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    Educare: aspetti psicopedagogici


    Giuseppe Sovernigo

    (NPG 1995-03-57)

     

    Educare è sempre stato un compito dell'umanità. Ogni essere umano infatti non inizia a crescere da sé, per puro istinto. Può crescere solo nella misura in cui qualcun altro, a lungo e in vario modo, si prende cura di lui; inizialmente sono un uomo e una donna, in funzione di padre e di madre, e successivamente tutta una serie di aiuti, di alleati della sua crescita sia globale che dei vari settori.
    Di fronte all'azione educativa ci si chiede: A che cosa educare? Chi educare? Come fare nel concreto? Quale strada più opportuna occorre seguire per giungere alle mete necessarie e prefissate?
    Una pluralità di apporti concorre a specificare e a rendere possibile l'educazione.

    Contenuti e strutture/dinamismi dell'educazione

    Per poter educare c'è anzitutto il livello contenutistico, quello dei valori. Risponde alle domande: «A quali realtà o valori educare? Quali mete prefiggersi? Che cosa promuove la persona in modo vero e integrale?».
    E c'è il livello delle strutture e dei funzionamenti psichici e socioculturali, personali e comunitari. Risponde alle domande: «Come essere e fare per poter educare? Quali dinamismi sono presenti nella persona e quali processi sono necessari perché i valori possano venire internalizzati da parte delle persone da educare?».
    Questi due livelli, contenutistico e strutturale-dinamico, sono tra loro strettamente e costitutivamente compresi e intrecciati; si accompagnano e si presuppongono nel concreto esistente. Sono ad un tempo distinti, secondo una propria specificità, interagenti nell'unità della persona e complementari l'un l'altro.
    Ogni azione educativa richiede quindi che contenuti, strutture e dinamismi interagiscano all'interno di itinerari educativi adeguati alla crescita dei soggetti da educare.
    L'aspetto psicopedagogico e metodologico inoltre va inserito entro il quadro più vasto dei fattori socioculturali ed etico-religiosi presenti e interagenti nel processo educativo. È entro questo insieme che si colloca con la sua specificità ed è da questo che riceve integrazioni. Questo stesso quadro prende direzione e senso dalla visione teologica e antropologica entro cui necessariamente si muove.
    Le istanze illustrate sono valide per ogni servizio educativo, compreso quello alla fede. Questa ultima richiede, per potersi esprimere, un'azione predispositiva e di accompagnamento che renda aperti e disponibili all'iniziativa divina prioritaria, perché il dono di Dio possa prendere corpo e crescere nella concreta persona o gruppo. Dio abitualmente non opera miracolisticamente; chiede collaborazione diretta e indiretta, senza vincolarsi in assoluto a questa. Segue la logica dell'incarnazione.
    L'educazione alla fede non si sovrappone alla persona, ma la assume da dentro, la risana, la lievita e la orienta. Mira all'integrazione fede e vita verso quella pienezza di sé e di popolo di Dio, verso quella comunione con Dio per cui essa è costitutivamente fatta, verso quella autotrascendenza centrata su Dio nell'amore che ne costituisce l'aspirazione profonda e la meta.
    In questo contesto occorre infine ricordare che educare non è una realtà statica, fissa. Non è intervenire a casaccio con interventi educativi saltuari o sconnessi o accostati. Anche l'azione educativa di Dio nella storia è sempre «mirata», anche se non è sempre facile cogliere ogni volta il senso del singolo intervento. Porta dentro di sé un obiettivo preciso da raggiungere in base ad un progetto, attraverso una serie di tappe intermedie, rispettose dei passi possibili da parte della concreta persona.
    Progettualità non significa far entrare tutto in uno schema rigido, ma avere il senso del fine e delle mete intermedie, e operare con elasticità ed equilibrio, per tenere o riportare in tensione, verso il fine, i diversi momenti dell'intervento educativo.

