Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    Obiezione di coscienza e Servizio civile alternativo. Implicanze formativo/educative


    Carlo Nanni

    (NPG 1995-08-64)

    Cosa comporta dal punto di vista formativo la scelta dell'obiezione e l'esercizio del servizio civile? Quali sensibilità e processi formativi attivare, quali cambi e quali strategie metodologiche sono preferibili per maturare nei giovani la sensibilità ad una cultura della pace e della non violenza attraverso la scelta dell'obiezione di coscienza alla guerra eal servizio militare e la conseguente scelta di servizio civile tra obbligatorietà e gratuità volontaria?
    Cosa vuol dire e cosa implica tutto ciò in prospettiva pedagogica? Cosa fare per educare i giovani a queste modalità antropologiche e civili?
    Sono questi alcuni interrogativi che mi sono posto e che sono sottesi alle riflessioni che seguiranno.

    TRA OBIEZIONE DI COSCIENZA E UTOPIA DI UNA SOCIETÀ PACIFISTA

    Il riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza nei riguardi del servizio militare e l'alternativa ad essa di un servizio civile sostitutivo, avutosi in Italia con la legge n. 772 del 1972, ha sanato situazioni che per la loro crescente generalizzazione diventano veramente incresciose personalmente e disagiate civilmente.
    In pari tempo ha segnato un passaggio certamente significativo nel processo di civilizzazione della nostra società.
    Che non fosse la migliore delle leggi e che, dopo oltre vent'anni, una legge migliorativa non riesca a decollare, dice a suo modo quanto ancora di resistenza e di difficoltà a capire il fenomeno ci sia a livello di opinione pubblica e a livello di prospettazione politica della vita sociale. Sono infatti già da quattro legislature che si discute della proposta di legge recante «Nuove norme in materia di obiezione di coscienza». E chi lamenta un forte tasso di insensibilità per certe questioni sociali da parte della classe politica non sembra del tutto esagerato.
    È pur vero forse che una certa problematicità, intrinseca e congiunturale, si accompagna all'intera questione.
    Cercherò di spiegarmi.

    L'obiezione e le sue motivazioni

    Tradizionalmente l'obiezione di coscienza ha voluto significare la radicale trascendenza del soggetto e della sua coscienza morale di fronte all'assetto societario in genere e/o in particolare rispetto a leggi che ne regolano la vita e le relazioni inter-individuali e collettive.
    Indirettamente essa si pone contro l'ingiustizia: quella stessa della legge, che essendo universale nella sua dichiarazione non tiene conto degli aspetti e degli ambiti particolari, personali, concreti della vita umana; oppure contro quella di giudizi carenti o incapaci di interpretare la legge o eticamente corrotti nel pronunciare giudizi; o finalmente contro chi ha instaurato delle leggi per imporre o conservare un suo potere oppressivo, dominativo, ingiusto o comunque negativo al vivere sociale.
    Una dimensione di contestazione è quindi intrinseca all'obiezione.
    Più specificamente nell'obiezione al servizio militare c'è un forte tasso di contestazione nei confronti della legge della coscrizione obbligatoria e ultimamente di un apparato, qual è quello militare, predisposto alla guerra.
    Le motivazioni per tale presa di posizione sono sempre state molteplici. Da quelle religiose contro la pretesa di diritto di vita e di morte nei confronti dei suoi cittadini ridotti a sudditi (mentre si crede che la vita è di Dio) e contro l'idolatria di uno stato onnipotente che si pone sopra di tutto e tutto domina (sostituendosi a Dio).
    Ma oltre che contro la statolatria, di cui il servizio militare è visto come apparato coercitivo e stabilizzante, l'obiezione è contro l'uso della guerra per regolare i rapporti tra le nazioni e tanto più contro l'apparato militare visto come mezzo offensivo e dominativo di altri popoli, vale a dire strumento di imperialismo, di razzismo, di colonialismo, di sfruttamento socio-economico.
    Più comunemente infine l'obiezione è contro un servizio militare che diventa strumento di uccisione, stragi, violenze, oppressione di altri uomini edonne, senza alcun rispetto della vita personale e contro l'ideale di una radicale fratellanza dei popoli, di una fondamentale uguaglianza umana e del diritto alla vita e alla non violazione di essa che ognuno radicalmente ha.

