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    Mario Delpiano

    (NPG 1995-08-59)


    PREMESSA

    La lettura analitica della realtà giovanile attuale, della qualità della domanda di giovani che si orientano per il servizio civile, i problemi che rimbalzano dalla formazione dei giovani obiettori, evidenziano una serie di elementi importanti con i quali occorre in ogni caso fare i conti, prima di attivare qualunque processo.
    Li richiamiamo sinteticamente.
    È stata evidenziata una tendenza che appare a prima vista carica di contraddizione: una visibile e consistente caduta della tensione della cultura dell'obiezione e antimilitarista in sé, rispetto al passato delle ideologie, proprio a fronte di una crescita in progressività, si direbbe quasi geometrica, della richiesta di un servizio civile alternativo a quello militare da parte di una sempre più consistente fetta del mondo giovanile. Si tratta di uno svaporamento della cultura della nonviolenza, certo almeno la caduta di una tensione ideologica e totalizzante in un tempo di pensiero debole, ma anche in un tempo di cambio culturale in cui i comportamenti marginali e trasgressivi diventano comportamenti di massa mentre perdono in qualità e coscientizzazione.
    Ciò che è prevalente e dominante nei giovani che guardano all'obiezione è la scelta, anche abbastanza funzionale, pragmatica e davvero poco ideologizzata nella maggioranza, come peraltro si verifica in tanti altri settori dei comportamenti giovanili, di rendere un servizio utile e significativo alla società attraverso il loro Servizio Civile, anche perché appare sempre più svuotato di significati ricuperabili alla soggettività il cosiddetto «servizio militare». È conseguente e connessa a quanto detto anche la scelta della obiezione al servizio militare come via di soluzione possibile e prammatica.
    Essa infatti appare sempre più come via alternativa ad un servizio militare ritenuto per lo più inutile, insignificante, perditempo e socialmente, oltre che anzitutto soggettivamente, poco significativo.
    Anche presso i formatori degli enti educativi è ritenuta centrale e di fatto anche prevalente la preoccupazione per la formazione ad un servizio civile educativo in qualità, più che non uno scavo della cultura dell'obiezione di coscienza e della scelta della nonviolenza.
    Questa tendenza la possiamo ricavare anzitutto dai dati personalmente raccolti riguardo ai formatori: sono pochi coloro che sono consapevoli di possedere anzitutto sensibilità e poi anche competenza per divenire formatori alla nonviolenza e all'obiezione di coscienza al servizio militare.

    ALCUNE LINEE DI UN PROGETTO DI FORMAZIONE ALLA OBIEZIONE E ALLA NONVIOLENZA

    Non ho la pretesa di stilare gli elementi caratteristici di un progetto formativo al riguardo; esso dovrebbe contemplare i seguenti momenti: la recensione dei bisogni, la definizione degli obiettivi, l'identificazione delle risorse e dei processi, la loro articolazione in itinerario. È un lavoro che rimane tutto da compiere.
    Indico solo alcuni «orientamenti» da condividere, in base ai quali poter lavorare in termini di progettazione formativa. Li raccogliamo di seguito.

    Risalire dal programma o dalle unità didattiche esistenti al progetto formativo

    Dal momento che si tratta di «formazione della coscienza» ad una cultura di nonviolenza e alla conseguente rielaborazione del concetto stesso di difesa civile (per esempio le unità sulla difesa popolare non violenta), sono convinto che il progetto formativo non può coincidere né ridursi alla solita programmazione di unità didattiche e alla gestione della sola informazione intorno all'obiezione e alla nonviolenza.
    Formare all'obiezione di coscienza è anzitutto progettare una formazione all'identità personale, sociale e culturale che ritrovi nel riferimento ai valori (spesso alternativi a quelli circolanti anche negli ambienti educativi) e nella trascrizione di questi valori in corrispondenti atteggiamenti personali (i veri e propri «obiettivi educativi» della formazione) la dovuta centralità.
    È dunque qualcosa che si spinge oltre la semplice informazione e la elaborazione linguistica di contenuti di conoscenza o di tradizioni culturali per quanto innovative e alternative.
    È qualcosa che chiama in causa l'esperienza quotidiana di vita del giovane obiettore.