    LA REALTÀ EDUCATIVA E IL PROGETTO EDUCATIVO

    Ogni intervento educativo, al di là degli aspetti particolari legati al singolo caso, è composto da questi elementi essenziali (cf tavola n. 1 Il processo educativo):
    - la conoscenza del soggetto da educare e dell'ambiente in cui vive;
    - la conoscenza degli obiettivi cui far giungere il soggetto dei valori da comunicare;
    - il procedimento, la strada da seguire per giungere a quei dati obiettivi;
    - l'intervento educativo con tutte le varie componenti del metodo e della guida educativa;
    - il contesto socio-culturale in cui si opera con i veri fattori positivi o negativi.

    Schematizzando:

    1995-3-58


    Tutta la realtà educativa (soggetto educando, soggetto educatore, processo interiore del soggetto che matura, azione educativa) si deve sempre pensare immersa in un ambiente sociale che interagisce e spesso interferisce.

    I diversi livelli di intervento

    Sul piano teorico questi elementi vengono studiati dalla filosofia e dalla teologia dell'educazione. Infatti il sapere sull'educazione, che è una scienza, una teoria, prescinde dal caso concreto; tratta dell'educazione dei soggetti e degli educatori in generale; prescinde dalle situazioni concrete; considera l'uomo a settori, ad aspetti; secondo angolature diverse, studia un aspetto alla volta.
    Sul piano pratico questi elementi devono essere sviluppati in un «continuum» che procede dal piano teorico ed arriva fino al piano dell'azione educativa concreta. L'educazione infatti, che è un fare, una pratica, un'arte, è sempre individuale; è situazionale: io in questo ambiente concreto, con il soggetto che viene ed è in un dato ambiente concreto; è storico: adesso, in queste concrete circostanze, non ai tempi della mia giovinezza o nell'anno tremila; è globale: riguarda tutto l'uomo e non solo il suo cuore o la sua testa...
    In vista di un intervento educativo è necessario articolare e comporre in unità le varie scienze che si interessano dell'atto educativo, ciascuna con il suo apporto proprio e un suo limite (cf tavola 2: l'azione educativa e pastorale). Occorre distinguere l'atto primo, cioè il vivere, l'operare, il credere, ecc. e l'atto secondo, cioè il momento riflessivo di vario genere, dato dai tipi diversi delle scienze interessate.
    Anzitutto vengono le scienze ontologiche e deontologiche quali la teologia e la filosofia. Esse fanno luce sulle essenze e sugli obiettivi fondamentali, sui contenuti.
    Contemporaneamente vengono le scienze descrittive, a livello fenomeno- logico quali la struttura e il funzionamento, in particolare della crescita.
    La pedagogia e l'azione educativa sono un momento sintesi dei vari apporti, ciascuno con la sua specificità, al di là di ogni possibile unilateralismo riduzionista.

    La metodologia pedagogica come un raccordo

    Il settore proprio della metodologia educativa non è quello teorico puro, né quello dell'azione educativa pratica, ma è quello intermedio che consente di coordinare, da questo punto di vista, l'apporto delle scienze descrittive (psicologia, sociologia, fenomenologia) e di quelle del dover essere o scienze ontologiche e deontologiche, teologia e filosofia, in vista dell'intervento concreto nel settore educativo preso in considerazione.
    La metodologia educativa ha perciò il compito di delineare la strada che l'educatore può seguire per orientare la sua azione personale nel settore educativo interessato, gli indica a grandi tratti il modo di procedere per affrontare in forma sistematica i casi concreti dell'azione educativa.
    La metodologia educativa rappresenta a suo modo «il momento pratico», cioè lo sforzo di risolvere il problema del «come», del trovare la strada da percorrere concretamente.
    Ognuno poi si deve trovare il metodo adatto per i soggetti e la situazione e per l'educatore stesso. I libri aiutano con ipotesi, a grandi tratti; mostrano quali passi bisogna fare; però ciascuno deve «trovare la strada» per quella situazione concreta.
    In vista di un'adeguata azione educativa va sottolineato quanto segue:
    - non sono possibili «ricette risolutive o metodi universalmente validi». Ogni problema pratico va risolto da chi è sul posto, tenendo presente e adattando le indicazioni di fondo alla situazione concreta;
    - bisogna distinguere bene i fini e i metodi. Mentre i fini sono generalmente validi, i metodi sono relativi:
    • al tipo di contenuti,
    • al soggetto o al gruppo di soggetti,
    • alle condizioni ambientali,
    • alla personalità degli educatori.