    Il servizio civile

    L'obiezione di coscienza al servizio militare trova nella proposta e nella possibilità del servizio civile per un verso un suo sbocco positivo, ma per altro verso può anche significare e dare adito ad una riduzione della forza morale dell'obiezione.
    Per un verso infatti sembra che si passi dal momento puramente contestativo a quello propositivo, dall'affermazione negativa alla proposizione positiva.
    Ma per altro verso, venendo posto come alternativa al servizio militare, il servizio civile sembra riportare l'obiezione al piano di una modalità alternativa di collaborazione alla vita sociale. Dandosi come un modo di partecipare alla difesa della patria, che la nostra Costituzione pone come un dovere di ogni cittadino (Costituzione a. 52), sembra elidere l'affermazione contestativa alla globalità del modo di intendere e di realizzare la vita sociale, che c'è nell'obiezione di coscienza al servizio militare.
    Una volta che la questione è riportata entro i termini di un doppio canale di realizzazione di tale dovere costituzionale, c'è il rischio che l'utopia o meglio l'ideale di una convivenza sociale improntata ad un quadro valoriale pacifista e non-violento (e l'ideale di un modello di sviluppo per il futuro dell'intera umanità in questa linea) venga del tutto o quasi messo a tacere o perlomeno fatto acquietare nella sua spinta contestativa: quasi che, avendo ottenuto di non fare obbligatoriamente il servizio militare, non c'è più motivo di agitarsi oltre.

    LA PROBLEMATICA ATTUALE

    Considerata come legittima e non più illegale, proponibile da chiunque senza troppe sofferenze soggettive e civili, l'obiezione antimilitarista da fenomeno di élite è divenuto fenomeno generalizzato, quasi di «massa»
    In tale situazione è scontata una certa differenziazione nelle motivazioni, non più necessariamente legate a doppio filo all'ideale pacifista e non violento, come era nella fase «storica» dell'obiezione.
    Ma una certa diminuzione della tensione etica, oltre che dalla legalizzazione dell'obiezione e dalla possibilità del servizio civile alternativo, viene anche dalle movenze attuali della cultura. È quella che ho denominato all'inizio la «problematicità congiunturale».

    Obiezione e soggettività contemporanea

    Il consumismo tende a destrutturare il tempo e quindi a far perdere i collegamenti storici e la tensione di continuità e di progettualità per il futuro da costruire.
    Più facilmente le scelte si fanno una per una, caso per caso, momento per momento.
    C'è una possibilità «offerta» tra le altre sul «mercato» (caso mai propagandata opportunamente), piace e la si «assume»: senza troppi riferimenti.
    La centralità data ai bisogni e alle aspirazioni soggettive può ugualmente portare a scegliere di fare obiezione semplicemente perché considerata utile o significativa o interessante soggettivamente.
    O magari perché vista come più utile e significativa socialmente, rispetto ad un servizio militare magari visto come troppo massificante, disfunzionale, al limite inutile e «tempo perso» (e certamente coercitivo e violento).
    Ma comunque può succedere che non si vada troppo più in là del soppesato confronto con il servizio militare; e che si ricerchi più il servizio civile che l'obiezione di coscienza; e che a far pesare la bilancia della decisione possano essere la maggiore rilevanza culturale, significatività soggettiva, funzionalità sociale. A patirne o esserne deflazionate sono piuttosto le motivazioni «alte».

    Obiezione e modi politici attuali

    Al limite si può dire che, oltre alle vicende e ai modi soggettivi che caratterizzano la condizione giovanile e globalmente il sentire soggettivo attuale, l'obiezione di coscienza «soffre» anche a motivo dei modi di pensare e vivere l'esistenza sociale, politica, civile ed ecclesiale.
    Detto in altra forma: non c'è in giro molto entusiasmo per l'obiezione di coscienza e per gli ideali pacifisti e non violenti, perché c'è stanchezza generale (magari un certo sospetto o una certa sofferenza) a riguardo del «far politica» (e di quella «troppo ideale» in particolare) nella comunità civile come in quella ecclesiale.
    E per altro verso, di fronte alla incapacità degli organismi internazionali a risolvere «pacificamente» (o per meglio dire «diplomaticamente») i conflitti politici (vedi ad esempio il conflitto Iran-Iraq, la questione del Golfo, la Somalia, la Bosnia); le molteplici guerre dei poveri accese nel mondo (e di cui è persino difficile avere esatto conto); difendere i diritti delle minoranze etniche, religiose, civili... diventa facile per molti pensare a soluzioni militari e svalutare strategie pacifiste e non violente.

