Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    Il messaggio evangelico e l'uomo d'oggi



    Jacques Schepens

    (NPG 1995-04-8)


    L'affermazione secondo cui la pastorale» oggi deve misurarsi con problemi completamente nuovi è ormai un luogo comune. Le cause di questa situazione sono molteplici. Esistono molti tentativi di descrivere e di analizzare il problema. Si può pensare ai rilevamenti sociologici che vengono ripresi a intervalli, oppure alle analisi culturali che cercano di cogliere i cambiamenti della società contemporanea. Nello stesso tempo nuovi concetti e nuovi piani pastorali vengono tradotti verso la prassi. Nella convinzione che si tratta di un problema molto importante, è intenzione nostra fissare l'attenzione su un particolare aspetto di questa problematica, che però si rivela fondamentale per la riflessione e la progettazione pastorale. Si tratta della specificità del messaggio cristiano nel contesto della cultura contemporanea. La pastorale oggi viene proprio messa a confronto con la identità propria di questo messaggio e la deve considerare come fonte ed orizzonte delle sue riflessioni e della prassi. La salvaguardia dell'identità specifica del messaggio cristiano diventa oggi una preoccupazione maggiore nella misura in cui si inserisce in un contesto notevolmente diverso da quello del passato. Senza procedere a una analisi dei recenti sviluppi, si può comunque attirare l'attenzione sui seguenti fenomeni: la società multiculturale e multireligiosa, il numero crescente di persone che vivono la loro vita senza tener conto di Dio, il fenomeno della "religiosità senza religione", nonché il rapido diffondersi dell'analfabetismo religioso.
    Le reazioni contro questa situazione sono sufficientemente note. Alcune persone, e anche interi gruppi, si trincerano dietro le posizioni tradizionali, convinti come sono di poter salvaguardare la fede rifiutando ogni dialogo con la cultura contemporanea. Il pericolo è grande che questa reazione ostile verso il mondo conduca alla rottura tra fede cultura. Dalla parte opposta alcuni reclamano un profondo adattamento del messaggio alle nuove condizioni di vita. In modo consapevole oppure silenzioso essi partono dal presupposto che la fede cristiana deve essere adattata all'uomo d'oggi, se si vuole che essa sia ancora significativa domani.
    Diversi tentativi di nuova interpretazione nel periodo postconciliare rivelano che tale esigenza non è nuova in assoluto. Nuova è comunque l'urgenza con cui anche da parte di cristiani responsabili tale ripensamento del patrimonio della fede viene richiesto per motivi pastorali. È una preoccupazione comprensibile. D'altra parte però bisogna tener presente che ogni forma di adattamento richiede cautela. Per esempio, un certo numero di persone pensa che, nel contesto di un crescente pluralismo, non basta il solo rinnovamento del linguaggio della Chiesa e delle forme del culto. La cosa principale sarebbe che religioni e visioni della vita trovino tra loro una piattaforma comune per trasmettere in modo nuovo l'esperienza del senso e dei valori. Secondo il loro modo di vedere ciò sarebbe l'unica possibilità di sopravvivenza del cristianesimo nella società postmoderna. Mi limito a segnalare soltanto un caso che in questo contesto si presenta. Per fare fronte al pluralismo ideologico degli studenti e soprattutto al loro disinteresse in assoluto per la religione, il corso di insegnamento della religione cattolica in Olanda verso la fine degli anni ottanta è stato trasformato in un corso di "formazione alla comprensione di sé e del mondo"[1]. Non si tratta di un semplice cambiamento di nome senza ulteriori conseguenze, bensì di una interpretazione fondamentalmente nuova del messaggio cristiano, con gravi conseguenze per i contenuti e i metodi della pastorale. L'uomo stesso diventa ora colui che dà senso al suo mondo; questa creazione di senso implica una visione "religiosa" della vita.
    Nel seguito si cercherà di spiegare che in questo modo lo specifico del cristianesimo viene messo in gioco. Nello stesso tempo si farà il tentativo di trovare una via d'uscita da questo dilemma, senza che sia compromessa la identità del messaggio cristiano e senza che si perda il legame con lo sviluppo culturale del presente.

    IDENTITÀ SPECIFICA DELLA RELIGIONE CRISTIANA

    La pastorale fa le sue offerte nel quadro del Vangelo e della religione cristiana. Questa affermazione sarebbe superflua se ci fosse un consenso sul carattere specifico della religione cristiana. Poiché ciò non è il caso dobbiamo anzitutto riflettere sul carattere specifico della religione cristiana. Una innovazione a carattere riduttivo non è auspicabile per il messaggio e neppure per la gente. Il mutato clima culturale costituisce però per il cristiano una sfida a riscoprire la sua fede in una luce nuova. Il declino del tessuto cristiano della società e la concorrenza tra una grande quantità di modelli di vita quanto mai diversi tra loro, è un invito per riflettere sulla specificità della fede cristiana. Nel futuro un atteggiamento di fede sarà soltanto possibile, se esso prenderà in considerazione sia il proprio della cultura contemporanea che l'esigenza di verità della religione cristiana.
    In che cosa consiste lo specifico della religione cristiana? È una domanda che i cristiani devono porsi. Infatti, una scienza a carattere riduttivo e basata prevalentemente su teorie sociologiche e psicologiche, insieme a una apologetica moderna di dubbia consistenza, hanno avuto come conseguenza che il cristianesimo viene considerato come espressione di una religiosità universale o come un sistema globale di senso. Per la ideologia del livellamento, che è ovunque diffusa, è quasi un'evidenza che tutte le religioni, visioni della vita e sistemi di valori vengano trattati allo stesso modo.
    Per mettere molto chiaramente in luce questo problema, lasciamo da parte il più possibile atteggiamenti e ottiche strettamente personali. Tentiamo di metterci nella posizione di una persona che ascolta per la prima volta il messaggio cristiano. Procediamo alla stregua della fenomenologia che descrive oggettivamente le realtà religiose. Dal punto di vista pastorale questo approccio ci sembra importante, poiché oggi gli interrogativi religiosi essenziali non vengono posti direttamente sul piano teologico. Tale approccio è anche maggiormente appropriato per stabilire la identità cristiana quale è proposta sul piano storico e si presenta all'uomo d'oggi. Infine questo approccio mette meglio in vista le possibilità e le difficoltà di ordine pastorale. Questo punto di partenza può aiutarci a cogliere meglio la tensione esistente tra vita, cultura e religione. Per chiarire questa problematica ci limitiamo alla domanda centrale della fede in Dio.[2]

    Religione in generale

    La domanda sul modo di intendere la religione cristiana presuppone quest'altra: Che cosa significa religione come tale? In presenza di molteplici idee a questo riguardo, è importante che questo problema sia ben chiarito.