    Partire dal «servizio educativo» per ricuperare l'obiezione e la nonviolenza

    L'area dell'obiezione e della non-violenza non può ordinariamente divenire l'area principale e tanto meno quella di partenza, e perciò quella cui assegnare la priorità cronologica nella formazione.
    Assumere sul serio la situazione reale di partenza dei giovani, anche la qualità della motivazione degli obiettori al servizio, vuol dire saper scommettere nella possibilità di giungere alla cultura della obiezione di coscienza e della scelta della nonviolenza proprio a partire dal servizio educativo.
    Per questo crediamo che quest'area sia più un punto di arrivo che un punto di partenza, un obiettivo di livello avanzato che non un obiettivo minimale di partenza.
    Mi sembra infatti che oggi l'obiezione e la nonviolenza possano essere ricuperate alla coscienza soggettiva del giovane proprio lavorando e scavando in profondità la «cultura del servizio educativo e della solidarietà» che invece appare più elaborata in termini motivazionali e di consapevolezza.
    Il tema del servizio educativo apre infatti, proprio attraverso il tema della relazione educativa con la conflittualità della differenza che essa comporta, la prospettiva di una «relazionalità nonviolenta» da vivere con gli altri, ed appare perciò, soprattutto per tanti animatori, la via che apre alla cultura della nonviolenza.
    Tutto ciò non toglie che il periodo formativo prima dell'ingresso in servizio sia un tempo privilegiato per un primo contatto ed una prima sintesi personale con la cultura che motiva radicalmente l'obiezione alle diverse forme di militarismo e di vie militari alla pace.

    Un'area formativa che va gestita dentro il modello formativo individuato

    In coerenza con l'impostazione di fondo delle linee del progetto formativo delineato precedentemente, anche in quest'area tematica va assicurata quella centralità del soggetto rappresentato dal giovane che intende fare l'obiettore.
    Anch'essa deve poter assicurare il protagonismo del processo formativo che lo fa divenire autoformazione.
    Diversamente ci ritroveremmo a gestire né più né meno che itinerari scolastici di apprendimento verso i quali i giovani attuali manifestano saturazione e insoddisfazione.

    Quando la «prevenzione» supera la categoria della «difesa»

    Sono convinto della possibilità che sia identificabile uno spazio creativo di elaborazione di cultura dell'obiezione e della nonviolenza tutto originale; e ciò proprio a partire da quello spazio peculiare che è rappresentato dal servizio nell'educativo e che apre ad una prospettiva diversa e ulteriore sulla realtà, rispetto alla cultura nonviolenta.
    Non che la cultura dell'educativo non abbia nulla da imparare e da rivedere al suo interno rispetto alla cultura dell'obiezione e della pace. Anzi, ne ha estremamente bisogno. Ma il suo incontro e interscambio con essa può permettere a quest'ultima di intravvedere nuove strade, forse molto meno élitarie e più quotidiane: un contributo provocante che dalla cultura dell'educativo rimbalza sul concetto di «difesa non violenta» fino al superamento del concetto di «difesa» tout court.
    La tradizione educativa entro cui ci collochiamo, e che oggi identifichiamo attorno al termine di animazione culturale, tematizza proprio il concetto di «prevenzione» ben al di là della categoria di «difesa».
    Oggi peraltro l'educazione ha dilatato e articolato il concetto di «prevenzione» in primaria, secondaria e terziaria, e rielaborato dalle scienze umane, dalla prassi educativa stessa e dalla nostra scelta di animazione anche in termini di «promozione» dell'altro.
    In questo senso dalla cultura del servizio educativo può nascere una alternativa o almeno un superamento, sempre sul piano culturale e prassico, della stessa «cultura della difesa», sia essa anche concepita come difesa non-violenta.
    In questa direzione l'esperienza del servizio educativo, provocato dalla cultura dell'obiezione di coscienza e dalla cultura non violenta, si riesprime esso stesso in cultura educativa della pace quale alternativa praticabile ad una cultura che spesso resta ancora prigioniera, perché gioca in retroguardia anziché di avanguardia, di «categorie di guerra e di violenza», magari mascherate.
    Da chi difendersi, infatti, se scompare dell'orizzonte etico ed educativo la categoria del nemico?
    Sono solo intuizioni da sviluppare. In questa direzione c'è ancora tutto da elaborare e da tematizzare... anche se sono consapevole che la prassi educativa quotidiana ha forse già superato l'elaborazione concettuale e l'autocoscienza comune.

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