse di purificazione e di riscatto. Al di là dell'euforia del momento, la vittoria genera carichi di responsabilità che troppo spesso si risolvono in esaltazione illusoria o in rischioso logoramento interiore. La ponderazione, il senso del limite e della precarietà, la relativizzazione del successo sono atteggiamenti che non si improvvisano; anzi, essi possono emergere con buona capacità di tenuta solo se sono stati preparati da un formazione distesa nel tempo e consolidata in profondità.
    Per celebrare la vittoria e far festa è necessario operare un passaggio:
    - dal sopravvento di un leader, che pretende di egemonizzare meriti e risonanze del risultato... al riconoscere che tutti hanno collaborato alla vittoria;
    - dal pensare soltanto al proprio gioco e risultato in campo... al riconoscere che la vittoria è frutto della collaborazione di tante persone, anche in panchina;
    - dalla rivalità e gelosia... al dialogo, alla partecipazione, al coinvolgimento;
    - dal campanilismo, che tende a limitare la visuale del gioco... all'apertura agli altri, all'amicizia. Umano è vincere, umano è perdere, ma la sfida sta nel saper vivere con nobiltà e dignità di intenzione e di comportamento l'uno e l'altro momento della vita: in realtà, sono entrambi relativi e sono degni di memoria solo se riferiti al cammino di crescita e di perfezione della persona.

    L'ALLEDUCATORE

    Osserviamo la vita di una squadra sportiva. Gli atleti si ritrovano durante la settimana, in media, due o tre volte, per complessive 3-5 ore di allenamento. Sono accolti e seguiti dall'allenatore, che decide esercizi da fare, ruoli da coprire, esercizi specifici da realizzare. Ha una sua tabella di marcia, con indicazioni di tempi di realizzazione.
    Al sabato o alla domenica c'è la gara. Altre ore insieme: se la partita è in trasferta viene preceduta e seguita da altri momenti di convivenza, in cui si condividono le strategie o si ripensa alla gara fatta. All'allenatore si aggiungono dei dirigenti e accompagnatori, per lo più adulti e genitori, che collaborano a realizzare l'attività e creano un clima di sostegno per il risultato.
    Attorno a una squadra di ragazzi c'è sempre un gruppo di adulti, ma tra questi emerge la figura dell'allenatore, che in effetti è quella più significativa e più importante per i ragazzi-allievi-giocatori. Infatti è colui che decide chi scende in campo, chi siede in panchina, quali sostituzioni è meglio fare.
    Gli altri, anche i dirigenti, hanno una loro responsabilità, ma in forma indiretta nei riguardi dei ragazzi, che partecipano agli allenamenti per poi giocare la partita, possibilmente senza essere sostituiti. Il sacerdote, il responsabile dell'oratorio, è il garante del piano di formazione umana e cristiana, ma... appare qualche volta agli allenamenti, raramente segue la squadra nelle partite. Lo si vede e lo si sente, per lo più, alla fine di qualche seduta di allenamento, se si ritaglia un tempo di intervento formativo, che risulta molto difficoltoso (la stanchezza, la distrazione...). Ha una presenza autorevole nei momenti di celebrazione eucaristica, pre o festiva, se la squadra viene preparata e partecipa attivamente.
    Da questa descrizione, anche se sintetica, risulta che i momenti in cui vengono richiamati i valori di fondo del nostro seguire i giovani (siamo educatori), gli obiettivi educativi e pastorali dell'ambiente in cui si è inseriti e si vive (l'oratorio: casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria), dell'Associazione a cui si è affiliati (che fa la scelta educativa e giovanile), della squadra con la quale si fa una esperienza, non solo sportiva, ma di gruppo e di amicizia... risultano marginali e occasionali rispetto all'interesse preminente dei giocatori, e quindi rischiano di non incidere effettivamente nella vita dei ragazzi.
    Quale volto nuovo deve avere l'operatore sportivo?
    Ecco come viene descritto nel documento «Sport e vita cristiana» il responsabile della pratica sportiva, che è impegnato a «svolgere un servizio di alta qualità pedagogica e sociale». «È figura pubblica per la responsabilità di cui è investito e per l'indubbia incidenza, soprattutto sugli adolescenti e sui giovani. È testimone di integrazione tra fede e vita, non mette tra parentesi la fede nei luoghi della vita, fa sintesi tra realismo e speranza. È un vero e proprio educatore. Egli non mira solo, né primariamente, al risultato sportivo, quanto a sviluppare tutte le doti dei ragazzi, in vista della loro integrale maturazione umana e cristiana» (n. 51).
    È chiaro che se si continuerà a distinguere e separare i ruoli di tipo tecnico da quelli di tipo educativo e pastorale, avremo un processo educativo poco armonico e completo: quasi un cammino in parallelo in cui gli elementi non si integrano mai. Dobbiamo tendere a passare dall'allenatore (solo tecnico) all'educatore (anche tecnico) e arrivare alla figura dell'alleducatore, che deve garantire la professionalità, la capacità educativa e la testimonianza e coerenza di vita nell'ambito dello sport in ordine all'educazione completa del giovane.
    Ma come è possibile realizzare tale conversione?
    Qualche anno fa le PGS si fecero una domanda: A che gioco giochiamo? La risposta è stata: Giochiamo a fare l'alleducatore!, e si realizzò una ricerca sullo sport-PGS.
    Nella presentazione del volume, per evidenziare le idee di fondo che hanno guidato la ricerca, è stato scritto: «Tutti crediamo di sapere, in base ad esperienze del passato, chi è l'allenatore, forse anche chi è l'educatore; ma per capire la figura (e la ricerca di questa figura) dell'alleducatore, bisogna mettersi in questa nuova ottica: il futuro dello sport.
    Lo sport capace di costruire, e creare il futuro della società sul futuro dello sport. Allora, sul presupposto che anche lo sport ha delle grandi possibilità di contribuire ad un nuovo umanesimo, ad animare questo sport non bastano i tecnici, non bastano gli educatori, ma ci vogliono gli alleducatori...
    Da anni la ricerca PGS è orientata in questa direzione. Ma la ricerca presente cerca di fare il punto della situazione, e soprattutto si colloca come punto di avvio di un nuovo corso più mirato, più specifico di formazione dei propri alleducatori. Un'utopia, una speranza, un ideale? Il cammino che vogliamo iniziare ce lo dirà».
    L'alleducatore è una figura proiettata a costruire e ad abitare il futuro dello sport, per cui d'ora in avanti le coordinate destinate a misurare l'orientamento futuro e a segnalare la direzione intrapresa dallo sport-PGS verranno prese a partire dalla costruzione o meno della personalità di questo alleducatore, di cui si sa ormai chi è (o chi dovrebbe essere), mentre non si conosce ancora molto «se» e «quanto» è in mezzo a noi e soprattutto «come formarlo».

