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    Dinamiche di bisogni giovanili e trascendenza: una lettura pastorale



    Marco Pongiluppi

    (NPG 1995-09-7)


    La pastorale giovanile da alcuni anni analizza i percorsi esistenziali dei giovani attraverso una fenomenologia di tipo quotidiano, e sa di dover leggere gli elementi di fede che emergono nelle domande di vita dei giovani. Individuato però tale compito, non sempre sono state prodotte letture della condizione giovanile basate su una opportuna e paziente analisi di dati. Ancor meno hanno lavorato su questo le analisi sociologico-religiose, poiché si sono occupate della fruizione di religione al di fuori del vissuto quotidiano o, al massimo, del riverbero sul vissuto dell'esperienza religiosa fruita in quanto tale. Ora, siccome i giovani accedono alla fede sulla scorta di esperienze e domande di tipo quotidiano, sembra che resti inesplorato proprio l'evento più importante.
    Tale povertà di analisi non aiuta di certo l'educazione e l'evangelizzazione, che sembrano giustapposte alla situazione giovanile o almeno poco innestate in essa.
    L'articolo affronta di petto il problema, interrogando alcune dinamiche giovanili di bisogni che sbilanciano i giovani sulla trascendenza.
    Il punto di partenza è il rapporto fra domande e bisogni umani e fra bisogni e fede iniziale. Le domande di vita non emergono in maniera diretta, ma si nascondono spesso dentro bisogni che vengono vissuti intensamente e consapevolmente. Al tempo stesso nei medesimi bisogni le domande si rivelano, soprattutto se si aiutano i soggetti a maturare la capacità di far domande e di vivere esperienze. Questo vale in modo centrale per quelle domande e per quell'esperienza che «NPG» ha inteso da sempre come «religiose». Infatti se esiste qualcosa che si nasconde nel vissuto, senza che il più delle volte, soggetti sappiano dire molto di ciò che vivono, è la religione.
    La fede inizia da Dio e attraversa, quando è autentica, il vissuto intimo delle persone, lasciando traccia di questo evento, che rimane misterioso, nelle dinamiche quotidiane. Si parlerà della fede iniziale mettendo a fuoco una distinzione di tre livelli al quale il discorso della fede sembra porsi. Sembrano infatti distinguibili (ma non separabili) tre dimensioni della fede religiosa umana: trascendentale, dove ci si muove a partire dalle esigenze del soggetto, teista o fede in Dio, dove si fa centro su Dio riconosciuto come persona, e teologale, dove si è coinvolti da un'iniziativa divina precedente.
    Nella prima parte vengono analizzate alcune dinamiche di bisogno che aprono i giovani al trascendente al primo livello. Nelle parti successive la ricerca si allarga alle dimensioni teista e teologale della fede.
    Il lungo articolo-dossier che qui presentiamo in veste tipografica diversa dal solito, è l'estratto di tesi dottorale presentata dall'Autore presso la Pontificia Università Lateranense, dal titolo «Ricerca di vita e fede iniziale dei giovani italiani. Una lettura pastorale».
    Siamo lieti di presentarla ai nostri lettori come contributo di studio sulla pastorale giovanile e certi anche che qualche utile suggerimento alla stessa prassi non è affatto escluso.

    NB. Tralasciamo le note e la bibliografia per non appesantire la lettura; rimandando per queste all'originale o al pdf accluso.


    1. Dinamiche di bisogni giovanili e dimensione trascendentale

    Le dinamiche che vengono presentate evocano tracce di disponibilità alla fede come autotrascendenza in quanto realizzano elementi importanti di veridicità di tali processi di apertura al Trascendente: a) tali dinamiche hanno come fine il vivere personale e non la fruizione indistinta del vitale, sono tracce di un sì vissuto e consapevole alla vita come fine complessivo; b) in tali dinamiche i giovani superano l'indeterminato attraverso il ricevere, l'essere accolti dall'altro, non per mezzo dell'autosuperamento. L'altro è il prossimo, nel quale (lettura oggettiva) ad accogliere l'uomo è il Dio vivente; c) infine sono dinamiche che resistono all'esperienza del limite, al sapersi mortali e come tali spingono l'uomo all'invocazione.

    1. CORPOREITÀ COME BISOGNO DI SALUTE FISICA E DI CONOSCENZA DI SÉ

    La cura del corpo è significativa in ordine all'autotrascendenza quando i giovani tentano di uscire da momenti negativi, come piccoli dolori ed eccessi, poiché essi rivelano un bisogno di benessere che persiste al di là dell'immediato e si fa attesa (attraverso il gesto o la parola) di un contributo che è «altro» rispetto al soggetto. Si ritiene perciò di valorizzare due esperienze che sono oggetto di attenzione in una ricerca recente: l'affrontare piccoli dolori senza limitarsi all'assunzione di farmaci o al racconto superficiale dei sintomi; e il parlare a lungo con un educatore dei possibili motivi latenti di eccessi alimentari, mancanza di equilibrio nell'estetica personale, troppo lavoro.

    1.1. Corpo come manifestarsi attraverso sintomi

    Spesso gli adolescenti che vanno dal medico presentano il sintomo o lo stato generalizzato di sofferenza chiedendo direttamente un intervento preciso e indirettamente un'attenzione. Gli orientamenti sono di tipo diverso, dalla richiesta «secca» della medicina al racconto dei motivi che stanno all'origine del dolore.
    La priorità è del gesto senza parole e ciò sembra motivato dall'incapacità degli adolescenti di intuire i nessi fra disagio e dolore fisico e dall'ignoranza della possibilità di fare qualcosa per impedire la sofferenza, ma «c'è sempre parola o detta o taciuta». I ragazzi appaiono normalmente fiduciosi e disponibili nei confronti dei medici.
    Gli orientamenti sono ambivalenti ma si ha sempre una richiesta, che occorre leggere nel presentarsi stesso degli adolescenti e nella loro disponibilità all'altro.
    Questa fiducia nell'incontro esprime l'attesa che dall'intervento dell'altro venga qualcosa che modifica l'esistenza.

    1..2. Abusi come segni di malessere esistenziale

    Dietro agli abbigliamenti eccessivamente esibitivi e alle diete poco equilibrate, come dietro ai problemi del fumo e dell'alcool o della droga leggera emergono decise richieste di attenzione, sia nel senso di bisogno di incontro sia nel senso di bisogno di acquisire consapevolezza su di sé. Per il medico della scuola è tipica la sofferenza del lunedì, spesso provocata dagli eccessi del fine settimana, anche solo dalla privazione del sonno. Anche qui dopo le prime domande i giovani rivelano ai medici che «hanno qualcosa da dire, vengono, rivengono... poi parlano».
    Dimostrano la necessità di trovare punti di riferimento adulti, qualcuno che stia ad ascoltarli, in una sorta di gioco di specchi. «Quando hanno dei problemi, li nascondono sotto malesseri comuni». Grazie al dialogo gli adolescenti arrivano a cogliere che gli stessi eccessi impediscono loro di capire i propri sentimenti, benché vorrebbero essere un'affermazione di sentimenti e di presenza. Così, emergono i motivi latenti degli eccessi.

    1.3. Domanda di salute veicolo di un bisogno di vivere la vita

    La domanda di cura fa trasparire a volte una forte volontà di vivere, che implica sbilanciamento dei giovani verso la vita come tutto. Essi, chiedendo di essere curati e dialogando con gli adulti sui motivi dei loro malesseri, si spostano dalla periferia dell'esperienza al suo centro, cioè dall'esperienza come serie di fatti molteplici all'esperienza unitaria e consapevole.
    La domanda di salute veicola un bisogno più profondo, che i giovani sanno poco raccontare a se stessi e ad altri. Il bisogno di vivere la vita si riveste di domanda di cura.
    Il campo dei malesseri esistenziali è uno di quelli che mette in difficoltà gli adulti, i quali spesso reagiscono delegando in quanto si sentono incapaci di «fare qualcosa» e non prestano attenzione. I giovani però hanno bisogno di loro e soprattutto quando sono in crisi o in travaglio. Chiedono agli adulti di essere esperti di come si vive un malessere e di come, con sempre nuova pazienza, si possa cercare la salute come dinamica della persona intera, in progressiva riconciliazione.

    2. RITIRO IN DISPARTE E IMPEGNO CONCRETO PER IL PROPRIO FUTURO COME BISOGNI DIVERSI DI SOGGETTIVITA'

    La percezione, da parte dei giovani, della propria individualità è spesso oggetto di attenzione nelle opere sociologiche degli ultimi anni. Due dati sembrano esprimere il bisogno di identità in un modo significativo: il bisogno di ritiro dal clima strumentale e frettoloso e la convinzione che il proprio impegno feriale costruisce il futuro personale.
    È significativo che i giovani - a fronte della pressione che nella società calcola continuamente il tempo - cerchino di costruirsi uno spazio personale, alternativo al clima «produttivo» e alla logica della prestazione che invade anche il tempo libero.
    Inoltre, è forse l'impegno nel tempo quotidiano che rivela nei giovani la capacità reale di apertura all'ulteriore. Se il modo in cui essi costruiscono l'immediato futuro esprime un impegno graduale, che fugge il fatalismo, potremo parlare di iniziale autotrascendenza.
    Sembra un segnale positivo il ritenere che si può «costruire» progressivamente la vita con il proprio impegno quotidiano.