    In senso ampio

    Oggi il concetto di religione è spesso inteso in un senso molto ampio. Fino a non molto tempo fa era quasi evidente che religione si riferiva a un Essere trascendente (Dio, divinità, spirito, spiriti). Oggi questo non è più il caso. Come esempio tipico possiamo riferire a E. Fromm, per il quale religione è "ogni sistema di pensiero e d'azione, condiviso da un gruppo, in cui l'individuo trovi orientamento e insieme un soggetto di devozione".[3] Se fosse proprio così bisognerebbe concludere che anche la passione per la sessualità e per il denaro o la cura per l'igiene debbono considerarsi religione. Possiamo anche citare A. Maslow, il quale considera come esperienze religiose ogni esperienza di pienezza, esperienze estetiche, esperienza dell'amore, esperienze mistiche, in una parola esperienze di vertice ("peak-experiences").[4] Nessuno negherà che esperienze del genere hanno una qualche rilevanza per religione. È però molto problematico se tali esperienze insegnano molto riguardo alla religione in generale e specificamente riguardo alla religione cristiana.
    Abbiamo scelto intenzionalmente alcuni esempi provenienti dalla psicologia. Infatti nella psicologia si trova una specie di indicatore comune delle scienze umane, che a partire dalla loro formazione nello spirito dell'Illuminismo, hanno avuto la pretesa di chiarire la natura della religione, vale a dire dimostrare la sua origine umana. Tale concetto continua a essere presente negli ambienti delle scienze umane ed influisce sulla mentalità dell'uomo contemporaneo.
    Una versione di questo concetto, molto vicina alla realtà concreta, è quella forma tipica di religione che si riscontra nella società occidentale: "religiosità senza religione". L'espressione rimanda - stando alle molteplici ricerche sociologiche - al numero crescente di persone che affermano di non credere più in un Dio personale, mentre contemporaneamente sono convinti che né la filosofia né le scienze sono in grado di dischiudere l'ultimo senso dell'esistenza. Si tratta di persone che rimangono aperte a una dimensione più profonda della vita. Attribuiscono alla natura e al prossimo un significato religioso, però senso rapporto con Dio e senza riconoscersi in un credo religioso. Nella misura in cui se ne servono ancora, la parola "Dio" rimanda a ciò che è totalmente sconosciuto, al mistero, al quale non è possibile dare un nome. Il cristianesimo è solitamente considerato un modo superato per esprimere questa loro comprensione del mistero divino.
    Una siffatta estensione del concetto di "religione" implica necessariamente un completo svuotamento di significato. Se tutto può essere religione, alla fine non si sa più di che cosa si sta parlando. Per questo motivo fin da principio noi escludiamo dalle nostre considerazioni questo significato esteso.

    In senso ristretto

    Noi usiamo al contrario un concetto ristretto di religione. Sul piano oggettivo noi consideriamo la religione come un fenomeno culturale specifico, senza attribuire a esso - come fa soprattutto la sociologia - un significato funzionale. La cultura stessa esprime nella religione un rimando verso poteri che nel linguaggio occidentale vengono chiamati "soprannaturali", vale a dire poteri che non sono cosmici né umani, ma sono l'altro lato della realtà e che dalla filosofia vengono chiamati "trascendenti". Il termine "soprannaturale" indica una realtà che non può essere annoverata tra le forze naturali né tra le istanze umane, ma trascende tutto ciò. Evoca una realtà influente, con il quale l'uomo, la società e la natura si trovano ricollegati e dalla quale dipendono per il loro bene. Il fatto che la religione sia qualcosa di specifico nell'ambito della cultura risulta, fra altro, dal fatto che tutti i suoi elementi sono oggetto di una forma di conoscenza che non è paragonabile con nessun'altra forma di sapere.
    Con Freud si può dire che la religione, come pure il linguaggio o la famiglia, fa parte dei fenomeni culturali maggiormente complessi.[5] La sua complessità risulta, fra l'altro, dal fatto che nessuno dei suoi elementi è comprensibile fuori del riferimento agli altri. Tutti gli elementi sono connessi con gli altri e costituiscono un sistema, una totalità di linguaggio, di sentimenti, di gesti, di comportamenti e segni, di simboli e di persone, che hanno riferimento a un Essere soprannaturale o a più esseri soprannaturali.

    La religione cristiana

    L'espressione "la religione" è in ultima analisi una astrazione. In concreto si ha sempre a che fare con una particolare religione. L'antropologia culturale, per esempio, osserva e studia solitamente una religione particolare. La religione che ha plasmato l'occidente e continua a plasmarlo è il cristianesimo o la fede cristiana. La parola "fede" indica che si tratta di un particolare tipo di religione. Nessun'altra religione conosce l'espressione: "credo in Dio", che nella religione cristiana è di importanza capitale.

    Il nucleo

    Il nucleo del cristianesimo sta nel fatto che il Dio ignoto e inaccessibile prende personalmente l'iniziativa venendo incontro all'uomo per diventare "Dio per noi". La rivelazione nell'ottica biblico-cristiana è precisamente questo fatto: Il Dio personale irrompe nella storia umana; Egli chiama determinati uomini e li manda in missione, con la promessa di stare con loro. Questa iniziativa dell'agire storico di Dio è compiuta quando l'uomo esce da se stesso e va incontro a Dio, esattamente come Dio viene incontro a lui. Finché questo duplice movimento di riconoscimento personale e di risposta non si è realizzato, la fede e la rivelazione rimangono una realtà estranea alla vita.[6]
    Di fatto la fede non mira soltanto all'incremento della qualità della vita individuale e sociale. Pur riconoscendo che il comportamento etico è senza dubbio uno dei suoi compiti essenziali, bisogna dire che quell'importante obiettivo, cioè l'aumento della qualità della vita, è radicato nella partecipazione alla vita del Dio vivente. L'essenziale è quindi che si possa realizzare un rapporto tra Dio e l'uomo. Per questo motivo la fede cristiana può essere descritta come intersoggettività teologale o come fede vissuta.

    La rivelazione

    Un'idea centrale della religione cristiana è la rivelazione. Anche se è vero che qualsiasi religione fa appello a una qualche rivelazione, la religione biblico-cristiana indica una forma specifica di rivelazione. Essa rivendica di avere la propria origine in una particolare rivelazione. Il Dio personale per mezzo di iniziative storiche ha parlato a persone umane e realizza insieme con loro una storia. Egli si rivela come il Dio che interviene nella storia per realizzare insieme con gli uomini un piano, vale a dire la progressiva realizzazione della sua presenza nello spirito, nel cuore e nel comportamento dell'uomo. Il Grande Ignoto dell'umanità religiosa si fa personalmente presente nella storia come un Dio al quale è possibile rivolgere la parola, come una efficace presenza divina. La fede cristiana riconosce il carattere proprio del mondo e della sua "mondanità senza mutarli immediatamente. Il Dio biblico si rivela come il Santo (qados, sanctus), come il totalmente Altro, come assoluta Trascendenza, e non già semplicemente come il sacro (sacrum, le sacré) o il divino. Egli è diverso dal principio divino che nella metafisica emerge come prima causa. La rivelazione del Dio monoteistico rappresenta una rottura nelle religioni e nella storia culturale.
    Grazie a questa specifica rivelazione la religione biblico-cristiana ha introdotto nel mondo della cultura un fattore critico. Nelle religioni arcaiche la religione appartiene intrinsecamente al mondo come tale. Ciò non è più il caso per la religione cristiana. Con la nascita del cristianesimo il confronto tra fede e mondo è diventato una sfida e un compito. Questo fatto è diventato sempre più visibile nel corso della storia e soprattutto è visibile nel contesto del mondo presente.

