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    L'incontro con Gesù, rivelatore del Dio cristiano



    Nicola Ciola

    (NPG 1995-01-55)


    Molti contributi apparsi in NPG hanno studiato ciò che favorisce oggi tra i giovani la sensibilità per vivere l'esperienza religiosa non solo a livello fenomenologico-sociale, ma anche gli itinerari educativi che la fondano e la sviluppano.
    Questo contributo si propone invece con un taglio pastorale-teologico. Esso cioè vuole riflettere sui meccanismi (o con più esattezza le vie) che di fatto intervengono nell'incontro con Gesù Cristo. L'indole pastorale-teologica è offerta dalla natura stessa del discorso proposto che è di carattere pratico-teorico, implica cioè la riflessione su un possibile vissuto che trovi riscontri fondativi a livello teologico e nello stesso tempo media elementi metodologici e contenuti per quest'ultimo.

    La domanda sul senso e l'esperienza religiosa

    Ciò che permette l'incontro con Gesù Cristo sia a livello fondativo che educativo, è senz'altro la domanda sull'uomo e sul senso della sua esistenza. Nel contesto odierno non si insisterà mai abbastanza su questo dato. È una necessità impellente nell'approccio ai giovani oggi, aiutare ed educare al formarsi della domanda sul senso dell'esistenza umana di modo che si sappia andare al di là della propria visuale corta, pragmatista, utilitarista.
    Ciò che a livello teologico oggi è ormai quasi universalmente assodato, che cioè la domanda sull'uomo è domanda su Dio e che la questione su Dio non può prescindere dalla questione sull'uomo, risulta estremamente attuale nel contesto di una pastorale giovanile che voglia seriamente educare ad una esperienza religiosa orientata all'incontro con Gesù Cristo.
    Parlare di domanda di senso della propria esistenza non è altro in fondo che evocare l'esperienza religiosa.
    Pur essendo assai complesso definire che cosa è esperienza ed esperienza religiosa, mi sembra molto pertinente la «definizione-descrizione» che ne dà R. Tonelli in Suggerimenti per un itinerario educativo («Note di pastorale giovanile», 1993, n. 5, p. 28). Egli insiste sulla esperienza come «atteggiamento» globale della persona che vive la propria esistenza convinta che il fondamento di tutto e la meta cui guarda è oltre la propria esistenza.
    Quanto tutto questo sia vero oggi per chi ha una pur minima attenzione al mondo giovanile, non è davvero difficile da dimostrare. Le maggiori «tentazioni» dei giovani di oggi, riguardo la pratica di una esperienza religiosa, non si giocano tanto su dubbi di carattere intellettuale, quanto sulla difficoltà a far sorgere la domanda su ciò che «allunga» la prospettiva della propria esistenza che va oltre ciò che si esperimenta in senso «utilitaristico». La difficoltà non sta tanto nel presentare come «veri» certi valori, ma a tradurli come «veri» e praticabili «nella mia situazione». La sfida non sarà tanto sulla comunicazione di verità oggettive e neppure sulla presentazione di «verità vere» perché sperimentabili a livello soggettivo o di gruppo, quanto sul passaggio dall'utile al «vero perché vero» che può essere attinto e vissuto a livello etico da una soggettività che sa continuamente confrontarsi andando oltre se stessa. Il concetto di esperienza religiosa si sostanzia allora del concetto di «ulteriorità» ed è logico che ritrova nella categoria di «invocazione» il terreno privilegiato per manifestarsi. Evidentemente questa accezione non dice ancora che cosa è esperienza religiosa cristiana. Il qualificativo cristiana esprime di per sé già un incontro oggettivo che del resto costituisce la più grande delle novità: il mediatore tra Dio e l'uomo, cioè Gesù Cristo, appartiene al monoteismo dell'Unico Dio trinitario ed è tutto dalla parte dell'uomo.
    Non ritengo che nella pastorale giovanile il modello della soggettività sia la soluzione più perspicace perché i giovani, incontrando Gesù Cristo, facciano un'esperienza religiosa. Non si vuole dire che l'annuncio di una verità indeducibile che proviene dall'alto non sia efficace di per se stesso, ma risulta difficilmente comprensibile un modo di manifestarsi di Dio che sia contrario alla sua stessa pedagogia, che rispetta la legge della gradualità ed è attenta alle disposizioni del destinatario.
    Il modo di concepire l'esperienza cristiana come una caduta verticale dall'alto alla maniera barthiana mortifica la domanda e non rispetta il dinamismo dello spirito umano, e finalmente disattende lo stile stesso di Dio di dar risposte dopo che l'uomo abbia maturato domande sensate. È vero che Gesù Cristo non è solo risposta alle nostre domande, spesso le sovverte completamente, ma nello stesso tempo egli dà senso alle nostre domande. Se non fosse così non avrebbero senso neppure le risposte: come possono essere intelligibili le risposte se non fosse data la possibilità di intelligibilità delle domande!
    Quanto oggi sia essenziale educare alla domanda, non ci vorrà molto a dimostrarlo. Mi sembra sia la cosa più urgente e difficile nel contesto giovanile. Come ho detto, ciò non va fatto a livello teorico, ma pratico-esperienziale, per approdare anche al livello della «ulteriorità» che poi non è altro che il piano della trascendenza. L'esperienza religiosa esprime fortemente il bisogno di andare oltre se stessi, la propria morte, la storia, il mondo materiale, per ritrovare un fondamento assoluto per vivere la propria vita in una tensione ideale forte. Tale esigenza è sentita dai giovani oggi, ma è continuamente minacciata da modelli di corta prospettiva che li tentano continuamente svuotandoli di riferimenti assoluti, ritenuti alquanto distanti e soprattutto inutilmente praticabili, in quanto non rispondenti ai bisogni immediati facilmente perseguibili con mezzi e tecniche più rapide e soddisfacenti.