    L'ESIGENZA FORMATIVA: TRA FORMAZIONE DELLE COMPETENZE E EDUCAZIONE PERSONALE

    La pratica del servizio civile quasi impone un'azione di formazione.
    Fare il servizio civile richiede competenze specifiche che non si inventano o a cui non si è abilitati «per legge»: specie quando si tratta di operare nel sociale e direttamente a contatto con persone, gruppi, situazioni «speciali», molte volte altamente problematiche.
    Oltre buone capacità di relazione, di interazione, di comunicazione e di animazione, sono necessarie conoscenze specifiche ed interventi tecnicamente qualificati ed appropriati a seconda del tipo di servizio civile a cui si è destinati e che si deve praticare.
    Si intravvede quindi un'azione formativa insieme generale e tecnica, in funzione dell'acquisizione di competenze professionali che permettano di assolvere il servizio. La centralità è data al «servizio» da praticare ed il concetto di formazione soggiacente è quello «tecnico» di abilitazione al ruolo.
    In tal senso si può ben dire che il servizio civile è diventato uno dei «luoghi» della formazione all'interno del si-sterna sociale di formazione.
    Ma forse si può anche dire che esso è (o può essere) anche un «segmento» di quella educazione permanente, sempre più necessaria ad ogni cittadino, per essere uomo o donna all'altezza della complessità e dell'accelerazione del cambiamento e dell'innovazione, che caratterizzano l'esistenza contemporanea.
    In effetti la stessa abilitazione al servizio civile richiede non solo l'apprendimento di conoscenze o di tecniche, ma in qualche modo comporta anche una certa ristrutturazione della mentalità, almeno attraverso un minimo di giustificazione e rafforzamento delle motivazioni che hanno portato al (e sostengono il) servizio civile in alternativa al servizio militare. Ed inoltre richiede l'apprendimento o comunque il rafforzamento di atteggiamenti pro-sociali, connessi con il «servire» la comunità civile (in particolare con un servizio sociale originato dall'obiezione di coscienza).
    Ma l'esigenza di educazione, sia in preparazione che durante il servizio civile, si impone anche per il fatto che l'obiettore è un giovane-adulto ancora largamente impegnato nella strutturazione della propria personalità ed in particolare nella ricerca e nella formazione della propria identità personale, sociale, culturale, religiosa, professionale.
    Al concetto di formazione come abilitazione al ruolo si aggiunge il concetto più classico e pedagogico di formazione come processo di maturazione e di strutturazione delle personali potenzialità di essere e di agire nell'interazione con l'ambiente e con gli altri, all'interno del comune processo di sviluppo e di crescita storica e sociale: un processo che richiede un impegno formativo in prima persona (= autoformazione) per quanto stimolato e promosso istituzionalmente e socialmente (= educazione).
    In tal senso si può affermare come l'obiezione di coscienza e il servizio civile si propongono come un'«occasione» formativa ed educativa, in quanto offrono al giovane la possibilità concreta di portare avanti la formazione personale e quasi impongono di pigliare posizione e di ripensare in maniera decisa il senso da dare alla propria identità sociale e culturale e più largamente alla propria identità personale (e magari anche alla propria identità religiosa e professionale).