    L'atto di fede

    Il cristianesimo fa appello all'uomo perché faccia l'atto di fede dando assenso a questa rivelazione storica e assumendo un comportamento etico e religioso in corrispondenza con essa. Questo appello mette l'uomo di fronte a una decisione personale e richiede un impegno quale non esiste in altre religioni. Questa realtà, fra l'altro, si rivela nell'affermazione "Credo in Dio". Per dare espressione alla propria relazione di fede è stato necessario creare un termine specifico, un errore linguistico. Il cristianesimo richiede dall'uomo una relazione che è direttamente orientata verso Dio e presenta quella particolare struttura della fede. Atti di fede non si realizzano in tutte le religioni. Il più delle volte si tratta di atti di culto, senza esplicita decisione di fede. Certo, la parola fede è anche nota ad altre religioni, ma non ha il significato che il cristianesimo gli attribuisce.
    Se è vero che la lingua ha raccolto quanto di esperienza generazioni intere hanno voluto esprimere con una parola specifica, ne risulta che anche la etimologia ha qualcosa d'importante da dire.[7] Nel linguaggio corrente l'espressione "credere" è frequentemente usata per esprimere un alto grado di probabilità in favore di una determinata concezione, oppure per far accettare più facilmente qualcosa come vero, oppure perché mancano le prove. La storia etimologica dimostra però che praticamente in tutte le lingue occidentali come anche nel mondo del pensiero biblico-semitico, la parola "credere" proviene originariamente dall'ambito intersoggettivo. Si riconosce facilmente il collegamento tra "credere" e promettere o affidarsi. La parola tedesca "glauben", come pure quella inglese "to believe" e l'olandese "geloven", è derivata dalla radice indogermanica leubh (in latino libet, lubet, libido) che indica un "affetto". Anche le parole "lieben", "loben" [amare, lodare] ne sono derivate. Ciò vale anche per il francese che - come il latino - dispone di due parole che evocano un simile atteggiamento di fondo: croire, foi (francese), credere, fides (latino).[8] Anche se nel linguaggio corrente la parola "credere" è spesso oggettivata, non ha comunque perso totalmente il suo significato originale. Anche qui significa spesso "avere fiducia" "affidarsi a", "contare su...".
    Il significato specificamente cristiano della parola "fede" è indicato nel Nuovo Testamento con i termini pisteuô, pistis, ma soprattutto con la formula pistis eis (credere in). La fede è compresa come "accettazione del kerygma cristiano" e quindi come "fede salvifica che fa propria, con gratitudine, l'opera salvifica di Dio compiuta in Gesù Cristo".[9] Nell'Antico Testamento la parola "fede" sottolinea in primo luogo la reactio dell'uomo verso la actio primaria di Dio ed esprime quindi l'atteggiamento corretto da assumere verso Dio il quale da lungo tempo si è fatto conoscere. Nel Nuovo Testamento invece il kerygma originario proclama il messaggio "che vi è un solo Dio, e nello stesso tempo proclama il messaggio di Gesù Cristo, suo Figlio, e ciò che Dio ha fatto e continuerà a fare per mezzo di Lui".[10] I termini pistis e pisteuein conservano sempre il significato di "dare fede a", di "avere fiducia in", di "affidarsi a". Tuttavia nel concetto cristiano di pistis l'aspetto di fiduciosa speranza retrocede in seconda fila. Nella pistis l'uomo guarda primariamente verso ciò che Dio ha fatto, non verso ciò che farà.[11] Nel cristianesimo la parola "fede" non perde il significato che ha nel linguaggio corrente. Tuttavia con l'espressione "credo in..." il credente, il cristiano si rivolge fiducioso verso Dio e in questo modo dà consenso all'opera di Dio e a ciò che Egli ha operato in Gesù Cristo.
    Il linguaggio della rivelazione non è un linguaggio informativo, ma, secondo la terminologia di J.L. Austin, è un linguaggio che si può indicare come "linguaggio performativo". Nell'espressione "io credo" il "credere" non è un verbo che esprime la probabilità di una determinata concezione oppure semplicemente constata ed indica dati oggettivi. Il linguaggio della storia della rivelazione è un linguaggio che interpella, invita, provoca. Esso richiede una risposta. Perciò l'espressione "io credo..." appartiene agli atti linguistici che esprimono un "sì", o che concludono un patto che è la risposta a una parola che l'Altro rivolge a una persona.[12] Già dal punto di vista linguistico la professione di fede cristiana non è una formulazione teorica, nel senso di "io credo che c'è un Dio", né una professione formulata nella terza persona, come è il caso nell'espressione Allah akbar dello shahada islamico. È invece una professione di fede personale nel Dio di Gesù Cristo, nel suo Spirito e la sua presenza nella Chiesa.
    Quando per mezzo della parola personale rivolta all'uomo il Dio della Bibbia si rivela, Egli si rivela come un Dio personale. A differenza dei miti, che sono solitamente racconti riguardanti la divinità, il Dio della Bibbia parla personalmente: Egli parla nella prima persona e nel presente. Questo è anche il fondamento perché Dio può essere chiamato "persona". L'idea di Dio contiene gli elementi essenziali della definizione di persona. E. Benveniste sottolinea che la persona o la realtà personale esiste soltanto attraverso il dono del linguaggio. Essa offre all'uomo la possibilità di rivelarsi come ego nell'atto linguistico. Persona è chiunque si rivela come soggetto, come io in prima persona, il quale con una parola personale si rivolge verso gli altri.[13] L'atto linguistico nel presente è l'unico modo per farsi conoscere come persona. È un atto in cui l'io enuncia se stesso, per il fatto che l'io nel suo rapporto dialogale e intersoggettivo parla personalmente all'altro. L'ego non ha altro contenuto all'infuori del rimando verso se stesso (sui-référentiel"). Tipico per la religione dell'Antico Testamento e pienamente visibile nel cristianesimo è il fatto che Dio apporta se stesso in un rapporto dialogale. In questo caso Egli non è il risultato di un atto di pensiero o di una esperienza affettiva. "Dio" in quanto soggetto di enunciati religiosi è un nome proprio, mentre nella filosofia è una cifra per l'indicibile.
    Abbiamo sottolineato l'aspetto caratteristico della religione biblico-cristiana. La pastorale come pure la spiritualità devono sempre riferirsi a ciò che è essenziale nel Credo. Anche i problemi di ordine metodologico non possono sottrarsi a questo problema fondamentale. La pastorale ha il compito di ricercare e di aprire vie, che conducono gradualmente verso l'essenziale della fede o permettono di scoprirlo nuovamente. È anche suo compito condurre l'uomo, per mezzo di metodi appropriati, all'assenso di fede, di modo che l'io grammaticale dell'enunciato "Io credo" possa crescere diventando un impegno personale. Si tratta più che mai del nucleo del kerygma apostolico: il messaggio di un Dio-Padre, che opera e parla nell'uomo-Dio Gesù, che Dio ha risuscitato dalla morte e glorificato, e per mezzo del quale nello Spirito Santo continua il suo agire salvifico nella Chiesa.