    1995-3-60

    L'iter metodologico

    In questo articolo vengono affrontati alcuni momenti di questo iter metodologico, così che ciascuno possa essere facilitato nel trovare un metodo adatto a sé e alla situazione ed elaborare un progetto educativo. Questi sono i punti principali:
    - conoscere meglio il soggetto da educare, la sua storia, il suo ambiente passato e presente, i perché della sua condotta, le motivazioni su cui si può far leva, ecc.;
    - conoscere meglio se stessi come educatori e le proprie reazioni, per diventare persone migliori, per poter essere migliori educatori;
    - conoscere ed articolare gli obiettivi e i valori da comunicare;
    - imparare nuovi metodi e tecniche, oltre a quelli tradizionali, per trovare nuove possibilità di soluzioni di problemi vecchi;
    - dare anche un aiuto a quelli che non sono dotati «per natura». Uno non nasce con l'arte in mano, ma la apprende, anche se l'apprendere un'arte non è sinonimo di studiarla;
    - arricchirsi dell'esperienza altrui; - riuscire a controllare i risultati e trovare le cause di un fallimento in vista di un intervento educativo più adeguato.
    In una parola, il sapere pedagogico può allargare gli orizzonti degli educatori e dare sicurezza alla loro azione educativa, anche se poi sono il buon senso e la saggezza pratica che riunificano tutto ciò che si «sa» e lo orientano all'azione.
    Quanti più elementi uno tiene presenti, quante più possibilità uno vede, quante più ipotesi uno fa, tante più probabilità ha di avere un buon risultato, di trovare la soluzione più adeguata nel momento della decisione e dell'azione.

    UNA CONCEZIONE ADEGUATA DELLA PERSONALITÀ

    Ogni azione educativa contiene di fatto dei presupposti che, in modo più o meno esplicito e cosciente, si rifanno ad una data concezione della personalità. Dietro ogni azione educativa, dietro ogni scopo che ci si propone nell'educare, c'è sempre una teoria, un dato modo di vedere l'uomo, un modo diverso di spie- tiare il funzionamento del suo agire. Infatti un educatore che assume dati atteggiamenti e usa dati mezzi (lode, castigo, ecc.), ritiene sicuro, o almeno probabile, che essi produrranno nel sogget to una determinata reazione, un dato effetto. Ogni educatore, secondo come concepisce la struttura della personalità e il suo funzionamento, educa in una data maniera; si propone certi obiettivi e non altri, dice certe cose e non altre, fa fare certe cose e non altre... Ogni intervento educativo è angolato e direzionato. Ad esempio:
    - posso immaginarmi l'uomo come composto di anima e corpo;
    - posso concepire l'uomo semplicemente come soggetto di consumo;
    - posso pensare alla sua parte specificamente umana come un composto di cervello, cuore e spinte pulsionali;
    - posso pensarlo come suddito succube di un tiranno che spadroneggia, ad esempio la libido per Freud o gli stimoli- pulsioni;
    - posso ancora concepirlo semplicemente come un fascio di reazioni a ciò che succede attorno a lui e su lui influisce (behaviorismo)...
    L'elenco potrebbe essere lungo.