    OLTRE LA FORMAZIONE DIRETTA: LE IMPLICANZE DI FORMAZIONE CULTURALE E DI EDUCAZIONE PERSONALE

    L'accentuazione dell'aspetto abilitativo o di quello autoformativo possono portare a due diversi modelli di formazione all'obiezione di coscienza e al servizio civile sia prima che durante il servizio: l'uno più preoccupato della prestazione efficace, l'altro più della formazione soggettiva; l'uno più centrato sull'agire nel sociale, l'altro più sull'essere personale e l'apertura responsabile agli altri e al sociale; l'uno più rispondente alle preoccupazioni di funzionalità e di pace sociale, l'altro più conseguente con la convinzione di una necessaria rigenerazione «educativa» del sociale.
    Ma l'obiezione di coscienza spinge la riflessione pedagogica oltre questa stessa differenziazione di modelli di formazione (che non è certo di poco conto) e oltre la formazione stessa dell'obiettore in vista del servizio civile.
    In effetti, a fissarsi sulla pratica del servizio civile in se stessa e nella sua efficiente ed efficace attuazione, si rischia di limitare molto il discorso.
    Al limite si potrebbe dire che speculari considerazioni formative ci sono (o si dovrebbero avere) anche per il servizio militare. Se venisse effettivamente posto in alternativa alla pari del servizio civile (facendo almeno in parte cadere il carattere di imposizione costrittiva), anch'esso potrebbe esaltare il carattere di «servizio». Allora verrebbero ad evidenza parallele esigenze formative generali e specifiche, abilitative e globalmente riferibili alla formazione di atteggiamenti pro-sociali e personali (rispetto, ad esempio, alla difesa della comunità nazionale, al suo prestigio e alla forza di intervento nel gioco della politica internazionale, ecc.).
    Ma le cose prendono ben altra piega se – più che all'obiezione e al servizio civile – si bada ai contenuti e alle motivazioni-valori che li sorreggono: in forma abbreviata, il pacifismo e la non violenza, e se si pensa ad un'azione (ri)educativa che investe l'intero corpo sociale e spinge a far diventare cultura, mentalità, modello di sviluppo le ragioni del pacifismo e della non-violenza.
    In questa linea – per quanto mi pare di capire – la riflessione pedagogica collegata con l'obiezione di coscienza ha tradizionalmente prospettato l'esigenza di una vera e propria azione educativa intenzionale globale che investa l'intero sistema sociale di formazione e l'intero processo formativo, in alternativa ai modi societari prevalenti di pensare e di attuare l'educazione del corpo sociale in genere e dei singoli cittadini in particolare.
    Tale azione educativa mi pare che trova i suoi punti di concentrazione soprattutto:
    – nella formazione della mentalità, individuale e comunitaria;
    – e nell'educazione della personalità profonda e della condotta personale.

    La formazione ad una mentalità e ad una cultura non-violenta

    Come si è detto, la scelta dell'obiezione antimilitarista è oggi poco compresa a motivo della cultura prevalente nell'opinione pubblica.
    Le ragioni della pace e della non-violenza sono meno comprensibili oggi, forse più che ad esempio negli anni cinquanta, in clima di guerra fredda. Godiamo di una relativa prosperità e tranquillità sociale, tale che anche la guerra «guerreggiata» nel mondo (magari anche vicina a noi e resa «virtualmente» attuale dai mass-media) appare, certo, problema grave, da risolvere, ma che alla fine non ci tocca sulla pelle (per quanto induca angoscia e disagio esistenziale).

    La critica e la vigilanza culturale nei confronti del modello generale di sviluppo

    Un primo ampio spazio di educazione (o forse di rieducazione) della mentalità va nella linea della vigilanza culturale (o, come si diceva nel passato, della critica e del «sospetto») nei confronti della mentalità di fondo che ci viene dalla condivisione del modello di sviluppo prevalente nell'attuale momento storico, nei nostri ambienti di vita e tendenzialmente nel mondo intero.
    In concreto si avrà da lavorare, attraverso una solida e valida azione di informazione, ragionamento, discussione, confronto, dialogo, su una costruzione mentale-ideale, che pur sembra internazionalista, ricercatrice di equità, promotrice di umanità, difensore di libertà, supportatrice di autorealizzazione personale.
    In questa linea a me pare che vadano fatte oggetto di approfondimento alcune caratteristiche che in tale modello di sviluppo sembrano essere preponderanti:
    – un fondamentale economicismo di tipo capitalistico (che porta ad enfatizzare il profitto, più che la risposta ai bisogni personali e comunitari) e in cui diventa dominante il mercato internazionale e le sue esigenze (e non, ad esempio, un equilibrato sviluppo dei popoli);
    – un sottile materialismo (che ricerca quasi solo ciò che è trattabile empiricamente con strumenti tecnici e lascia pochi spazi alla trascendenza, a ciò che è «spirituale»);
    – un forte produttivismo (che esalta la prestazione efficace, più che l'impegno
    secondo le possibilità e i limiti di ognuno).
    In fondo il modello di uomo prevalente è il modello dell'uomo forte, vincente (che concretamente diventa l'uomo maschio, adulto, bianco, occidentale, moderno, ricco, sano, intelligente, autorealizzato). Il dolore, la sofferenza, il limite, diventano tabù, che si cerca di esorcizzare in tutti i modi fino all'ossessione patologica (come si vede in particolare poi nei confronti della morte «vicina» con le case per anziani e con l'«industria del caro estinto»).