    Alcune conseguenze

    Lo specifico della religione cristiana colloca il cristianesimo in una posizione particolare e unica tra le diverse religioni. Nessuna forma di sincretismo, per quanto ben intenzionato, può ignorare questo carattere unico. A differenza delle religioni tradizionali il Dio della Bibbia parla in momenti databili e parla in prima persona. Egli non racconta miti. Il contenuto della rivelazione è soprattutto Dio che comunica se stesso: Dio rivela se stesso come persona. Senza preavviso il Dio ignoto si porta avanti libero da qualsiasi mescolamento con il cosmo divino o con il sacro. Un rapporto personale con Lui diventa possibile, anche se ciò non esclude una diffusa presenza del divino nella qualità del mondo. La parola personale che Dio rivolge all'uomo rende possibile un rapporto personale da parte dell'uomo, di modo che il cristiano possa chiamare Dio "Padre". È vero, come ha mostrato M. Eliade, che la parola "Padre" non è esclusiva della tradizione cristiana.[14] Nella fede cristiana però questo nome riceve un significato assolutamente diverso. Colui che crede in Gesù, il quale è l'unico figlio del Padre, partecipa alla sua figliolanza divina. Per Gesù le espressioni "Dio" e "Padre" non erano concetti filosofici, bensì parole che esprimono un rapporto. Nelle sue ricerche sulla religione greca J.-P. Vernant ha mostrato che per un greco sarebbe totalmente impensabile dire "mio Giove".[15] Gesù invece dice "mio Padre" che è anche "vostro padre". Chiunque esamina con oggettività la religione, anche se personalmente è non credente, potrà constatare questo dato di fatto. Il cristianesimo non è la religione di una città, né la religione di una società naturale o di un clan. È nello stesso tempo una religione personale e universale. Proprio in quanto religione personale che si rivolge all'uomo come persona e non già come abitante di una città, o come suddito di un popolo o di uno Stato, essa può rivolgersi all'umanità intera.
    Fede cristiana significa: dare l'assenso a ciò che trascende il mondo. Questo assenso è sempre segnato da tensione, perché Dio si rivela come altro, nuovo e inaspettato. Egli non è semplicemente nel prolungamento delle attese, delle esperienze e delle motivazioni umane. In linea di principio esiste una tensione tra l'autonomia della fede e l'autonomia del mondo (saeculum). L'affermazione va però intesa rettamente. Il Dio di Gesù Cristo afferma radicalmente la sua diversità dal mondo. Nello stesso tempo appare storicamente nel mondo. In modo univoco Dio, in quanto essere trascendente e personale, è al di là del mondo proprio dell'uomo. Ciò ha come conseguenza che soltanto in misura limitata la religione cristiana può interessare spontaneamente l'uomo. Se Dio è altro rispetto al mondo, vuol dire che Egli appare in qualche mondo estraneo al mondo. Egli è fuori dell'interesse spontaneo dell'uomo. Di conseguenza la religione cristiana appare a prima vista come fenomeno marginale della cultura. Ma proprio per il fatto che la religione del Dio personale non è più mescolata con la realtà mondana, quale si presenta nella propria autonomia, essa è in grado di convincere l'uomo sulla base del suo valore intrinseco. Anche rispetto alle teorie scientifiche e le filosofie, che sono in continuo cambiamento, la fede cristiana conserva la propria autonomia. Anche il mondo conserva la propria autonomia. Esso è il luogo dove l'uomo con le proprie forze, con la scienza, il lavoro, l'arte, la politica, la previdenza sociale, l'etica elabora la cultura. Il risultato della secolarizzazione è la convinzione secondo cui è possibile e anche legittimo trattare e realizzare la realtà politica, sociale e cosmica senza ricorrere alla religione. Il riconoscimento dell'autonomia dei diversi ambiti culturali è una conseguenza del monoteismo biblico, che si è realizzato lentamente nella cultura occidentale ed ora è diventato una conquista storica. La consapevolezza di un mondo autonomo, in cui Dio non è direttamente richiesto, significa una svolta radicale e irreversibile, poiché scaturisce da presupposti sociali, culturali e religiosi. La cultura in quanto fenomeno umano e in seguito al processo di secolarizzazione è diventata neutra o a-teista. Rispetto al passato questa cultura costituisce una sfida assai più grande per il pensiero cristiano. E non può essere diverso, poiché la parola di Dio viene in un mondo, il quale realizza se stesso come grandezza non-cristiana. Nell'ottica della fede il mondo è senza alcun dubbio frutto della creazione da parte di Dio. Dio, che per sé è nascosto, lascia le tracce della sua intelligenza nelle leggi che determinano il mondo, la vita e la psiche dell'uomo. L'assunzione dell'ottica della fede diventa più difficile nella misura in cui il mondo autonomo tende a rinchiudersi in un pensiero immanente e a considerarsi come assolutamente autonomo.
    Lo specifico della religione si manifesta nel paragone con le religioni e le culture tradizionali del passato e del presente. All'interno di tali religioni c'era una mescolanza tra mondo e divinità. Spiriti e divinità penetrano l'universo e la vita: nascita e morte, fecondità e malattia, educazione e formazione... L'uomo è rinchiuso in una rete di visioni della vita, di prescrizioni etiche e di simboli religiosi, dalla quale è impossibile liberarsi. E poiché in ultima analisi non c'è possibilità di scelta, non vi può neppure essere fede nel senso stretto del termine. La religione vi fa parte integrante della comunità culturale, di cui il singolo è membro e entro la quale si realizza la sua umanità. In questo caso non soltanto la fede ma anche la non credenza diventa impossibile. Ambedue presuppongono una decisione veramente personale. La richiesta o l'invito di accogliere la rivelazione storica, è più che mai per l'uomo d'oggi una decisione personale che per coloro che appartengono alle culture tradizionali sarebbe impensabile.

    Il contributo del cristianesimo per la vita e la cultura

    Cosa offre la fede al mondo?