    Educazione e quadro di riferimento

    Perciò ogni educatore ha bisogno di un quadro di riferimento adeguato in cui inserire la propria azione in modo adatto così da poter trasmettere efficacemente i valori a lui affidati.
    Di fatto ogni educatore elabora questa sua «teoria della personalità» intuitivamente, attraverso l'esperienza.
    Quanto più la sua intuizione è profonda e ampia la sua «empatia», quanto più aderente alla realtà è il suo concetto teorico, tanto migliori, più adeguati saranno l'intervento e la scelta dei mezzi educativi.
    Ora lo studio della personalità ricerca secondo quali leggi o modalità le capacità, le disposizioni, i meccanismi si influenzano a vicenda e si integrano nel dar origine ai comportamenti abituali di una persona concreta e di un gruppo.
    Per essere veramente aderente alla realtà la teoria della personalità, che si sceglie come base della metodologia, deve tener conto di tutte le dimensioni della persona, cioè quella biologica, psicologica, sociologica, intellettuale, ecc., altrimenti si ha un riduzionismo mortificante in questa o in quella direzione.
    Perché si possa promuovere la persona verso la sua pienezza occorre una concezione integrale della personalità e una formazione integrata.

    Concetto di personalità

    In un primo tempo la psicologia si era dedicata allo studio analitico delle varie funzioni del comportamento umano. Poi l'interesse si rivolse al centro unificatore dell'attività umana: una personalità concreta non è una somma di funzioni; è una unità vivente che agisce grazie alla collaborazione armoniosa di tutte le sue funzioni.
    La percezione, l'immagine, la memoria, l'affettività e i bisogni formano una struttura unitaria, appunto la «personalità». Essa può essere descritta come «l'organizzazione dinamica dell'individuo di quei sistemi psicofisici che determinano il comportamento e la vita conoscitiva che gli sono caratteristici» (G. Allport).
    In vista della possibilità di un'educazione integrale e cristiana della persona occorre una concezione della personalità compatibile con l'antropologia e la teologia.Non sono sufficienti né la concezione della persona freudiana, né quella comportamentista, né quella umanista della terza via (cf C. Rogers...). È necessaria una concezione personalista ed esistenzialista teologicamente fondata. Essa da un lato salva la libertà fondamentale dell'individuo, dall'altro tiene conto della sua fattibilità effettiva. Perciò ci rifacciamo alla concezione dell'autotrascendenza nella consistenza [1]. Ovviamente in questa concezione confluiscono gli apporti anche delle altre concezioni.
    «Nell'ambito educativo gli sforzi pedagogici raramente raggiungono quella dimensione del cuore umano dove fattori inconsci e relative resistenze occupano le motivazioni fondamentali della persona. È proprio a questi fattori che possono e devono essere ricondotte le difficoltà umane e spirituali che trovano espressione negli eventi personali e interpersonali, familiari, comunitari, professionali, vocazionali come a potenti dispositivi, capaci di interferire con la libertà e quindi anche nella risposta all'appello di amore e di grazia. Di fatto, oltre ad una certa denuncia del «`problema'» e ad espressioni di desiderio, non se ne fa nulla, o quasi» [2].
    «Di fatto uomini e donne che sono capaci di pensare possono essere lasciati liberi di pianificare solo se si sono qualificati nell'area di una vera intelligenza dei sentimenti inconsci» [3].

    LE DIMENSIONI COSTITUTIVE DELLA CRESCITA PERSONALE

    La crescita della persona da un lato è unitaria, propria di un organismo unitario, dall'altra è articolata a seconda delle varie dimensioni costitutive della persona.
    Si può raffigurare tale crescita come nella tavola 3: Le dimensioni costitutive della personalità in fase evolutiva.

