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    Verso la celebrazione



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1995-07-32)


    Di solito, quando si parla di sacramenti, è facile pensare, prima di tutto, ai «sette sacramenti»... anche se poi quelli che interessano maggiormente sono soprattutto due: l'Eucaristia e la Riconciliazione. Di conseguenza, il richiamo ai sacramenti sembra fatto apposta per spingere ad andare a messa la domenica e a confessarsi un po' di più. Non è questa la preoccupazione in cui si colloca la mia riflessione. Cerco di capire il senso dell'esperienza sacramentale nella vita cristiana. Sono sicuro che chi lo scopre, in modo serio e approfondito, s'impegna poi a vivere in questa logica.

    CAPIRE I PROBLEMI PRIMA DI CERCARE LE SOLUZIONI

    La vita quotidiana tra segni e simboli

    La nostra esistenza è una trama molto intensa di segni e di simboli. Ci cresciamo dentro, poco a poco, attraverso le vie più normali dell'educazione e quelle più raffinate che progettiamo, quando ci siamo abilitati a vivere pienamente in compagnia delle altre persone.
    Se per comunicare con gli altri fossimo costretti ad usare delle cose (un pezzo di pane per parlare di pane, una sedia per dire dove siamo seduti...), ci sarebbe da impazzire. Basta pensare a tutto quello che dovremmo portarci dietro per fare quattro chiacchiere con gli amici. Per fortuna, siamo facilitati dalle parole e dai gesti: abbiamo, in altre parole, un grosso repertorio di segni, di cui possiamo disporre per comunicare.
    In genere, la comunicazione tra le persone è «mediata» dai segni di cui disponiamo: quelle realtà (parole e gesti) che hanno la capacità di rendere presenti altre realtà (il «pane» e l'«amore») che altrimenti resterebbero nascoste.
    Per dire ad una persona che le vogliamo bene, utilizziamo parole, compiamo gesti, facciamo regali, coloriamo il nostro volto e facciamo brillare di una luce speciale i nostri occhi.
    L'amore che ci riempie il cuore è una cosa reale, concreta. Non riusciamo ad esprimerla se non traducendola in qualcosa che la rende manifesta verso l'esterno e sia compreso pienamente dal nostro interlocutore. I segni funzionano quando il rapporto tra ciò che si vede e ciò che si vuole chiamare in causa, è comune e condiviso. In caso contrario, la comunicazione diventa impossibile.
    Ci sono dei segni specialissimi, tanto diversi da quelli normali che, abitualmente, si usa un altro nome per definirli: i simboli. I simboli legano quello che si vede e quello che non si vede con una forza evocativa tutta speciale.
    Non c'è bisogno di grosse spiegazioni. L'evocazione della realtà è quasi spontanea e naturale, soprattutto per persone che vivono dentro uno stesso mondo culturale.
    Per coloro che vivono in una società contadina, il pane non dice solo qualcosa che serve a togliere la fame. Chiama in causa qualcosa di molto più grande, che trascina persino verso un'espressione religiosa dell'esistenza. Così è, per esempio, per il popolo della Bibbia e così è stato anche per noi, per tantissimo tempo. Il pane è simbolo di affetto, presenza dell'altro alla mia vita, condivisione profonda delle cose più care. Il pane è (era?) un simbolo speciale per comunicare. Il simbolo possiede un'altra dimensione importante, che sta alla radice di quella appena ricordata: esso ha la capacità di assicurare un intenso coinvolgimento tra gli interlocutori.
    Il simbolo costruisce solidarietà, condivisione, convivialità.
    Per queste ragioni, gli addetti ai lavori distinguono volentieri tra «segni» e «simboli». Non voglio complicare le cose e non voglio chiedere un consenso forzato su modelli che possono essere discussi a lungo. Mi basta affermare la costatazione, ricordare i livelli differenti... e poi continuerò a parlare in modo convergente di segni e simboli.