    Lo sviluppo critico e in positivo delle ambivalenti tendenze culturali del nostro tempo

    Non solo l'«avere» ancora la vince sull'«essere», ma anche l'«agire», il «produrre» sono «maniacalmente» messi in circolo, rispetto ad ogni radicalità di essere in sé e per sé.
    Alcuni valori e possibilità di vita, pur umanamente degni, vengono poco considerati: la povertà, la semplicità, la purezza, la veracità, la mansuetudine, la longanimità, la fedeltà relazionale, la dedizione gratuita, l'impegno per la costruzione del bene comune, il camminare insieme con gli altri, solidarmente con il proprio popolo e il proprio tempo, umilmente con il proprio Dio, ricercando giustizia e verità (pur facendo parte ormai della mentalità comune il non fare violenza, il non plagiare, l'essere trasparenti e veraci, l'essere «politicamente corretti», ecc.).
    A livello sociale ne può essere considerato corrispettivo il modello dell'imperialismo economico-politico, il fondamentalismo religioso-culturale, la predominanza socio-economica e il regime di concorrenza «spietata» nelle relazioni tra popoli, gruppi, persone (anche se non manca un certo senso di tolleranza, di compassione per chi soffre, e una volontà generale di rispetto e di tutela dei diritti umani fondamentali di tutti e di ciascuno).
    In particolare noi occidentali abbiamo da superare una sorta di handicap culturale: Ie libertà moderne, lo stato di diritto laico, la legalità occidentale poggiano sull'io soggetto-individuale (per cui l'altro è quasi solo oggetto, nemico, inferno da controllare e da dominare) e sull'io-stato (imperialisticamente portato a dominare sugli altri stati o sui popoli che magari ne fanno parte), ma anche su un diritto molto formale e troppo «pubblico» (incapace di tener conto dei mondi vitali, delle dinamiche delle parti/gruppi sociali o delle movenze dell'interiorità soggettiva).
    Si aprono così ampi spazi per rapporti interpersonali e sociali sotto il segno della sopraffazione, della violenza e della guerra come risoluzione dei conflitti e stabilizzazione delle relazioni tra le persone, i popoli, le nazioni, gli stati: per cui l'apparato militare diventa preoccupazione primaria della vita sociale.
    Per contro, cercare di cambiare questa mentalità e la cultura di cui si nutre diventa opera educativa fondamentale, in vista di una civiltà dell'amore, della fratellanza universale, della libera e giusta collaborazione tra gli uomini: magari a partire dai semi di positività, dai germi di valore, dalle risorse che pure, soprattutto a livello di umanità e di «gente comune», si offrono.
    L'educazione è da sempre un «educere» (= un tirar fuori il positivo) e un «educare» (= un nutrire per portare al meglio, per far maturare ciò che è in germe, per far crescere e allevare ciò che è piccolo).

    L'aiuto educativo alla formazione della personalità

    Una seconda direttrice di educazione è quella rivolta al consolidamento della struttura personale (o in altre parole alla maturazione delle personali capacità di libertà e responsabilità).

    Alcune convinzioni di fondo

    Alla base ci sono alcune convinzioni umanistiche, tipiche del movimento pacifista e non-violento:
    – la convinzione che le situazioni economico-sociali, le istituzioni e le procedure sociali, anche se sembrano al di sopra o oltre ogni responsabilità soggettiva, sono sempre e ultimamente – direttamente o indirettamente, individualmente e/o collettivamente – riferibili all'uomo e alle sue intenzioni, più o meno buone o cattive, più o meno coscienti o incoscienti, più o meno intelligenti e sagge o più o meno superficiali e stolte, più o meno impulsive e vendicative o più o meno ponderate e longanimi, più o meno sincere e trasparenti o più o meno nascoste dietro l'anonimato o l'irresponsabilità collettiva (o peggio il pregiudizio, la giustificazione di comodo, l'irretimento nei propri meccanismi di difesa);
    – la convinzione che il cambiamento o la riqualificazione delle strutture e delle istituzioni sociali hanno da essere anche pedagogicamente ricercati ed attuati attraverso il cambiamento interiore (la tradizione religiosa biblico-cristiana usa le parole «conversione», cambiamento di mentalità, «cuore nuovo»), attraverso la riqualificazione umana dei cittadini che le creano, le usano e le modificano in base a nuovi bisogni o a più sentite esigenze di maggiore umanizzazione o di migliore qualità della vita;
    – la convinzione che la pace è troppo importante per essere lasciata nelle mani dei soli governanti, ma deve costituire un impegno di vita di tutti, secondo le proprie capacità e nelle diversificate situazioni e condizioni di vita;
    – la convinzione che la pace non si prepara soltanto con la diffusione di una cultura di pace, di dialogo sociale, di apertura alla coesistenza e alla pacifica soluzione dei conflitti, ma anche con l'educazione di persone di pace, vale a dire capaci di vivere interiormente in libertà, all'interno della vita organizzata. impegnate nel collaborare a costruire
    una società e uno sviluppo civile secondo modi giusti e democratici, nell'interiorità della coscienza e nell'esteriorità del comportamento privato e pubblico.

    Identità socio-culturale e identità personale

    L'obiezione di coscienza fa pensare anzitutto a persone capaci di consapevolezza, di pensiero critico, di lettura pacata e severa della realtà presente, ma pure di apertura al futuro e di radicale fiducia nelle potenzialità di bene che ogni uomo ha come «dotazione ontologica».
    Nella convinzione che prima di tutto e più di tutto conta la vita (che invece viene distrutta o comunque minacciata e violata dalla guerra e dalle forme coercitive e dominative militari), sarà previamente da sostenere una graduale e buona accettazione di sé; ed abituare a saper pagare il costo personale per ciò che si desidera o si considera valore da ricercare e da attuare; o perlomeno aiutare a capire che non senza impegno e non senza autodisciplina la libertà personale cresce e si conseguono le mete volute o indesiderate (contro la tentazione «bellicosa» del volere tutto/insieme/subito).
    Così in vista della realizzazione di libertà, verità, giustizia, amore (= «i quattro pilastri della casa della pace», come afferma la Pacem in terris di Giovanni XXIII), a livello personale sarà da stimolare la reciproca compenetrazione tra sentire soggettivo e alterità oggettiva. Per dirla in termini freudiani, occorrerà che il principio del valore funzioni da elemento interattivo e dinamico tra il principio del piacere e il principio della realtà. In tal modo non si prenderà la cattiva abitudine di scaricare troppo sugli altri, sulla società e sulle relazioni interpersonali o sulle istituzioni sociali la propria insoddisfazione e le proprie voglie inesaudite; ma per altro verso si sarà precisi nella contestazione e nella richiesta della mutazione e dell'innovazione non-violenta delle «manchevolezze» o «ingiustizie» o «violenze» o «ostilità» presenti nella vita e nella cultura sociale come nella condotta e nella mentalità del corpo sociale e dei suoi singoli membri o gruppi particolari.
    Saper gestire le proprie attese, non eliminando i desideri, né fuggendo per la tangente di mondi eterei impossibili, ma coltivando, motivando e cercando di rendere concrete, per quanto è possibile, le proprie attese di valore, è quanto si addice a chi – come l'obiettore (e l'obiettrice) – è per tanti versi è «uomo» di minoranza, è «voce» di contestazione del presente, è «appello» di trascendenza e di alternativa futura.
    Detto in termini etico-religiosi, l'educazione dell'obiettore (e dell' obiettrice) è per tanti versi un apprendimento della speranza all'interno dell'esperienza personale e della storia comune. Ma tale speranza è motivata, ragionata, ponderata e poggiata su una realistica presa di posizione circa la realtà e l'esistenza in nome di una vita umanamente degna per tutti e ciascuno.
    Il senso dell'apertura agli altri, alla vita sociale, all'innovazione migliorativa, ci sarà perché si sarà toccato con mano il senso del limite (e l'esigenza di essere aiutati, sostenuti, apprezzati, amati da altri in una comunità) e allo stesso tempo si sarà costatata l'effettiva presenza di potenzialità, di risorse positive, di volontà e di intenzioni di bene in sé e negli altri, nel contesto socio-culturale e nel tempo storico che si vive.
    Per dirla in termini religiosi-cristiani, si può dire che la speranza, l'impegno e la dedizione per il bene hanno un loro preciso fondamento (per quanto differentemente giustificato esso possa essere): la fede nella vita e nell'umanità (e per i credenti nel Dio della vita).
    In tal modo l'approfondimento dell'identità socio-culturale (= lo sforzo di formazione ad una cultura della pace e della non-violenza, nella ricerca della qualità della vita e del bene per tutti) aiuterà lo stesso lavoro educativo per una identità personale insieme unitaria ed articolata, solida e flessibile, radicata ed aperta (giocando a tutto campo sulla positività della «alterità/differenza» propria e altrui, soggettiva e oggettiva, temporale e valoriale).