    Il perché di una indagine

    Chi è quindi questa figura di alleducatore di cui si parla nell'inchiesta? La riflessione non riguarda tanto la preparazione tecnica e le competenze professionali, quanto piuttosto il livello di maturità della personalità degli allenatori.
    Mettere in gioco la personalità di coloro che insegnano lo sport significa infatti andare a toccare il motore delle attività sottese agli Enti di Promozione sportiva: verificare cioè se lo sport-per-tutti viene effettivamente interpretato come servizio educativo, indirizzato alla personalità degli utenti.
    Nello Statuto PGS tale punto-chiave viene decodificato nei seguenti termini: «L'Associazione PGS per i giovani studia e propone una proposta sportiva capace di dare senso alla domanda di vita dei giovani e di far maturare il loro bisogno di aggregazione, fino a sfociare in libere scelte di volontariato».
    Per quanto riguarda inoltre i contenuti e le conoscenze da interiorizzare nell'itinerario formativo del tecnico-animatore, la proposta dell'Associazione è la seguente:
    «Area educativo-formativa: maturare se stessi per essere in grado di concorrere alla maturazione dei ragazzi e dei giovani cui si offre la propria disponibilità».
    Già in questo paragrafo è contenuta tutta l'anima di un'azione di un servizio volontario da svolgere all'interno dell'Associazione e interpretata in funzione formativa di entrambe le parti in causa: formare se stessi per poter a sua volta formare i giovani e gli atleti.
    Soltanto una personalità matura può infatti concorrere alla maturazione dei ragazzi e giovani con cui essa si trova a stretto contatto durante l'attività ludico-agonistica.