    Segni e simboli nella vita cristiana

    L'esperienza cristiana, nelle sue strutture fondamentali, non si allontana dalle logiche della vita quotidiana. Per questo, anche nella vita cristiana noi viviamo tra segni e simboli. Sono gli stessi che utilizziamo nell'incontro e nella comunicazione interpersonale, pieni del mistero dello Spirito di Gesù che ci avvolge e ci trasforma.
    Dio si fa vicino a ciascuno di noi, come un Padre che ci chiama a vita nuova, ci invita alla salvezza, ci avvolge in un amore accogliente e trasformatore.
    Questo è il fatto che la fede ci rivela. Non si realizza una volta per sempre, ma continua nel ritmo quotidiano della storia. Gesù di Nazaret è la presenza di Dio che salva; in lui, tutta la nostra vita è segnata da questa presenza.
    Questo «fatto» misterioso si realizza e si comunica attraverso segni e simboli. Non si può fare altrimenti: perché Dio è sempre «mistero» grande, invisibile e ineffabile. Gesù di Nazaret è il grande «simbolo» della presenza di Dio; in Gesù la vita umana partecipa della stessa forza simbolica.
    Per dire chi è Dio per noi, utilizziamo «parole» della nostra esperienza quotidiana. Lo chiamiamo «padre». Affermiamo che è «amore». Riconosciamo che è «vicino».
    Come per comunicare non usiamo le cose ma i segni, così non possiamo immaginare di trascinare il mistero di Dio «davanti» a coloro cui annunciamo questa bella notizia. Utilizziamo, anche in questo caso, dei segni e dei simboli.
    Qualche volta sono solo dei segni. Manca il coinvolgimento e la forza evocativa. E dobbiamo fermarci a spiegare e a commentare.
    Altre volte, per fortuna, scegliamo la strada della convivialità e della condivisione e la forza evocativa diventa travolgente.
    Basta pensare alla parabola del buon samaritano, per cogliere il differente livello di rivelazione di Dio, presente nelle parole del dottore della legge e quello evocato da Gesù nella figura del samaritano che si piega a curare le ferite di quel poveretto sorpreso dai briganti.
    La dimensione simbolica della vita cristiana non riguarda solo il gesto rivelatore di Dio.
    Essa investe anche la risposta dell'uomo a questo invito.
    Dio ci chiama alla salvezza e noi diciamo la nostra decisione di accogliere il suo dono o di rifiutarlo.
    Non lo facciamo, dicendo sì oppure no; e neppure dicendo «Signore, Signore». Lo facciamo con la vita: nel ritmo delle ventiquattro ore del nostro quotidiano. Facciamo gesti, diciamo parole.
    Tutto questo si porta dentro il mistero della nostra libertà che si piega all'accoglienza di Dio che ci chiama. I gesti e le parole che pronunciamo sono i simboli di quello che riempie il nostro cuore e che altrimenti resterebbe indicibile: la voglia di essere figli di Dio o la pretesa suicida di arrangiarci da soli.

    La sacramentalità della vita quotidiana

    Un'espressione è diventata comune tra i cristiani per dire tutto questo: la sacramentalità. «Sacramento» è infatti una parola latina che traduce quella greca «simbolo». Dire sacramentalità è come dire «un mondo di simboli».
    La consapevolezza di questa sacramentalità «diffusa» nella vita quotidiana rappresenta una svolta importantissima nel modo di pensare, progettare e vivere la vita cristiana. La sacramentalità non riguarda frammenti del quotidiano; investe invece tutta la vita quotidiana. Siamo passati infatti dalla visione, un po' riduttiva, di alcuni «sacramenti» destinati a rendere presente Dio nella nostra vita, alla scoperta gioiosa che Dio riempie della sua presenza tutta la nostra vita, in modo sacramentale.
    Nella vita quotidiana quello che si vede e si manipola non è tutta la sua verità. Quello che costatiamo, siamo e produciamo della nostra vita, è veramente «nostro», frutto della fatica del nostro esistere. In esso però è presente un evento più grande, che ci permette di essere quello che siamo. Quello che si vede è la nostra umanità, che possiamo descrivere nella nostra sapienza e accogliere come evento di libertà e di responsabilità; il mistero che ogni visibile si porta dentro è costituito dalla presenza salvifica di Dio, che confessiamo nella fede. Il fondamento è Gesù di Nazaret. Egli è il grande sacramento della presenza di Dio che ama e salva. Lo è nella grazia della sua umanità. Per questo, la nostra umanità fa da sacramento a Dio: nel ritmo di Dio che si fa vicino all'uomo e in quello correlativo dell'uomo che accoglie il dono e cerca di farsi vicino a Dio.

    I sacramenti in senso stretto

    Nell'esistenza cristiana possediamo una serie di eventi che esprimono una sacramentalità tanto originale che nel linguaggio abituale si riserva spesso solo ad essi la qualifica di «sacramenti».
    Secondo la tradizione ecclesiale sono la Parola «scritta» di Dio, la Chiesa come luogo di una comunione oltre «la carne e il sangue» (come dice una bella pagina del Vangelo di Giovanni: Gv 1,13) e soprattutto i sette sacramenti.
    I sacramenti non aggiungono nulla a quella presenza e vicinanza di Dio che percorre diffusamente la vita d'ogni uomo. E nemmeno possono essere considerati, come qualche volta è stato fatto, secondo un modo un po' magico di comprendere l'azione di salvezza di Dio. Però è importante riconoscere che nei sacramenti si realizza un evento specialissimo della grazia di Dio.
    Esiste un rapporto tra sacramentalità diffusa e sacramenti? Non bastano le affermazioni generiche; è necessario precisare i termini. Tento qualcosa nel paragrafo seguente. Intanto però è importante capirci bene sul problema. La questione del rapporto tra sacramentalità della vita quotidiana e sacramenti in senso stretto, è recente. In qualche modo, affiora solo in quelle proposte di spiritualità che cercano di prendere sul serio la vita quotidiana, per scelta teologica.
    In altre esperienze spirituali il problema non c'è, perché è risolto eliminando uno dei due elementi in gioco.
    La teologia tradizionale e, di conseguenza, la spiritualità legata ad essa, non si poneva il problema, perché i sacramenti in senso stretto erano compresi a partire da una decisa contrapposizione tra sacro e profano, tra le realtà trascendenti e quelle immanenti. Per questi modelli teologici, il mondo della trascendenza è quello che riguarda direttamente il mistero di Dio e quei gesti, parole e interventi che cercano di raggiungerlo. Il mondo dell'immanenza è invece quello della nostra esistenza quotidiana, dove l'uomo s'arrabatta, solitario, nel labirinto delle opere delle sue mani.
    Il mondo della trascendenza è quello tipico dei sacramenti in senso stretto. Quello della nostra vita quotidiana è invece il mondo dove Dio è assente, lontano, estraneo. Se vogliamo incontrare Dio dobbiamo avere il coraggio di abbandonare progressivamente tutto quello che ci lega a questa esperienza troppo condizionante per accedere alla libertà del mistero. Ci sono dei cristiani coraggiosi che fanno il grande balzo in avanti e «abbandonano tutto» per incontrare Dio. Cambiano dimora; diventano così la gente della trascendenza.
    Gli altri purtroppo devono continuare a fare i conti con le cose di tutti i giorni. Si ritagliano però qualche spazio privilegiato dove, ad intervalli regolari, cercano d'incontrare il loro Dio: i sacramenti, la liturgia, la preghiera. Questi (e solo questi) sono i tempi sacri dove Dio opera la salvezza inondando il mondo «profano» (quello dell'immanenza) della sua grazia.
    Oggi, molti cristiani sono vittime della soluzione contraria. Mettiamo tra parentesi i sacramenti in senso stretto o li riduciamo ad una specie di avventura di gruppo (pensiamo ad alcune celebrazioni dell'Eucaristia) o a qualche ritualità che ci vuole per ragioni sociali (la celebrazione «in chiesa» del matrimonio, altrimenti... cosa dice la gente), tutti presi dalla centralità della vita quotidiana e del bisogno di fare solo i gesti che hanno senso all'interno delle sue logiche verificabili e un po'... politiche.

    LA PROPOSTA DI UN MODELLO TEOLOGICO

    Non è facile dire quale rapporto collega la presenza di Dio nella vita quotidiana e la presenza speciale, tipica dei sacramenti. Questo infatti è uno degli ambiti in cui le nostre parole sapienti denunciano il loro limite. La mia proposta è una specie di racconto della storia vissuta in questi anni, costruito cercando soprattutto espressioni evocative, per immergerci nel mistero con le formule dell'amore, della poesia e del sogno.

    L'ipotesi di fondo

    I sacramenti non sono avvenimenti separati dalla nostra vita quotidiana. Risentono di conseguenza e partecipano di quella sacramentalità diffusa che la caratterizza. Sono un pezzo di vita, pieno della presenza di Dio che chiama alla salvezza e un pezzo di quella vita attraverso cui noi ci decidiamo per il dono della vita nuova che Dio ci offre.
    Tutta la vita è, in qualche modo, «mezzo» di salvezza: segno che chiama alla salvezza e sostiene la nostra risposta.
    I sacramenti hanno una funzione speciale. Ci siamo ormai abituati a considerarli «celebrazioni» della salvezza: una festa speciale, capace di concentrare in un avvenimento particolare quello che percorre il ritmo normale della vita.
    Pensiamo, ancora un volta, ad una esperienza della nostra vita quotidiana. Quando due persone si vogliono bene, tutta la loro vita è una trama continua d'amore. I gesti concreti che la pervadono manifestano qualcosa che sta sotto tutta l'esistenza e tutta la percorre come in filigrana. Se non fosse così, parole e gesti sarebbero falsi: da ricacciare come il peggiore degli imbrogli.
    Qualche volta, le persone che si amano sono costrette a restare lontane. Non conta né la distanza né il tempo. L'amore ha ritmi, logiche, misurazioni tutte sue. Finalmente si realizza l'incontro tanto atteso e sognato. Le due persone sono l'una nelle braccia dell'altra. L'amore sta dentro la vita. Non si è spento nonostante l'attesa. Adesso finalmente esplode, in tutta la sua forza.
    Quell'abbraccio prolungato e le due lacrime che solcano il viso sono una esplosione simbolica di un amore diffuso e persistente.
    Altre volte, purtroppo, una nube ha velato l'amore. C'è il greve sapore del tradimento. Qualcosa sembra frantumarsi. Poi ci si riprende. L'abbraccio spegne la paura e il sorriso ritorna. Anche questo è un sacramento: una riconciliazione manifestata nel gesto, che esprime la gioiosa fatica della riconciliazione ricostruita nel tessuto della vita.
    Questi sono i sacramenti della vita cristiana rispetto alla sacramentalità che percorre tutta la vita cristiana.

    L'esplosione simbolica

    Ho cercato una espressione per dire in modo evocativo tutto questo. Ne ho trovato una un po' strana: «esplosione simbolica». I sacramenti in senso stretto sono come una «esplosione simbolica» della sacramentalità diffusa.
    Il simbolo è un intreccio di cose e di significati. Il bacio è una «cosa»; L'amore è il suo significato; il pane è una cosa, quando esso viene spezzato e condiviso, diventa esperienza di amore.
    Spesso il significato resta misterioso, perché le cose sono «mute» per uno dei due interlocutori. Le ragioni di questo silenzio possono essere molte: la realtà di cui si vuole parlare è indicibile o è passibile di diverse e svariate comprensioni o sfugge all'attenzione pratica dell'interlocutore.
    Il silenzio è infranto quando si pone un segnale, dotato soggettivamente di maggiore espressività, per convenzione sociale, per particolare forza evocativa, per costitutiva capacità.
    Questo segnale rende «più» presente il significato delle cose, perché toglie il velo di opacità che le nasconde agli occhi distratti dell'uomo e le fa così esplodere in tutta la loro forza interpellante e propositiva. In questo modo, il silenzio è rotto. La parola pronunciata risuona, alta e interpellante, costringendo ad una scelta personale.
    Il sacramento aggiunge o non aggiunge qualcosa a quello che è già diffusamente nella vita quotidiana?
    Per rispondere, devo invitare a superare un atteggiamento purtroppo molto diffuso. Noi ragioniamo in termini di quantità. Se ho cento lire in tasca e un amico me ne regala altre mille, ho aggiunto qualcosa al capitale. Se siamo catturati da questa logica, non riusciamo a capire la funzione dei sacramenti rispetto alla sacramentalità diffusa. Cosa aggiungono? La mia risposta è: nulla. La salvezza di Dio riempie già totalmente la vita quotidiana. Ripensiamo invece all'amore, per passare dalla logica quantitativa a quella qualitativa. Quando i due innamorati si incontrano, dopo un periodo di assenza, cosa capita di diverso nella loro vita? L'incontro e la vicinanza «aggiunge» davvero qualcosa al loro amore. Lo rende vivo, più intenso... c'è quasi una verifica che riporta verso il passato e rilancia verso il futuro, quando ci si separerà un'altra volta.
    Per questo, sono convinto veramente che il sacramento aggiunge qualcosa di profondamente nuovo e originale alla sacramentalità diffusa. Il sacramento è un evento specialissimo della grazia di Dio. Celebrando questa presenza, è infranto il velo del silenzio. La voce di Dio risuona solenne come esperienza di salvezza. Senza questo evento, il silenzio renderebbe vano e inefficace il dono.
    L'uomo distratto resterebbe, triste e solo, fuori da ogni personale esperienza di salvezza.

    Dio è protagonista speciale

    C'è un'altra dimensione importante da ricordare. Tutta la tradizione cristiana lo dice con forza. E sarebbe grave dimenticarsene, presi dal fervore di immaginare prospettive un po' diverse dal solito.
    Normalmente il rapporto tra cosa e significato è un puro gioco di intenzionalità. Nel ricordo o nel gioco linguistico «facciamo finta» di realizzare qualcosa di nuovo. Ma è solo un modo di fare che non cambia la realtà delle cose. Chi è lontano resta lontano; il silenzio continua ad avvolgere la realtà; ciascuno è inesorabilmente alle prese con i suoi limiti e le sue responsabilità.
    La tradizione cristiana afferma invece che nei sacramenti Dio è presente realmente ed agisce efficacemente.
    L'amore investe la vita di due persone, la percorre tutta come una specie di trama sotterranea. Un giorno però i due innamorati immergono il loro amore nel mistero di Dio, celebrando il sacramento del matrimonio. Si realizza un misterioso cambio di protagonista. Dio diventa il protagonista principale, che restituisce una dimensione nuova all'amore che riempie quelle due vite e lo sprofonda in una lunga storia d'amore in cui c'entra persino Gesù, la Chiesa, tutti gli altri uomini.
    Di sicuro, Dio è protagonista in ogni amore umano, come lo è per tutta l'avventura della vita. Di solito però resta tra le quinte, soffocato dalla nostra voglia di protagonismo. Celebrando il sacramento, lo riconosciamo, gli facciamo spazio, ci affidiamo a lui. Lo dice bene una bella espressione del Vangelo che abbiamo ricordato tante volte nel nostro cammino: «Quando un servo ha fatto tutto quello che gli è stato comandato, il padrone non ha obblighi speciali verso di lui. Questo vale anche per voi! Quando avete fatto tutto quello che vi è stato comandato, dite: Siamo soltanto servitori. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare» (Lc 7, 10).
    Faccio un altro esempio.
    Cerchiamo di riconciliarci con noi stessi e i nostri fratelli, perché abbiamo scoperto di non poter più vivere divorandoci reciprocamente. Lo facciamo a piccoli gesti, con fatica e trepidazione. Poi, ogni tanto, ci immergiamo in Dio. La nostra fatica di vivere nella riconciliazione è assunta da Dio. Lui ci riconcilia a sé e ci rende capaci di vera riconciliazione con gli altri.
    Gli esempi servono a dire, in modo povero, quello che i cristiani hanno sempre riconosciuto con forza: nei sacramenti Dio è presente realmente ed agisce efficacemente. Sono qualcosa «oltre» la presenza diffusa, perché «celebrano», in una esplosione di significato, quello che avviene sempre e dappertutto.

    Sacramenti e comunità ecclesiale

    I sacramenti ci fanno scoprire la comunità ecclesiale come il soggetto, storico e visibile, del dono della salvezza ad ogni uomo e della sua capacità di, accoglienza. E ci fanno scoprire che la comunità ecclesiale è essa stessa un grande sacramento di salvezza. Essa esiste perché è questo dono e perché l'uomo è stato fatto capace di accoglierlo.
    Lo sappiamo bene: i sacramenti non sono «la» salvezza; sono la festa della salvezza. Celebrando il dono di Dio, lo scopriamo prezioso per noi e ci aiutiamo reciprocamente ad accoglierlo.
    Sperimentando qualche frammento di vita nuova nella comunità ecclesiale, in compagnia dei tanti amici che con noi la cercano, la costatiamo più vicina, più rassicurante: ci sentiamo più immersi nella vita nuova che ci è donata.
    Attraverso i sacramenti, la comunità ecclesiale si proclama davanti al mondo come il luogo in cui Dio gratuitamente opera la salvezza per tutti e testimonia la reale possibilità di vivere la vita quotidiana come accoglienza di questo dono. Denuncia la presunzione di poter vivere senza la salvezza di Dio, ricordando ad ogni uomo che egli è debitore, in tutto e per tutto, all'amore di Dio che gli si dona in Gesù Cristo. Mette la responsabilità personale al centro di ogni incontro di salvezza, perché riconosce di essere essa stessa esito della salvezza di Dio. Rassicura la timida speranza dell'uomo che invoca salvezza, perché propone in modo autorevole le fonti sicure dell'azione salvifica di Dio. Celebrando i sacramenti per la vita e la felicità dell'uomo, la Chiesa esiste come comunità di fede e di salvezza: il Dio di Gesù si fa vicino alla inesauribile fame di vita e di felicità di ogni uomo e, nel gesto concreto e verificabile della Chiesa, lo assicura sul dono, insperato e gratuito.

    Celebrare i sacramenti è confessare il mistero per riempire di speranza la vita

    Abbiamo una pessima abitudine. Essa è la radice e la causa di tante situazioni tristi che ogni giorno costatiamo.
    Noi pensiamo di risolvere da soli tutti i nostri problemi. E siamo convinti che se non ci siamo ancora riusciti, è solo questione di saper aspettare, di impegnarsi un po' di più, di far spazio a qualcuno che, presto o tardi, arriverà a mettere a posto tutto. Questo potrebbe essere vero in molti casi. Ma non è assolutamente la costatazione più vera e autentica. Nella nostra esistenza ci sono limiti invalicabili. Non dipendono dal tempo; dipendono da quello che noi siamo.
    Rappresentano, in fondo, la verità di noi stessi. Sono, alla fine, il nostro bello, se riusciamo ad accettare la situazione con gioia e consapevolezza. Mi spinge a pensare in questo modo una bella pagina del Vangelo, su cui abbiamo meditato tante volte.
    «Quando arrivarono in mezzo alla gente, un uomo si avvicinò a Gesù, si mise in ginocchio davanti a lui e disse: Signore, abbi pietà di mio figlio. È epilettico e quando ha una crisi spesso cade nel fuoco e nell'acqua. L'ho fatto vedere ai tuoi discepoli, ma non sono riusciti a guarirlo. Allora Gesù rispose: Gente malvagia e senza fede! Fino a quando dovrò restare con voi? Per quanto tempo dovrò sopportarvi? Portatemi quel ragazzo. Gesù minacciò lo spirito maligno: quello uscì dal ragazzo, e da quel momento il ragazzo fu guarito.
    Allora i discepoli si avvicinarono a Gesù, lo presero in disparte e gli domandarono: Perché noi non siamo stati capaci di cacciare quello spirito maligno?
    Gesù rispose: Perché non avete fede. Se avrete tanta fede quanto un granello di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, e il monte si sposterà. Niente sarà impossibile per voi» (Mt 17, 14-20).
    Ai discepoli, sconfitti e impotenti, Gesù non suggerisce un rimedio più efficace, non raccomanda una dose più alta di impegno, non chiede un supplemento di aggiornamento... Sposta l'angolo di prospettiva. Li trascina dentro il mistero. Solo lì, i gesti poveri diventano potenti. Nel mistero della fede, riconosciamo che tutti i nostri impegni sono utili, necessari, irrinunciabili... e poi, alla fine, incapaci di produrre ciò che speriamo.
    Tutto questo ci aiuta a scoprire l'importanza dei sacramenti nella vita quotidiana di un cristiano. Sono un'immersione di fede nel mistero di Dio, per essere «sicuri» dell'esito delle nostre fatiche.
    L'impegno quotidiano di amore, di pace, di servizio, di riconciliazione è importante, irrinunciabile... per non ridurre i sacramenti a riti vuoti e un poco magici. Ma tutto questo non è sufficiente. Senza l'immersione nel mistero di Dio, che i sacramenti assicurano sul piano celebrativo, resteremmo con i nostri problemi e con i nostri tentativi poveri e parziali.
    È importante scoprirlo bene.
    Celebrare i sacramenti è confessare il mistero per riempire di speranza la vita sul piano della realizzazione e non su quello dell'interpretazione.
    Possiamo fare tante cose preziose. Sono importanti. Ma non bastano a fondare la speranza. L'eventuale riferimento a Gesù le lascerebbe inesorabilmente nella loro precarietà se non ci fosse qualcosa di più radicale e consistente.
    Cerco di spiegarmi con un esempio.
    Il bacio che due persone si scambiano può avere tanti significati. Si va dal tradimento di Giuda all'indifferenza di certi nostri modelli culturali, dall'espressione di un egoismo che sfrutta l'altro alla manifestazione di un affetto intenso e duraturo. Quel gesto concreto di significati ne ha però uno solo. Gli altri sono significati possibili solo sul piano ipotetico. Per evitare cattive interpretazioni del gesto, chi lo pone ha la responsabilità di precisarlo. Il contesto e la dichiarazione delle intenzioni orientano l'attenzione verso il significato autentico del gesto: lo svelamento dà, in qualche modo, le ragioni del gesto. Non è questa la logica dei sacramenti. Essi fondano la speranza non perché danno il significato di gesti che altrimenti resterebbero senza un senso preciso. Fondano la speranza perché la realizzano.
    Non si tratta di dare l'interpretazione corretta ad un gesto che è già carico del suo valore. Al contrario, nessun nostro gesto può essere sufficiente a fondare la speranza, se è vero che la radice più profonda della nostra disperazione sta nella violenza della morte, contro cui siamo radicalmente impotenti. Abbiamo bisogno di costruire la speranza, andando all'unica radice sicura.
    Tutto questo resta mistero grande, sottratto alla nostra pretesa di esprimerlo con parole sapienti e convincenti. Viene dal silenzio e si immerge continuamente nel silenzio. È un fatto però che sta prima delle parole con cui lo proclamiamo. L'interpretazione. non è, sul piano delle selezioni di un significato tra i tanti possibili. Essa è fondamentalmente riconoscimento e confessione.
    Celebrando i sacramenti noi non consegniamo a Dio quello che invece dipende dalla nostra responsabilità. Diciamo invece tutta la nostra voglia di intervenire, cambiare, rimettere le cose fa posto. Riconosciamo però che non siamo noi i padroni di questa trasformazione dalla parte della vita. Il protagonista indiscusso è il Dio di Gesù. Solo lui può cambiare il nostro cuore di pietra in un cuore di carne (Ezech 11, 19) e può far nascere figli di Abramo anche dalle pietre (Lc 3, 8). Per questo gli affidiamo quello per cui ci impegniamo e gli affidiamo l'esito della nostra fatica.


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