    L'autonomia della fede e del mondo solleva l'interrogativo: che cosa la fede ha da offrire al mondo e che cosa il mondo ha da offrire alla fede? Ci limitiamo alla prima parte della domanda: Che cosa significa la fede per un mondo che nella propria autonomia possiede quanto è necessario per realizzarsi come mondo? Umanità, cultura ed etica si possono realizzare senza la fede in Dio. La storia ci insegna che la religione non garantisce automaticamente tali valori. Più di una volta però affiora anche l'interrogativo se nella prospettiva atea non andrà perduto, a lungo andare il senso della dignità umana. Nascono sempre nuove teorie che cercano di dimostrare la funzionalità della religione per la vita personale e sociale. Forse hanno un certo valore. Bisogna però domandarsi se non corrono il rischio di ridurre Dio a delle funzioni psichiche e sociali, le quali ben presto vengono smascherate come bisogno umano. Una religione puramente funzionale misconosce l'alterità di Dio e alla fine rende impossibile un vero rapporto con Lui. Nella cultura a-teista di oggi l'uomo fa l'esperienza di non avere bisogno di Dio, di religione e di Chiesa per realizzare la vita quotidiana. Inoltre con la venuta del cristianesimo la religione non fa più parte del mondo come tale. Per questo motivo è inevitabile una tensione e spesso anche un confronto tra la fede cristiana e la cultura. Tale tensione ha un ruolo specifico nell'appropriazione della fede personale.
    Come dunque si può esporre il senso della fede, se l'autonomia dell'uomo si è estesa a tal punto che - apparentemente - il rapporto con Dio non è più sentito come parte essenziale dell'essere umano? Per coloro che vivono e pensano già nell'ottica della fede tale domanda è priva di senso. Colui che si affida a Dio fa l'esperienza che la fede cambia l'intera impostazione della vita, che essa lo rende interiormente libero e nobilita il nucleo del suo essere. Il messaggio del Vangelo di Dio e la permanente opera del Signore risorto appaiono sempre più come novità estranea alla vita e alla cultura. Che cosa offre la fede all'uomo, se questa fede non serve direttamente per i suoi compiti mondani? Solitamente si afferma che la fede offre all'uomo significatività e comprensione di sé e del mondo. Quest'espressione va però compresa rettamente. Quando nel contesto della fede si parla del senso della vita, non si tratta in primo luogo di una problema teorico. Il senso della vita nell'ottica della fede va sempre visto nel seguente contesto: in ogni essere umano vive il desiderio fondamentale di essere accettato interamente e in modo definitivo da altri. Questo desiderio, originariamente di natura narcisistica, appartiene alla struttura fondamentale del suo essere e sta alla base del sentire, dell'agire e del pensare dell'uomo. L'appagamento di questo desiderio offre all'uomo la più profonda felicità. Non c'è teoria, visione del mondo, o attività mondana che possa dare questo compimento. Esso è unicamente il risultato di un riconoscimento disinteressato da parte del prossimo. Ora ogni riconoscimento umano, per quanto intenso, è limitato e imperfetto. Il desiderio di una accettazione definitiva orienta l'uomo verso il mistero che trascende l'uomo e il mondo. Tale orientamento non è ancora la fede cristiana, anche se è vero che esso è un presupposto perché nella fede possa trovare un inquadramento e uno sviluppo. Noi sappiamo che la fede ha la sua origine in Dio stesso, il quale accoglie il desiderio umano. Ma per farne l'esperienza è indispensabile riconoscere Dio e avere il coraggio di credere in Lui. Il desiderio apre l'uomo verso la parola di Dio. L'uomo deve però accogliere questa parola e rinunciare alla sua volontà di assoluta autonomia. La fede in ultima analisi mira a un rapporto vissuto con Dio. Questo non esclude che anche l'uomo stesso cerchi di dare un senso alla sua vita. La principale obiezione contro quella posizione ampiamente diffusa in ambienti sociologici, cioè di interpretare la religione come un sistema di significato, consiste nel fatto che questo significato è visto in modo prevalentemente teoretico e radicato nel soggetto umano. Questo modo di vedere non è tanto una conseguenza del cristianesimo quanto un frutto dell'illuminismo. Inoltre non si deve perdere di vista che il Vangelo mette in questione non poche convinzioni e significati umani. Soltanto colui che si affida alla parola di Dio, farà l'esperienza dell'autentico senso della vita.

    L'efficacia della fede?

    Nel passato era possibile indicare la necessità e la concreta efficacia della fede per diversi ambiti della vita umana. Oggi questo non è più il caso. Da un altro lato c'è il timore che la fede sia illusoria quando non è più possibile indicare la sua efficacia. La secolarizzazione ha profondamente segnato la consapevolezza secondo cui anche senza la fede si può vivere. Perché dunque credere? A dispetto di ben intenzionate apologie, molta gente oggi non trova più una risposta a questa domanda. Nella migliore ipotesi essi considerano la fede come simbolo di umanesimo, di esperienza di valori, di comprensione di sé e del mondo.
    Anche quando l'uomo fa l'esperienza della "inefficacia" della fede, resta comunque aperta la possibilità di attirare l'attenzione su una realtà più profonda. Come l'amore e l'arte anche la religione appartiene ai valori "gratuiti". Essa non fornisce all'uomo un qualche aiuto immediatamente pratico, non offre risposte immediate a domande concrete. La fede ha un valore in sé e per sé. Non ha bisogno di essere vissuta in vista di altre finalità. Ciò non significa che la fede sia "secondaria" o addirittura "superflua". Infatti nonostante la loro "inefficacia" i valori gratuiti sono i più importanti della vita. Senza questi valori l'uomo non potrebbe realizzarsi e svilupparsi come persona umana. Questi valori non offrono nulla di concreto all'uomo. Gli permettono semplicemente di essere diverso. Soltanto di fronte a un atteggiamento disinteressato questi valori possono manifestarsi. Il loro significato si schiude soltanto quando l'uomo nella quiete, nell'attenzione, nella disponibilità si tiene aperto ad essi. Resta però il fatto che anche l'uomo che è convinto che bisogna ricevere la ricchezza della vita da valori gratuiti, giunge difficilmente a questo atteggiamento.
    L'uomo d'oggi constata sempre più che Dio, in quanto totalmente altro, non è oggetto di esperienza mondana. Tenendo però viva l'attenzione per il messaggio evangelico, aumenta per lui la possibilità di scoprire il Dio che non è di questo mondo. Lentamente egli scopre che al di fuori della propria realtà c'è un'altra realtà, che richiede un atteggiamento disinteressato. Alla stregua dell'amore e dell'arte la religione non è appagamento diretto di bisogni umani. Essa libera però l'uomo dal suo atteggiamento utilitarista. In questo modo viene incontro al desiderio più profondo per il fatto che permette all'uomo di essere semplicemente per sé, per gli altri, per Dio. Non vi è dubbio che la fede deve mostrare la sua efficacia anche nell'ambito storico. Il suo significato profondo non è però in primo luogo il significato pratico, ma il rapporto disinteressato con Dio. Comunque resterà sempre difficile considerare la gratuità come valore supremo. Al contrario, prendendo la fede come una diretta necessità, la sua vera forza e la sua dinamica vengono paralizzate.
    L'uomo che giunge a un rapporto personale e gratuito con Dio, fa lentamente l'esperienza che la fede avvolge tutte le dimensioni della sua esistenza. Il senso che egli incontra nella sua vita, lo incontra a più alto grado nella fede. L'uomo che è alla ricerca di senso o crea il senso, realizzando in questo modo se stesso, scopre nell'intimo di sé un vuoto. Questo vuoto può essere riempito soltanto da un rapporto personale. Esso lo libera dall'assurdità. Nella fede cristiana l'uomo sa di essere personalmente accettato da Dio e di ricevere da Lui il vero senso della sua vita. Per il credente Dio è la vera e profonda forza dell'uomo e della sua storia. La sua parola è una luce che conduce al discernimento degli spiriti.

    ALCUNI ORIENTAMENTI PASTORALI

    Fondamento antropologico

    La pastorale, l'educazione della fede, la direzione spirituale si trovano a confronto con la seguente domanda: Come si può aiutare l'uomo d'oggi a diventare cristiano credente? La pastorale ha il compito di indicare alcune vie che sono adatte per cogliere il messaggio cristiano e accettarlo nella fede. Il divenire cristiano dell'uomo è inseparabile dal suo divenire umano. A seconda dei presupposti antropologici si danno risposte diverse alla domanda della realizzazione di sé. Nel tempo presente si parte sovente da un'antropologia puramente soggettivistica, che riduce le conoscenze e i valori a esperienze personali e all'elaborazione personale di senso. Tale modello è finalmente inconsistente. Ciò risulta, fra altro, dal fatto che tutti i fenomeni umani maggiormente rilevanti, come il linguaggio, l'arte, l'amore, la formazione e la cultura, non sono mai esclusivamente frutto di creatività umana.
    Maggiormente convincente appare un'antropologia dinamica. L'uomo realizza se stesso, assimilando criticamente i dati della cultura. L'interazione tra l'uomo e l'ambiente permette anche di comprendere la sua realizzazione nella fede. In questo modo viene riconosciuta la tensione tra il contenuto oggettivo del Messaggio e, da un altro lato, le possibilità e le difficoltà per appropriarsi gradualmente, tramite un processo di interiorizzazione, questo contenuto. La concezione dinamica lascia spazio sufficiente alla particolarità della fede cristiana e all'autonomia dell'uomo. Bisogna invece esprimere riserva verso un'antropologia in cui la fede e la religione sono totalmente ridotte a un atto soggettivo di significazione. Ciò non significa però che il Messaggio potrebbe essere ridotto a una totalità assoluta e oggettiva, fuori del tempo e contrapposto all'uomo. La verità e la realtà di Dio non sopravvengono all'uomo puramente dall'esterno.

    Approfondimento della fede

    Che cosa va considerato affinché l'uomo possa decidersi per la fede in Dio e possa camminare sulla via di un più profondo atteggiamento di fede? Ci fermiamo brevemente su questa domanda. Per chiarire in che modo l'io dell'enunciato "io credo" può crescere e diventare un io personale, è necessario mettere insieme alcune idee importanti provenienti dalle scienze umane.
    Anzitutto bisogna tener conto del fatto che l'uomo, dal punto di vista psichico, non nasce come un essere etico o politico, e dal momento della nascita non è spontaneamente orientato verso Dio. Egli diventa un essere religioso.[16] Anche la fede deve sempre essere considerata nell'ottica del divenire. Soltanto gradualmente la persona giunge a un rapporto personale con Dio sulla base della mediazione di Cristo. Inoltre la via della fede è lunga e irta di difficoltà per il fatto che alcuni presupposti socioculturali rendono più difficile la disponibilità di credere al Messaggio. Anche colui che attraverso l'educazione è stato accolto in una religione, riesce soltanto gradualmente nell'appropriarsi questa religione. Per colui invece che non ha ricevuto nessuna socializzazione religiosa, la via è ancora più difficile. Il fatto che una persona diventi credente dipende dall'interscambio di segni e di testimonianza della fede, e dipende dal consenso personale. In modo analogo l'uomo diventa un essere di linguaggio e di amore. Comunque l'appropriazione della fede è maggiormente difficile, per il fatto che nella cultura contemporanea l'uomo può assolvere i suoi compiti mondani anche senza la fede in Dio, mentre ciò non sarebbe pensabile senza il linguaggio e senza l'amore.
    La crescita nell'atteggiamento di fede è sempre risultato della convergenza di due dati: da un lato l'accettazione del messaggio religioso, da un altro lato le esperienze e i desideri umani. Il Messaggio giunge all'uomo attraverso diverse modalità di testimonianza in suo favore: personale o collettiva, silenziosa oppure esplicitamente proclamata. Conviene ricordarsi la parola di san Paolo: "E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?" (Rom 10, 14). Soltanto per mezzo di un Messaggio appropriato, che nello stesso tempo viene esplicitamente annunciato e testimoniato, l'uomo può scoprire la realtà profonda che, in ultima analisi, egli aspetta per la sua esistenza. Per fare fronte a questa esigenza e nel contesto di una fedeltà autentica, il cristianesimo non può rinunciare a rinnovare profondamente il proprio linguaggio, le sue forme di culto e le sue dottrine di redenzione. Nella situazione di un diffuso analfabetismo religioso e di mancanza di esperienze che rimandano verso Dio, è più che mai necessario la presenza di un appropriato linguaggio e di simboli religiosi capaci di suscitare la possibilità della fede. I segni e le testimonianze della religione devono rispondere assai più al desiderio umano di partecipare alla sorgente stessa dell'Essere.
    Dal punto di vista dinamico-genetico l'uomo si rifugia in Dio soprattutto per soddisfare bisogni umani molto concreti. Infatti sulla base della sua struttura psichica, l'uomo è un essere dominato dal potente il desiderio, dalla volontà di vivere e di essere felice. Ma questo desiderio si scontra con la realtà, che lo ribatte nella impotenza e rende impossibile la soddisfazione dei bisogni. Il mondo esterno si oppone al desiderio di sopravvivere, di sviluppare le proprie forze, di essere amato. Per forza della natura i desideri sono però molto forti e ad ogni costo cercano di essere soddisfatti. Per questo il desiderio di trovare soddisfazione per i suoi bisogni viene trasferito spontaneamente su un essere che è più potente dell'uomo. La preghiera di ricevere aiuto nel bisogno, di essere liberato dalla colpevolezza psichica, la ricerca di protezione, di forza morale, di sopravvivenza, di assicurazione del senso ultimo della vita si rivolge spontaneamente verso Dio. Questo però avviene soltanto quando nel mondo ambiente un discorso su Dio è realmente presente. Dalle diverse forme di bisogni psichici e sociali la religiosità spontanea ricava in modo del tutto originario la propria forza. Dal momento però che l'uomo è in grado di soddisfare personalmente questi bisogni, non ha più ricorso a Dio. Dalla parte opposta si vede che l'uomo pienamente appagato non pensa spontaneamente a Dio. Questa esperienza favorisce la critica, alimenta il dubbio e lo scetticismo. Diventa sovente la sorgente di indifferenza per la religione, soprattutto quando il giovane nei suoi rapporti riusciti, a livello personale e nella responsabilità scopre l'identità personale e partecipa attivamente alla vita sociale.
    Il divenire dell'atteggiamento religioso consiste nel superare, per mezzo di un impegno faticoso, questa tendenza naturale e di passare da una religione vissuta soltanto in funzione di bisogni psichici o sociali a una religione che ha un valore in sé. È la stessa cosa che si verifica nell'amore: da un amore di dipendenza si passa a un amore che scopre la propria gioia nell'autonomia, nell'accettazione dell'altro e nella reciprocità della relazione. L'uomo giunge a una autentica fede soltanto quando in determinati momenti di sviluppo e di crisi, rimane fedele alla sua apertura scoprendo il Dio gratuito. Questa scoperta presuppone tuttavia un grado di maturazione, che nell'attuale contesto culturale, non si raggiunge senza tensioni e conflitti. Soltanto grazie a questa maturità la piena verità di Dio può essere riconosciuta. Essa infatti fa sì che le affermazioni sulla divinità di Gesù possano essere comprese nel loro vero significato e non vengano ulteriormente misurati secondo la norma del proprio desiderio. Questo riconoscimento disinteressato presuppone che l'uomo sia sufficientemente libero dai propri bisogni e sia in grado di trasferire in un'altra persona il centro della sua vita. Soltanto la percezione di avere il proprio centro fuori di sé permette all'uomo di lasciarsi convincere del significato interiore dell'alterità di Dio, e della infecondità di incapsularsi in se stesso riferendo tutto a sé.

    Considerazioni pedagogiche

    Questo è anche la ragione per cui, dal punto di vista pedagogico, bisogna evitare di mettere l'accento sui bisogni, sulla privazione e sulle necessità umane, presentando Dio come una soluzione di ripiego per i bisogni umani. Non è il caso, per esempio, di sottolineare esclusivamente il bisogno di liberazione dal peccato. Certo, la salvezza cristiana comprende anche la liberazione dal male e dal peccato. Ma insistere troppo sulle deficienze umane come luogo per eccellenza dove si ricollegano le esperienze di fede, significherebbe orientare l'uomo verso forme di religiosità che sono essenzialmente funzionali, quindi verso una forma di religione che più tardi verrà rifiutata. In senso positivo: bisogna cercare di rendere possibile il passaggio da una religione funzionale verso una religione che ha un valore in se stessa. Nel contesto attuale ciò si realizza nel modo migliore presentando l'esperienza religiosa come armonia tra il messaggio della fede ed esperienza del mondo e dell'esistenza umana. Tale dovrebbe essere il principio fondamentale dell'educazione religiosa e della direzione spirituale. Questo punto richiede ora qualche approfondimento.

    Esperienze soggettive di vita piena

    Affinché l'uomo, in particolare il giovane possa appropriarsi positivamente la fede, è necessario che possa fare esperienze soggettive di pienezza dell'esistenza. Esse rendono possibile la scoperta del Dio di Gesù Cristo, il quale non ha più bisogno di essere smascherato come funzionale o come desiderio. Quando il giovane raggiunge la propria autonomia, egli scopre in una nuova prospettiva il mondo e il prossimo, e anche il compito della sua vita. La scoperta di un nuovo spazio di vita, di cui le coordinate non gli appartengono in proprio, può essere riconosciuto come qualcosa di santo o di divino, come una insospettata profondità della sua esistenza. Tale esperienza può aprirgli la sensibilità per il mistero della vita e della realtà. Essa comprende nello stesso tempo la possibilità che Dio nella sua alterità si riveli come "valore superiore" e come fonte definitiva della vita. In una cultura in cui la scelta personale della fede è molto scarsamente determinata da appartenenze collettive, dalla famiglia, dalla cultura o dalla Chiesa, la pastorale può allacciarsi a esperienze del genere, rendendo così possibile una scelta personale di fede. Quando il giovane in una qualche misura si è liberato dalla dipendenza fanciullesca, egli è nella possibilità di sentire la Parola di Dio con una nuova sensibilità. In questo contesto, l'educazione della fede e la direzione spirituale possono aiutare a chiarire problemi personali di fronte alla vita: il desiderio di essere felice, di riuscire nell'amore, di pace interiore, il problema della sofferenza e dell'impotenza personale, il problema dell'angoscia e della morte. Poiché l'uomo ha bisogno dell'intera sua esistenza per chiarire in modo soddisfacente questi problemi, non sarà possibile presentare Dio come soluzione già preconfezionata. Anche le esperienze soggettive possono condurre a Dio. Infatti il Vangelo annuncia un Dio che si preoccupa personalmente dell'uomo. Esso fa conoscere un Gesù di cui la personalità, sulla base del suo rapporto con Dio, irradia in tutte le circostanze una straordinaria quiete. Ogni persona che ha il coraggio di credere può fare personalmente l'esperienza che questo Dio è capace di appagare il suo desiderio. Lo si può anche illustrare ricorrendo a testimoni del passato e del presente. Dio non è mai una risposta diretta. La fede richiedendo di affidarsi a Dio e di credere che solo il suo amore offre senso e valore alla vita, non è mai un passo totalmente assicurato dal punto di vista umano. Inoltre Dio non si sostituisce alle relazioni umane e ai momenti di pienezza di cui ogni uomo ha bisogno. La risposta di Dio non chiarisce direttamente il problema della sofferenza innocente e della crudeltà della storia.

    L'oggettività del divino

    La motivazione soggettiva della fede deve essere accompagnata da uno sforzo di riconoscere meglio l'oggettività del divino nel mondo e della sensibilità religiosa dell'umanità. A questo fine è necessario che il linguaggio su Dio, i simboli e i riti religiosi e le mediazioni istituzionali, che dalla comunità si ripercuotono sulla persona, siano messi in collegamento con la scoperta delle tracce di Dio nel mondo. La sensibilità per il mistero di Dio deve soprattutto essere svegliata ed educata per mezzo di una percezione simbolica del mondo, della natura, della creatività dello spirito umano o della bellezza artistica in quanto segni di Dio. Bisognerà cercare di ricollegare la fede con tutta la realtà del mondo e dell'esistenza. Colui che ha imparato a riconoscere e a sentire il santo o il divino nelle realtà dell'esistenza e del mondo, sarà in grado di ascoltare il messaggio del Vangelo di Dio a partire da questa sensibilità e potrà anche interiorizzarlo.
    La capacità di stupirsi è il fondamento dell'atteggiamento religioso, ma non è ancora fede in Dio. La scoperto del sacro nella natura non dimostra in nessun modo l'esistenza di un Dio personale. Ma colui che ha imparato a vedere e a comprendere la profondità divina della realtà, sarà probabilmente anche meglio in grado di ascoltare la parola che la religione esprime riguardo a Dio.
    La scoperta delle tracce di Dio presuppone che l'uomo sia in grado di lasciarsi toccare dagli aspetti positivi del mondo e della vita. Questi aspetti si possono percepire e possono cattivare l'attenzione, soltanto quando un movimento interiore spinge verso l'incontro con queste realtà e quando una familiarità spirituale con queste realtà mette l'uomo nella condizione di riconoscerli. La sensibilità religiosa nel senso di sensibilità per le dimensioni simboliche della realtà, richiede una certa esercitazione.[17] Per impararla non servono tante determinate tecniche, ma assai più servono l'atteggiamento fondamentale della disponibilità e il silenzio che viene imposto alle preoccupazioni e alle angosce della vita. In modo particolare lo sviluppo dell'affettività aumenta la sensibilità per le dimensioni simboliche. Ricerche empiriche dimostrano che un presupposto essenziale della sensibilità religiosa sta nella capacità di sentire queste qualità e di assaporarle. In questo modo viene anche facilitata la interiorizzazione delle parole di Gesù su Dio e la possibilità di sentirle come un messaggio che gli viene rivolto personalmente. Il negativo può essere posto nella prospettiva della responsabilità e dell'impegno etico, che il cristiano nelle diverse forme della società e dei rapporti con il prossimo deve assumersi come collaboratore di Dio e di cui l'accettazione deve valere come autenticazione della fede.
    Inoltre va sottolineato che la fede cristiana assume quanto vi è di buono e di valido nelle religioni e nelle visioni della vita, e che essa conduce a maggiore compimento la religiosità che sotto diverse forme è diffusa nelle culture. A questo punto si può mettere l'accento sull'opera dello Spirito Santo, il quale fin dall'inizio opera nella storia come forza di Dio, preparando progressivamente l'uomo alla disponibilità di riconoscere la rivelazione in Gesù Cristo e di accoglierla. Se il cristianesimo non viene collocato nella prospettiva delle religioni mondiali, esso appare come fenomeno particolare, isolato e casuale. Soprattutto i giovani possono riconoscersi meglio in questa prospettiva e sono meno tentati di rivolgersi verso nuove forme di religiosità, che sopprimono la particolarità della fede cristiana.[18]
    Ogni famiglia, comunità, scuola o opera giovanile può dare un contributo a questa formazione e a questa educazione. È pure necessaria la preoccupazione di usare un linguaggio appropriato per mostrare ai giovani che anche oggi la fede in Dio è ragionevole, che a giusto titolo l'uomo crede in Dio, che la fede è significativa e importante per ogni uomo che riflette sull'esistenza, sulla cultura e sul mondo. Colui che volesse appoggiarsi unicamente su esperienze e bisogni soggettivi, o costruire unicamente a partire dal soggetto, non potrà evitare di essere ben presto confrontato con la obiezione principale del nostro tempo, che cioè tutto ciò è soltanto una proiezione.