    La scommessa

    Ma la scommessa sottesa all'inchiesta va un po' più in là, è piuttosto azzardata e forse anche a rischio di facili fraintendimenti. Essa mira cioè a verificare se la trasmissione di contenuti formativi che fa capo alla Proposta Educativa dell'Associazione è resa credibile e testimoniata in prima persona dagli attuali allenatori.
    Ciò che restituisce credibilità ad un operatore sportivo, nel nostro caso l'allenatore, è, infatti, oltre che la sua competenza e professionalità in materia, anche la sua disponibilità ad un servizio formativo. E tuttavia può succedere che:
    - se tale competenza non gode del supporto e della disponibilità ad un servizio educativo mirato alla personalità globale degli utenti, essa rischia di annullare del tutto o in parte lo scopo primario dell'intervento;
    - ma anche la disponibilità ad un servizio formativo che non si qualifica come competente e che esprime scarsa professionalità non contribuisce certo a restituire credibilità all'intervento globale promosso da un allenatore nei confronti dei suoi atleti.
    In altri termini, quel «bravo tecnico» che però sa fare unicamente il tecnico promuoverà soltanto un'azione incompleta all'interno della sua società sportiva, in quanto manca di quell'apporto, prettamente formativo, al seguito di un'attività che l'Ente interpreta essenzialmente in funzione di servizio educativo. Ma al tempo stesso anche quel «bravo giovane», scelto spesse volte perché è una persona affidabile, risulterà ugualmente una figura incompleta e dimezzata se non dimostra di possedere anche specifiche competenze tecniche nell'assolvimento del proprio ruolo in qualità di allenatore. La riprova? Sta nell'effetto-credibilità esercitato dalla base nei suoi confronti: soltanto se saprà dimostrarsi all'altezza del ruolo che esercita, anche le sue proposte valoriali troveranno nell'attività ludica un terreno fertile per essere coltivate, altrimenti rischia di fornire di sé un'immagine contraddittoria.
    Sullo sfondo di questi parametri si suppone la presenza di una dinamica triangolare fatta di: sport-volontariato-educazione, in grado di contribuire positivamente alla costruzione di una personalità matura dei vari utenti degli Enti di promozione sportiva fornendo un servizio orientato alla persona.
    Il bisogno di professionalità si diffonde rapidamente via via che la complessità del mondo sportivo, l'accesso allo sport di nuovi soggetti, i bisogni legati alla corporeità e ad una qualità diversa della vita richiedono il passaggio da un volontariato tuttofare (caratteristica originaria dell'associazionismo sportivo) ad un volontariato più qualificato con competenze, abilità, sapere specifico.
    Oggi le Associazioni mostrano di ben comprendere come attraverso un volontariato preparato si giochi la possibilità di servizi sportivi orientati alla persona, capaci contemporaneamente di confrontarsi con il mercato ed essere - in termini positivi - opportunità alternativa e democratica allo stesso.
    È da questa piattaforma che partono gli interrogativi che hanno dato avvio all'indagine:
    I nostri allenatori come si collocano rispetto a queste due estreme polarità? abbiamo a che fare con un allenatore che fa unicamente il «tecnico» o, viceversa, con un giovane «tuttofare», sensibile ai valori dello sport e vicino ai giovani, ma poco preparato sotto il profilo tecnico e, di conseguenza, scarsamente credibile sia in quanto allenatore che come formatore?
    Esiste una via di mezzo? ossia è possibile far combaciare in una stessa persona il profilo del «perfetto-tecnico» con quello del «perfetto-educatore», senza togliere nulla a nessuno dei due e tanto meno all'attività agonistica?
    E, di rimando, lo stesso agonismo sportivo potrà essere, in un futuro non troppo lontano, interpretato e vissuto sempre più come variabile educativa? e come? quali sono le prerogative per lavorare fin da ora in tal senso?