    1995-3-63

    Criteri di lettura del grafico

    - Anzitutto la crescita normale è quella integrale. Richiede lo sviluppo di tutte e ciascuna dimensione, pena forme di riduzionismo mortificanti. I tratti più centrali sono l'affettività, l'intelligenza, il senso dell'assoluto.
    - Ogni dimensione poi ha una sua fisionomia propria, indispensabile per lo sviluppo armonico dell'organismo.
    Va conosciuta nella sua specificità.
    - Lo sviluppo avviene seguendo date tappe o stadi evolutivi ben caratterizzati.
    Ogni adultismo o infantilismo danneggia lo sviluppo.
    - Ogni dimensione interagisce con le altre al positivo se armonica, al negativo, interferendo, se il suo sviluppo è segnato da ipertrofie o da atrofie di questa o quella dimensione, ad esempio le forme di illusione sentimentale, morale e intellettuale.
    - Il centro unificatore è l'identità di sé, perseguita consciamente e inconsciamente come il bene supremo.
    Molte scelte sono il frutto coerente della concezione di sé («chi sono io, chi posso, voglio, devo essere») e sono elaborazione (o causa) dello stesso nucleo centrale.
    - Il ruolo degli ambienti di vita e delle persone importanti per il soggetto è determinante per la crescita o meno.
    Eric Erickson raffigura lo sviluppo umano lungo otto stadi evolutivi. Ognuno di questi è favorito o sfavorito, nel suo delinearsi, dalla soluzione prevalentemente positiva o negativa degli stadi precedenti. [4]
    Va tenuto presente che l'educazione alla fede e nella fede, per essere se stessa, deve situarsi entro queste componenti costitutive della personalità come un tratto significativo, unificante e dinamico.
    Non può quindi restare giustapposta o sovrapposta. Occorre che sia profondamente inserita e orientante il resto della persona, pena il prendere corpo di forme deleterie di dicotomia, di scissione tra vita e fede, tra persona e vocazione, tra privato e pubblico.

    La propria storia: una grazia e una sfida

    Ogni persona è costituita dalle sue esperienze, consce ed inconsce, e dall'impegno, ed è formata da esse attorno al nucleo dell'identità di sé.
    Infatti la nostra eredità, con i suoi aspetti positivi e meno positivi, costituisce una grazia e allo stesso tempo una sfida.
    Siamo dei doni, meraviglie create da Dio. E Dio è venuto a noi, è entrato in dialogo con noi anche attraverso la nostra storia e le nostre esperienze. Dio si è fatto sentire anche attraverso la voce della nostra storia e delle nostre esperienze, qualunque siano.
    La sfida è di assumere pienamente la nostra eredità, la nostra storia, con le sue vittorie e i suoi fallimenti, le sue gioie e le sue sofferenze, le sue benedizioni e le sue ferite, per farne un gradino verso la pienezza di vita cui siamo chiamati.
    Noi siamo responsabili dell'uso della nostra eredità, qualunque sia. Infatti noi non siamo responsabili del paese dove siamo nati, della famiglia in cui siamo nati, dei genitori che sono stati i nostri, ecc., ma siamo sempre responsabili, in gradi diversi, secondo il nostro livello di coscientizzazione, di quello che ne facciamo.
    Dunque siamo responsabili della nostra storia, che è legata allo sviluppo della nostra consapevolezza. Infatti la persona che non conosce il suo passato è condannata a ripeterlo (Santayana).

    Gli stadi della nostra crescita

    Tutta la traiettoria della nostra vita si definisce come un cammino che va dalla fusione (dipendenza assoluta) alla interdipendenza.
    Questo cammino comprende diversi stadi di crescita e ognuno di loro comporta una «crisi» da affrontare e da risolvere. La risoluzione positiva di ogni «crisi» genera una forza nuova (quella che Erickson chiama una «virtù» psicologica) che aiuta a crescere ulteriormente (cf gli stadi evolutivi di E. Erickson, tavola 3).
    Crisi vuol dire un punto dove quel che procede non risponde più adeguatamente alle situazioni nuove da affrontare, ma vuol dire anche possibilità di prospettiva nuova, possibilità dì un passo avanti richiesto dall'evoluzione stessa. Non vuol dire per questo che tale passo si faccia automaticamente. Possiamo anche fissarci in uno stadio, o meglio nella dinamica di uno stadio particolare. Se questo avviene, avremo delle difficoltà più o meno grandi per affrontare le nuove sfide che si presentano, o le affronteremo in una maniera ripetitiva (quasi meccanica), magari senza veramente affrontare le sfide della nuova situazione e senza neanche risolvere veramente i problemi che si pongono.
    Il passaggio da uno stadio dall'altro non significa che lo stadio precedente non influisce più sugli stadi ulteriori (come una cosa del passato senza legame con il presente). Al contrario! Le forze, come le insufficienze, dello stadio anteriore continuano ad influire sugli stadi ulteriori.
    «La persona umana non è soltanto le sue intenzioni, i suoi ideali, le sue aspirazioni, che la proiettano verso il futuro, la sua capacità di superamento, di autotrascendenza e di relativa auto- creazione, ma è, nel presente, il passato che essa porta in sé come riassunto di eventi e avvenimenti che hanno lasciato dei segni, delle forme, come attuazione di alcune possibilità ed esclusione di molte altre». [5]
    Se l'opera pedagogica non è soltanto affidarsi a dei contenuti come a dei materiali di costruzione, ma è opera interazionale, interpretativa, non potrà che trattarsi di un invito a pensare e a comprendere la persona concreta ma anche e soprattutto ad interagire con essa ai vari livelli che le mediazioni costitutive dello sviluppo presentano secondo un metodo genetico o psicogenetico.