    2.1. Tempo libero privo di struttura come esperienza di soggettività

    I gruppi che s'incontrano ritualisticamente il sabato sera sono in verità una esigua minoranza (il 16,4%), quando invece i mass media fanno credere che la grande maggioranza dei ragazzi si rechi frequentemente nelle discoteche e in altri ritrovi. Il dato documenta che il tempo libero, per la grande maggioranza dei giovani, è volutamente privo di organizzazione e fa pensare che, vivendolo in modo aperto, i giovani cerchino di scoprire se stessi e gli altri.
    Si rileva una larga richiesta di tempo libero che non è bisogno di nuove evasioni ma esigenza di creare un tempo forte, specifico.
    Il tempo che non è occupato dalla scuola o dal lavoro può diventare luogo di superamento del narcisismo, perché fa entrare il giovane nella mischia degli incontri e delle esperienze di tutti.
    I giovani probabilmente sono stimolati a elaborare positivamente i bisogni se il tempo libero è poco strutturato e aperto, mentre non lo sono se il tempo è fortemente gestito e chiuso.

    2.2. Fiducia nel futuro costruito dall'impegno personale

    Il secondo rapporto Iard rileva che 71 giovani su 100 si riconoscono nell'affermazione: «Nella vita è importante avere degli obiettivi e delle mete» e 61 su 100 sono d'accordo sul fatto che «il successo dipende dal lavorare sodo e la fortuna conta poco». Si ha così una media del 66% degli intervistati che è su una posizione autodeterminista mentre solo il 31% è fatalista. Il dato è utile per individuare l'area di coloro che credono nella validità dell'impegno personale riguardo alla costruzione del futuro, un indicatore di consapevolezza di sé e di disponibilità alla progettazione che sembra abbastanza chiaro.
    Il bisogno di costruire attivamente e concretamente il futuro, che appare presente particolarmente nei giovani lavoratori, sembra costituire per molti giovani occasione di ricerca di identità.
    Invece, il bisogno di apertura intenzionale al trascendente, che risulta più presente nei giovani studenti, non sembra essere di fatto molto d'aiuto.

    2.3. Flessibilità, realizzazione di sé, ulteriorità

    La realizzazione di sé unifica, se pure settorialmente, i bisogni dei giovani. La necessità di momenti privi di proposte, che permettano la libertà personale e sviluppino il desiderio di costruire la vita con l'impegno personale progressivo, conferma la categoria della realizzazione di sé.
    Il giovane può essere riflessivo e consumista, insicuro ed autonomo ecc., senza che queste caratteristiche lo definiscano come unico soggetto; è flessibile alle diverse circostanze e abile nell'adeguarsi alle occupazioni o alle appartenenze. Questo corrisponde, da un lato, al nostro contesto di transizione dei valori e dei significati e, dall'altro, al bisogno di tutelarsi dalla sofferenza.
    La sfera dei bisogni assume una funzione selettiva e quindi, contrariamente a quello che si pensa spontaneamente, il giovane si unifica, se pur a termine, su istanze settoriali. Questo comporta inevitabili contraddizioni ma assicura la realizzazione di sé, che è il vero interesse dei giovani e che, poi, sembra stimolare i giovani a vivere come individui e non li imprigiona nel gorgo dell'esaudimento di bisogni slegati e di corto respiro. Sembra dunque che dall'autorealizzazione i giovani passino oltre, si trascendano.

    3. DINAMICHE DI SOLIDARIETÀ A BREVE E MEDIO TERMINE: DESIDERIO DI SERVIRE IL GRUPPO IN DIFFICOLTA' AFFETTIVA E DOMANDA DI PROFESSIONALITÀ

    La solidarietà a breve termine sembra una tematica che illumina l'autotrascendenza, anzitutto in situazione di gruppo giovanile. Il sentimento della coesione non esprime la solidarietà, essendo sintomo di rapporti controllati dai soggetti. L'esprime, invece, il bisogno di sviluppare sentimenti di riconciliazione verso chi nel gruppo si sente diverso o distante. Sembra dunque valido studiare il bisogno di servire il gruppo in una situazione di disincanto affettivo.
    Altro scenario che può verificare la solidarietà a medio termine dei giovani è la domanda di professionalità, se essa esprime visibilmente e durevolmente il bisogno di dare un contributo positivo alla costruzione della società.

    3.1. Reazione al disincanto affettivo

    In molti gruppi si vincola il confronto a regole fondamentali di rispetto e, al tempo stesso, si hanno discussioni accese, le quali arricchiscono la comunicazione. Emerge anche che l'affettività non è più solo coesione, cioè strumento atto ad adempiere fini o a incassare delusioni: molti adolescenti imparano a reagire ai limiti dei rapporti, alle cadute della simpatia. Questi fenomeni indicano un cambiamento di modalità di relazione tra il giovane e il suo ambiente.
    Gli adolescenti sperimentano che i sentimenti per come sono impostati non reggono il confronto con la complessità del mondo, quindi, prendendo coscienza

    3.2. Vita di gruppo e alterità

    Mentre i sociologi Piazzi e Cipolla ritengono che si possa sempre meno distinguere come buono o cattivo l'itinerario autodescrittivo dei giovani aggregati, un altro studioso, Baraldi, coglie una consistente valorizzazione della differenza, cioè dell'originalità di ogni singolo giovane (sostenuta dal comunicare in gruppo) e ritiene che la maggioranza degli studiosi riscontri la stessa tendenza. L'individuo emerge attraverso questo positivo attribuir valore, «laddove «positivo» significa: favorevole alla prosecuzione sia della comunicazione che della coscienza».
    Dalla ricerca emerge dunque che esistono giovani che provano a comunicare pur sperimentando che l'altro non è solo un gradevole vicino, tentando di individuare qualcosa di proprio e di interpersonale. Questo sembra troppo poco presente in educazione e in pastorale, in quanto spesso si ritiene che quando un gruppo ha difficoltà di coesione sia sempre qualcosa di negativo. Al contrario sembra provvidenziale che avvengano scontri e si sviluppi diversità in quanto progredisce più facilmente la percezione sia della soggettività sia della intersoggettività.

    3.3. Domanda di professionalità come bisogno di solidarietà

    Gli adolescenti domandano più di tutto formazione e inserimento professionale (42%), in particolare nelle aree italiane dove c'è minor grado di istruzione ed è più vivo il problema della disoccupazione. Negli studenti la domanda di professionalità è molto intensa, soprattutto in chi è vicino all'inserimento nel mondo del lavoro. I giovani cercano la qualità del lavoro perché scuola e lavoro non danno molto sul versante della ricerca dell'identità. Essi «appaiono molto interessati ai contenuti e alle modalità del lavoro ed esprimono una forte richiesta di autonomia», traducendo in questa domanda il bisogno di identificazione e solidarietà.
    Molti giovani manifestano il desiderio di fare della società «un luogo in cui si possano identificare meglio e risultare coinvolti ed impegnati nei processi di trasformazione». Tale volontà è plausibile sia nei Paesi europei occidentali che in quelli europei orientali. Molti giovani si rendono disponibili a muoversi per studio o lavoro anche se scarsamente preparati; nel terzo rapporto Iard, il 57%.

    4. PERCEZIONE DELLA MORTE, RACCONTO DELLA PAURA E DESIDERIO DI FORTEZZA

    Si può approdare alla trascendenza quando, oltre a percepire la finitudine, la si accetta e la si affronta. Ciò avviene a livello di dinamiche di bisogni quando i giovani riconoscono ed esprimono la paura. Per questo sembra giusto valorizzare l'esperienza della percezione e del racconto della paura, soprattutto quando i ragazzi accettino la fatica che tale racconto comporta.

    4.1. Paure e fatica della loro decodificazione

    Le scelte impegnative dei giovani, come quella della professione, sono «accompagnate da incertezza, disorientamento, crisi d'identità». I disorientamenti «non emergono in modo esplicito, traspaiono piuttosto attraverso segnali deboli, allusioni sporadiche, richieste improprie». Non riuscendo a mettere a fuoco il disagio, l'adolescente paradossalmente non può manifestare la sua richiesta se non esternando di non aver bisogno di nessuno e affermando che il disagio è qualcosa di sopportabilissimo.
    L'adolescente più che esprimere le sue paure chiede che qualcuno ne decodifichi l'espressione implicita: il disagio non emerge in forma di domanda ma in forma di bisogno.
    La sofferenza e la morte sono presenti in molte dinamiche. In quelle a cui rinviano i dati relativi alla corporeità, alla soggettività e alla solidarietà è infatti presente molto spesso la dimensione della prova. Il proprio destino incerto e preoccupante si fa presente agli occhi dei giovani, li inquieta, li spinge altrove rispetto al quotidiano.

    4.2. Fortezza, nella perdita delle mediazioni simboliche

    In molte occasioni, secondo il sociologo Paolo Montesperelli, si rompe, agli occhi dei giovani, ogni «mediazione simbolica» ed essi si ritrovano più soli che mai. Essi si avvedono che la ricerca di felicità non procede ombreggiata e protetta da una cupola di salvezza.
    I giovani mostrano volontà di accettare il limite quando cercano un «incontro con se stessi che va verso le basi profonde dell'agire individuale: il corpo, le emozioni, le dimensioni dell'esperienza non riducibili alla razionalità strumentale. Di qui anche la riscoperta di un'alterità insanabile». È così per chi «non riesce a dimenticare di essere sospeso tra nascita e morte».
    Ma, certo, «è difficile capire quanto i giovani oggi siano aperti a questa accettazione della morte». Si rilevano esperienze di debole e fiacca accettazione, rintracciabili nella convivenza con la morte che è priva della fiducia nella rigenerazione della vita attraverso di essa; esistono esperienze di morte, come la droga. «Ma in tanti altri casi la tematizzazione della morte si apre alla vita. La morte assume così la sua funzione di denuncia della mediazione simbolica». È il caso dell'impegno per la pace, dell'interesse per l'ecologia, della disponibilità ad ascoltare parole ultime. In queste esperienze infatti i giovani si muovono esplicitamente alla presenza di minacce complessive, che contraddicono la vita di tutti, del creato o della persona.
    Si dovrebbe accogliere con grande attenzione il rispetto del mistero che nasce nei giovani davanti alla morte e la preoccupazione mista a disponibilità che essi rivelano all'atto di percepire la durata e l'imprescindibilità del limite. A tal riguardo occorrerebbe forse rielaborare tutta l'esperienza dell'iniziazione cristiana come signum dell'esperienza della finitudine. Si dovrebbe anche, più semplicemente, valutare con empatia positiva la preghiera a cui molti ricorrono nelle difficoltà e la domanda della celebrazione cristiana che la grande maggioranza dei giovani italiani formula nelle occasioni di lutto.

    5. SGUARDO D'INSIEME. PROCESSI DI AUTOTRASCENDENZA

    Riguardo all'autotrascendenza, sono emersi soprattutto elementi di accesso implicito alla fede, poiché le ricerche sociali si orientano quasi esclusivamente su dinamiche che evocano l'implicito e non l'esplicito della fede. Questo sottolinea, in controluce, l'importanza che avrebbe l'istituzione di un'indagine qualitativa specifica.

    5.1. Ciò che avviene oggi; semplici annotazioni

    I giovani probabilmente elaborano spesso i bisogni con fiducia, cercano di valorizzare i bisogni fondamentali e questo li «sbilancia» in avanti, fa far loro una implicita (almeno) e corposa esperienza di trascendenza e di fede.
    I giovani forse hanno una discreta capacità di amare ciò che avviene e di fidarsi di Dio nel cammino verso il futuro ma forse non sanno che questo esercizio è fede, fede come trascendenza e anche come fede teologale. Hanno più spesso in mente che sia fede assumere risposte religiose già pronte e ciò continua in fondo l'attitudine consumistica. Vivono esperienze significative e importanti e poi, se un ricercatore chiede ad essi di parlare della fede essi attaccano la storia della messa a cui partecipano o meno e della preghiera che spesso fanno senza sapere se qualcuno ascolta. Non sanno che dimostrano fede o incredulità nelle esperienze umane che vivono.
    I giovani non sanno cogliere che la fede cristiana è esplicitazione della fiducia che essi vivono e possono apprendere a individuare tale condizione solo se gli adulti li sostengono nella ricerca di vita. I ragazzi hanno proprio nei bisogni uno stimolo corposo a rompere il meccanismo della soddisfazione immediata e necessitano di scoprire ciò che trascende l'immediato.
    L'accesso alla fede ha bisogno di resistenza da parte dei soggetti, di rifiuto delle risposte facili e capaci di chiudere il cerchio della ricerca di vita.
    Tale ricerca dovrebbe essere presa sul serio da parte degli stessi soggetti e dovrebbe proseguire anche quando ed è il segno che si sta sulla soglia del mistero le risposte non vengono e si deve attendere, scoprire e stupirsi per l'inatteso e il gratuito.

    5.2. Processi di autotrascendenza

    Quanto è emerso pare largamente positivo, perché le esperienze focalizzate sono diverse e definite. In esse sembra confermarsi il modello di riferimento, come evidenzia la dinamica della cura del corpo che si è messa a fuoco in precedenza.
    Chiedere un aiuto per superare un malessere e aprirsi all'altro, attraverso il dialogo, è una dinamica che ha le caratteristiche tipiche dell'autotrascendenza. Infatti: ha come esito il vivere e non la saturazione di un bisogno elementare; inoltre è l'incontro di qualcuno che è altri rispetto a se stessi; infine, come esperienza di limite, induce alla riflessione e alla ricerca della vita come totalità. La speranza della liberazione e la liberazione effettivamente avviata non sembrano affatto narcisismo, quanto sano voler vivere.
    Gli eccessi sono in sé fenomeni involutivi ma attraverso il bisogno di guarigione divengono luogo di liberazione dei sentimenti fondamentali del vivere. In questa esperienza i giovani sono poveri e la loro è una ricerca immatura però quello che vivono è molto significativo per chi tenta verso la condizione giovanile un approccio educativo o pastorale.

    5.3. Ultimi e domanda educativa

    Uno dei momenti chiave della trascendenza è forse il rapporto con gli adulti ma la domanda educativa che è consapevole dell'alterità del referente adulto è apparsa un segnale di trascendenza più nella fascia del disagio esistenziale che altrove. I giovani che vivono malesseri esistenziali e a causa di essi si presentano ai medici scolastici e ai consultori costituiscono non da soli l'area degli «ultimi», del disagio. Essi si fanno attenti più dei coetanei agli adulti, benché è facile supporre che li temano di più.
    Un'indagine condotta su giovani aggregati in associazione rivela un atteggiamento diverso nei confronti degli adulti. I giovani aggregati hanno nel gruppo associativo una riserva di sicurezza almeno parziale, un «aiuto» della vita ad attenuare la differenza, in quanto il gruppo dei coetanei rappresenta «quasi un «adulto collettivo», che è molto più vicino alla sensibilità e alle attese dei giovani» e tende a sostituire l'autorità del padre, fino a esiti quali la socializzazione inversa e la perdita di riferimenti sicuri.
    Gli adulti sono dunque normalmente «lontani» dai giovani a disagio ma hanno anche spazi ampi di asimmetria educativa. Sono distanti ma vengono cercati dai giovani con maggiore chiarezza di quesiti, in quanto adulti.

    5.4. Importanza della testimonianza

    In sintesi, si dovrebbero accogliere e potenziare in chiave di proposta educativa e testimonianza religiosa le dinamiche presentate, che stimolano i giovani a trascendere se stessi. Si dovrebbe, quindi, rispondere alla domanda di cura non saturando immediatamente la domanda ma facendo emergere il bisogno di capire il corpo, che a tale domanda è sottesa. Si dovrebbe pensare la realizzazione di sé come una via nella quale i giovani sperimentano la propria individualità e rispondere al bisogno, che essi vivono, di leggere con intelligenza il vissuto personale. Si dovrebbe rilanciare la dinamica di gruppo quando la coesione va in crisi nei gruppi giovanili; inoltre si dovrebbe proporre di interpretare la domanda di professionalità come tratto di altruismo. Una sfida particolarmente importante sembra quella della preoccupazione che coglie i ragazzi quando si confrontano con la morte e i suoi riflessi quotidiani. Ad essa occorre forse rispondere condividendo in modo partecipe la sofferenza e prendendo sul serio chi è ferito o sta male. Infine, si tratta di andare incontro al bisogno di una paternità tendenzialmente perfetta, che emerge nella domanda educativa, vivendo allo stesso tempo la benedizione verso i ragazzi e il distacco lucido da loro, a motivo della diversità di età e condizione. Si tratta forse di fungere sia da madri che da padri, perché i ragazzi stessi possano apprendere a farsi madri e padri di altri. Esercitando tale servizio, tra l'altro, gli adulti imparano di nuovo a scegliere di vivere e di servire la vita con mentalità credente: riscoprono la propria condizione di figli e di figlie.
    Sono tutte, le dinamiche ricordate, occasioni di vita quotidiana e valgono tutte come altrettanti momenti di educazione dei giovani alla fede. Il quadro sottolinea l'importanza della testimonianza nei processi di educazione alla fede.


    2. Dinamiche di bisogni giovanili e accesso alla fede. Una lettura pastorale

    La riflessione pastorale sostiene da tempo che le domande di senso e quelle relative alla verità sono luogo di accesso alla fede. Oggi in considerazione della cultura dei bisogni si ritiene che la fede sia rielaborazione di bisogni umani e non di sole domande di senso o di verità e che quindi sia molto significativo analizzare i bisogni elementari più che le domande elaborate.
    Alcune dinamiche evocano elementi caratteristici della fede come teismo religioso o fede in Dio, dimensione nella quale l'accesso alla fede è tematico. Si tratta precisamente di interpretare la capacità che i giovani dimostrano di accogliere il presente sulla scorta della fiducia in Dio.
    La proposta di valutazione dei segni di fede fa centro sui germi di impegno giovanile a esigere da se stessi un atteggiamento di fiducia. Tali germi sono per la coscienza cristiana atti di quella «obbedienza» che caratterizza il credere in Dio. Chi si accorge che la vita ha senso e considera che ciò dipende dalla presenza di Dio nel mondo sperimenta la pace e assume con fiducia il presente finito. Si tratta della persona che crede in Dio. Il sì responsabile al presente ha alcune condizioni di veridicità: a) vivere ogni situazione riferendosi esplicitamente a Dio, b) accogliere la vita attuale, c) assumere completamente la situazione senza attendere, per farlo, un futuro migliore. Per vivere questa dimensione della fede occorre vivere delle esperienze di fiducia e accogliere come tale la verità di Colui in cui si crede.

    1. ELEMENTI DI TEISMO RELIGIOSO. RIFIUTO DELLE TENDENZE NICHILISTICHE

    La fede in Dio emerge nelle dinamiche con cui i giovani assumono il presente percependone, tramite l'esperienza e la riflessione, il senso e comprendendo che il senso è in Dio. Si ritiene espressiva dell'assunzione fedele del presente il rifiuto motivato degli atteggiamenti nichilisti. Due di essi in particolare sfidano la responsabilità di tutti: l'esuberanza eccessiva e la depressione, poiché indicano a titolo diverso la volontà di non assumere il reale e l'assolutizzazione della visione sistematicamente incerta delle cose.
    Per questo motivo credo giusto considerare indicatori positivi il rifiuto dell'esagerata moltiplicazione di possibilità e della depressione sistematica. Il giovane che quotidianamente dà valore a ciò che sperimenta vive la fedeltà; nell'esercizio di questa egli apprende ad assumere il reale nel presente.

    1.1. Rischio di dominio dell'immaginifico e del «possibile»

    L'esperienza, se sottoposta a un peso esagerato di aspettative, rischia di vanificarsi e di diventare «un presente senza limiti, privo di radici perché povero di memoria e avaro di futuro come ogni prodotto del disincanto». «Un tempo dai troppi possibili si trasforma in una possibilità senza tempo».
    Però a volte le idee dei giovani procedono liberamente e in modo contraddittorio, mentre le loro esperienze hanno un maggior grado di stabilità. Per es. molti giovani ritengono legittimo unirsi senza sposarsi ma molto raramente attuano tale tipo di unione: si tratta forse di una tendenza a tenere molto aperti ad ogni possibilità gli scenari mentali e a vivere con concretezza la realtà delle cose.
    Inoltre, il dominio dell'immaginifico e del possibile muta se i giovani si confrontano col limite, che può indurre a prendere coscienza della consistenza del reale. La percezione del limite (corporea e quindi sofferta concretamente) porta «alla possibilità di accettare il presente e di progettare il futuro». Per far ciò appare fondamentale l'incontro con l'adulto, il quale provoca nell'adolescente l'esperienza della presenza (sentire di esserci, avvertire che si è davanti a qualcuno che è altri da sé) e costituisce per l'adulto una salutare domanda di condivisione.

    1.2. Indisponibilità a protrarre la depressione

    Uno dei segni più chiari di orientamento nichilista è il permanere nella depressione e la scelta di definire l'identità su di essa. Molti adolescenti affrontano nel dialogo col medico il problema depressivo, che per alcuni (spesso conosciuti nei centri di servizio psichiatrico) diventa una sfida centrale dell'esistenza. Il vissuto degli adolescenti «normali» e di quelli malati sembra dimostrare una voglia di reazione marcata.
    Gli operatori dei servizi psichiatrici affermano che all'ansia che caratterizza inizialmente i primi incontri segue normalmente un'accettazione fiduciosa dell'operatore. Alcuni nel dialogo col medico scolastico affermano chiaramente di non essere soddisfatti di come sono. Fra i pazienti dei medici intervistati si sono avuti casi di tentato suicidio. Altri giovani dimostrano il sentimento di non valere niente. Sono altrettanti segni del problema depressivo. Spesso però si tratta di manifestazioni temporanee, cui fa seguito altro. I ragazzi e le ragazze passano il più delle volte alla convinzione che il loro problema sia tutta sofferenza da dimenticare.

    2. AMORE ALLA VITA A GRADIENTE RELIGIOSO

    È esperienza di tutti che esista un circolo fra fiduciosa partecipazione nel presente e fede in Dio, in cui si va dall'uno all'altro elemento in una prospettiva di dono personale. Se la fede in Dio si esprime peculiarmente nell'assunzione fiduciosa del presente, si deve considerare il rapporto amore alla vita fede in Dio come illuminante. Esso sembra emergere nella convinzione che la fede in Dio si rivela nell'amore degli altri.
    Secondo un'indagine sembrano esistere due filoni di atteggiamento, quello di chi si sofferma su Dio come argomento oggettivo e ne parla in terza persona; e quello di chi vive un'affettività «verso» Dio e si rapporta con lui confidenzialmente. Il secondo atteggiamento e maggioritario quantitativamente.
    Al suo interno si crede di distinguere tre posizioni: perplessità, rifiuto, adesione. Le prime due esprimono a diverso titolo un rapporto con Dio basato sul dare e l'avere, la terza esprime la convinzione che Dio sostenga la persona e la abiliti ad amare la vita. Qualche intervistato dichiara che vive la fede teista come un rapporto in cui si è coinvolto «a tu per tu» e che stimola ad amare la vita, a rialzarsi dopo ogni caduta, a sostenere il prossimo con lo stesso amore che si riceve. «Dio è l'amore e per questo io devo amare chi mi è vicino» dice un'intervistata.
    La conclusione, parzialmente negativa, è che questi atteggiamenti, spesso basati sulla sensibilità personale, siano rivelatori più di una fede iniziale che di una fede completa. Però la maggioranza dei giovani crede in Dio e coglie nel rapporto con lui almeno inizialmente una fonte di amore alla vita e di impegno di promozione della sua qualità. Si ha una situazione di disponibilità e di domanda: i giovani sembrano cercare Dio proprio nel vivo della loro ricerca vitale, non ai margini della stessa.

    3. SGUARDO D'INSIEME. PROBABILI ACCESSI ALLA FEDE IN DIO

    La fede in Dio richiede un riferimento esplicito a Dio, l'accoglienza della vita attuale e l'assunzione del presente senza rinvii. Di tali qualità del teismo religioso non emergono indicazioni significative dalle ricerche sociali: ciò nonostante sembrano possibili alcune sottolineature.

    3.1. Eccesso di possibilità

    L'esuberanza eccessiva come sistema di vita, espressione di nichilismo, risulta avere una significativa capacità di richiamo ma non sembra impegnare centralmente i giovani, non diventa un'opzione di vita. Si rileva infatti una reazione di rifiuto dell'esuberanza sistematica, significativa tanto quanto l'esuberanza stessa sul piano qualitativo e forse più rilevante sul piano quantitativo.
    Tale reazione si sviluppa soprattutto nell'esperienza del limite anche se, in tale evenienza, i giovani a volte corrono il rischio della depressione o della crisi di pessimismo. La reazione indica il bisogno di capire dove ci si trova, diminuisce la complessità e provoca i giovani ad assumere con pazienza la realtà conosciuta e sperimentata.
    La stessa reazione però sembra far ritornare i giovani a uno smarrimento interiore che impedisce l'assunzione del presente. Essi paiono percepire l'assoluto di Dio e trovare in questo motivi di fiducia ma, al tempo stesso, non accolgono tale riferimento e restano «nudi» di fronte al compito di assumere il reale senza rinvii, sguarniti di motivazioni e strumenti.
    È probabile che le due tendenze convivano: i giovani da un lato percepiscono l'assoluto e dall'altro non si mobilitano per accoglierlo e tale situazione si può ritenere tipica del rapporto che esiste oggi fra uomo e Dio. Emergono dunque più segnali di domanda religiosa che di esperienza religiosa consapevole di se stessa, più di desiderio di conoscere Dio che di presenza di Dio.
    Credenti e nichilisti però si dividono in questa situazione e in particolare su una questione fine e importantissima: i credenti si fanno attenti al limite invalicabile e mantengono una tensione che è una forma di fede, i nichilisti registrano la propria impotenza e si disimpegnano.
    Il nichilismo è uno dei riferimenti dei giovani, una posizione che spiega taluni atteggiamenti ma non appare per molti giovani qualcosa di consolidato, risulta funzione di esperienze quotidiane ma non un'opzione su cui i giovani si definiscano.
    Spesso i giovani «interagiscono» con Dio, sia in modo amichevole sia attraverso il contrasto e sperimentano il bisogno del Dio personale. Molti giovani dimostrano amore alla vita e talvolta vivono questo atteggiamento con afflato religioso. Del resto, molti intervistati colgono immediatamente l'implicanza esistente fra fede in Dio e amore del prossimo.

    3.2. Modificazione del linguaggio religioso in chiave integrativa

    Si dovrebbe porre grande attenzione alle attitudini che riguardano la fiducia nella persona di Dio. In proposito è emerso come determinante capire e insegnare che esiste una corrispondenza reale tra amore alla vita e presenza di Dio. Tale corrispondenza si può forse esplicitare modificando tutto quello che nel linguaggio rende la religione qualcosa che si giustappone alle altre esperienze. Occorrerebbe dire con le parole e i segni che la religione è l'unità delle esperienze che l'uomo vive e che ciò che i giovani vivono di positivo è sempre frutto di un «dono». Si tratta anche di leggere diversamente l'«offerta» religiosa, la quale non è di competenza esclusiva della comunità ecclesiale ma usufruisce di tutto quello che i sistemi sociali inducono nei giovani. Le parrocchie o le associazioni non dovrebbero credere di essere le uniche agenzie a lavorare su questi problemi. Le agenzie educative, sia semplici sia complesse, dovrebbero far emergere che la domanda di vita è in alcuni casi non tanto domanda di altri servizi quanto domanda religiosa: invocazione rivolta a Dio e non richiesta di altro sport o di altra scuola ecc.
    Infine, si dovrebbe identificare come «teismo religioso» l'equilibrato e complesso confronto fra la religione come «proposta in sé compiuta e legittimata, come universo di valore e pienezza di significato», e la «religione che verifica (...) l'apporto che sa offrire all'esperienza individuale e collettiva». Infatti, da un lato la dimensione tradizionale e vitale non possano divergere del tutto, dall'altro solo un paziente lavoro intellettuale e operativo può evidenziare che l'incontro fra l'una e l'altra linea (discendente e ascendente) è possibile.
    Tale sforzo otterrebbe di dar vita a una proposta articolata, unitaria e vivibile di tradizione religiosa. Sia lecito aggiungere che solo una simile proposta, che riascolta i messaggi fondamentali del Cristianesimo sull'esperienza religiosa nella prassi e a confronto con la prassi è vera tradizione.

    4. ACCESSI ALLA FEDE TEOLOGALE. PERCEZIONE DEL PRESENTE COME PARTE DI UNA STORIA POSITIVA QUALE TRATTO DI SIMBOLICITÀ CRISTIANA

    Il linguaggio dell'esperienza religiosa teologale è ancora diverso, in quanto a questo livello i credenti si avvertono «discepoli» e si accorgono di vivere la loro fede reagendo a Qualcosa o a Qualcuno che li precede, facendo loro, normalmente, i modi d'intendere del Cristianesimo attivo nella storia d'oggi.
    Schematicamente pongo alcune condizioni di veridicità dei segni di fede teologale, secondo cui tale forma di fede: non appoggia sull'iniziativa personale, in quanto la persona non ha cercato consapevolmente Dio Padre e non si attribuisce il merito di credere; riconosce di essere successiva a una Offerta gratuita e a una Rivelazione, grazie ad atteggiamenti congrui, configura la vita del discepolo, rendendolo erede della verità di Dio e strumento della sua azione benevola.
    La simbolicità è una dimensione specifica della fede a livello teologale e si esprime in modo significativo nella dinamica della storia della salvezza. Corrispondente a questa è forse l'intuizione del senso positivo della storia e l'impegno per essa. Il riconoscimento della positività della storia evidenzia una fede che fa spazio a ciò che Dio ha già realizzato per gli uomini, e che risponde a tale positività intuita e accolta con gratitudine.
    La dinamica della storia della salvezza si evolve in modo esplicito come consapevolezza dell'intervento divino-trinitario, e in modo implicito come intuizione della propria storia personale.
    A un primo sguardo sembra che gli adolescenti oppongano forti resistenze «a ogni determinazione esterna del progetto di vita», come se non esistesse la storia ma ogni cosa provenisse dall'interno e dal presente. Fra gli adolescenti, «nei confronti del passato, prevale una tendenza a restringere i confini della memoria e a vederla soprattutto come vincolo».
    L'intuizione della storia personale è però un'esperienza presente nella maggioranza dei giovani. La ricerca Il tempo dei giovani, curata dal sociologo A. Cavalli, testimonia che solo per una minoranza, per quanto significativa qualitativamente, è confermata l'ipotesi di una destrutturazione del tempo.
    In una ricerca del sociologo Montesperelli si coglie «una compresenza di numerosi modi d'intendere la storia, a partire da quella del proprio gruppo», per cui spesso «l'attenzione al presente non è uno schiacciamento su tale dimensione. Il presente invece lega la biografia individuale alla storia del gruppo». L'autore traccia una spiegazione: «non crediamo alla sparizione, nella cultura giovanile, del senso storico, ma semmai, alcune volte si tratta di una «rimozione». Spaventa la storia come trascorrere inesorabile del tempo verso mete che possono far paura: la morte, la vecchiaia, l'integrazione nella società, l'abbandono di una condizione giovanile amara e dolce allo stesso tempo».
    Le attuali giovani generazioni rischiano la deriva del «presentismo» ma in mezzo ad esse si individua anche l'esigenza di vivere il tempo con responsabilità con vivacità, con attenzione agli impegni «vicini», quali il tipo di lavoro futuro, con la ricerca di ritmi a misura d'uomo. Sono proprio le dinamiche relative a queste sfide che per i giovani risultano «prossime», stimolandoli a percepire e a tematizzare una positività della storia.

    5. RICERCA DI PAROLE AUTOREVOLI E DI NARRAZIONI DELLA SALVEZZA QUALE TRATTO DI INCULTURAZIONE CRISTIANA

    5.1. Ricerca di parole credibili capaci di interpretare autorevolmente il disagio

    La dimensione dell'inculturazione ecclesiale della fede ha valenze intellettuali e vitali. La fede s'incultura quando nel vivo del proprio percorso esistenziale giovani avvertono qualche parola o qualche gesto esterni come capaci di interpretare in modo autorevole e determinante il mistero di se stessi.
    Sembra importante ciò che una ricerca spiega degli adolescenti a disagio: lo stesso incontro di persone e parole che gettano una luce su ciò che soffrono, costituisce per essi una «buona notizia» dotata di autorità. Tali incontri offrono qualcosa di più che buoni consigli, poiché il messaggio è «autorevole» e viene accolto come qualcosa che si raccomanda per la sua peculiare credibilità oggettiva. Lì vive «in situazione» l'Evangelo, almeno sul piano oggettivo, poiché l'accento no è sul soggettivo che-si-apre-a ma sull'oggettivo che-viene-riconosciuto, e di cui accoglie la «pretesa» di verità.
    Gli operatori di strada, che incontrano i ragazzi nel loro ambiente, testimoniano che dopo un po' di lavoro «si crea uno spazio comunicativo nuovo, la possibilità di un dialogo confidenziale».
    I giovani ascoltano volentieri messaggi diversi dagli stereotipi dei coetanei, rielaborano idee e vissuti.
    I giovani intuiscono che nelle figure adulte (di cui sopportano consapevolmente e volontariamente l'alterità) viene loro incontro Qualcuno e cercano parole autore voli che decodifichino il loro vivere.
    L'esperienza della privazione, che molti adolescenti affrontano, non è solo subita «ma almeno in parte scelta: si rinuncia all'oggetto in grado di placare il bisogno». I ragazzi, forse, provano a far convivere desideri e necessità, vanno incontro alla prova consapevolmente e, in tal modo, attribuiscono più importanza alla risposta oggettiva e alla sua pretesa di verità che al bisogno soggettivo.

    5.2. Capire la comunione con Dio con codici odierni

    La fede s'incultura anche quando codici culturali consoni alla mentalità degli individui permettono dl ricevere ed esprimere oggi l'Evangelo. È un elemento che sembra realizzarsi dove i giovani sostengono la verità dell'Evangelo con linguaggio e apprensione vitali. Può sembrare una contraddizione ma non la è: se i giovani hanno una cultura dei mondi vitali ed esprimono la fede con i codici di questa cultura, non si deve ritenere che essi hanno scarsa capacità di inculturazione ma che ne hanno molta.
    I giovani conoscono alcuni contenuti della fede e sanno «ridire» il Cristianesimo nell'oggi: chi sottolinea la dimensione socio-umanitaria, chi la significatività rispetto alla vita, chi fa eco alla formulazione ecclesiale stessa. I giovani vivono spesso la convinzione che il Cristianesimo valorizzi l'uomo, sia una riserva di giustizia e di amore che stimola l'assunzione di responsabilità e che si riassuma in Gesù, attraverso il quale Dio si è fatto vicino a noi. Le stesse risposte riescono spesso a cogliere il cuore del messaggio cristiano.
    I giovani rielaborano la fede prendendo come punto di partenza le proprie esigenze. La loro esperienza di fede è incompleta ma esiste ed è di tipo cristiano, è una fede cristiana all'inizio.

    6. BISOGNO DI ACCOGLIENZA E DI AUTONOMIA NEI GRUPPI ECCLESIALI QUALE TRATTO DI ESPERIENZA DELLA CHIESA

    I giovani diventano «membri della Chiesa» quando vivono una relazione intensa, costruendo il proprio autonomo percorso nel gioco dell'appartenenza, cioè dove i giovani stanno insieme ricevendo se stessi dal rapporto ecclesiale. A ciò corrisponde qualcosa che una ricerca ha considerato: il rapporto fra bisogno di relazioni intense e bisogno di autonomia nei membri dei gruppi giovanili di Chiesa.
    Fra le motivazioni fondamentali per cui gli adolescenti frequentano i gruppi ecclesiali c'è il desiderio di accoglienza profonda. In tali gruppi è possibile un'amicizia vivace e duratura, mentre nei gruppi informali (di cui, anche, molti adolescenti fanno parte) non è facile. La fede è sottolineata come base comune di appartenenza e forse soprattutto come matrice della stessa appartenenza.
    La relazione è fin troppo importante; lo è infatti tanto da far diventare secondari i contenuti su cui si discute però potenzia l'autonomia dei ragazzi mentre interagiscono coi coetanei e coi leader. Il giovane risulta al centro della Chiesa: negativamente, perché fa ruotare le cose intorno al problema dell'identificazione individuale; positivamente, perché si riceve di nuovo nell'esercizio complesso dell'appartenenza: mentre il giovarle «cerca» il gruppo «promuove» se stesso e viceversa.
    Mentre sembrano rifiutare taluni elementi del tema «Chiesa», i giovani incarnano tendenzialmente il cuore dell'esperienza di Chiesa. È più importante l'esperienza della Chiesa della tematizzazione dell'ecclesialità. In questo contesto la vita di gruppo dovrebbe essere vista come la realtà specifica nella quale cresce l'autonomia personale e l'appartenenza. Queste sono la res di cui la catechesi è l'interpretazione, il signum, in quanto la catechesi spiega i contorni e consente in modo sempre più elevato l'esperienza ecclesiale stessa.

    7. SGUARDO D'INSIEME: I BISOGNI CONTESTO DELLA FEDE TEOLOGALE

    7.1. Percezione della positività del vivere

    La persona accede alla fede nella dimensione teologale quando non si basa sull'iniziativa umana, quando sa d'essere preceduta dalla Rivelazione e quando matura gradualmente atteggiamenti cristiani. L'orientamento più chiaro della lettura che stiamo tentando riguarda il rapporto esperienza religiosa esistenza: chi accede alla fede non tralascia la propria esigenza di vita; tale esigenza è anzi il «linguaggio» o la «mentalità» della fede, a partire dai quali la maggioranza dei giovani gusta il vivere e vi si impegna. È interessante vedere che anche a livello dei contenuti non è vero che i giovani siano sordi e chiusi; più che altro essi intuiscono il centro essenziale del Cristianesimo, che è la buona notizia della salvezza e l'accolgono fino a riconoscere da dove viene.
    Il senso del passato e del futuro della salvezza fra gli adolescenti sembra in difficoltà, perché dai 15 ai 19 anni spesso l'ansia di libertà è così forte che i ragazzi vedono il passato soprattutto come vincolo e limite. Ma in alcune esperienze di media «lunghezza» come il gruppo, la scuola, i primi lavori, i ragazzi intuiscono che il presente è inserito in un tratto di tempo che ha un passato e un futuro e fanno diventare il tempo storia. Spesso la cura del presente è sintomo di intuizione della positività della storia e di impegno nella costruzione del futuro.
    «Nella memoria c'è un aggancio verso l'oggettività»; la memoria conduce il giovane verso il senso ultimo che è Dio prima di una comprensione e riflessione adeguate.

    7.2. Religione come processo da Dio e verso Dio

    A confronto di queste dinamiche, una conclusione dell'indagine Oggi credono così risulta alternativa: «scarsa la rilevanza del «religioso» quando si usa lo stimolo «bisogno», eppure, paradossalmente, tale conclusione è complementare alla nostra.
    I giovani non vedono che cosa c'entri la religione con i propri bisogni perché sono abituati a identificare la religione con i gesti, le persone e le istituzioni religiose. Se i giovani vengono aiutati a comprendere che gli stessi bisogni sono tratti di esistenza spiegati ottimamente con la presenza del Dio di Gesù nel vissuto, qualcosa cambia.
    È la religione che si appiattisce sulla fruizione religiosa che non è credibile, che non costituisce qualcosa di veramente interessante per i giovani. Essi, pur accettandone alcuni elementi percorrono direttrici alternative rispetto alla religione nelle scelte quotidiane. Ma la religione è il cammino a partire dall'assoluto e verso esso e deve «istituire sempre da capo le condizioni dell'atto personale dell'uomo, mediante il quale soltanto può realizzarsi il suo rapporto nei confronti di Dio»

    7.3. Stile evangelico: manifestare la «buona notizia» di Dio Padre

    Per accogliere questi percorsi occorrerebbe sviluppare il tema della reciproca influenza fra memoria del passato, responsabilità nel presente e attesa verso il futuro; e bisognerebbe assumere come utili momenti di partenza della progettazione pastorale la percezione positiva, che i ragazzi hanno già in parte, della vita e della storia.
    Occorrerebbe inoltre reinterpretare l'Evangelo come rivelazione del senso divino del vissuto (in particolare del disagio) e bisognerebbe condividere realmente il disagio giovanile, in modo da focalizzare insieme ai soggetti stessi le narrazioni inculturate della salvezza che siano dotate (al giudizio oggettivo e a quello del contesto) di autorevolezza.
    A proposito di tutte queste dinamiche, il nostro è un tempo, forse, molto adatto all'azione e all'«intelligenza» di tale azione; dovrebbe essere a partire da una prassi sensibile a istanze come quelle indicate che la pastorale ecclesiale manifesta la «buona notizia» di Dio Padre.

    3. Una domanda religiosa «rallentata»

    1. POVERTÀ COME CHIAVE DI LETTURA DELLA RICERCA DI VITA

    1.1. Ricerca di vita

    Molti giovani arrivano a vivere elementi tipici della fede, a diverse dimensioni, perché non avvertono grandi spazi per vivere la vita e vogliono emergere da una prassi e una cultura in cui tale scelta di vita appare realisticamente negata. I giovani spesso sperimentano una eccedenza di bene, si appoggiano sul Dio vivente, ne intuiscono la presenza salvifica, si lasciano sostenere, anche se immersi in un contesto di smarrimento, dalla percezione della bontà e grandezza di Dio. L'attuale condizione giovanile appare dunque «invocante», anche se la consapevolezza che i giovani hanno della vita e del servizio alla vita è parziale.
    La categoria dell'indifferenza sembra valida a descrivere un contesto ma non sembra utile a diagnosticare una scelta dei giovani, perché essi rivelano bisogni e domande che sono tipici della tensione della fede. La pastorale e l'educazione non dovrebbero ritenere centrale la tendenza dei giovani all'indifferenza. Molto di ciò che spesso ritengono di dover iniziare da zero ha buoni agganci o inizi nella realtà giovanile, anche se diversi da come li si disegnerebbe a tavolino. Dovrebbero, invece, comunicare ad essi fiducia e stima e mobilitare le energie positive, affinché sostengano la tensione della fede.

    1.2. Situazioni di limite e accesso alla fede

    Il limite appare oggi una costante dell'accesso alla fede della maggioranza dei giovani; lo è in particolare per l'area del disagio.

    1. Lo scenario del confronto col limite
    L'area del disagio esistenziale evidenzia una marcata attitudine a confrontarsi col limite. Tale attitudine è presente anche nella maggioranza dei giovani ma nell'area del disagio è più manifesta. Sembra uno scenario a due elementi: i giovani che vivono una condizione di disagio sembrano accedere alla fede attraverso la normale elaborazione dei bisogni umani mentre i giovani con maggiori aiuti e servizi necessitano di un più marcato confronto-scontro col limite per trascendersi, facendo a rilento il lavoro di attribuzione d'importanza alle cose, agli incontri e ai messaggi, che è basilare per accedere alla gioia dell'Evangelo. L'area degli ultimi ha forse un potenziale di accesso alla fede elevato e quindi «conviene» dare ad essi il diritto e l'occasione di accedere alla fede, in quanto essi sono in modo promettente i credenti del futuro.

    2. Accessi alla fede in situazione di limite e religione popolare
    Il limite che la maggioranza dei giovani deve sopportare, se percepito e fatto oggetto di riflessione può divenire luogo di domanda religiosa in quanto, proprio nel percepire i segni di limite, i giovani forse apprendono ad accogliere ciò che si può ricevere solo «dall'alto» e a costruire, superando nei fatti la presunzione dell'autosufficienza, la scelta di vivere. Il limite è durevole e proprio nella finitudine la maggioranza dei giovani impara a vivere e a servire la vita da «credente».
    Si può operare un confronto fra questa situazione giovanile e alcuni tratti della religione popolare, quali la debolezza e la fatica dell'assenso alla fede: come nella religione popolare la fede è un'esperienza debole e poco differenziata ma è anche risorsa per maturazioni genuine, così quella dei giovani appare una fede che si costruisce a fatica nel quotidiano.

    3. Debolezza dell'uomo quale luogo della forza di Dio
    Il terreno su cui i giovani entrano nella vita cristiana sembra la finitudine. San Paolo sviluppa questa istanza e sostiene che noi avvertiamo una deriva mortale e lottiamo contro tale deriva. «Desideriamo di rivestirci del nostro corpo celeste» egli dice (seconda Lettera ai Corinzi 5,2) e ritrae in modo acuto l'esperienza del provare il desiderio della vita piena e dell'essere incapaci di realizzare tale desiderio. Un certo «bisogno» in noi non si spegne fino a quando, attraverso una lotta più acuta subiamo la morte (alla fine della vita e, sul piano quotidiano, nelle esperienze di limite) come entrata nell'amore e nella vita piena.
    Il sacramento del battesimo e quello della penitenza sono forse l'esplicitazione più alta e concreta a un tempo dell'esperienza del limite, la morte simbolica dell'uomo mortale e la sua redenzione, la restituzione dell'uomo a se stesso, al mondo, agli altri e a Dio.

    1.3. Fede che germoglia nella povertà

    La povertà degli attuali percorsi giovanili è ben illuminata dalla bibbia, in particolare dalla sua figura dell'amore di Dio per i poveri.

    1. Amati da Dio Padre
    Il bel racconto biblico della scelta di Davide sembra illuminare la situazione odierna, essendo esso un manifesto della chiamata divina come frutto dell'amore. Il racconto afferma che il Signore non guarda l'apparenza ma il cuore (primo Libro di Samuele 16,7). Davide era l'ultimo dei figli di Iesse e come tale viene presentato all'inviato del re.
    La rivelazione mostra l'azione con cui Dio colma di sé la vita dell'uomo povero. Dio pone la sua gloria nel raggiungimento da parte dello stesso uomo della pienezza di vita. Dice questo con formula stupenda un famoso distico di sant'Ireneo: «La gloria di Dio è l'uomo vivente. La vita dell'uomo è la visione di Dio». La prima frase, forse, indica che la ricerca dell'uomo interessa a Dio non tanto per il suo eventuale contenuto religioso, quanto perché si tratta della ricerca di vita come quella di Davide di un figlio amato. A volte si pensa che la seconda frase («La vita dell'uomo è vedere Dio») indichi che l'uomo solo riconoscendo i contenuti della religione riconoscendo il diritto di Dio, la sua sovranità sazia la sua ricerca di vita. Ma tale significato stravolge la figura dell'amore di Dio, facendo di lui un uomo piccolo ed egoista. La frase andrebbe intesa ben diversamente: conoscere la gratuità di Dio è la vita dell'uomo in quanto è la possibilità per lui di vivere con fiducia, in quanto, l'identità di Dio «sostiene» l'identità dell'uomo.
    Forse, il punto conflittuale dell'interpretazione degli odierni percorsi giovanili è costituito dal duplice elemento della gratuità di Dio e della povertà dell'uomo, in quanto tale duplice elemento fa procedere lungo direzioni del tutto divergenti la lettura dell'oggi. In particolare sembra che molti procedano da questo a fondare la lettura in chiave di empatia verso lo stesso esercizio giovanile della fiducia nel quotidiano, mentre altri leggono la domanda religiosa giovanile in chiave di carenza di specificità cristiana.

    2. Amati in quanto radicalmente poveri
    Come Davide, il giovane chiamato a divenire re d'Israele, come i poveri del Nuovo Testamento, così oggi, i ragazzi che entrano nella fede vivono diversi elementi di povertà: la debole capacità di progettazione personale, l'incertezza e il disagio, i quali rinviano a una povertà radicale, che caratterizza sempre «la posizione dell'uomo di fronte a Dio e dentro l'orizzonte del suo amore». È una marginalità radicale da se stessi, una debolezza che i giovani sperimentano anche nel proprio desiderio intenso di realizzazione. Si tratta di quella povertà che è «la condizione oggettiva dell'esistenza dell'uomo nella sua struttura di bisogno».
    Sembra illuminante al riguardo una parola di Oscar Romero, il vescovo di San Salvador ucciso durante una liturgia, una parola che traduce il distico di Ireneo già ricordato: «La gloria di Dio è il povero vivente». Solo facendo esperienza di gratuità l'uomo si apre alla fiducia della fede e, proprio vivendo ed elargendo gratuità agli altri, soprattutto i poveri coi loro bisogni, l'uomo vive fino in fondo la sua identità. Ogni «ultimo» quindi dovrebbe sapere che esiste sempre qualcuno più povero di lui.

    3. Povertà degli ultimi e povertà di tutti
    La frase di Mons. Romero indica qualcosa di nevralgico per la comprensione dell'attuale condizione giovanile, in particolare dell'area del disagio. Credo che tale frase costituisca uno stimolo interpretativo tipicamente cristiano che si offre alla lettura della realtà giovanile.
    I giovani ultimi sono più prossimi degli altri alla fede non perché essi siano in una posizione «a parte» rispetto ad altri, più fortunati o benedetti o altro. Invece, Dio manifesta in loro per primi quello che vuol manifestare in ogni persona a motivo della sua radicale povertà. I giovani ultimi sono quelli nei quali si vede meglio come si acceda alla fede per la propria condizione di bisogno e grazie alla propria costitutiva povertà. Essi possono essere più facilmente di altri testimoni di fiducia incondizionata.
    La scelta dei poveri non appare dunque qualcosa che si può al più consigliare in sede attuativa ma è chiave di accesso alla progettazione corretta dei percorsi religiosi odierni. Sembra evidente che tale opzione, con la scelta di luogo sociale che l'esprime, sia necessaria a una corretta ermeneutica della progettazione pastorale.

    2. DINAMICHE DI BISOGNI COME «CARDINE» DELL'ACCESSO ALLA FEDE

    L'attuale periodo storico ha quale luogo privilegiato di accesso alla fede, le dinamiche dei bisogni, che appaiono il «cardine» dell'accesso alla fede.

    2.1. Rallentamento della domanda religiosa

    1. Motivazione alla fiducia come chiave dell'accesso alla fede
    I giovani accedono alla fede se elaborano i bisogni umani sostenendo la loro capacità di fiducia. Lo si vede per es. dal fatto che si ritirano dai ritmi iperproduttivi di oggi per ripararsi dalla complessità e dall'efficientismo (anche da quello educativo).
    Inoltre i ragazzi consolidano la propria capacità di fiducia, frequentando le relazioni e gli ambienti nei quali il clima di libertà e le opportunità di servizio fanno sperimentare l'accoglienza. A questo proposito l'esperienza del gruppo ecclesiale pare sintomatica perché nei gruppi i giovani si interessano prevalentemente dello stesso stare assieme, della qualità delle relazioni e della durata della storia di gruppo.
    I bisogni ricorrenti e stabili che emergono in mezzo ai ragazzi quali il benessere, le relazioni vive e libere, la solidarietà a breve e a media «lunghezza», l'accettazione del limite e la lotta per la qualità della vita, non diventano delle domande di vita e di senso se non raramente e lentamente, pur facendo emergere disponibilità impreviste all'Evangelo.

    2. Ricerca di vita come freccia appuntita e riposta nella faretra
    La fede non consiste tanto per i giovani nella focalizzazione di un obiettivo trascendente e nella sua traduzione esistenziale ma nel vivere con fiducia il cammino che conduce all'obiettivo. Questo fenomeno sembra la caratteristica fondamentale dei percorsi della fede in questo periodo storico. Si può descrivere tale fenomeno con una metafora.
    I giovani non assomigliano a chi prende una freccia e la lancia subito, puntando con risolutezza al bersaglio, col rischio di mancarlo o di centrare bersagli sbagliati; piuttosto assomigliano a chi appuntisce a lungo la freccia, la fa riposare nella faretra e, prima di scagliarla lontano, si chiede con cura come e verso dove tirare. Forse l'arciere non scaglia neppure le frecce oppure ne tira poche, ma prepara il lancio con attenzione.
    Probabilmente, chi guarda la scena della lunga preparazione si stupisce del fatto che vengano lanciate poche frecce; ma proprio attendendo e preparando con fiducia il proprio gioco l'arciere dimostra abilità e saggezza. Forse si deciderà, se il bersaglio indicato vale il gioco: la lunga preparazione lo ha comunque abilitato positivamente.

    3. Sulla strada dell'alterità e dell'ulteriorità
    Gli adolescenti sono incamminati sulla strada dell'alterità e dell'ulteriorità, curando la dimensione apparentemente orizzontale delle dinamiche dei bisogni. Lavorando sulla modalità dei percorsi vitali cioè, si occupano di istanze unificanti e si avvedono del significato vero del loro percorso esistenziale:
    «si sposta l'attenzione dal contenuto al processo (dell'autoprogettazione) e quella che è stata spesso indicata come una mancanza di progettualità dei giovani sta invece a significare un interesse non tanto ad andare da qualche parte, ma a preoccuparsi del come ci si va: il cammino è importante quanto la meta (...) I ragazzi non preparano un mondo futuro, ma provano a vivere oggi la possibilità del cambiamento. La sfida è simbolica perché rovescia la logica strumentale ancora dominante e rinvia alla società adulta le sue contraddizioni».
    Chi segue la logica della definizione di esperienze oggettive come «positive» e «negative» non può intendere questa istanza perché il suo sguardo si rivolge a quello che si fa, quindi indirettamente a delle «prestazioni». La logica della maggioranza dei giovani è soggettiva, per cui si fanno disponibili all'oggettivo a partire da istanze personali, dal vitale. A ben vedere il quotidiano è luogo nel quale i ragazzi accolgono qualcosa che viene dall'altro, dall'oggettivo.

    2.2. Scelta fiduciosa di vivere e servire la vita

    Sembra opportuno, alla luce di questa percezione, rileggere alcuni testi magisteriali.
    Gaudium et spes ritiene che l'inquietudine e lo sballottamento fra speranza e angoscia generino domande importanti per la vita, che costringono l'uomo a «darsi una risposta». Questo sembra avvenire oggi, anche al livello iniziale della formulazione della «domanda», a livello di elaborazione dei bisogni umani.
    Giovanni Paolo II afferma che nel cuore umano c'è lotta e tensione, desideri opposti e che, a maggior ragione a causa del peccato, l'uomo, sempre debole, corre realmente il rischio di vivere inutilmente. La rivelazione testimonia che in questo uomo concreto e non in un essere ideale agisce sempre Dio, che è mistero di dono gratuito. Si è dunque invitati a stupirsi per il fatto che Dio ama gratuitamente l'uomo e ne riempie il vuoto esistenziale e a prendere sul serio il limite come luogo di passaggio a una nuova forma di vita.
    Alcuni passi del Vaticano II, poi, sostengono che l'uomo è aperto al Vangelo in ogni tempo e in qualunque condizione, in base al principio della connaturalità. L'uomo può trovare Dio, che s'intrattiene con i suoi figli come amici e «deve» rispondergli, se vuole contraccambiare il dialogo con lui, soprattutto nel luogo della profondità del suo cuore (Lettera ai Romani 2,14-16).
    Questi testi spingono a considerare la ricerca di vita (sperimentata dai giovani e illuminata dai codici culturali messi a fuoco) il luogo nel quale la gente gioca se stessa al cospetto di Dio in senso ultimo. In questa prospettiva, si rileggono i testi magisteriali in base al pari pascaliano: l'uomo è comunque stimolato dalla sua stessa esperienza a una scommessa relativa al senso ultimo della sua vita.

    2.3. Percezione della positività della vita

    Si ritiene che sia a partire dalla percezione della positività del vivere che i giovani iniziano a progettare se stessi e a credere in Dio.
    I giovani si avvedono di camminare verso il futuro, godendo una «eccedenza» che è oggettiva e più o meno tematicamente riflessa e che motiva il giovane a vivere con una fiducia nella vita, iniziale e bisognosa di sostegno. Il porsi dell'uomo nella fiducia durevole e ferma gli consente di vivere la tensione che l'elaborazione dei bisogni comporta. L'eccedenza (o la Presenza, a un altro livello di tematizzazione ed esperienza) lo stimola non a rispondere a sempre nuovi bisogni ma a indirizzare il bisogno verso un bene sempre più chiaramente trascendente e globale. È la percezione di questo bene che unifica la persona, così che l'esperienza religiosa rappresenta, «di natura sua, quasi il tessuto connettivo di tutte le esperienze di vita».
    La ricerca di vita che ha i crismi della domanda religiosa non procede come altre esperienze, che riguardano beni circoscritti e a portata di mano. Del resto, la ricerca della vita vera e propria non può neppure procedere come altre ricerche, altrimenti non progredirebbe affatto, in quanto quelle stesse ricerche hanno al loro interno il difetto della frammentarietà e all'esterno il problema della complessità. Solo rinunciando a trovare un obiettivo o un bene circoscritto si può ancora cercare di vivere. Se l'uomo cercasse la vita come cerca gli altri beni, troverebbe non l'unità di vita ma il suo opposto, un'esperienza frammentata e confusa.
    La ricerca di vita che ha i crismi della trascendenza e della fede unifica l'uomo perché è religiosa nella sostanza, oggettivamente, anche se non a livello intenzionale. Per questo la ricerca di vita è religiosa proprio quando procede come un'esperienza di riconciliazione della persona, con le qualità dell'armonia e della consistenza.
    Se ci si motiva quotidianamente alla fiducia e si sostiene l'elaborazione dei bisogni, si apprende a vivere e a servire la vita con mentalità di fede.

    2.4. Approcci vitali, pastorale profetica, educazione

    Vivere la fede a partire da cose che premono sul piano quotidiano è un approccio che riguarda molti giovani e che interroga chi vede i piccoli d'uomo crescere.

    1. Richiesta di presenza e di parole autorevoli
    La condizione di questi giovani interpella la pastorale (teoria e prassi) e richiede un cammino di accoglienza redentiva, in quanto i giovani oggi pensano senza maschere «a partire dal proprio io, dal proprio corpo, dal sensibile». I giovani accolgono ferialmente ciò che solo dall'altro può venire. L'altro in ultima analisi è Dio Padre: le esperienze sono «abitate» dal Dio vivente.
    Si dovrebbe tener conto della disponibilità che i giovani sembrano mostrare verso l'altro e progettare educazione ed evangelizzazione dal luogo sociale della presenza accogliente e dell'amicizia vigile.
    Si dovrebbe comprendere e gustare l'assolutezza di Dio all'interno della vita, poiché i bisogni stessi evidenziano che l'uomo può definire se stesso esaustivamente solo con un'apertura riflessa al trascendente. Oggi infatti è possibile più che in altre epoche intendere «una parola che non dipende dall'io umano, dal suo corpo, dal sensibile», che abilita l'uomo a vivere liberamente e a servire il prossimo, spendendosi personalmente. Appare centrale «riscoprire il ruolo profetico e utopico della fede, in grado di definire la speranza».

    2. Servire la Parola
    Si dovrebbe concepire Dio «come relazione di persone e ponendo Dio sotto il segno della Parola offerta». Il Cristianesimo potrebbe «far scoprire la sua fecondità e la sua legittimità, non tramite l'imposizione di un codice di leggi esterne ma nella dinamica stessa della relazione». In questo itinerario si dovrebbe accettare che la fede dei giovani sia poco capace di rappresentare in modo coerente se stessa e le proprie prospettive, perché si esprimono «diverse maniere di dire la questione della verità e di viverne pienamente».
    Gli educatori vanno in crisi e sottolineano i difetti perché le carenze giovanili mettono in evidenza le debolezze di chi dovrebbe sapere ed educare. Anche studiosi ed educatori vivono lo smarrimento, e il progetto d'uomo o la Parola che essi testimoniano denunciano essi stessi la loro incertezza. Ma né quest'ultima né la fragilità dei giovani dovrebbero condizionare troppo la condivisione delle risorse positive. Studiosi ed educatori dovrebbero lasciarsi abilitare al loro compito dal bene e dalla verità che intuiscono, riconoscendo le inadempienze; non dovrebbero convivere con lo smarrimento fino a dimenticare la riserva costituita dalla personale differenza di condizione e dalla Parola accolta.
    Come esiste il rischio di un oblio da parte degli educatori di tale riserva di diversità, così esiste l'opposto rischio di esagerare la diversità, attribuendo solo ai giovani scelte, stili o attitudini che caratterizzano anche gli adulti. Questo capita quando gli adulti guardano agli adolescenti come fossero in una posizione neutra, di quiete e maturità, dalla quale valutare i ragazzi. Sarebbe sbagliato sul piano morale perché tendenza da parte degli adulti a sottrarsi alla valutazione di se stessi. Inoltre non sarebbe giusto sul piano epistemologico perché significherebbe fare dei ragazzi «oggetti di osservazione e non persone-in-relazione-con-gli-adulti-che osservano». «Le parti adolescenti sopravvivono utilmente in ogni adulto non come residui irrisolti di crescite mal digerite, ma come risorse vive, attive ed utili ad ogni presente».

    3. Interpretare e agire
    Il fenomeno della domanda religiosa rallentata, descritto dal punto di vista soggettivo con la metafora della freccia appuntita, si dovrebbe interpretare e accogliere attivamente come un tratto di azione di Dio nell'oggi. Da questo nuovo punto di vista, oggettivo, la metafora riesprime vagamente una frase di Isaia, il grande profeta biblico, che non a caso è lo scrittore dell'Antico Testamento che più di tutti sottolinea la consistenza della fede.
    La ricerca di vita dei giovani non assomiglia a una freccia sempre in corsa, lanciata con risolutezza verso il bersaglio; piuttosto assomiglia a una freccia pazientemente appuntita, custodita nella faretra (Isaia 49,2). Forse, tale freccia non ha bisogno di raggiungere il bersaglio perché il suo vero «obiettivo» lo centra riposando, vivendo nascosta nella faretra, nella condizione di chi vive a confronto con la morte, ormai accolto da Cristo in Dio (Lettera ai Colossesi 3,3)!
    Si dovrebbe forse teorizzare e servire un itinerario dell'attesa e della scoperta religiosa, per aiutare Chiesa e giovani ad apprendere a discernere come le domande di vita, suscitate da Dio, e i bisogni, da lui stesso alimentati incessantemente, sostengano la ricerca di vita e spingano a impegnarsi per la vita. Occorrerebbe aiutare a cogliere come Dio mostri se stesso e la sua chiamata nei bisogni ricorrenti e stabili.
    La presente ricerca evidenzia che la fiducia consistente dei giovani ha come motivo di fondo, almeno oggettivamente, l'amore di Dio. I giovani accedono alla fede se si aprono a tale amore gratuito e incisivo, accogliendo le dinamiche quotidiane e consentendo a Dio «di esprimersi in forme nuove nella storia umana».
    Discernere la chiamata di Dio a vivere e a servire la vita è possibile valorizzando anzitutto la concezione redentiva, secondo la quale la vita affronta e supera la morte. Guardando con lucidità e senso evangelico le tendenze vitali con la loro radicale povertà, i giovani dovrebbero comprendere di non essere lontani e inadatti alla fede ma di vivere una «domanda religiosa rallentata». Ciò è destinato a creare spazi di salvezza, come fu per Gesù, il quale, sulla Croce, «con il suo perdono e la sua misericordia, aveva consentito a Dio di farsi presente». I ragazzi dovrebbero riconciliarsi con la loro esperienza e imparare a dare del tu a se stessi.
    Questo evidenzia, in controluce, la creaturalità: «tra l'azione divina e la nostra realtà c'è una netta distinzione: noi non siamo divini». Per questo si può attuare la chiamata divina alla condizione che ci si apra quotidianamente ad un dono nuovo, a condizione che «si sviluppi un adeguato atteggiamento di fede, cioè di accoglienza». Solo provando a vivere con fede e amore, i germi di vita presenti nel quotidiano possono crescere.
    Si dovrebbe quindi sostenere la fiducia dell'altro ed esortarlo alla scelta gioiosa e povera di credere. San Francesco è un esempio di esortazione e di sostegno che i giovani dovrebbero imitare:
    «umilmente preghiamo e supplichiamo di perseverare nella vera fede»; «in ogni tempo, ogni giorno, senza cessare crediamo veramente e umilmente e teniamo nel cuore e amiamo... l'altissimo e sommo Dio».
    I giovani dovrebbero «raccontare» che si accede alla fede con modalità molto umili e ricordare che Dio vuole dagli uomini non «opere», prestazioni. L'unica opera che egli desidera è che si creda in colui che egli ha inviato (Giovanni 6,29), si creda cioè «che siamo i beneficiari di un atto d'amore immeritato che ci redime».

    Per concludere

    La ricerca di vita è spesso una «freccia appuntita, custodita nella faretra», gode oggettivamente (almeno) del sostegno di Dio Padre e del rapporto con lui. La situazione invita a pensare la fede non tanto come un andare verso Dio quale termine esterno dell'itinerario esistenziale (bersaglio) ma uno scoprire che al Padre si è in rapporto nello stesso cercar vita (faretra).
    Più che una disaffezione generalizzata alla religione, o un'esperienza religiosa priva di incisività quotidiana, esiste oggi una domanda religiosa rallentata. La ricerca dei giovani non va verso il senso o verso Dio «naturalmente» e rapidamente. I giovani vivono la propria ricerca di vita non come un itinerario che ha Dio come obiettivo chiaro, esterno e definito, verso il quale lanciarsi ma attendono e preparano il momento nel quale scoprire l'azione di Dio Padre per rispondere ad essa.


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