    I risultati

    In sintesi alla fine dell'inchiesta cosa abbiamo trovato? con che tipo di allenatore abbiamo avuto a che fare?
    Gli allenatori risultano essere anche degli educatori? si tratta di veri educatori, ossia riescono effettivamente ad educare attraverso lo sport?
    Che personalità hanno dimostrato di possedere? è una personalità sufficientemente matura per affidare loro dei giovani in formazione?
    Sono anche dei volontari? ed inoltre, l'offerta di volontariato sportivo convince?
    Quanti allenatori rispondono effettivamente al profilo dell'alleducatore? C'era proprio bisogno di creare una figura in più? ed inoltre non si rischia di farne un doppione rispetto ad altre figure già presenti nelle Società sportive PGS?
    Una figura di questo tipo una volta che riuscisse a trovare una sua precisa identità e una sua giusta dimensione e collocazione in seno agli Enti di promozione sportiva verrebbe del tutto ben accetta?
    Dalle numerose analisi effettuate sul campione al momento non si può ancora sostenere che l'alleducatore sia una figura effettiva e pienamente operativa in seno all'Ente di promozione sportiva. Al contrario, appaiono ancora rari e per lo più collegati a doti individuali i casi che verificano una realtà in tal senso. Mentre in rapporto alla maggioranza degli inchiestati l'indagine si è limitata a mettere in evidenza che vi sono tuttavia le premesse e la stoffa per costruire nel tempo una tale figura. Questo in sintesi quanto emerso dall'indagine in rapporto agli obiettivi sottesi.
    E tuttavia l'aver intenzionalmente provocato questo studio, sollevando una certa problematica in rapporto all'emergere nel mondo dello sport di questa (più o meno chiara) figura di alleducatore non viene a caso se guardiamo al momento storico che stiamo attraversando. In una società caratterizzata da un supermercato di proposte allettanti quanto diversificate e frammentate, gli spazi neutrali che si prestano ad essere interpretati come educativi e al tempo stesso alternativi ai luoghi della socializzazione primaria e secondaria delle giovani generazioni (quali la famiglia, la scuola, la chiesa...) sono piuttosto scarsi e talora a rischio (a cui non è esente anche un certo modo di fare ed interpretare lo stesso sport).
    Nello studio l'obiettivo primo era quello di individuare proprio nel mondo dello sport, vissuto come servizio volontario, uno spazio educativo alternativo. Ora i dati emersi finora ci hanno per lo più dimostrato che esiste ancora un forte margine di «disavanzo», nell'affrontare il proprio ruolo da parte di coloro che sono investiti di un tale compito.
    L'indagine infatti ha messo in risalto il profilo di un allenatore che:
    - dal punto di vista della formazione della personalità si barcamena su posizioni alterne, talora contrastanti, certamente ancora incompiuta sotto il profilo della maturità conseguita: alla figura del trascinatore e animatore si contrappone quella del leader rampante, ma a rischio; ad una personalità maschilista-dominante fa eco una sensibilità tutta femminile, generosa e protettiva; al soggetto solidarista-empatico-socievole si contrappone il menefreghista, il disfattista, il disadattato;
    - nell'assolvimento del proprio ruolo in qualità di allenatore, sono emerse figure di diversa entità e prestigio: c'è l'allenatore «orso» e quello che manifesta apertamente le caratteristiche del bravo tecnico, affidabile; c'è chi vanta le caratteristiche del «vincente» e chi è succube della sindrome del «perdente»; ed infine non manca la figura dell'allenatore «tuttofare», sempre disponibile a tutto e verso tutti, e al tempo stesso poco competente su tutto (col rischio di inficiare la propria credibilità di fronte ai giocatori). Mentre la vera discriminazione passa tra l'allenatore maschio e femmina: è qui dove la differenza viene particolarmente accentuata in fatto di affidabilità nell'attuazione della Proposta educativa;
    - in quanto educatore, abbiamo a che fare con allenatori solo in parte convinti di dover assolvere anche al compito di educare; chi lo fa sembra dare più importanza all'aspetto animativo di una squadra, e questo avviene talora a scapito di interventi basati su specifiche competenze tecniche; chi non avverte o rifiuta il compito di educare i giovani che allena è perché ha fatto proprio il prototipo del «tecnico puro» che, oltre ad investire interamente la propria grinta sulla dimensione agonistica, non riconosce e non si abbassa a svolgere nessun altro tipo d'intervento;
    - infine, nel modo di interpretare l'agonismo, troviamo il «duro», ossia quell'allenatore dotato di prerogative di leader-vincente-rampante-maschilista che guarda con il paraocchi alla sua materia prima, i giocatori, plasmandoli a propria immagine e somiglianza; ma per fortuna c'è anche la sua controfigura, quell'allenatore dotato cioè di interessi alternativi, rispetto a quelli vigenti tra le rigide linee dei campi da gioco. Ed è proprio su quest'ultimo che, pur costituendo una minoranza, si può fare veramente affidamento per la costruzione dell'identità dell'alleducatore, dal momento che sembra possedere una visione più allargata del proprio ruolo, completandolo di tutte quelle competenze che gli vengono richieste.
    È in base a queste premesse che si può affermare che sussistono le condizioni per un progressivo affermarsi in seno agli Enti di promozione sportiva di una figura dotata di qualità vincenti sia sotto il profilo tecnico che formativo della personalità propria e dei giovani che gli vengono affidati. Al presente tuttavia siamo ancora di fronte ad un cammino tutto da «inventare» e da programmare...

    Chi educherà l'alleducatore?