    La novitas christiana

    Evidentemente non è sufficiente l'esperienza religiosa nel cammino di educazione dei giovani alla fede. Essa rimane sempre nel segno di una certa «ambiguità» se non viene meglio specificata e qualificata. L'impatto odierno dei giovani con le sette è abbastanza eloquente per dire che se è fondamentale l'educazione al senso religioso, esso non è privo di insidie allorquando non venga meglio orientata e compresa. Non bisogna fare dell'esperienza religiosa un assoluto; essa va valutata con discernimento critico.
    L'esperienza degli anni '60-'70 nascondeva anch'essa inizialmente, per non pochi giovani, la ricerca di valori assoluti (e perciò religiosi) e di ideali forti, ma il passaggio alla ideologia fu rovinoso! La domanda era mal riposta e quei valori di fatto, quasi sempre, si ritorsero contro l'uomo. Anche l'esperienza religiosa se non bene educata può condurre allo stesso errore delle ideologie: prefabbricarsi risposte già date senza aver la pazienza di una domanda continuamente educata che sappia ricercare con umiltà, pronta a raddrizzare la rotta verso una Verità che trascende sempre se stessi e la propria ricerca.
    L'intuizione rahneriana, di vedere l'uomo come possibile uditore della Parola rimane valida e grandiosa a patto di stabilire nell'incontro con Gesù Cristo, quale evento della storia, il criterio di discernimento ultimo della bontà dell'esperienza religiosa. Rimane sempre la novitas christiana nella sua unicità epocale a rappresentare il criterio di discernimento.
    Il rapporto tra esperienza religiosa ed esperienza cristiana diventa a questo punto di importanza capitale per oggettivare e comprendere dall'interno il senso dell'esperienza religiosa. L'evento storico Gesù di Nazaret diventa così ad un tempo motivo di demitizzazione di un certo tipo di esperienza religiosa e criterio di promozione e verità della stessa.
    Nelle brevi annotazioni che qui offriamo, cercheremo di riflettere su quei meccanismi o meglio ancora vie che permettono nel mondo giovanile di incontrare Gesù Cristo come Colui che qualifica e interpreta l'esperienza religiosa. A mio modo di vedere interagiscono tre vie che suscitano quei meccanismi capaci di fare quell'esperienza religiosa che si può chiamare l'esperienza di Gesù di Nazaret, Signore della vita.
    Esse sono: la via dell'affettività, la via del discernimento critico, la via del coinvolgimento alla Causa del Regno.

    La via dell'affettività

    La prima via per incontrare Gesù Cristo raccorda insieme la domanda di senso e la risposta che viene da Gesù stesso. Come è già stato detto, difficilmente si può comprendere la risposta al senso della vita (cioè Gesù Cristo) se non si è compreso il senso della domanda. Quando però l'esperienza religiosa diventa esperienza cristiana, ciò si accorge che la domanda umana è una domanda già «suscitata» nell'uomo dal Dio di Gesù Cristo. Ci si accorge cioè che la domanda creaturale è già «provveduta» e «sostenuta». Questo non vuol dire che la domanda dell'uomo sia allora una domanda retorica, priva di consistenza, una domanda che ha già avuto una sua risposta prefissata. L'agostiniano «ci hai fatto per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te» non annulla l'esperienza religiosa in se stessa, ma la fa riconoscere come un'esperienza già contenuta nell'esperienza cristiana. Ciò che San Tommaso intuì allorquando parlò di conoscenza per connaturalità (anche se il suo discorso è riferito più in generale alla conoscenza di Dio) è ben riferibile a ciò che altri autori nel medioevo (S. Bonaventura, Riccardo di San Vittore sulla scia di un fecondo filone agostiniano) svilupperanno più nel senso dell'affettività.
    L'incontro con Gesù Cristo è dato poiché la conoscenza di Lui è già di per sé suscitata nel cuore umano. Ciò che la ricerca dell'intelligenza raggiunge risulta possibile perché di fatto già una tale conoscenza era stata tracciata dal Dio di Gesù Cristo. Una tale conoscenza è sempre conoscenza spirituale (deriva infatti dall'azione dello Spirito Santo) ed è possibile solo nell'adesione affettiva alla verità conosciuta.
    Che queste riflessioni di carattere teologico possano tornar utili nell'azione pastorale a molti potrà sembrare fuori luogo, e invece esse sembrano quanto mai importanti per studiare quali siano i meccanismi dell'approccio più attuale a Gesù Cristo per i giovani di oggi.
    A me sembra che la via dell'affettività sia la prima e la più proponibile ai giovani di oggi, quella che spiega di fatto come avviene l'incontro nella fede con il Signore della vita.
    Evidentemente il passaggio dall'invocazione all'incontro con Gesù Cristo resta qualcosa di indeducibile e misterioso. Ma osando tentarne una lettura, sembra che difficilmente il giovane oggi possa incontrare Gesù Cristo se non vengono mosse le corde della sua sensibilità affettiva. Non si deve confondere affettività con emotività. Una volta conosciuto l'annuncio di salvezza di Gesù Cristo (attraverso i più disparati canali: chiesa istituzionale, testimonianza di chi ha incarnato significativamente il messaggio, esperienza di gruppo...) l'incontro con Gesù è possibile solo allorquando sono completamente liberate nel giovane le potenze della amabilità (lasciarsi amare) e della capacità di amare (donazione). Allorquando dall'invocazione si passa all'affidamento delle proprie energie, potenzialità, in una parola di tutta la propria persona, allora avviene quell'incontro decisivo con Gesù Cristo intraducibile a livello razionale, ma non meno vero e reale a livello esperienziale. Essendo l'essenza del cristianesimo riposta al mistero dell'Agape trinitaria manifestatasi nel mistero della Croce gloriosa di Gesù, risulta impossibile incontrarsi con Lui come via di accesso al mistero di Dio, se non vengono percorse le stesse strade dell'amore che abilitano nell'uomo la conoscenza di Lui.
    In questo senso viene messa in evidenza la povertà delle vie apologetiche che non riuscivano a convertire per via intellettuale, proprio perché lasciavano all'intelligenza quell'evidenza della fede che, staccata dalla via affettiva, risultava più che altro connotata di un intellettualismo alla fin fine dannoso per il cristianesimo. Oggi le cose sembrano stare diversamente.
    L'educazione all'esperienza religiosa che abilitava a saper riporre oltre se stessi la propria vita, in quella ulteriorità che altro non era che invocazione della trascendenza, diventa, nell'incontro con Gesù Cristo, il saper «gettar via» la propria vita per un Altro (e quindi per gli altri) onde ritrovarla in una motivazione superiore: partecipare al grande progetto di Amore per la vita degli uomini. L'esperienza di Gesù Cristo si propone così come esperienza di connaturalità, essendo strettamente collegate la ricerca di senso religioso e l'esperienza di Gesù. In questo senso si può considerare del tutto superato il dualismo barthiano che interpretava dal basso l'esperienza religiosa e dall'alto quella di fede. Attraverso la mediazione di Gesù Cristo, Signore della Vita, la metodologia dall'alto e dal basso si intersecano in un fecondo circolo ermeneutico.
    Ciò che permetterà l'adesione a Cristo non sarà allora soltanto l'oggettività dell'annuncio (il quale del resto resta sempre efficace di per se stesso), neppure l'esperienza soggettiva (anche se è vero che resta di per se stessa intraducibile fino in fondo), ma la connaturalità affettiva del rapporto tra la Persona di Gesù Cristo e la domanda umana espressa esistenzialmente da una invocazione costante che può trovare solo nel Dio di Gesù Cristo la risposta appagante alla sua insonne ricerca.
    Come si può ben comprendere, la via dell'affettività non ha niente a che vedere con il disprezzo dell'intelligenza raziocinante. L'incontro con Gesù Cristo avviene sempre nell'esperienza chiaroscurale di una intelligenza che si interroga, ma che nello stesso tempo è convinta che, se è difficile credere senza comprendere, è pressoché impossibile conoscere senza amare.

    La via del discernimento critico

    Una seconda via per un incontro dei giovani con Gesù Cristo nell'odierna congiuntura epocale è quella del discernimento critico. Con questa dizione si intende dire che l'esperienza religiosa di Gesù Cristo morto e risorto ha bisogno di una verifica che avviene attraverso l'intelligenza e guarda a Lui come evento della storia, ma che nello stesso tempo supera la storia.
    Se anche nel mondo cristiano è sempre esistito un atteggiamento oscillante tra un certo fideismo e un altrettanto deleterio e sottile intellettualismo che voleva a tutti i costi «dimostrare», oggi ci si accorge che proprio il concetto di storia e storicità è capace di riequilibrare una situazione che tende sempre di più a scorgere la verità nel criterio della utilità o tutt'al più in quello della esperienzialità. In questo senso sosteniamo che una catechesi narrativa e storica su Gesù di Nazaret sia il metodo migliore per qualificare l'incontro con Gesù Cristo e farlo uscire da una duplice ambiguità alquanto ricorrente oggi nella prassi pastorale anche in ambito giovanile: da una parte vi è la tentazione di impostare l'azione pastorale con gli stessi criteri che i giovani, come figli del loro tempo, inconsciamente desiderano, vale a dire quelli dell'utilitarismo.
    In questo senso viene propinato il messaggio più con i metodi della propaganda mass-mediale che non con l'attenzione a far crescere la riflessione. Vale allora anche per la pastorale giovanile il richiamo a cercare oggi non solo la fede, ma anche la ragione!
    Una ragione non certo «illuminista», ma in dialogo con la storia e le scienze umane; una ragione che dia il gusto del senso critico, del dubbio costruttivo, non di quello metodico, della possibilità di verifica dell'errore e del suo superamento.
    L'offrire una catechesi sistematica su Gesù in una prassi pastorale rigorosa che rispetti le tappe di crescita e si sostanzi di S. Scrittura interpretata con il metodo storico-critico oltre che spirituale, aiuta a rafforzare la spiritualità stessa e a far diventare uomini e donne di profonda interiorità.
    Una seconda ambiguità non certamente secondaria nel mondo giovanile stesso è la tentazione di assecondare il bisogno e l'inclinazione mistico-religiosa senza offrire un adeguato fondamento. Può succedere così che anche una esperienza di Gesù possa risultare fallace in ambito giovanile, essendo quella esperienza soltanto l'espressione di una inclinazione mistica-naturale ma non rivolta ad una trascendenza reale.
    Il bisogno di quello che noi chiamiamo discernimento critico nell'incontro con Gesù Cristo si manifesta nella adesione ad un Gesù Cristo come evento della storia, attingibile da un soggetto che sa sempre tenere in dialogo storia e fede.
    In questo senso l'oggettività della storia di Gesù di Nazaret diventa il miglior criterio per vagliare la consistenza reale dell'approccio a Gesù di Nazaret: esso fa infatti risaltare che l'esperienza religiosa che si ha nel cristianesimo è rivolta ad un Tu reale, che è un essere personale e più che personale, appartenuto alla storia e nello stesso vivo nella memoria perenne dei cristiani.
    Analoga riflessione merita la funzione che la compagnia dei credenti assume nell'incontro con Gesù Cristo. Evidentemente il tema può essere qui trattato oppure può essere presentato a parte. Se qui brevemente lo richiamiamo è perché il tema del Gesù storico è difficilmente pensabile se non attraverso la testimonianza della fede credente espressa dalla prima comunità.
    Esprime certamente il vero il detto che «non c'è Gesù senza cristiani»; in questo contesto esso vuole significare che l'incontro con la comunità ecclesiale manifesta quell'oggettività della fede tanto necessaria per non far scadere l'esperienza religiosa in una interpretazione proiettiva della realtà. La comunità ecclesiale non sarà allora filtro degenerativo della conoscenza di Gesù Cristo e Gesù «non andrà liberato - come sostenne Küng - dai detriti di duemila anni di storia del cristianesimo»; al contrario l'incontro con la chiesa può rappresentare la testimonianza di una storia la cui memoria viva si è resa sempre più vera lungo i secoli.

    La via del coinvolgimento esistenziale

    La terza via che può favorire soprattutto oggi nel contesto giovanile l'incontro con Gesù è quella del coinvolgimento esistenziale. La peculiarità del messaggio di Gesù non si gioca soltanto sul fascino della sua persona, sulla sua straordinaria umanità, sulla manifestazione del suo essere da Dio e Dio Lui stesso, ma anche e soprattutto nell'adesione di tutto se stesso alla sua Causa che coincide con la sua persona. È la via del coinvolgimento alla Causa del Regno che connota ogni autentico incontro con Cristo. È il diventare suoi discepoli per seguirlo («Se vuoi, vieni e seguimi») che stabilisce l'autenticità o meno dell'incontro con Lui. Il compito di una oculata pastorale giovanile sarà dunque quello di studiare modi e rinvenire sistemi educativi che facilitino una sequela difficile soprattutto nel contesto della vita quotidiana. Come poter giocarsi tutta la propria vita nel nome di Gesù Cristo, perché i propri fratelli possano ritrovare la vita e il suo senso?
    È soltanto nel coinvolgimento e nell'impegno fattivo per la crescita del Regno in mezzo al mondo che si comprende nella fede e si incontra il Signore che ridà vita e speranza. Questa terza via riassume e concretizza le precedenti vie di cui abbiamo trattato (via dell'affettività e del discernimento critico); tutte e tre devono interagire insieme e procedere di pari passo. La via dell'affettività da sola potrebbe rinchiudere l'esperienza di Gesù in un solitario soggettivismo se non traesse alimento e conferma dall'evento storico attingibile criticamente attraverso la conoscenza storica. La via del discernimento critico senza l'adesione del cuore che muove i sentieri della connaturalità affettiva scadrebbe nell'oggettivismo razionale. La via del coinvolgimento esistenziale si propone allora come conseguenza e inveramento dei processi precedenti: essa porrà attenzione a che la causa del Regno non sia portata avanti con i metodi dell'efficienza, al contrario manifesti sì l'impegno, ma sempre nello stile della gratuità del Dono e nel rispetto del Mistero indeducibile alle logiche umane.
    La via del coinvolgimento esistenziale alla Causa del Regno è un altro modo di dire che il Vangelo è diventato ormai criterio autentico e stile di vita cristiana, militanza appassionata nella comunità di Gesù Cristo perché altri uomini possano ritrovare la gioia di vivere e i motivi di sperare. Il coinvolgimento alla Causa del Regno non chiude mai il credente dentro la comunità, se infatti la Causa del Regno fa condividere con altri la stessa passione, il cristiano è consapevole che se entra nella comunità per scoprire insieme ai suoi fratelli la felicità e la gioia del Cristo Risorto, rimane nella comunità per rendere felici gli altri fratelli che ancora non hanno vissuto la sua esperienza (J. Vanier).
    Come poter trasmettere tutto questo ai giovani oggi nella complessità del vivere, negli spazi di tempo ristretti di un lavoro assorbente, di uno studio totalizzante in vista della preparazione professionale? Come sfruttare i tempi a disposizione? E più ancora la difficoltà non sembra essere l'educazione ad una mentalità di totalità e di dedizione quando tutti i sostegni sociologici e psicologici sono così provvisori e cangianti?
    Spesso nella nostra prassi pastorale si rimanda alla «figura» del volontariato che riassumerebbe un coinvolgimento globale per la Causa del Regno manifestantesi soprattutto nei poveri e negli ultimi.
    Occorre a mio modo di vedere riuscire ad educare più globalmente al senso della totalità e della donazione gratuita e generosa, anche attraverso mezzi più ordinari e feriali. Con questo non voglio dire che il volontariato può essere un retaggio per pochi. E bene però che il volontariato non resti solo un segno profetico, ma che nella pastorale di base si possano far passare certi messaggi senza dover sempre ricorrere a forme e figure giudicate irraggiungibili per la massa.
    Condivido quanto P. Scabini scrive alla voce Parrocchia del «Dizionario di Pastorale giovanile»: non si possono appaltare ad altre agenzie educative (anche ecclesiali) ciò che bisogna fare in un lavoro di base per la grande massa è deleterio curare i cenacoli quando prima va fatto un lavoro duro di aratura per la grande maggioranza dei giovani.
    Occorrerà perciò creare una mentalità del coinvolgimento esistenziale nelle situazioni ordinarie, che renda capaci di apertura ai segni gratuiti e imprevisti dello Spirito Santo. Resta importante studiare quali itinerari educativi riescono a trasmettere tutto questo, e come essi vanno proposti e verificati nel tempo.
    Qui vi è uno spazio immenso di ricerca, di dibattito, di progettazione di sistemi pastorali più idonei.

    Per una discussione

    Riguardo il rapporto tra invocazione e incontro con Gesù Cristo (via della affettività)
    - Quali sono i meccanismi psicologici che favoriscono il passaggio da uno stato emozionale ad adulto, nell'incontro con Cristo?
    - Quali iniziative di carattere pastorale riescono a far crescere maggiormente i giovani nell'incontro con Gesù Cristo? Analizzare il modo con i quali si aiuta a pregare, a stare insieme, a testimoniare la carità.
    - Quanto l'immagine di chiesa che i giovani recepiscono influenza positivamente/negativamente nell'incontro autentico con Gesù Cristo?
    - Dove si pone la discriminante tra una esperienza autentica di Gesù Cristo e una esperienza che pur avendo a che fare con Lui resta soltanto 'religiosa'? -Si conoscono esperienze «deviate» di incontro con Gesù Cristo? Scoprirne le motivazioni: retaggio di ideologismo, assicurazioni psicologiche per soggetti fragili o disturbati? eclettismo religioso incapace di mediarsi nella storia (movimenti ereticali di ieri, sette religiose di oggi)?
    Riguardo la via del discernimento critico nell'approccio a Gesù Cristo
    - Perché la catechesi storico-narrativa su Gesù a livello sistematico non riesce a trovare molto spazio nel contesto ecclesiale italiano?
    - In quali modelli espressivi della pastorale giovanile è maggiormente praticabile una catechesi storico-sistematica su Gesù?
    - Come un annuncio cristologico più sistematico e pensato può influire sui meccanismi che determinano quelle potenze affettive che interagiscono nell'incontro con Gesu?
    - La chiesa locale in quale misura può aiutare/agevolare una pastorale giovanile attenta ad una dimensione più pensata della fede in Gesù Cristo?
    - Perché le sette religiose odierne disattendono completamente l'approccio critico alla figura del Cristo? Per motivi ideali o pratico-esperienziali?
    - Quanto la connotazione ecclesiale della fede ín Gesù Cristo può influenzare/non influenzare i giovani ad esprimere la loro religiosità nelle sette?
    - Quanto il nuovo catechismo dei giovani (14-18 anni) può aiutare una catechesi più sistematica su Gesù?
    Riguardo la via del coinvolgimento esistenziale per la Causa del Regno
    - Quali sono le iniziative pastorali che nelle situazioni quotidiane riescono a far passare maggiormente i valori della totalità e della donazione alla causa del Regno?
    - Quale recezione effettiva riescono ad avere alcune esperienze forti (volontariato organizzato, servizio civile) nella crescita dei giovani ad una mentalità di coinvolgimento nella sequela del Cristo?
    - Qual è la stima presso i gruppi giovanili per le scelte radicali di consacrazione alla Causa del Regno nella via dei consigli evangelici?
    - Come è vissuto il rapporto tra preghiera e impegno fattivo quali espressione di sequela del Cristo?


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