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    La formazione degli obiettori di coscienza nel servizio educativo


    Introduzione al dossier

    (NPG 1995-08-09)

    Sono sempre di più i giovani che trovano nell'obiezione di coscienza al servizio militare uno sbocco naturale del loro cammino formativo nel gruppo giovanile ecclesiale e che attraverso la scelta dell'obiezione di coscienza esprimono il loro modo di porsi critico verso alcune componenti del nostro sistema sociale attuale, contestando quella che è ormai una abitudine obsoleta: aderire meccanicamente e sottostare supinamente al sistema di reclutamento del servizio militare. Inoltre questi giovani con l'opzione per il servizio civile esprimono anche un contenuto profetico, e imprimono alla società una direzione di futuro tanto ricercata: vivere nella pratica quotidiana la solidarietà con l'altro nelle sue molteplici figure.
    La coscienza non violenta e la scelta consapevole della pace e dei suoi percorsi alternativi e costruttivi, non solo in termini di «signornò» ma anche in termini di «sì al servizio degli altri», è problema sentito non più solo da piccole élite di duri e puri; diviene sensibilità diffusa, anche se svaporata, di significative minoranze del mondo giovanile.
    Si tratta invece sempre più di un fenomeno che si dilata e diviene, con tutte le ambivalenze, fenomeno di massa e di costume giovanile, tale che oggi ormai la scelta del servizio civile è compresa sempre più dall'opinione pubblica come via parallela e alternativa al servizio militare: una via costruttiva di un nuovo e diverso sistema sociale.
    Per questo la tematica diventa importante e prioritaria per chi si interessa della formazione dell'identità giovanile e del suo configurarsi come identità sociale, aperta dunque all'inserimento attivo e creativo dei giovani nella società di oggi, se si vuole che i giovani non vengano relegati nei ruoli di riproduttori e ripropositori dell'esistente, bensì innovatori di modelli, di stili relazionali, di ruoli e di strutture.
    In questo senso il servizio civile dei giovani all'interno della società oggi si configura davvero come una delle maggiori novità di esito e di sbocco della condizione giovanile. Che oltre 30.000 giovani italiani ogni anno, nonostante la politica di sabotaggio e di scoraggiamento dei vertici militari e dei loro apparati burocratici ma anche del grande sistema dell'informazione (abbiamo mai visto pubblicità o dossier sul servizio civile?), scelgano un servizio alla società e verso i suoi soggetti più deboli in uno stile nonviolento, è un fatto culturale da cogliersi in tutto il suo spessore e da interpretare; è un segno dei tempi per gli educatori alla fede.
    Prioritario dunque rimane il problema della sensibilizzazione e della formazione di tutti questi giovani alla scelta dell'obiezione e all'orientamento e qualificazione del servizio. La società tutta viene sollecitata da una occasione interessante al ripensamento globale del servizio civile quale «significativa esperienza di iniziazione sociale», proprio i percorsi tradizionali di iniziazione sono andati dissolti o svuotati dall'interno.
    Il dossier dunque vuole sollecitare gli educatori a riflettere sui giovani e su quel particolare momento di «educazione al servizio degli altri e dell'intera società»; esso non può che apparire una esperienza-risorsa privilegiata per il cammino dell'itinerario di educazione alla fede, sia per quanto riguarda il sostegno all'identità giovanile da elaborare, sia per quanto riguarda l'impegno vocazionale.

    ARTICOLAZIONE DEL DOSSIER

    Questa l'articolazione del dossier.
    Partiamo dai fatti: la lettura della situazione giovanile per quanto riguarda la sensibilità e la cultura della pace e non violenza. In seguito diamo invece uno sguardo a quella che è la situazione motivazionale e culturale dei giovani che fanno la scelta dell'obiezione di coscienza per il servizio civile; infine elenchiamo i problemi che emergono sul fronte del servizio civile svolto nell'area dell'educativo, naturalmente a partire da un'ottica ben delimitata: quella educativo-pastorale.