    Al termine dell'inchiesta gli interrogativi rimasti aperti sono ancora più numerosi di quelli con i quali si era iniziato il cammino.
    Si può dire di avere a che fare, in ultima analisi, con una personalità ideale di allenatore, in grado di fare anche l'educatore?
    Si riuscirà, in un futuro non troppo lontano, ad investire le proprie energie in un protagonismo sportivo non viziato da eccesso di narcisismo o da istanze meritocratiche camuffate da ambizioni e da insano spirito di competitività?
    In ultima istanza, chi educherà gli allenatori a fare gli alleducatori?
    L'unico dato certo è che la figura dell'alleducatore al momento attuale è ancora tutta da costruire. E tuttavia sussistono le condizioni per raggiungere un tale obiettivo:
    - perché il campione ha dimostrato di avere la stoffa per arrivare a coniugare in un'unica dimensione entrambe le prestazioni;
    - ed inoltre perché sono ormai maturi i tempi perché una tale figura acquisti piena cittadinanza in quegli ambienti sportivi supportati da una Proposta educativa.
    Il tragitto che rimane da percorrere riguarda semmai il «come» arrivare a costruire e definire la figura dell'alleducatore, quali attributi gli sono più pertinenti, quali sono gli elementi portanti della sua personalità, quali compiti specifici gli vengono assegnati, quali competenze specialistiche dovrà possedere.
    È quanto si cercherà di progettare grazie al contributo di ulteriori analisi mirate ad orientare un cammino già iniziato in tal senso da parte dell'Associazione.
    Per adesso l'inchiesta è servita più che altro a far risaltare l'urgenza di investire le energie in questa direzione e con progettualità mirate: se sempre più alleducatori occuperanno lo spazio agonistico-sportivo in funzione di un servizio orientato alla persona, allora sarà anche possibile ipotizzare un futuro diverso dello sport, non solo, ma anche un diverso futuro per le giovani generazioni che con sempre maggiore frequenza approdano sul pianeta-sport.
    Si spiega così perché lo sport è «profezia», può diventare cioè un segno dei tempi, un elemento di cambiamento in funzione di un globale miglioramento della qualità della vita dei suoi attuali e futuri protagonisti.

    Ma esistono tali figure di alleducatori?

    Io penso che sia già una realtà in molte persone, che si dedicano ai giovani nell'ambito sportivo, anche se si attendono ancora esperienze più significative.
    Siamo tutti alla ricerca di un allenatore educatore:
    - che ce la mette tutta per vincere e che viene considerato un «tecnico perfetto» in quanto sa portare al massimo le potenzialità atletiche dei suoi giocatori; ma contemporaneamente sa affrontare e vivere la gara, la vittoria e la sconfitta con obiettività, senza far ricorso alle urla o ad un linguaggio poco educativo (in quanto tecnico e personalità matura);
    - che con i giovani ci sa fare, dal momento che sa comprendere i loro problemi, dialoga con loro, accoglie le loro proposte e osservazioni, e si intrattiene con i loro genitori. Tutto sommato si considera ed è l'anima della squadra (animatore) ed è ben inserito nel contesto in quanto si ritiene più amato che temuto nello svolgimento del proprio ruolo;
    - che si presenta come «volontario», in un servizio fatto nello stile della gratuità in un mondo sportivo dove tutto si compra e si vende, e che è portato a prolungare il proprio rapporto con i giocatori anche al di fuori dei campi da gioco, e che, quando sta con loro, non lo fa tanto per sentirsi «qualcuno», ma piuttosto perché ci sta bene e sa di poter dare loro qualcosa in più altre alla tecnica, al gioco e allo spettacolo;
    - che esprime la lealtà nei confronti del Progetto Educativo Pastorale (ne conosce gli obiettivi: onesto cittadino e buon cristiano, e ne condivide il metodo preventivo: ragione, religione e amorevolezza) e la volontà di collaborare a realizzare le scelte fondamentali, che incidono nella sua vita prima di essere proposta ai giovani che si intende aiutare a crescere come uomini e come cristiani;
    - che segue degli itinerari educativi, che devono portare un giovane dalla prima esperienza spontanea dello sport, che consiste nel fruire del movimento, della competizione, dell'affermazione, verso obiettivi più alti, come sono la collaborazione, il rispetto dei rivali, la crescita della responsabilità sociale;
    - che sa sviluppare le possibilità educative specifiche dello sport: per esempio il senso della corporeità, il valore della vita insieme, il senso della disciplina, dello sforzo e del gioco di squadra, il rispetto delle regole.
    In ultima istanza, ci vuole un alleducatore, che sappia operare in modo convergente e sia capace di lavorare «insieme». «Insieme» vuol dire:
    - avere come primo riferimento l'identità della propria associazione, che è assicurata dalla ispirazione carismatica, superando impostazioni generiche o visioni individuali;
    - operare in forma organica in base a un progetto e itinerario al servizio del processo unitario e unificante, vincendo il rischio della frammentazione e della dispersione;
    - avere senso di équipe, capacità di collaborazione, intesa operativa, azione collegiale interdisciplinare, al di là dell'individualismo delle persone, dei ruoli, della separazione dei luoghi e delle tappe della crescita.
    L'équipe non può dunque funzionare bene e raggiungere i suoi obiettivi se i membri non hanno coscienza della loro situazione di interdipendenza e se nonne accettano le leggi e le conseguenze.
    Si deve operare con «co-esione» e «cor-responsabilità».
    La coesione esprime la situazione oggettiva di un insieme dove le diverse parti occupano ciascuna il posto e il ruolo che le compete. La corresponsabilità esprime l'atteggiamento soggettivo della coscienza dei diversi membri, ciascuno dei quali accetta la parte di responsabilità degli altri, e ciascuno è pronto a rispondere davanti agli altri del proprio compito, assolto con la preoccupazione dell'unità della persona del giovane, che resta sempre il destinatario del proprio servizio educativo-sportivo.
    Questo atteggiamento è facilitato dal fatto che ogni membro della comunità educativa si sente non soltanto compagno di lavoro, ma autentico educatore.
    Un duplice amore sta dunque alla base della solidarietà vissuta nella comunità educativa: l'amore degli educatori da rispettare e da aiutare nel loro proprio compito, l'amore dei destinatari, giovani e adulti, che hanno tutto da guadagnare dal lavoro coerente dei loro educatori.

    UN NUOVO MODO DI FARE SPORT

    Per educare nello sport ci sono tanti momenti a disposizione degli alleducatori nello stile dell'animazione. Oltre ai tempi di preparazione e di allenamento, ci sono le gare, prima durante e dopo. Ma ciò che interessa i giocatori e gli allenatori e rende possibile la classifica, la graduatoria, e quindi una qualificazione per livelli superiori, è soltanto il risultato in campo.
    I criteri per vincere una partita sono tradizionalmente i risultati tecnici ottenuti in campo, che si tramutano in punti determinanti per la classifica.
    Ciò che avviene in campo (richiami, ammonizioni, cartellini gialli o rossi, espulsioni) ciò che avviene in panchina ai bordi del campo (richiami, allontanamento dal campo) non influisce sul risultato se non indirettamente. In pratica con molti ammoniti, con qualche espulso, si può vincere ugualmente la partita, che viene omologata, anche se l'allenatore risulta squalificato e il campo interdetto.
    Anche quello che capita oltre i bordi del campo, sulle gradinate, non interferisce minimamente sul risultato eccetto che si colpisca fisicamente e ci sia una menomazione di qualche giocatore. Si può perdere quindi la partita per comportamenti di persone che risultano esterne al gioco in campo. Anche per gli incontri sportivi organizzati e promossi da enti di ispirazione cristiana, i criteri di valutazione sono i medesimi. Alla fine la classifica si basa sui risultati conseguiti in campo in termini esclusivamente di punteggio. È vero che alla fine di un campionato o di un torneo è prassi assegnare una coppa disciplina e dare un riconoscimento agli atleti che hanno avuto meno ammonizioni, che si sono comportati con sportività nelle gare.
    Ma tutti sanno che si tratta di un premio di consolazione e non risulta molto qualificante e desiderato, tanto che si mette sempre al termine della premiazione, quando i campioni sono già proclamati e fanno festa, ed è sempre il più piccolo e il più innocuo dei giocatori che si presenta a riceverlo.
    È necessario cambiare le regole del gioco e dare segni chiari e precisi, che incidano in modo determinante sul risultato, che è quello che conta e che tutti mettono al primo posto. Tanti proclami e promesse di buone intenzioni non scuotono gli sportivi quanto il sentire che si hanno due punti in meno e si è arrivati secondi o terzi e non primi.

    Qualcosa si muove nel mondo sportivo

    In questi ultimi tempi in campo sportivo si fanno proposte varie per facilitare la direzione delle gare, controllare la correttezza di comportamento dei giocatori, garantire la esattezza dei risultati. Si propone di avere a disposizione, oltre i tradizionali arbitri, altri giudici che a bordo del campo aiutino il direttore di gara. Molti vogliono utilizzare le telecamere, puntate sul terreno di gioco, non solo per moltiplicare il numero degli spettatori, ma per poter giudicare l'andamento della gara e incidere anche sul risultato immediato della partita.
    Occorre evidenziare che tutte le proposte ventilate sono avanzate con lo scopo, prima di tutto, di seguire e giudicare gli atleti in campo, dal punto di vista e della correttezza del comportamento nel rispetto delle regole di gioco, poi di aiutare il compito dell'arbitro che deve convalidare l'esattezza dei punti conseguiti. L'evidenziare il comportamento in campo e assicurare che il punteggio sia esatto è importante per non suscitare reazioni scomposte nei giocatori e negli spettatori, ma non basta per creare un ambiente, che intende educare giocatori e spettatori a formarsi una mentalità nuova, che si fonda sul rispetto delle persone e delle regole, sulla lealtà nella competizione tra sportivi, sulla coscienza che nell'incontro e nel confronto ci si educa a crescere vicendevolmente sia nelle capacità tecniche sia negli atteggiamenti sportivi. Il competere con quelli che sono più dotati può essere di stimolo a migliorare il proprio rendimento. Sono da valorizzare anche i primati personali e quelli della propria squadra.

    Una classifica «combinata»

    Ci sono educatori nello sport, che tentano di realizzare un modo nuovo di incontrarsi e competere, e che hanno proposto di utilizzare in senso decisivo, per la omologazione del risultato in vista della classifica, altri elementi di giudizio, che riguardano non solo i giocatori in campo, ma anche i giocatori e i dirigenti in panchina.
    Si parla di classifica «combinata», che mette insieme e somma in modo adeguato il risultato tecnico (i punti segnati), il comportamento disciplinare (richiami, ammonizioni, falli, espulsioni) nei riguardi non solo dei giocatori in campo ma anche della panchina. Bisogna tradurre in punteggio decisivo quanto risulta oggettivamente nei referti della partita, che si compilano mentre si svolge la gara.
    Come potrebbe incidere direttamente sul risultato di gara il numero dei richiami e delle ammonizioni in campo e l'espulsione dal campo? Cosa potrebbe valere il richiamo alla panchina, l'ammonizione e l'eventuale allontanamento dal campo dell'allenatore o del dirigente?
    La squalifica per più giornate dei giocatori, dell'allenatore o di un dirigente cosa potrebbe comportare in una équipe che proclama di aver fatta la scelta educativa?
    Solamente se questi elementi, che risultano in modo oggettivo, incideranno sul risultato, si dimostrerà che tutta la squadra, comprensiva di giocatori, allenatori e dirigenti, scende in campo e «si gioca» la partita.
    A questo punto è importante avere dei giudici non solo per seguire la partita, evidenziare la competenza dell'arbitro, e giudicare il comportamento dei giocatori in campo, ma anche per valutare quello dei giocatori, dell'allenatore e dei dirigenti in panchina. Nell'ipotesi di più telecamere piazzate per seguire, trasmettere e giudicare la partita, non basta che ce ne sia una o più puntate sul terreno di gioco, ma ce ne vuole anche qualcuna fissa sulla panchina ai bordi del campo.

    Anche il pubblico è protagonista

    È accertato e giudicato positivo che negli stadi ci sia una terza serie di telecamere, quelle puntate sulle gradinate per seguire il comportamento dei tifosi. Si sa che lo scopo, apprezzabile anch'esso, è quello di controllare e prevenire espressioni e movimenti di violenza verso le persone e le cose.
    Per il nostro tipo di sport, per l'età degli atleti si pone il problema della presenza dei genitori e degli amici accompagnatori, anch'essi protagonisti dell'incontro. Anche per loro sarebbe necessaria non solo una terza telecamera per riprenderne gesti e parole, ma un «terzo» giudice, quello «di gradinata», per redigere un referto di comportamento.
    È una fantasia perché non si ha niente da pensare? Anche se il comportamento degli spettatori non ha criteri e punti oggettivi di giudizio e rischia di essere fondato prevalentemente sulla emotività, resta un ambito che deve essere preso di più in considerazione. Dal punto di vista educativo, per la crescita di coloro che devono essere modelli e guide dei più giovani, per far sì che anche la famiglia educhi nello sport con lo sport, per creare un clima di vera sportività, è utilissima questa terza categoria di mezzi di ripresa e di valutazione.

    Bisogna «giocarsi» la partita «in combinata»

    In conclusione quale novità è praticabile in tutti i nostri ambienti educativi e potrebbe essere deliberata e regolamentata da coloro che ne hanno la responsabilità?
    Si sa che la classifica «combinata» è già prassi in alcuni campionati a livello provinciale e regionale. Sarebbe un salto di qualità renderla operativa in tutti i comitati provinciali e regionali per le varie fasi di qualificazione e nelle manifestazioni nazionali per un riconoscimento della scelta educativa, tipica dell'associazione, in un momento di verifica da tutti «temuto» e nello stesso tempo desiderato. Dipende soltanto da noi mandare questo segnale di novità al mondo sportivo e non soltanto a quello di ispirazione cristiana.
    È l'abolizione delle coppe «disciplina» e degli attestati e premi di consolazione. La coppa è unica: quella che viene offerta alla squadra che è considerata, dall'inizio fino alla fine, una vera équipe sportiva, che «si gioca» la partita.

    Uno schermo e tre telecamere

    Sogno anche che dopo una gara si possa fare una verifica in cui sono messi a confronto i tre elementi fondanti ogni manifestazione ed esperienza sportiva: i giocatori, non solo quelli in campo, ma anche quelli fuori campo: i dirigenti, non solo l'allenatore, ma anche gli accompagnatori in panchina: gli spettatori nelle gradinate, non solo i coetanei tifosi ma anche gli accompagnatori adulti e soprattutto i genitori.
    Basterebbe trasmettere le riprese dei tre ambiti in contemporanea e in parallelo. Ricordiamo che ciascun protagonista mentre durante la partita ha visto, anche se in modo incompleto, quel che avveniva negli altri ambiti e ne può dare un giudizio, non ha nessun elemento visivo di quanto ha fatto lui stesso e spesso non ha coscienza di quanto è capitato anche per responsabilità sua. In una verifica visiva, meglio se accompagnata dalla moviola, si offre l'occasione di vedersi per la prima volta, quasi mettendosi fuori campo, e di valutare quindi i comportamenti espressi e i sentimenti manifestati attraverso gesti e parole.
    Per una comunità educativa, che si educa continuamente per educare coerentemente, è una occasione di riflessione e di revisione di vita da utilizzare con più frequenza.

    Per essere nuovi

    Con nuove regole, che incidono sui risultati, con nuove modalità di partecipazione e di verifica, si dà un contributo, anche se settoriale e limitato, all'impegno per la nuova evangelizzazione che è anche nuova educazione, che esige di essere nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nelle sue espressioni.
    Una evangelizzazione ed educazione «nuova nel suo ardore» suppone una fedeltà ai propri ideali e valori sportivi, che generano una vera spiritualità del cortile e un entusiasmo nel credere nel compito di educare integralmente i giovani anche con lo sport e nello sport.
    L'essere «nuova nei suoi metodi» fa riscoprire e impiegare la immaginazione e la creatività, affinché i valori evangelici giungano a tutti in maniera pedagogica e convincente. Al centro di ogni azione resta sempre il giovane. Ci poniamo decisamente in alternativa ai progetti e ai metodi sportivi che non servono i giovani e la loro crescita ma si servono dei giovani e li strumentalizzano. La novità «nelle sue espressioni» ci chiede di proclamare i valori evangelici anche attraverso nuove regole, che permettano al vangelo di entrare nella mentalità sportiva e cambiarla dall'interno.
    I regolamenti sono pensati per permettere di competere anche tra persone di lingua e cultura diversa. Servono soprattutto a realizzare una esperienza in cui gruppi di persone si incontrano dentro il campo e fuori campo, intendono conoscersi e confrontarsi non solo a livello tecnico (i risultati), ma anche a livello di sportività: atteggiamenti e comportamenti di profondo rispetto, di leale competizione, di condivisione e di vera corresponsabilità.

    Una speranza? Un sogno?

    Qualcuno potrebbe dire: «Belle parole, ma la realtà che dobbiamo affrontare ogni giorno impone altre attenzioni e porta a fare altre scelte!».
    Ricordiamoci che l'opera educativa si gioca tutto sulle finalità degli educatori, che devono avere la chiara percezione del fine che intendono raggiungere, poiché nell'arte educativa i fini esercitano una funzione determinante.
    «Anche le prospettive più elevate e i messaggi più nobili restano infatti lettera morta se non trovano persone che, con adeguata preparazione, nutrita di esperienza e di sapienza, e soprattutto con vero amore, intensa dedizione e autentico spirito di servizio, sappiano tradurli in pratica quotidiana di vita».
    Ci mettiamo al seguito di un alleducatore, don Bosco, che ha saputo sognare e operare, e facciamo nostro un augurio:
    «Felici coloro che osano sognare
    e che sono disposti a pagare
    il prezzo più alto perché il sogno
    prenda corpo nella vita degli uomini».


    T e r z a
    p a g i n A


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