    Le difficoltà della fede

    Una attenzione particolare merita il tema delle difficoltà della fede, che sono intimamente connesse con il contesto del mondo contemporaneo e con lo sviluppo psichico dei giovani. Il clima generale della secolarizzazione ha fomentato enormemente nell'uomo la consapevolezza delle proprie capacità ed ha emarginato la religione nell'ambito del privato. Lo sviluppo dell'adolescente verso l'autonomia psichica lo porta a domandarsi: A che serve la religione? A che serve la fede? Educatori ed accompagnatori devono prendersi il tempo per aiutare i giovani a chiarire l'inevitabile conflitto tra la crescente autonomia e la fede.
    Nel centro delle discussioni in campo pastorale emerge più che mai un problema fondamentale che ha grandi conseguenze per la fede e per la trasmissione della fede. Esso riguardo da un lato la necessità di rispettare la dinamica propria della rivelazione cristiana, da un altro lato di rispettare l'uomo e la cultura di oggi. Nella preoccupazione di rendere accettabile dalla maggior parte delle persone l'interpretazione religiosa dell'esistenza, la fede in Dio viene spesso alterata e interpretata come una specie di comprensione di sé e del mondo o come un modo per dare all'esistenza un senso definitivo. Quando la fede non è più interpretata come la risposta a una proposta rivelata, che si rivolge all'uomo liberandolo dal circolo chiuso della soggettività, le ragioni di una comprensione religiosa di sé e del mondo possono essere soltanto di natura soggettiva. Il cristianesimo annuncia la religione della decisione personale di fronte a un Dio personale, il quale nella storia del popolo eletto e soprattutto nella parola e nell'agire di Gesù Cristo si è manifestato nella propria divinità. Tocca alla pastorale cercare vie e mezzi appropriati affinché l'uomo secolarizzato possa mettersi a confronto con la particolarità del messaggio cristiano e in una tensione dinamica con esso possa scoprire una fonte viva per l'esistenza e per il mondo. Tutte le persone che sono impegnate nella pastorale, sono consapevoli che nella cultura contemporanea la fede in Dio è problematica e meno comprensibile in modo spontaneo. Da un lato il discorso su Dio deve tenersi lontano dal diffuso scetticismo. Da un altro lato deve essere visibile che le resistenze contro la fede sono note e vengono prese sul serio, per il fatto che l'evangelizzatore ha dovuto superarle personalmente e ciò nonostante o forse proprio per questo motivo è convinto dell'importanza della fede e desideroso di invitare altri alla fede.


    NOTE

    [1] Con questa espressione si cerca di tradurre l'espressione olandese "levensbeschouwelijke vorming" [formazione a livello delle visioni della vita]; cf L. VAN DER TUIN, Paesi Bassi, in F. PAJER (ed.), L'insegnamento della religione nella nuova Europa, Leumann (Torino) 1991, pp. 281-282.
    [2] L'insieme di questi orientamenti e riflessioni si ispira a: A. VERGOTE, Religione, fede, incredulità. Studio psicologico, Cinisello Balsamo 1985; ID., Cultuur, religie, geloof, Lovanio 1989; ID., Explorations de l'espace religieux. Etudes de théologie et de philosophie de la religion [Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovaniensium XC], Lovanio 1990.
    [3] Cf E. FROMM, Psicanalisi e religione, Milano 1972, p. 25; 33.
    [4] Cf A. MASLOW, Motivazione e personalità, Roma 1973; ID., Religions, Values and Peak-experiences, New York 1964.
    [5] Cf S. FREUD, Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni) (1932), in ID., Opere 1930-1938, vol. XI, p. 265.
    [6] Cf A. VERGOTE, Glaube und Offenbarung, in A. DONDEYNE et alii, Umstrittener Glaube. Vier Grundfragen, Wien-Freiburg-Basel 1969, pp. 75-76.
    [7] Cf soprattutto L. MONDEN, Wie können Christen noch glauben?, Salzburg 1971, p. 13 segg.
    [8] "Croire" risale al latino "credere" che è composto dalle radici indogermaniche "kerd" (in greco "kêr, in latino "cor"), e dalla radice "dhe" (in greco "tithemi": mettersi, in latino "dare"), e significa quindi in un certo senso "cor-dare" ossia dare la sua completa fiducia. Il termine "foi" risale a "fides" (radice indogermanica "bhidh" dalla quale è derivata "bitten" [domandare] e "betteln" [mendicare]); la radice verbale di "fido" deriva da "bheidh" (in greco "peithomai") ed indica un momento fortemente intersoggettivo di "fiducia" e di abbandono; cf F. KLUGE, Etymologisches Wörterbuch der deutschen Sprache: Glauben; E. LITTRÉ, Dictionnaire de la langue française, come pure P. ROBERT, Dictionnaire alphabétique et analogique de la langue française: "croire", "foi"; cf MONDEN, Op. cit., p. 14.
    [9] Cf R. BULTMANN, Pisteuô, in G. KITTEL, Grande lessico del Nuovo Testamento, vol. X, c. 431.
    [10] La parola "pisteuein" è spesso usata per tradurre espressioni bibliche derivate dalla radice "emeth", poiché questa radice comprende anche il significato fondamentale di fedeltà e di affidamento; "pistis" e "pisteuô" sono etimologicamente ricollegati e derivati da "peithomai", che risale alla radice indogermanica "bheidh" e significa "lasciarsi convincere dietro domanda", cf L. MONDEN, Op. cit., p. 14.
    [11] Cf R. BULTMANN, Op. cit., c. 433.
    [12] Cf J.L. AUSTIN, Quando dire è fare, Torino 1974, pp. 45-45; 189-190; D.D. EVANS, The Logic of Self-involvement, London 1963.
    [13] "È nel linguaggio e mediante il linguaggio che l'uomo si costituisce come soggetto, poiché solo il linguaggio fonda nella realtà, nella sua realtà che è quella dell'essere, il concetto di "ego" [...] È "ego" che dice "ego". In ciò troviamo il fondamento della "soggettività", che si determina attraverso lo status linguistico della "persona"; cf E. BENVENISTE, Problemi di linguistica generale, Milano 1966, p. 312.
    [14] Cf M. ELIADE, Die Religionen und das Heilige. Elemente der Religionsgeschichte, Salzburg 1954, pp. 67; 108-109.
    [15] Cf J.-P. VERNANT, Chercher la vérité. [Recherches et débats, 55], Paris 1969, p. 158.
    [16] Cf A. VERGOTE, Psicologia religiosa, Torino 1967, p. 35.
    [17] Su questo tema cf R. FATHER, Simone Weil. Aufmerksamkeit oder die Sinnstufen der Existenz, in "Geist und Leben" 66 (1993) 121-144.
    [18] Cf J. VERNETTE, Besoin du sacré et parole sur Dieu, in "Athéisme e foi", 28 (1993) 14-28; M. KEHL, New age oder neuer Bund. Christen im Gespräch mit Wendezeit, Esoterik und Okkultismus, Mainz 1988; J. SÜDBRACK, Die vergessene Mystik und die Herausforderung des Christentums durch New Age, Würzburg 1988².


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu