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    L'odc per una cultura di pace



    Angelo Cavagna

    (NPG 1995-08-41)


    La preoccupazione, di fronte al tema dell'obiezione come ad altri problemi complessi, è di chiarire i termini del discorso. Sul tema della pace, in particolare, gli equivoci sono molti. Tentiamo di scio-glierne almeno qualcuno. Parlerò prima della coscienza e dell'obiezione, e poi dell'antimilitarismo, della nonviolenza e della difesa popolare nonviolenta, nell'ottica della fede cristiana e specialmente della svolta teologica in atto.

    COSCIENZA

    Con la parola «coscienza» si indica la facoltà della persona umana di percepire, conoscere, riflettere, decidere liberamente e responsabilmente dei propri atti nel contesto culturale, sociale, civile ed ecclesiale.
    La coscienza si dice «laica» quando fa riferimento a se stessa come ultima istanza e come sede autonoma di principi interpretativi ed etici.
    La coscienza si dice «religiosa» quando fa riferimento a Dio e/o a una religione o chiesa, ponendosi come termine immediato del conoscere, valutare, agire, ma come termine veicolatore e mediatore quanto alle fonti soprannaturali dei principi ispiratori. Ognuno ha la propria coscienza. Essa è la vera identità di ciascuno. È l'io vero, quello che uno effettivamente sente, pensa, sceglie.
    Essa è innata, ma si plasma interagendo con la sensibilità e mentalità delle altre persone singole e associate, secondo le varie culture storiche e contemporanee, per cui la coscienza individuale è sempre, tanto o poco, debitrice a sua volta di una coscienza sociale, civile ed ecclesiale.
    La coscienza è qualcosa di supremo nell'ordine delle persone umane, ma non di assoluto nell'ordine dell'universo. Si danno coscienze rette e coscienze errate, coscienze limpide e coscienze tortuose, coscienze trasparenti e coscienze false, coscienze forti e coscienze deboli, coscienze orientate e coscienze disorientate. Anche la coscienza, che guida tutto l'agire umano, può e deve essere a sua volta illuminata ed educata. Nel caso, vanno educate coscienze di pace.

    OBIEZIONE

    Se il termine «coscienza» è in qualche modo privilegiato nella cultura laica e religiosa, il termine «obiezione» si trova piuttosto a mal partito. Nell'opinione comune, la parola «obiezione» è riferita a realtà marginali, antistatali, antireligiose, istintivamente aborrita come evocatrice di fantasmi.
    Chi c'è dentro la cultura dell'obiezione può stupirsene; ma fra la gente comune, che non abbia avuto per avventura la possibilità di conoscere veri obiettori e alla quale non sia giunta che l'immagine dell'obiettore propagandata dalla televisione e dalla stampa quotidiana, la percezione che ha dell'obiettore è pessima.
    Molti vedono l'obiettore contrapposto allo stato, mentre considerano il sistema militare «connaturale» all'idea di nazione. Anzi, a livello istituzionale e popolare è ancora radicata la mentalità che il servizio militare trasformi il ragazzo in uomo (adesso vedremo cosa succederà alle donne!), per cui il periodo di naia è qualcosa di simile a un grande «rito di iniziazione», per acquistare pienezza di diritti e doveri nella tribù Italia.
    L'educazione religiosa, non meno, ha coltivato generalmente, salvo i primi secoli e qualche eccezione come s. Francesco d'Assisi, l'etica dell'obbedienza, trascurando l'etica della disobbedienza, altrettanto necessaria della prima. Se è importante dire di sì, fino all'eroismo, in ciò che la coscienza percepisce come valore, è anche importante dire di no a ciò che vi si oppone.
    Certo, l'etica della disobbedienza contrasta radicalmente con la disciplina militaresca del «signorsì». Ma è grazie a questa disciplina che Hitler ha potuto perpetrare i crimini che tutti oggi denunciano ed è grazie alla mancanza dell'etica della disobbedienza se si prospetta la fine dell'umanità con una possibile guerra atomica. Nessuno vorrebbe la conclusione: ma intanto pochi obiettano alla politica riarmista che la sta preparando.
    Già don Luigi Sturzo intravvedeva chiaramente fra le due guerre mondiali l'opportunità di un grande movimento di obiettori e il pericolo di un'educazione militaresca, con vero intuito profetico. Scriveva: «Se la gran parte dei cittadini fossero obiettori di coscienza, cesserebbero le guerre.
    Quando ci saranno in un paese di tali cittadini, non vi sarà pericolo di anarchia e ribellione, ma un movimento di rettifica morale, contro gli egoismi nazionali, l'educazione militaresca e gli odii fra i popoli» (su «L'aube nouvelle», Parigi, 1933).

    ANTIMILITARISMO

    La terza parola che richiede precisazione è «antimilitarismo». Non si intende l'eliminazione fisica delle persone che sono coinvolte nella professione e nella struttura militare. Non si intende nemmeno l'eliminazione morale, attraverso il disprezzo e l'odio, equivalente (dice il Vangelo) a un omicidio spirituale e sociale.
    D'altra parte non si può essere nemmeno d'accordo con coloro che predicano soltanto l'amore dei cuori, quasi poi dovesse essere automatico il passaggio a una società e a un mondo di pace. L'esistenza degli eserciti non è una realtà trascurabile. «Non sono le armi – si dice – che uccidono, ma la mano che le impugna».
    Sarebbe facile dimostrare quanta «buona gente» accecata dall'obbedienza militaresca, sia civile che religiosa, viene strumentalizzata a perpetrare e subire i più orrendi delitti.
    È l'uomo in definitiva che crea, mantiene e aziona le strutture; ma è pure innegabile che la struttura militare con il suo perverso intreccio di «ricerca scientifica – industria – commercio – addestramento – finanziamento bellici», finisce per creare le guerre, senza le quali quel sistema si incepperebbe e finirebbe. Lo dice anche Alberto Sordi con la sua bonaria ma incisiva popolarità nel film: «Fin che c'è guerra c'è speranza». Tutti sanno che la maggior parte delle guerre sono dettate da enormi interessi economici più che dalle nobili cause sbandierate.
    Chi la pensa ancora secondo l'antico adagio «Se vuoi la pace prepara la guerra» e, dunque, vuole gli eserciti pronti per la guerra, vuole anche la guerra, a dispetto di tutte le sue belle intenzioni.
    Chi vuole gli eserciti pronti alla guerra vuole anche armi sempre moderne e sempre nuove; vuole quindi la ricerca scientifica di queste armi, che una volta inventate vanno costruite, una volta costruite vanno vendute e per venderle vanno da qualche parte usate; cioè vuole le guerre.
    È patetico udire dalla voce anche di alte gerarchie ecclesiastiche difendere la «dottrina della guerra giusta» e contemporaneamente tuonare contro l'industria e il commercio o le spese belliche come se fosse possibile disgiungerle. Chi vuole un anello del sistema militare ne vuole anche tutta la catena.
    Le guerre sono un anello inscindibile della catena che forma il «sistema militare», che, quindi, è un «sistema di guerra».
    Occorre l'umile presunzione di pensare e di affermare che «è finito il tempo degli eserciti». Questo almeno per quanto riguarda la preparazione della guerra.
    Tutt'altro discorso va fatto per un esercito ripensato in funzione di vere e proprie «azioni di polizia internazionale», nel quadro di una ONU democraticamente rinnovata. La polizia usa la forza, anche armata, ma in modo esclusivamente difensivo. Ha la funzione di difendere la cittadinanza dai ladri e dagli assassini, ma non di ucciderli. L'uso omicida della forza esula dai compiti della polizia, che è quindi ammissibile e doverosa.
    Al contrario l'esercito, almeno oggi, è funzionale alla guerra e quindi è strumento di violenza omicida, che un cristiano non dovrebbe mai e poi mai ammettere.
    Oggi si parla per l'esercito di azioni di polizia internazionale; ma ciò richiede una reimpostazione radicale dell'esercito per trasformarlo, per mezzi e addestramento, in forza realmente ed esclusivamente difensiva, nella prospettiva grandiosa, ma ineludibile e indilazionabile, del «nuovo diritto internazionale».
    Tutt'altra cosa è il «nuovo modello di difesa», come oggi concepito, a difesa degli «interessi vitali», che non sono altro che «le materie prime necessarie alle economie dei paesi industrializzati» presenti nel terzo mondo (pp. 16-17 dei «Lineamenti di sviluppo delle Forze Armate negli anni '90» presentati dal Ministero della Difesa in Parlamento nell'ottobre 1991). Ciò significa preparare la guerra dei paesi ricchi contro i paesi poveri: disegno assolutamente criminoso!
    Antimilitarismo cristiano è combattere idee e strutture violente e militari, ma non le persone che fanno il militare e nemmeno quelle violente; occorre anzi liberare le persone dalla violenza e dalla cultura di guerra.
    Antimilitarismo non significa nemmeno «un po' meno di armi». Significa invece superamento puro e semplice del sistema militare come sistema di guerra.
    E questo, come «progetto storico», non utopico.
    Parola di mons. Gaetano Bonicelli quando era ancora ordinario militare! (Omelia nel XIV convegno nazionale dei cappellani militari, a Rovereto, settembre 1985, cf «Bonus Miles Christi» n. 2/86).

    NONVIOLENZA

    La violenza si contrappone all'amore, alla pace. La violenza è uso indebito e malefico della forza; è oppressione e soppressione dell'avversario concepito come nemico. Qui si parla in modo particolare della violenza omicida. Essa nasce o da un cuore che odia o da strutture, come l'esercito, che mandano gente anche buona, ma irreggimentata da una disciplina militaresca, a massacrare e a farsi massacrare, spesso senza sapere il perché e spesso contro la propria idea.
    La nonviolenza non si contrappone all'istinto di conservazione e all'istinto di aggressività.
    A dir vero ci sono studiosi che interpretano tale istinto un portato di cultura e non di natura.
    Comunque sia, la nonviolenza laica o religiosa non va intesa come passività, melensità, inattività di fronte agli attacchi del male; la pace non è un bene pacifico, ma conflittuale; la giustizia, componente essenziale della pace, non è frutto di regali, ma di conquiste e di lotte. Sul piano della fede, la pace è sì dono, ma dono che impegna la nostra libera corrispondenza.
    Per i cristiani basta pensare a Gesù, che ha cacciato con una frusta i mercanti dal tempio e, sempre nel tempio, ha bollato con invettive di fuoco i capi del popolo. Cristo ha detto: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra;non sono venuto a portare pace, ma una spada» (Mt 10,34-36).
    La disobbedienza e il boicottaggio contro le leggi ingiuste e i regimi oppressivi, attuati per amore di tutti, oppressori e oppressi, sono iscritti nella natura fragile e progressiva della pace umana, mai pienamente raggiunta e sempre compromessa dal peccato.
    Nonviolenza è rompere la logica della violenza offensiva o vendicativa, rompere la catena delle violenze. Non-violenza è opporsi alla violenza propria e altrui con altri mezzi; è liberare il proprio cuore e il cuore dell'avversario dalle molteplici forme di dipendenza e di schiavitù, con la preghiera e con l'amore positivo-attivo. La nonviolenza evangelica insiste quindi soprattutto sulla libertà-liberazione interiore. La violenza, tanto o poco, si annida nel cuore umano per via del peccato originale e dal cuore dev'essere estirpata, con la grazia di Dio.
    In una parola, occorre evitare anche nel caso della lotta alla violenza sia la parzialità dell'intimismo e sia la superficialità del sociologismo. Lotta non-violenta è conquista di libertà personale, in un contesto di comunità civica ed ecclesiale, come famiglia di persone tutte libere e tutte responsabili.
    Da queste riflessioni si comprende anche come nonviolenza e spirito democratico camminino insieme.

    DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA

    Il tema della difesa popolare non-violenta sta entrando in forza nel magistero, nella teologia, nella pastorale, nella pubblicistica cattolica e nella cultura politica. Sarà una combinazione, ma è difficile sottrarsi all'impressione che il tema di una difesa non violenta, alternativa a quella militare, sia giunto al suo momento di grazia. Si prenda ad esempio l'anno 1987, nel quale una serie di incontri vertevano sull'argomento.
    Il n. 73 di gennaio-marzo della RTM (Rivista di teologia morale, edita dal centro dehoniano di Bologna) usciva con un «forum» su «Difesa della patria ed etica», con contributi di Lorenzetti, Bondolfi, Trentin, Mattai, Chiavacci. Non tutti erano sulle stesse posizioni, ma si parlava chiaramente di «de-legittimazione della guerra», la quale «porta alla delegittimazione della difesa armata e, quindi, a porre la questione della liceità dell'esistenza degli eserciti» (p. 13).
    Non si metteva in questione la difesa, ma il «come» difendersi; e si precisava che la delegittimazione della guerra moderna, sia nucleare che tradizionale, non era solo evangelica (discorso della montagna), ma anche razionale.
    «Forse per la prima volta nella storia – vi si diceva – la politica di guerra non trova più a suo sostegno un'etica legittimatrice. Dal matrimonio `rato e consumato' tra etica e politica in fatto di guerra si è ormai passati alla separazione e forse al divorzio definitivo» (p. 13).
    La delegittimazione della guerra, anche se di difesa, porta conseguentemente al «dovere etico-sociale di organizzare e rendere possibili modalità alternative al militare... Si può riconoscere che il movimento pacifista nelle sue varie espressioni... pecchi di unilateralismi, emotività e irrazionalità, ma è indubbio l'apporto decisivo per aver reso `pensabile' uno stato-nazione che si difenda in altro modo che non sia quello del ricorso alla violenza (armata), e per aver determinato, anche nel mondo della politica, dei cambiamenti decisivi» (p. 14).
    Quasi contemporaneamente al numero di RTM, usciva sul Regno-attualità del 15 marzo una serie di contributi sui problemi della pace e della difesa, tendenti a connotare una scelta della rivista stessa.
    Portava anzitutto una corposa intervista a Bernard Häring, nella quale il moralista affermava che «la nonviolenza sanante e liberante» si rivela «l'unica valida alternativa all'armamento, alla violenza come mezzo per risolvere i conflitti, per cercare la vittoria della giustizia e dell'amore».
    Sullo stesso numero del Regno si poteva trovare la sintesi di un seminario di studio, promosso dalla Caritas Italiana (Roma 30 gennaio – 1 febbraio), tra pastoralisti, teologi e «testimoni», sul tema «Carità, nonviolenza, difesa, pace».
    La sintesi era curata da Luigi Sartori. Riassumendo la relazione di F. Tardelli, scriveva: «Sul disarmo, sulla difesa armata nucleare, sulla deterrenza, si notano ancora delle incertezze e delle fluttuazioni; ma tutto sembra indicare che ormai va maturando il presupposto di una scelta normativa (che valga, quindi, per tutti) per quanto riguarda la condanna di ogni guerra e quindi la obbligatorietà del metodo nonviolento nella difesa e nella resistenza all'oppressione».
    «Tale discorso – concludeva Sartori – deve continuare. Scintille o stelle accendono già qualcosa dell'orizzonte nuovo, dopo la lunga notte della guerra tollerata.
    Però non è ancora spuntato il giorno».
    Va pure segnalato un altro grosso seminario di studio sul tema «Verso una difesa popolare nonviolenta in Italia?», promosso dalla fondazione E. Zancan nei giorni 26-28 febbraio dello stesso anno.
    I convenuti scavarono nella concretezza socio-politica, in vista di portare l'alternativa difensiva ad avanzare sul terreno sperimentale, legislativo, organizzativo, amministrativo.
    Tutti questi avvenimenti, realizzatisi in contemporanea, non sono in se stessi un «segno dei tempi»?

    IL PENSIERO DI UN PADRE CONCILIARE

    Il concilio Vaticano II trattò lungamente il tema della guerra e della pace. Purtroppo una minoranza potente fermò la maggioranza dei padri conciliari pronti a condannare totalmente la guerra. Il card. Lercaro fu uno dei più attivi sia durante che dopo il concilio sull'argomento. Il suo magistero di pace non sembra aver perso di attualità. Anzi può costituire un valido punto di riferimento per far riemergere la novità cristiana della pace. Mi limito a riprodurre semplicemente alcuni brani dei suoi interventi.
    «Rispetto alle armi di potenza distruttiva indiscriminata (specialmente le armi atomiche, batteriologiche e chimiche) la chiesa non può limitarsi, come fa lo schema, a deprecarne un eventuale impiego, ma piuttosto deve ormai anticipare il giudizio che il Signore certo pronunzierà su di esse alla fine della storia umana: il possesso di quelle armi è già in sé una immane concentrazione di potenza e di violenza, e pone le nazioni e i loro capi in una tentazione estremamente prossima a perpetrare i più gravi delitti contro l'umanità intera: pertanto quelle armi sono già in sé qualche cosa di demoniaco e un attentato temerario contro Dio... La chiesa deve dire a tutti i possessori di quelle armi che non è lecito produrle e conservarle, e che hanno l'obbligo categorico di giungere assolutamente e subito, senza dilazioni possibili, alla distruzione simultanea e totale di esse» (da un intervento scritto sullo schema XIII dell'ott. 1965, in Per la forza dello Spirito – Discorsi conciliari del card. Giacomo Lercaro, EDB, Bologna 1984, p. 259).
    «Più che per qualunque altro argomento trattato dal concilio, quel che da esso è stato sancito intorno alla pace nelle ultime pagine della Gaudium et Spes, rappresenta un punto di partenza e non un punto di arrivo, è ancora suscettibile e bisognoso di sviluppi: invero esso resta non solo al di qua (come è ovvio e giusto in ogni atto di magistero) delle punte più avanzate del pensiero cristiano contemporaneo, ma anche al di qua della coscienza media dei padri con-ciliari... Il che, in definitiva, implica per questo testo un grado più alto di dinamica post-conciliare...
    L'opera fondamentale e radicalmente insostituibile per l'edificazione della pace non è ancora la mera opera umana, lo sforzo puro di progresso conoscitivo, etico, sociale, ma è eminentemente l'opus redemptionis, l'opera cristica di salvezza e l'opera cristiana di conversione, di penitenza, di preghiera, di carità evangelica...
    La pace è un dono storico, salvifico o, meglio ancora, è un dono di salvezza tale che è la Persona stessa dell'unico Salvatore del mondo: la pace non è un rapporto, è una Persona, ha un nome personale, è il Messia, è Gesù, al di fuori del quale nome non si dà né salvezza né pace...
    Va detto che per lo meno la Gaudium et Spes ha lasciato libero chi lo voglia, e ne abbia coscienza e convinzione, di pervenire ad affermare l'intrinseca illeceità del solo possesso delle armi atomiche...
    «L'unico modo per vincere la violanza non è rispondere con un'altra violenza 'difensiva', ma uscire dal sistema della violenza inserendosi nell'economia della grazia, nell'ordine dello Spirito che solo può dissolvere l'energia demoniaca e arrestare il mistero di iniquità, che è all'opera nel profondo della storia umana (2 Tess 2,7). Chi alla violenza subìta contrappone un'iniziativa di pace, affida a Dio la risoluzione del problema e lo provoca ad agire: immette cioè nella storia un'energia divina che, sola, sarà capace di ristabilire la giustizia 'vincendo il male con il bene' (Rom 12, 14-21). Certo questo non è buon senso; non è neppure realismo. In verità non è quel cattivo buon senso che continua nella più tragica impotenza a mantenere l' umanità nell' estremo rischio dell'autodistruzione. Non è quel crackpot realism, quel 'realismo rompitutto', che chiude gli occhi non solo di fronte alla fede, ma anche di fronte alla storia del passato e del presente. Ma è l'unico realismo che nella luce della fede in Cristo Dio illumina, libera e salva anche la storia degli uomini» (da una Conferenza del card. Lercaro nell'Archiginnasio di Bologna il 26 aprile 1967).
    «L'esistenza di un vero e proprio `sistema di guerra', in cui la mancanza di conflitti armati è solo occasionale, sporadica anomalia, è uno dei prodotti più aberranti anche del sistema culturale col quale il cristianesimo ha avuto più intimi e diretti contatti...
    Le scoperte più importanti sono state condotte a termine sotto la spinta di problemi militari: la stessa scoperta relativa all'atomo... La guerra, e solo la guerra, ha deciso che tale tipo di ricerca e conseguenti scoperte avessero diritto di priorità su ogni altro tipo di impegno scientifico: i benefici che l'umanità può e potrà ricavare da questa scoperta, in ordine alla propria vita, saranno solo i sottoprodotti marginali di una invenzione finalizzata alla morte...
    Spesso le contrapposte ideologie hanno amato coltivare o denunciare l'inclinazione nonviolenta dei cristiani come attitudine di rinuncia, di remissività storica, di cui profittavano i detentori del potere... Si affronta la violenza spargendo il sangue altrui.
    È viceversa l'amore alla pace che reintegra l'ordine violato, realizza la giustizia, libera l'uomo dal dominio dell'uomo. È solo la fede dei mansueti e dei pacifici, e il loro proprio sangue di martiri che, fondendosi col martirio di Cristo, riordina... rigenera... conferisce loro il potere, non il miserabile potere dei signori di questo mondo, ma l'unico vero potere, quello dei 'figli del Regno'» (da Giacomo Lercaro, Il cristianesimo e il dialogo fra le culture, EDB, Bologna).

    SVOLTA TEOLOGICA IN ATTO

    «Agli inizi dell'epoca moderna la guerra fu praticamente rimessa alla valutazione di coloro che avevano il potere di farla, indipendentemente dalla giustizia o meno della causa» (in «Cristo è la nostra pace – La voce dei vescovi contro la guerra», Edizioni Paoline 1986, p. 78). Questa affermazione dei vescovi tedesco-occidentali segna il punto di dimissione dai propri impegni morali in tema di pace-guerra, cui erano approdate le chiese cristiane.
    Oggi, come è già stato notato, sembra iniziata una svolta teologica di delegittimazione totale della guerra, in favore di una difesa popolare nonviolenta.
    Il concilio Vaticano II, pur non avendo attuato questa svolta, può tuttavia essere indicato come il suo punto di partenza. Pur lasciando sussistere le ambiguità, è almeno preciso nell'indicare la rotta del cambiamento nel sottolineare la necessità di aprire nuove strade alternative al sistema di guerra. Scrive infatti: «La provvidenza divina esige da noi con insistenza che liberiamo noi stessi dall'antica schiavitù della guerra... Nuove strade converrà cercare... (Occorre) trovare delle vie per comporre in maniera più degna dell'uomo le nostre controversie» (GS n. 81). Inoltre, er la prima volta dai tempi della chiesa primitiva. il magistero conciliare elogia esplicitamente l'alternativa difensiva nonviolenta, dando agli obiettori pieno diritto di cittadinanza nella chiesa, anzi indicandone la scelta come preferenziale per il cristiano.
    Dice infatti: «Mossi dallo Spirito, noi (vescovi) non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla portata anche dei più deboli» (GS n. 78/1591).
    Dopo il concilio, alcuni documenti della Santa Sede insistono sulla svolta nonviolenta. Il card. Ratzinger, in «Libertà cristiana e liberazione», fra l'altro, dice: «La resistenza passiva apre una strada più conforme ai principi morali e non meno promettente di successo» (n. 79). In un passo significativo dell'enciclica Centesimus Annus il papa Giovanni Paolo II dice: «L'attenta e premurosa sollecitudine verso il prossimo... è particolarmente importante in relazione alla ricerca degli strumenti di soluzione dei conflitti internazionali alternativi alla guerra. Non è difficile affermare che la potenza terrificante dei mezzi di distruzione, accessibili perfino alle medie e piccole potenze, e la sempre più stretta connessione, esistente tra i popoli di tutta la terra, rendono assai arduo o praticamente impossibile limitare le conseguenze di un conflitto. I pontefici Benedetto XV e i suoi successori hanno lucidamente compreso questo pericolo, e io stesso, in occasione della recente drammatica guerra del Golfo Persico, ho ripetuto il grido: 'Mai più la guerra!'. No, mai più la guerra, che distrugge la vita degli innocenti, che insegna a uccidere e sconvolge egualmente la vita degli uccisori, che lascia dietro a sé uno strascico di rancori e di odi, rendendo più difficile la giusta soluzione degli stessi problemi che l'hanno provocata! Come all'interno dei singoli stati è giunto finalmente il tempo in cui il sistema della vendetta privata e della rappresaglia è stato sostituito dall'impero della legge, così è ora urgente che un simile progresso abbia luogo nella comunità internazionale» (nn. 51-52).
    Le prese di posizione di teologi aumentano. Luigi Sartori scrive: «Nell'ambito di tutto il cristianesimo, in particolare della chiesa cattolica, la svolta che impegna alla pace è una svolta di 180 gradi. È stato vivissimo agli inizi il tempo del radicalismo evangelico. Ma da quando, poi, la chiesa, nella sua esigenza missionaria di incarnazione, ha dovuto anche espandersi, la quantità è stata pagata con la caduta della qualità. Il radicalismo evangelico è venuto a trovarsi legato, incatenato da tanti compromessi, per cui, nei secoli, si è generata una eredità pesantissima che grava sulle nostre spalle. Perciò oggi siamo agli inizi di questa novità: il vero recupero del radicalismo evangelico» (Dal libro «Costruttori di pace – Seminatori di giustizia», edizioni L.I.E.F. Vicenza, 1988, vol. I, p. 49).
    Le nuove strade, auspicate dal concilio, esistono: l'alternativa alla difesa militare esiste. Ce lo ricordano i vescovi pugliesi nella presa di posizione contro gli F16: «Grazie al cielo siamo testimoni di una sempre più diffusa coscienza di popolo che riscopre nella parola di Dio il cuore della sua missione profetica di pace.
    Anzi, si va allargando il consenso di coloro che, perfino al di fuori del Vangelo, indicano nel superamento dell'ideologia del nemico i presupposti della convivenza tra i popoli; nell'impegno per la giustizia, la strada privilegiata di ogni liberazione; nella forza delle trattative diplomatiche, la soluzione dei conflitti armati; nella difesa popolare non-violenta, i cardini della sicurezza nazionale; nel dialogo e nella solidarietà, l'unica alternativa alla logica dei blocchi di potenze armate, ciascuno diffidente e timoroso del prevalere dell'altro (SrS n. 20). È chiaro che dobbiamo batterci, pregare e protestare perché anche dall'altra parte si attui presto un disarmo parallelo. Ma sorridere in partenza sull'ingenuità di chi diffida della logica prudenziale, basata sull'equilibrio delle paure, significa, almeno per noi credenti, rinunciare a scommettere sulla forza profetica del vangelo» (cf Settimana n. 25/1988, p. 11).
    Giustizia, diplomazia istituzionale e popolare, difesa e azioni di interposizione nonviolenta, azioni di polizia internazionale ONU, truppe ONU disarmate o caschi bianchi formati da obiettori, dialogo, solidarietà: queste sono le alternative, le «altre strade» che si vorrebbe veder emergere a livello nazionale, europeo e mondiale, lungo lo snodarsi di quel «processo conciliare di giustizia, pace, salvaguardia del creato» che va continuato e rafforzato.
    La prima trattazione organica del tema «I cristiani e l'obiezione di coscienza al servizio militare», dal punto di vista biblico, storico e teologico, si può trovare nel libro dallo stesso titolo, che raccoglie le relazioni di un apposito convegno, Caritas Italiana e Pax Christi (a cura di A. Cavagna, EDB 1992).
    Dal punto di vista biblico neotestamentario è fondamentale e davvero originale lo studio di R. Petraglio: «Obiezione di coscienza – Il Nuovo Testamento provoca chi lo legge» (EDB, 2a ediz. 1992).

    LA NONVIOLENZA FIORIRÀ

    La difesa popolare nonviolenta ha scritto oramai una serie impressionante di pagine storiche, per cui soltanto chi vuol tenere gli occhi chiusi si ostina a considerarla una utopia più o meno inutile. Limitandoci al dopo seconda guerra mondiale, c'è senz'altro l'India di Gandhi e l'emancipazione dei neri nordamericani ad opera di M. L. King; ma poi ci furono le lotte in Argentina, Cile, Filippine, Polonia, Sudafrica, Palestina, Madagascar, condotte con successo ed esclusivamente o prevalentemente con metodi nonviolenti. Lotte nonviolente magnifiche sono tuttora in corso nel Kossovo della ex-Jugoslavia e nel Tibet del Dalai Lama. Tentativi di lotta non-violenta sono stati fatti anche in Zaire.
    Non si possono ignorare le azioni di interposizione nonviolenta e di diplomazia popolare di «Beati i costruttori di pace» e della Associazione per la Pace o delle stesse ACLI e di tanti altri, credenti e non credenti, nelle varie zone della ex-Jugoslavia. Non hanno ancora sortito l'esito finale sperato, ma costituiscono una magnifica e fitta rete di iniziative di pace dentro la situazione di guerra che in sé hanno dell'incredibile. Valgano per tutti alcuni pensieri dell'indimenticabile santo e profeta vescovo Tonino Bello nel discorso pronunciato a Sarajevo durante la marcia dei 500 nel dicembre '92: «Questa è la realizzazione di un sogno, di un'utopia, di una grande utopia che abbiamo portato tutti quanti nel cuore, probabilmente sospettando la sua non realizzazione... e invece, passo dopo passo, siamo arrivati nel cuore di questa città. Un viaggio... all'inferno e ritorno.
    Questo, dicevo, era un sogno; eppure si è potuto realizzare... Noi siamo qui allineati su questa grande idea, quella della nonviolenza attiva, della difesa popolare nonviolenta; siamo allineati. Però vedete quanta fatica si fa in Italia a far capire che la soluzione dei conflitti non avverrà mai con la guerra, ma avverrà con il dialogo, col trattato; si fa fatica in Italia, abbiamo fatto fatica anche qui, anche con i rappresentanti religiosi... perché è difficile questa idea della difesa nonviolenta, della soluzione pacifica dei conflitti. Noi qui siamo venuti a portare un germe: un giorno fiorirà. Queste idee un giorno fioriranno!».


    T e r z a
    p a g i n A


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