    Alcuni atteggiamenti da favorire

    In consonanza con le prospettive sopra-accennate, mi sembra che si potrebbero evidenziare alcuni atteggiamenti di fondo da favorire, suscitare, aiutare a consolidarsi in chi intende portare avanti, nella situazione attuale, l'obiezione e il servizio civile.
    Mi sembrano importanti:
    – una buona coscienza del proprio limite, ma anche della propria forza ideale, etica, personale;
    – una ragionata coscienza della storia e dei limiti reali, ma anche delle spinte di liberazione e di «utopia» trascendente, presenti nell'uomo di ogni tempo e nel nostro oggi;
    – un forte senso di rispetto degli altri e delle leggi, ma anche impegno di tutela, difesa e promozione della coscienza interiore, della libertà delle persone, dei gruppi sociali, delle comunità particolari;
    – discrete attitudini di riflessione e di ricerca personale, ma anche di discussione, di confronto di dialogo interpersonale, di gruppo, assembleare;
    – comprovate qualità personali di calma, di autocontrollo, di mitezza, ma anche di decisione, di coraggio, di fortezza;
    – radicate abitudini di interiorità, di silenzio, di ascolto e di solitudine, ma anche di buona relazione, di vicinanza, di condivisione e di compartecipazione;
    – buone dosi di spirito di sacrificio e capacità di impegno fattivo, di cooperazione e di tensione per l'oltre, l'ulteriore, il di più, il meglio, ma anche capacità di saper gioire e godere interiormente e con gli altri.

    LA RICERCA PEDAGOGICA DEI MODI E DEI LUOGHI EDUCATIVI

    In questo orizzonte di senso, educare l'obiezione di coscienza – strettamente collegata alla sua radicale referenza pacifista e non violenta – diventa un «iceberg» di una cultura alternativa, di un modo di pensare e di operare effettivamente diverso, una strategia globale che merita approfondimento in vista di un futuro a maggiore misura d'uomo per tutti e per ciascuno.
    Ma essa chiede di essere tradotta in termini di «paideia», vale a dire di cultura educativa, per l'intero sistema sociale di formazione.
    In tal senso viene a porre un preciso impegno pedagogico, per operare una trasformazione nel modo di pensare e attuare l'educazione e la qualificazione umana delle persone e della vita comune.
    E si comprende come tale lavoro educativo debba essere a tutto campo.
    Si vede qui l'importanza che in propositivo può avere una solida istruzione (scolastica, familiare, associativa, ecclesiale, mass-mediale); oppure la rilevanza che potrebbe assumere la catechesi e l'insegnamento religioso sistematico e diffuso, come «riserva critica di trascendenza» contro certi idoli culturali, o come «risorsa culturale educativa» oltre che come proposta di un'esperienza di fede nella relazione-comunione con il Dio della pace in un orizzonte di fratellanza universale conviviale nella differenza e collaborativa nell'impegno di affrontamento dei problemi e di riduzione dei conflitti e soprattutto l'esperienza e il tirocinio formativo nei gruppi e nella partecipazione a iniziative comuni, all'azione di volontariato e alla vita di movimenti che in vario modo fanno riferimento ad una cultura di pace e di sviluppo solidale.
    E questo avrebbe da riversarsi a tutti i livelli dell'educazione individuale e comunitaria, nell'educazione di base e in prospettiva di educazione permanente.

    Conclusione

    In questo quadro di insieme, la ricerca sulla formazione degli obiettori potrebbe diventare un «laboratorio» per l'incremento di tali prospettive educati- ve, sia per ciò che riguarda la determinazione dei contenuti sia per ciò che attiene lo sviluppo delle strategie e dei metodi di apprendimento: infatti è quasi scontato dire che, nel corso di tale momento formativo, andranno privilegiati il dialogo, l'apprendimento dall'esperienza, l'impegno di teorizzazione di costrutti concettuali alternativi e la ricerca operativa di modelli metodologici e didattici per l'estensione della propria esperienza formativa ad altre situazioni e condizioni di vita.
    Un impegno non piccolo per chi crede nelle possibilità umane e civili (oltre che religiose) dell'educazione.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu