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    L'uomo a immagine della scienza?



    Intervista a Vittorio Mathieu

    a cura di Carola Scanavino

    (NPG 1995-09-40)


    Domanda. Stiamo correndo freneticamente verso il 2000 e in questa corsa c'è qualcosa che ci spaventa. Cosa rende la nostra epoca tanto minacciosa?
    Risposta. Tra l'anno zero e l'anno 1000 di sostanziale non è accaduto nulla, di cose che abbiano veramente cambiato a fondo il modo di vivere, mentre tra l'anno 1000 e il 2000 sono accadute cose assolutamente imprevedibili. La realizzazione da parte dell'uomo del sogno di poter andare sulla Luna, pur essendo oggi un fatto pressoché dimenticato, è stato preso a simbolo di come la tecnologia, sostenuta dalla scienza, abbia accelerato certe trasformazioni e in modo improvviso.
    Già durante il Rinascimento è incominciata un'evoluzione tecnologica accompagnata dalla rivoluzione scientifica la quale, a sua volta, ne è stata favorita. Negli ultimi decenni le possibilità dell'uomo di agire sulla natura si sono moltiplicate. Naturalmente non possiamo sapere cosa accadrà di qui a 100 anni ma, già oggi, ci troviamo di fronte ai problemi che questa accelerazione tecnologica ha sollevato.
    Qualche tempo fa l'umanità viveva nell'incubo che l'uomo tecnico potesse arrivare a distruggersi, a creare condizioni di vita insostenibili, a trovarsi senza capacità di adattamento fisiologico, basti pensare all'esplosione atomica e nucleare. Questo incubo sembra oggi molto diminuito, ma non dobbiamo abbassare la guardia perché non è del tutto evitato: forse non causerà la morte di tutta l'umanità, ma certamente potrebbe rendere le condizioni biologiche della vita talmente diverse da non permettere più l'adattamento evolutivo.
    Ci sono comunque altre situazioni molto meno spettacolari purtuttavia rischiose che devono indurci a pensare. La tecnologia, alimentata dal progresso scientifico, fornisce all'uomo degli straordinari mezzi di azione che, nelle mani di un'umanità non padrona di se stessa e non in grado di controllarsi nel suo insieme, possono dare luogo a miglioramenti o a catastrofi improvvise.

    D. Il difficile rapporto tra scienza e morale ha bisogno di regole precise per trovare un proprio adeguato equilibrio?
    R. La scienza fornisce mezzi, non fini e ogni mezzo può essere usato per fini buoni o cattivi; quindi bisognerebbe non solo educare i singoli, ma organizzare meglio la vita in comune per far sì che l'uso di questi mezzi sia opportuno.
    I rapporti tra scienza e morale sono molto difficili da configurare; è impossibile indicare norme e regole che diano la sicurezza di evitare il rischio di un sovvertimento della vita sociale.
    Le bombe atomiche, che inizialmente erano possedute solo dagli Stati Uniti, sono oggi fabbricabili in qualsiasi cantina e con dei mezzi non particolarmente costosi: il risultato è che una banda di malfattori, oggi, può ricattare uno stato. Certo la tecnologia mette a disposizione delle autorità statali e internazionali dei mezzi di controllo e anche di intervento, ma finora non è stato trovato nessun modo per intervenire efficacemente in questi casi senza impiegare metodi repressivi che, a loro volta, diventano sempre più imponenti via via che aumenta la forza delle organizzazioni da reprimere. I mezzi di comunicazione possono fornire un valido aiuto alla diffusione delle azioni di intervento pacifico, ma questi mezzi sono a disposizione dei malfattori non meno che delle forze dell'ordine. Inoltre, poiché non si possono distruggere le mosche sparando col cannone, delle organizzazioni relativamente piccole ma ramificate riescono a tenere in scacco delle forze quantitativamente più forti, e nessuno ci assicura che l'intervento dei singoli, statale o internazionale, sia guidato da giusti criteri di azione. Può darsi che certe violazioni macroscopiche del diritto siano deprecate da tutti, anche dagli organismi internazionali, ma non ci risulta che, oltre ad essere deprecate, siano anche combattute.
    Si rende indispensabile una pressione sempre più efficace di un'opinione pubblica ben guidata, ma ognuno di noi vede solo certi problemi e non altri, adotta un determinato punto di vita e quindi diventa estremamente difficile tenere conto di tutti per elaborare soluzioni possibili. Si potrebbero creare dei comitati compositi con diverse capacità, diverse direttrici ideologiche; tuttavia da questi all'azione corre molta strada.

    D. Esiste un concetto-chiave, una parola d'ordine a cui appellarsi nei casi di disperato conflitto tra scienza e morale? Quale ruolo gioca l'opinione pubblica in questo match tanto delicato?
    R. Entrando nel merito della bioetica, è difficile dare dei principi che regolino e arginino le possibilità e i rischi insiti nella scienza. Consideriamo per esempio il problema dei trapianti: oggi si parla addirittura di un possibile trapianto di cervello, ma sorge spontanea la domanda se la persona che vi si sottopone sia ancora la stessa o no. Questo, per ora, è un problema molto teorico, ma col tempo andrà affrontato.
    L'inseminazione artificiale è certamente più di moda, perché i progressi in questo campo sono stati maggiori. Non vi è una legge formulata che la vieti, ma occorre rendersi conto che ad essa è connesso uno scompenso nella natura che, a sua volta, potrebbe provocare altri disastri nelle future generazioni, di tipo psicologico per esempio, certamente non meno gravi di quelli strettamente fisiologici.
    Il mio è un appello a tener conto della natura umana. È certo un criterio vago, ma importante, e soprattutto non si deve fare appello a regole astratte. «Non uccidere» è una regola indubitabile; tuttavia, a volte, siamo chiamati a uccidere qualcuno semplicemente perché è nato al di là di un fiume o è un malfattore. Questa è indubbiamente la regola più condivisa e, in quanto tale, piena di eccezioni.
    Ogni regola dev'essere interpretata: bisogna capirne la ragione e applicarla con una direzione, con una visione dello scopo a cui è destinata. Si tratta di vedere se questi scopi che il progresso della tecnica mette a nostra disposizione siano compatibili con una visione generale di ciò che l'uomo è e vuole essere, e di considerare il valore non come una mera formula bensì come una direzione in cui guardare per migliorare il nostro modo di essere, ciò che noi siamo chiamati ad essere. Dobbiamo chiederci cosa ci chiede, cosa ci indica la natura e la risposta non è mai per sempre. È un problema che non si impone mai una volta per tutte con regole generali e astratte.
    Si sa, oggi, che anche un uso controllato dell'energia nucleare può influire sul nostro genoma, ovvero su quell'insieme di informazioni contenute in tutte le cellule, soprattutto in quelle germinali. Quest'uso più razionale può rendere gli uomini più capaci intellettualmente, ma può influire anche sul comportamento delle altre parti del nostro organismo: per esempio potrebbe generare un uomo intelligentissimo ma alto sei metri, che non riusciamo ad immaginare come potrebbe vivere. Grazie alla scienza tecnologica la nostra salute è certamente meglio controllabile e può essere
    migliorata sensibilmente, al tempo stesso però può essere messa in crisi dagli stessi principi chimici usati nelle terapie.
    Insisto nel non voler proporre alcuna regola generale: la parola d'ordine è: cautela, su cui ognuno deve riflettere perché credo fermamente che, a lungo andare, l'opinione di ciascuno riesca a farsi sentire. Anche i regimi più dittatoriali, che purtroppo ancora esistono sul nostro pianeta, non riescono a non tenere conto per molto tempo di come la pensano i loro sottoposti. Quindi a tutti noi resta ancora la possibilità di modificare le cose, riflettendo sui pro e contro dei casi singoli, orientando il nostro modo di sentire in una direzione che potrà unirsi a quella degli altri: dobbiamo opporci, modificare e modificarci. La mia speranza è che si riesca a pensare insieme, in gruppi via via sempre più vasti in vista di una meta che, pur non perfettamente chiara, segnali una crescita dell'ordine e un possibile trionfo del buon senso.

    D. Uno scienziato, oggi, è responsabile o piuttosto vittima consapevole della natura tentacolare del mondo dell'informazione e della pubblicità?
    R. Nel mondo del progresso scientifico si rilevano molti comportamenti da parte di alcuni scienziati, molto spesso piccoli scienziati, fatti di ostentazione. In parte questo atteggiamento è positivo nel momento in cui rende note e accessibili a tutti nuove possibilità e scoperte umanamente utili. Ma sovente si tratta di pura pubblicità, del desiderio di esibirsi che, immediatamente, produce ripercussioni molto sfavorevoli, tanto più che oggi qualsiasi cosa ha una risonanza mondiale. Comte avrebbe voluto porre dei limiti alla ricerca, e propose una regolamentazione dell'autorità statale. Io ritengo invece che tutto ciò non abbia senso e che si tratti piuttosto di incrementare la coscienza morale degli stessi ricercatori.
    Heidegger era convinto che il destino della civiltà occidentale fosse determinato dall'aver scambiato per essere quelle che sono cose; la metafisica, volta da sempre ad individuare la radice ultima delle cose, l'ha infine identificata come cosa a sua volta. Noi occidentali abbiamo smarrito l'essere delle cose e siamo sprofondati nel nichilismo. Heidegger non era contro la tecnica, bensì contro un modo di pensare tecnocratico, che tende a fare dell'uomo il padrone della natura. Io desidererei invece che incominciassimo a capirla.


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