    I giovani e la pace

    Il primo studio, di Paolo Montesperelli, sintetizza una recente ricerca realizzata dallo stesso autore in alcune diocesi umbre, e descrive quello che appare essere il livello di consapevolezza degli adolescenti verso una cultura della pace.
    I dati risultano a prima vista sorprendenti e clamorosi al contempo: la pace, articolata nei suoi temi e nei suoi contenuti, appare in gran parte «sconosciuta» tra i giovani in genere. Certi argomenti non sono affatto di casa. I giovani non appaiono solo disinformati sui temi e sulle figure della pace. Ciò che pare essersi interrotta, in questi figli di genitori della generazione sessantottina, è la continuità della memoria storica con i loro genitori, in un contesto di improduttività culturale delle classiche agenzie di socializzazione (scuola in primis).
    La cultura giovanile appare un portato di sedimentazioni diverse: sotto uno strato recente e superficiale composto da opinioni favorevoli alla solidarietà, emerge uno strato antico, più profondo e influente di sfiducia generalizzata negli altri e di indisponibilità.
    Affiora un atteggiamento «difensivo» più generale e «consolatorio» ed uno stato di generale incertezza e di disagio. L'autore parla di una assenza pressoché assoluta di una «cultura della pace».
    Eppure, a fronte di questo scenario per nulla gratificante per degli educatori, sta il fatto che una parte del mondo giovanile, pur attraverso una minoranza oggi però sempre crescente e non più invisibile, composta da decine di migliaia di giovani, manifesta un chiaro consapevole disagio verso la cultura sofisticata della guerra fino a rifiutare il servizio militare, senza tuttavia sottrarsi ad un servizio gratuito (anche se obbligatorio) verso la società.
    I giovani obiettori di oggi sono lontani culturalmente mille miglia dagli obiettori duri e puri di ieri. Il crollo della ideologia, la fine della cultura della guerra fredda, la dimensione sempre più planetaria della cultura e dei problemi, contribuiscono a far emergere una realtà giovanile completamente diversa: più complessa e articolata.
    Il breve contributo (provvisorio rispetto ad una ricerca in corso) sui «nuovi obiettori» di C. Di Blasi illustra alcune caratteristiche di questi nuovi giovani, la loro flessibilità e la loro posizione morbida e per nulla ideologica, forse anche un po' opportunista e strumentale. La ricerca che è in atto dovrebbe permetterci al più presto di avere un panorama più chiaro.
    Sembra comunque abbastanza chiaro che, come asserisce M. Del-piano nello studio sui problemi della formazione, i giovani che trovano come esito dei loro percorsi di costruzione dell'identità la scelta del servizio civile da obiettori, siano motivati all'obiezione più dal rifiuto di un'esperienza di servizio militare che appare sempre più insignificante, omologante, inutile e svuotata di valore perché poco agganciata alla soggettività giovanile, ed invece sia la stessa significatività del servizio per gli altri e per la società a fungere da motivazione primaria: un bisogno di rendersi utili nella visibilità sociale, di servire in vita quotidiana e sul territorio (anziché nel chiuso di istituzioni totali come le caserme) i soggetti più deboli e di riempire così di senso un anno obbligatorio di servizio che potrebbe risultare invece vuoto (e qui sarebbe quanto mai necessaria e urgente una ricerca sui giovani dopo l'avvenuta esperienza di servizio militare; basta comunque ascoltare i loro racconti e farsene un'idea!
    C'è da notare che gli obiettori per i quali pensiamo la formazione, in questo dossier, non sono «tutti i giovani obiettori», ma soltanto quelli che fanno la scelta di essere «obiettori di coscienza in servizio civile dentro lo spazio dell'educativo», quindi animatori di altri giovani.
    Il resto del contributo analitico focalizza perciò la quantità dei problemi formativi che si pongono ai due livelli: formazione degli obiettori, formazione della comunità educativa che li accoglie.
    I nodi sono: formazione dei formatori, ricerca di un modello formativo in grado di coniugare autoformazione e formazione comunitaria, formazione dell'identità giovanile e acquisizione di competenze specifiche sul versante dell'educativo ma in grado di avere una ricaduta sull'identità, apprendimento dall'esperienza e acquisizione di quadri interpretativi capaci di far apprendere dall'esperienza e attivare processi di cambiamento di sé e della realtà circostante.

    Quadro di riferimento e prospettiva

    La seconda parte intende offrire un quadro di riferimento ed assicurare una prospettiva al progetto di formazione.
    Angelo Cavagna ricostruisce attraverso le parole chiave della cultura dell'obiezione (coscienza, obiezione, antimilitarismo, nonviolenza, difesa popolare nonviolenta) i punti di riferimento di una cultura della pace evangelicamente ispirata e radicata dentro una memoria storica, in grado di far fronte e controbilanciare la «smemoratezza» giovanile ma anche di tanti educatori alla fede.
    R. Tonelli invece offre una lettura pastorale del servizio civile in quanto servizio all'uomo nella libertà: il porsi in situazione di servizio è il solo e unico modo credibile per «parlare bene del Dio di Gesù»; è dunque un modo interessante per il giovane credente di tradurre la realtà dell'incontro con Gesù in un incontro con il fratello nello stile di servizio e di gratuità con cui Gesù ha operato in mezzo agli uomini del suo tempo. Allora il servizio si sostanzia di atteggiamenti come: la solidarietà, il perdono, la libertà per vivere il cuore della legge, la speranza.
    C. Nonni invece arricchisce il quadro globale con il contributo specifico della sensibilità e dell'ottica educativa: non solo le condizioni e gli obiettivi educativi di tale esperienza generatrice per i giovani che la scelgono, ma anche la cultura nuova e l'antropologia nuova che da questa preziosa esperienza culturale può emergere. E, perché no?, anche la nuova cultura educativa che ne può derivare: una educazione alla nonviolenza, una cultura della pace dentro l'educativo.

    Per l'azione

    La parte terza infine offre abbondanti materiali per la costruzione di un progetto di formazione degli obiettori di coscienza in servizio civile dentro l'educativo.
    Essa è arricchita dall'esperienza e dalla riflessione di tante comunità educative, dei centri di formazione degli Enti, e di quanti stanno producendo formazione in situazione. È il contributo che i salesiano e i loro obiettori in Italia offrono per aprire un dialogo e un confronto più allargato. Questi i capitoli.
    Anzitutto alcune riflessioni sulla formazione dei giovani all'obiezione di coscienza.
    Siamo consapevoli che solo lo sviluppo anche tematizzato della educazione alla coscienza nell'itinerario di educazione alla fede dei giovani può accompagnare tutti i giovani fino alla capacità di obiettare in nome della sacralità della coscienza.
    Si tratta di un percorso privilegiato per educare la coscienza e per far incontrare i soggetti con la cultura della pace e della sua memoria sottratta alle nuove generazioni.
    È questo forse il nodo più problematico e la carenza più radicale. Conferma ne sono i dati della ricerca di P. Montesperelli, più sopra riportata.
    E sappiamo che la cultura della pace e dell'obiezione non è poi un dato così pacifico e consolidato nella stessa comunità ecclesiale e nelle comunità educative. Tutt'altro!
    Il lavoro va fatto dunque su due fronti o, se si vuole, con due destinatari privilegiati: i giovani tutti, e poi in modo particolare quelli che si orientano all'obiezione di coscienza da un lato e la comunità educativa, tanto pronta ad utilizzarli, dall'altro.
    Il secondo contributo contiene invece le linee schematiche per un piano di formazione degli obiettori in quanto «educatori in servizio». Il servizio educativo si ricomprende infatti come un luogo simbolico di educazione e di produzione di cultura della pace.
    Cosicché proprio attraverso la presenza degli obiettori ogni educazione viene messa in crisi e verificata in quanto educazione alla pace.
    A questo si aggiunge una bozza di itinerario: un itinerario di educazione alla fede alla cultura della pace come servizio che, assumendo la pace come tema generatore, ripercorre le quattro aree del nostro itinerario e svela possibilità inedite dello strumento stesso e aperture di nuove direzioni di elaborazione dell'identità giovanile in prospettiva credente.
    L'itinerario non è solo un percorso per i giovani obiettori: resta sempre l'unico grande cammino di tutta la comunità educativa, adulti e giovani, obiettori e non, in solidarietà con la comunità degli uomini.
    In tal modo l'itinerario apre un nuovo capitolo sull'animazione. Contribuisce a ridefinire un profilo di animatore che sia sempre educatore alla pace e alla nonviolenza, e sollecita la comunità degli adulti a rinnovarsi e ad accettare lo scomodante confronto con la cultura della nonviolenza.
    È questo uno dei contributi più originali che l'esperienza della cultura della pace può dare all'animazione culturale. È un capitolo dell'animazione. Forse non solo un capitolo, ma tutto il suo libro da riscrivere.
    Ancora, proprio per sottolineare la reciprocità e la circolarità alquanto produttiva e feconda tra esperienza dell'obiezione e della pace ed esperienza educativa, presentiamo la cosiddetta «Carta comune», dell'obiezione e della cultura della pace.
    Essa vuole dare parole e figura a quello che è un vero e proprio patto formativo che deve potersi instaurare tra la comunità educativa disposta ad accogliere gli obiettori in servizio al suo interno quali animatori alla cultura della pace e i giovani stessi che fanno tale scelta.
    È secondo la qualità educativa dell'itinerario da noi riproposto e nella fedeltà a questo patto intergenerazionale che gli stessi ambienti educativi e i luoghi dell'animazione possono a loro volta rivelarsi luoghi autentici di sperimentazione di quella qualità della vita che è la pace, e laboratori di nuovi giovani, di una generazione nuova che fa della scelta nonviolenta e della solidarietà con i più deboli i punti di riferimento centrali per l'identità di uomo.
    L'uomo nuovo, il terzo uomo, quell'uomo che declina l'amore alla vita come amore alla specie di uomo, e possiede una memoria dilatata nel tempo (fino all'homo sapiens) e nello spazio fino ad abbracciare il mondo intero: l'uomo planetario.
    Infine, offriamo una filmografia utile sui temi della pace e della guerra. Non fa anche pensare il fatto che siano quasi tutti film di guerra?
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