    IMPARARE A DISCERNERE I PROBLEMI EVOLUTIVI

    I protagonisti dell'evoluzione cristiana sono vari, tra questi occorre ricordare: lo Spirito Santo, il mondo in cui si vive, la chiesa, la persona del soggetto, la comunità cui si appartiene.
    Il formatore deve aver presenti simultaneamente questi protagonisti durante il suo lavoro; tuttavia sa che le sue energie saranno mobilitate con maggior cura dall'attenzione alla persona del soggetto da educare.
    Questo perché il formatore deve accompagnare il giovane ad incontrarsi in modo costruttivo con gli altri protagonisti per stabilire una positiva interazione. Occorre perciò che l'educatore discerna i fattori in causa e persegua simultaneamente alcune strade.

    Conoscere dove andare

    Gli obiettivi generali e intermedi indicheranno l'identità nuova verso cui tendere e quelli immediati le acquisizioni prossime da realizzare.

    Conoscere il giovane in formazione

    Il giovane in formazione attende di poter interiorizzare i valori e gli atteggiamenti basilari dell'identità crisiana; ovviamente egli ha già un suo proprio modo di conoscersi, agire, accettarsi, valutarsi; ha già una sua identità in sviluppo. Occorre tener presente che nel cammino di formazione cristiana egli può collocarsi in vario modo; ad esempio egli potrà collaborare oppure no, potrà mostrarsi disponibile a crescere e, al tempo stesso, porre delle resistenze, potrà essere consapevole di queste dinamiche e, in parte, non consapevole.
    L'educatore deve conoscere questi problemi: da una parte continuerà a proporre con la parola e il suo esempio i valori che attirano anche il giovane; dal- l' altra cercherà di capire costantemente qual è il grado di libertà interiore effettiva e di motivazione del giovane nel- l' affrontare i compiti della maturazione umana e spirituale.

    Conoscere i contenuti da trasmettere

    C'è un complesso di contenuti da trasmettere, secondo quelle che vengono considerate componenti fondamentali della formazione, uguali per tutti, ad esempio la formazione umana, intellettuale, spirituale e apostolica. Ma ciò non basta. È una parte dell'educazione.
    Occorre tener presente il rispetto pedagogico della fase formativa che il giovane sta vivendo e il rispetto della sua attuale capacità di assimilare e rispondere ai valori proposti.

    Conoscere il metodo: un accompagnamento personalizzato

    Per quanto riguarda il metodo pedagogico, i formatori dovranno porre la loro attenzione alla persona del soggetto. Ognuno infatti mostra di assimilare i contenuti proposti con velocità differente l'uno dall'altro; i formatori dovranno essere abilitati all'accompagnamento personalizzato.
    Occorre verificare, da questo punto di vista, un aspetto nodale: i contenuti, proposti attraverso molteplici esperienze formative, si giustappongono tra loro senza scalfire né l'uomo vecchio né le precedenti disposizioni, in particolare quelle egocentriche? Oppure vengono lentamente integrati e assimilati, sollecitando il giovane a consapevoli cambiamenti positivi in relazione all'identità e all'agire cristiano?

    Conoscere e discernere il tipo di problema

    Nel corso dell'accompagnamento, sia personale che di gruppo, l'educatore è portato a constatare l'emergere di un insieme di problemi cui i soggetti vanno incontro; il formatore dovrebbe avere la capacità di discernere qual è il tipo di problema, per poter poi cercare le soluzioni appropriate, pena lo sbagliare diagnosi e di conseguenza la prognosi e i risultati. [6]
    - Possono essere difficoltà inerenti alle problematiche psico-affettive, proprie dell'età dello sviluppo o di altro genere. Dovrebbero venire risolte lungo l'arco evolutivo.
    - Possono essere difficoltà inerenti a seri blocchi psico-affettivi o disturbi della personalità. Se è un disturbo serio, bisogna trovare un aiuto competente. Occorre ricordare che i cambi di personalità veri sono lenti e lunghi. Comportano una ristrutturazione di uno o più aspetti di sé.
    - Possono essere difficoltà coscienti, inerenti alla «lotta» propria del cammino spirituale. Queste sono da affrontarsi con i mezzi ordinari della collaborazione con la grazia di Dio: guida spirituale, mediazione dell'educatore, preghiera, sacramenti, ritiri, ascesi, contenuti cristiani...
    - Possono essere ostacoli dovuti a paure, resistenze, difese, illusioni, presunzioni, comportamenti ripetitivi contro i valori religiosi, benché il soggetto sia desideroso di crescere e mantenga in altre aree della personalità un buon impegno. Probabilmente il livello di questi problemi chiama in causa la presenza di motivazioni inconsce. Il soggetto è attratto simultaneamente dai valori religiosi e dai bisogni egocentrici; nella misura in cui egli non se ne rende conto, il pericolo è rappresentato dalle aspettative irrealistiche che i bisogni gli creano, a lento detrimento del dono di sé a Cristo e ai fratelli.
    Per aiutarlo bisogna intervenire con un aiuto appropriato a livello conscio e inconscio.
    - Possono essere difficoltà di ordine squisitamente culturale, ad esempio abitudini, percezioni di sé, della vita, della Chiesa, della figura del cristiano, ecc. Qui occorre da parte del formatore (e come équipe) una mediazione attenta e rispettosa del giovane e dell'oggettività dei problemi, che in genere si presentano complessi, articolati. Nel caso le problematiche culturali siano anche veicolo di quelle precedenti, occorre distinguere il livello di comprensione e cercare l'approccio appropriato. Per rendere più agevole questo compito di discernimento bisognerebbe raccogliere il maggior numero di dati possibile, circa le caratteristiche culturali delle nuove generazioni ed individuare difficoltà tipiche nell'interiorizzare il messaggio cristiano e gli elementi essenziali dell'identità cristiana.

     

    NOTE

    1) Rulla L., Antropologia della vocazione cristiana, basi interdisciplinari, vol. 1; conferme esistenziali, vol. Il, Ed. Piemme, Alessandria, 1985-1986. Cencini A.-Manenti A., Psicologia e formazione, EDB, Bologna, 1985: cf i capitoli V-VI: concezione e dinamica della persona.

    2) Imoda F., Sviluppo umano, psicologia e mistero, Piemme Alessandria, 1993, p. 14.

    3) Winnicott D.W., Home is where we start from, Norton, New York, 1986, p. 169. Angelini G., Educazione: questione cristiana e questione civile, in Educazione, questione cristiana e questione civile, a cura di Caprioli A.-Vaccaro L., Morcelliana, Brescia 1991, pp. 13-30.

    4) Erickson E., Infanzia e società, Armando, Roma 1982, pp. 231-298.

    5) Imoda F., Sviluppo umano, psicologia e mistero, Piemme, Alessandria, 1993, pp. 139-140.

    6) Cf Sovernigo G., L'aiuto psicologico nella crescita spirituale, in «Credereoggi» n. 3 (1993), pp. 97-120: Cf Arvalli A., Maturità cristiana e progresso spirituale tra sviluppo e mistero, in «Credereoggi» n. 1993), pp. 46-60.

     


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    Etty Hillesum
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