Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    Celebrare i sacramenti nella vita quotidiana



    Carmine Di Sante

    (NPG 1995-07-14)


    Si richiedono innanzi tutto alcune chiarificazioni sul tema per evitare cortocircuiti linguistici - equivoci semantici - per cui le parole possono significare qualsiasi cosa, a seconda delle proprie precomprensioni o pregiudizi. Per questo Aristotele, ripreso dalla filosofia inglese del linguaggio, sostiene che ogni buon pensiero inizia sempre da una buona «messa a punto» del linguaggio: non nel senso di andare a trovare nelle parole contenuti reconditi (alla Heidegger), ma nel senso di capire che cosa di volta in volta i parlanti mettono dentro le loro parole, se davvero vogliono intendersi e confrontarsi.

    Cosa vuol dire celebrare i sacramenti?

    Ad un primo livello semantico, celebrare i sacramenti vuol dire porre determinati «segni» (verbali, simbolici e rituali); organizzare, quindi, un'azione rituale con una sua struttura «semiologica» e «semantica» che ha un inizio, un momento centrale e uno finale.
    Ma poiché i segni sono sempre segni di qualcosa, celebrare i sacramenti significa allora dire, esprimere o significare qualcosa: la grazia di Dio, secondo la tradizione teologica classica.
    È nota infatti la definizione secondo cui «i sacramenti sono segni efficaci della grazia», intendendo per «grazia» l'amore gratuito e incondizionato di Dio.
    Pertanto ad un secondo livello celebrare i sacramenti vuol dire dare corpo e figura all'amore gratuito di Dio. Ne consegue che, strettamente parlando, non si celebrano i sacramenti quanto piuttosto l'amore gratuito e incondizionato di Dio attraverso i sacramenti. Oggetto della celebrazione non sono cioè i sacramenti ma l'amore di Dio che attraverso di essi si dice.
    Potrebbe sembrare una sfumatura irrilevante, ma in realtà non lo è. A proposito dei sacramenti vale quello che G. Ebeling, teologo tedesco e discepolo di Bultmann, dice a proposito delle parole. Per questo autore capire una parola (o, che è lo stesso, un testo) non vuol dire comprendere la parola ma la visione del mondo che, attraverso di essa, si dice e rivela.
    La parola cioè non è oggetto di visione o comprensione - ma come una finestra - tramite e mediazione per la visione. Egli scrive: «Il principale fenomeno gnoseologico non è la comprensione del linguaggio ma la comprensione attraverso il linguaggio» (in Parola e Fede, Bompiani, Milano 1974, p. 167). Lo stesso vale per i sacramenti: celebrare i sacramenti non vuol dire celebrare dei segni, ma celebrare l'amore di Dio che si dice attraverso alcuni segni.
    Questa annotazione è importante, se si vuole evitare che, come denuncia il noto proverbio cinese, «guardando il dito puntato verso la luna, si guardi al dito invece che alla luna».
    A proposito suona sempre di sorprendente attualità la massima del teologo medioevale Rabano Mauro il quale ammoniva: «in verbis verum amare, non verba» (nelle parole bisogna amare il vero, non le parole).

    Vita quotidiana

    Anche per quanto riguarda l'espressione vita quotidiana ci troviamo di fronte ad una espressione non facile: sia dal punto di vista dell'accezione che della valutazione.
    Che cosa intendere per vita quotidiana? Un modo per capire il senso di una parola è di metterla a confronto con quella alla quale si oppone come alternativa.
    Ordinariamente «vita quotidiana» si oppone da una parte a vita pubblica o professionale, dall'altra a vita interiore o personale; essa, quindi, viene ad indicare un ambito che si differenzia sia dalla vita pubblica che da quella privata. Ancora più difficile resta il problema della valutazione, legata a quella di ciò a cui si oppone la vita quotidiana.
    Come valutare la vita quotidiana, questo tertium che si trova tra la vita individuale e la vita pubblica? Spazio positivo oppure negativo? Luogo dell'inautenticità, da cui fuggire, perché alienante, o luogo dell'autenticità, da ricercare con ogni mezzo perché realizzante? Sono note le due risposte contrapposte che si sono succedute negli ultimi decenni.
    Quando si sosteneva la priorità assiologica del pubblico sul privato, la vita quotidiana era sinonimo di routine, di noia e di ripetitività.
    Quando, come adesso, la priorità del pubblico è in crisi, il privato è riscoperto come positività e immediatezza dei rapporti.
    In questo contributo propongo di intendere tre cose per vita quotidiana:
    - l'arco della giornata e di ogni giornata (quotidie, in latino);
    - i suoi momenti costitutivi: l'alzarsi e il coricarsi, l'alimentarsi, il relazionarsi con gli altri (l'incontro: da quello amoroso, a quello amicale, a quello ostile...), il relazionarsi con le cose (lavoro, responsabilità, ruolo...) e il soffrire che immancabilmente li accompagna;
    - la sua fondamentale ambiguità: il suo configurarsi, di per se stesso, né come lo spazio dell'autenticità né dell'inautenticità ma come possibilità per l'una e per l'altra. Due sono le figure principali di questa ambiguità: l'affanno e l'inquietudine, ambedue caratterizzate da un comune sentimento di incompiutezza: il primo causato dal mancato soddisfacimento del proprio bisogno, il secondo, paradossalmente, dal suo soddisfacimento.
    In altri termini la fondamentale ambiguità della giornata rimanda al problema del senso.

    Il rapporto tra i sacramenti e la vita quotidiana

    Tra i sacramenti da una parte e la vita quotidiana dall'altra vige un rapporto è questa la tesi sostenuta da questo scritto di «illuminazione» e quindi di risignificazione.
    L'amore di Dio celebrato nei sacramenti è come una luce proiettata sulla esistenza quotidiana che, ridisegnandone la figura, ne ridefinisce i momenti costitutivi e la «disambigua».
    Se è vero che l'esistenza umana è come una «parola fermata a metà strada», i sacramenti sono come le lettere mancanti che la portano a compimento[1]. Di qui lo schema di questo contributo: in un primo momento si presenterà l'amore di Dio celebrato nei sacramenti; in un secondo momento la risignificazione dell'esistenza come esistenza benedetta e benedicente; infine la vita quotidiana alla luce di questo amore per il quale l'esistenza umana è esistenza benedetta e benedicente.

    L'AMORE Dl DIO

    I sacramenti sono come la «messa in scena» dell'amore di Dio: la sua «visibilizzazione» e oggettivazione, allo stesso modo con cui si «mette in scena» un'opera teatrale o un brano musicale. La ragione per la quale è necessario, per la comunità credente, «mettere in scena» l'amore di Dio «visibilizzandolo» è perché esso, di per sé, è invisibile, essendo visibile solo nelle sue oggettivazioni: nell'insieme delle cose che rispondono al bisogno umano. Per la bibbia l'amore di Dio si dà, concretamente e quotidianamente, solo nella creazione intesa come benedizione: come il luogo dove egli dice il suo amore all'uomo donandogli le cose necessarie al suo bisogno e alla sua gioia. Ma appunto perché le cose, come la parola, mentre svelano l'amore di Dio, lo velano ogni volta di nuovo (lo rivelano, intendendo questo termine secondo il suo etimo di rimettere di nuovo il velo), si rende necessario uno spazio (lo spazio simbolico della dossologia e della liturgia) dove questo amore si sottrae alla sua segretezza costitutiva e si dice nella sua verità e trasparenza.
    I sacramenti, nel loro insieme, sono la «messa in scena» dell'amore di Dio («segni efficaci della grazia», secondo la definizione classica). Come una frase compiuta o un palazzo, al di là delle loro differenze e del loro numero diverso a seconda delle tradizioni cristiane, essi esprimono un unico messaggio: l'amore gratuito di Dio per la sua creatura.
    È noto che anticamente esisteva un unico grande sacramento che si celebrava una volta all'anno, durante la veglia pasquale e le cui «grandi stanze» erano quattro: il battesimo, la cresima, la penitenza e l'eucaristia. È ugualmente noto che i protestanti hanno ricondotto fondamentalmente a due le stanze dell'edificio sacramentario (battesimo e eucaristia), mentre i cattolici hanno fissato a sette il loro numero (battesimo, cresima, eucaristica, riconciliazione, ordine, matrimonio e unzione dei malati). Questi diversi modi di organizzare i sacramenti più che in chiave di opposizione devono essere intesi in chiave di reciproco arricchimento: come diverse modalità di dire l'amore di Dio, mettendone i luce particolari aspetti.
    Se i sacramenti sono la messa in scena dell'amore di Dio, occorre ora di precisare di quale amore si tratti: di quell'amore peculiare che è l'amore del «Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Gesù» e che, storicamente e teologicamente, ha trovato la sua oggettivazione letteraria nella bibbia, sia dell'Antico Testamento che del Nuovo Testamento. È questa la ragione per la quale il «sacramento» cristiano (e i singoli sacramenti in cui il sacramento si dispiega) viene sempre celebrato all'interno della «parola biblica» che, ogni volta proclamata, ne costituisce la chiave di lettura.
    Alla luce del testo biblico, due sono i tratti peculiari dell'amore divino che i sacramenti, nel loro insieme, dicono: la gratuità e la esigitività.

    La gratuità

    L'amore divino che i sacramenti celebrano come una melodia è «gratuito», cioè dato gratis. In termini biblici è amore di grazia o grazia: ossia pura e radicale gratuità. Ma qual è il significato di gratuito riferito all'amore di Dio?
    Nel linguaggio ordinario «gratuito» (come nell'espressione «bene gratuito») e ciò che è concepito come fine in sé o non come fine per un altro fine, cioè mezzo. Così, ad esempio, secondo questa accezione, vengono considerati «beni gratuiti» attività quali la danza, la poesia o l'esperienza sessuale se volute vissute come fini in sé, per la gioia che in esse si oggettiva e si dispiega; mentre non sarebbero più tali ma strumentali se volute come mezzi per il raggiungimento di un altro fine: per guadagnare, affermarsi o ingannare.
    Altra è l'accezione del «gratuito» secondo la bibbia, definito non dal fine (se fine in sé o mezzo per un altro fine) ma dall'intenzionalità per cui viene posto il fine: se per l'altro o il proprio io. Detto in altri termini, il gratuito viene definito, nella bibbia, non dal trascendimento del mezzo rispetto al fine, ma dal trascendimento dell'io non più fine del suo agire.
    Si possono dare teoricamente tre diversi esempi di gratuità.
    Si immagini un poeta o un artista che produce un'opera d'arte (un testo letterario o un quadro) per piacere, cioè per «divertirsi», sottraendosi così alla logica della costrizione e della strumentalità. Un'attività come questa sarebbe certamente gratuita nel primo senso (la gratuità come fine in sé e non come mezzo) ma non nel secondo: l'artista, infatti, con la sua opera, non solo non si sottrae al suo io ma di esso costituisce la realizzazione - manifestazione o epifania - piena.
    Si immagini invece un artista che, dipinto un quadro, lo regala a degli amici; oppure una coppia di sposi che invita alle loro nozze dei parenti o degli estranei. Anche qui si ha a che fare con un gesto gratuito; ma si tratta di una gratuità «debole» che non comporta in alcun modo il trascendimento dell'io rispetto al suo agire. L'opera, infatti, che l'artista regala è costitutivamente espressione della realizzazione del suo io. Di essa l'invitato non ne è il fine (ché il fine resta sempre l'autocelebrazione o l'automanifestazione di chi l'ha prodotta) ma, per così dire, «spettatore», testimone e indirettamente fruitore. È in questa logica che la teologia ha pensato il senso della creazione biblica e la gratuità divina che in essa si dispiega: epifania della gloria di Dio alla quale si è invitati a partecipare.
    Si immagini infine un passante che, accorgendosi di una persona che sta annegando, rischia la sua vita per salvarla, riportandola sulla sponda e subito allontanandosi, senza la possibilità di essere riconosciuto e ringraziato; oppure uno sconosciuto che, nascostamente, fa recapitare dei giocattoli a un bambino che ne è privo. Anche qui si ha a che fare con un gesto di gratuità, ma si tratta di una gratuità altra da quella dei due casi precedenti che non rientra né nella prima accezione (la gratuità come fine in sé) né nella seconda (la gratuità come automanifestazione alla quale altri partecipano), e il cui tratto costitutivo e differenziante va individuato nel fatto che essa istituisce un movimento dell'io che, provenendo dall'io, non torna però all'io: un movimento senza ritorno di cui l'io è principio ma non fine.
    È questo per la bibbia il senso della gratuità, ed è secondo questa accezione radicale che essa va intesa quando viene applicata all'amore di Dio.
    Per essa l'amore di Dio è gratuito perché è un amore senza ritorno: un amore di cui egli è soggetto ma non fine, essendo il suo fine la felicità e la realizzazione dell'altro.
    Così inteso, l'amore gratuito di cui parla la bibbia e che viene celebrato nel sacramento è «paradossale» e costituisce una vera rivoluzione che dischiude una diversa concezione dell'amore: non più l'amore come insopprimibile movimento dell'io alla ricerca della sua autorealizzazione e automanifestazione, ma l'amore come evento di bontà che alla propria autorealizzazione sostituisce quella dell'altro; l'amore come gesto di asimmetria che spezza il movimento dell'io verso l'io instaurando - suprema e vera libertà - il movimento senza ritorno della gratuità.
    Secondo una storia rabbinica, un saggio pose un giorno, ai suoi discepoli questa domanda: «Se un giorno sulla strada ti capitasse di incontrare da una parte un ferito che chiede di essere soccorso e dall'altra un morto che attende di essere sepolto, quale delle due cose faresti per prima: soccorreresti il ferito o seppelliresti il morto?». La risposta dei discepoli fu unanime: era ovvio che bisognava soccorrere il ferito. Ma grande fu la sorpresa quando il maestro li smentì spiegando: «Più importante è seppellire il morto perché, non potendo questi tornare indietro per ringraziarti, solo così tu compiresti un gesto davvero gratuito».

    Gratuità esigente

    L'amore gratuito di Dio (il Dio che mi ama gratuitamente, con un gesto senza ritorno) per la bibbia non si offre come oggetto bensì come istanza che chiede ed esige. È un amore che si dà nella modalità del comandamento o legge, un amore che, mentre dice: «io ti do gratis», comanda: «tu devi amare gratuitamente allo stesso modo che sei amato gratuitamente». Secondo la formula efficace di Bultmann: l'amore di Dio da indicativo («io ti amo») si fa imperativo («anche tu devi amare»).
    Per capire la potenza di un amore che non si dà nella modalità dell'oggetto da fruire ma della legge o comandamento da obbedire, ci si può servire di un'analogia. Se un pianista ha degli alunni o un pubblico che ama, ha due modi per esprimere ad essi il suo amore.
    Un modo è di mettersi al pianoforte, suonando per essi le note di Bach o di Beethoven, l'altro quello di renderli capaci di suonare essi stessi questi brani musicali. Due modalità di amore tra loro irriducibili: la prima giocata nello spazio della recettività fruitiva (accogliere un qualcosa di cui si gode), la seconda nello spazio della responsabilità creatrice (costituirsi nuova soggettività, capace di nuove possibilità).
    Per la bibbia l'amore di Dio per l'uomo appartiene alla seconda modalità.
    Per la bibbia infatti egli ama l'uomo attraverso il «comandamento» o la «legge»: «Allora si accostò uno degli scribi... e gli domandò: 'Qual è il primo di tutti i comandamenti?'. Gesù rispose: 'Il primo è: Ascolta Israele. il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questo» (Mc 12, 28 ss).
    Amando attraverso il comandamento (comandando cioè l'amore), Dio dischiude alla coscienza umana una nuova possibilità di amare o una nuova modalità di amore: non più solo l'amore spontaneo e naturale, dove l'altro è momento interno all'autocostituzione e alla felicità del soggetto amante, bensì l'amore di alterità dove l'altro è riconosciuto ed amato come fine in sé, per la sua gioia e non più come momento interno alla propria autorealizzazione. Questo amore di alterità (che la bibbia ebraica chiama «giustizia» e la bibbia cristiana «agape») non è una nuova figura di amore, ma un amore altro dall'amore: è l'amore di bontà che, unico e vero miracolo della storia, interrompe il movimento del soggetto verso il suo io per instaurare il movimento che, come quello di Dio, è grazia, disinteressamento e gratuità. Amare «l'orfano», «il povero» e «la vedova» (le categorie rappresentative, nella bibbia, del disvalore e del negativo) vuol dire trascendere l'amore desiderativo ed aprirsi all'amore di bontà come accoglienza dell'alterità e dell'estraneità, di ciò che, fuori dall'interesse dell'io, è pura grazia o gratuità.

    I sette sacramenti

    Di questo amore divino gratuito ed esigente ciascuno dei sette sacramenti mette in luce degli aspetti particolari.
    Il sacramento dell'eucaristia, il memoriale della morte e della risurrezione di Gesù, ne mette in luce il «luogo» sorgivo, «escatologico» ed ultimale: la croce del messia che, dando la sua vita e perdonando, ridona la libertà e la responsabilità della bontà e della gratuità (cf negli Approfondimenti che seguono, il paragrafo su «Eucaristia e vita quotidiana»).
    Il sacramento del battesimo ne mette in luce il suo tratto di incondizionatezza: Dio ama non solo l'estraneo ma lo stesso peccatore che per questo viene giustificato e rinasce a vita nuova, passando dalle «tenebre alla luce» e dal «peccato» alla grazia.
    Il sacramento della cresima sottolinea la sua potenza responsabilizzante e trasformatrice: il soggetto non più solo essere di bisogno ma essere responsabile. Per questo il sacramento della cresima è anche detto «confermazione»: perché in esso «si conferma» il proprio sì a Dio o, per ricorrere ad una analogia molto utilizzata negli anni del preconcilio, si diventa «soldati di Cristo», cioè non più solo amati ma anche responsabili perché chiamati ad amare nella gratuità come Dio.
    Il sacramento della riconciliazione o della confessione «mette in scena» soprattutto il suo tratto fedele e sempre perdonante: un amore che si offre e si rioffre anche quando è tradito e che «sopporta» (nel senso etimologico che lo porta) il rifiuto e il male (cf di seguito il paragrafo su «Riconciliazione e vita quotidiana»).
    I sacramenti dell'ordine, del matrimonio e dell'unzione, più che un aspetto particolare dell'amore di Dio, mettono soprattutto in luce la risignificazione che essi operano di alcune situazioni particolari.
    Il sacramento dell'ordine risignifica il ruolo come «ministro»: vivendo ogni lavoro e ogni professione non come autorealizzazione bensì come servizio all'alterità dell'altro: ad esempio di Gesù e dei «ministri» che lo rappresentano.
    Il sacramento dell'amore (o matrimonio) risignifica l'eros di coppia innestandolo e trasfigurandolo (e, con questo, potenziandolo) sull'agape disinteressata e perdonante.
    Infine il sacramento dell'unzione risignifica la sofferenza e la morte come «espiazione»: il luogo dove riapprendere ad essere soggettività obbediente che rinuncia alla propria signoria per abbandonarsi e consegnarsi a Dio.

    RISIGNIFICAZIONE DELL'ESISTENZA UMANA

    Come esistenza benedetta

    Alla luce dell'amore di Dio celebrato dai sacramenti, l'esistenza umana appare nella sua luce vera ed ultima (escatologia): come esistenza «benedetta», sulla quale è stata detta e ogni nuovo giorno viene detta una parola di bene: «Dio vide quanto aveva fatto ed ecco era cosa molto buona» (Gn 1,31).
    L'esistenza umana è esistenza benedetta perché abitata dal «bene», da «ciò che è buono» (tov, nell'originale ebraico che i LXX traducono con kalos invece che con agathos). Triplice, per il testo biblico, è il senso di questa bontà che abita e innerva l'esistenza umana. Il primo livello è quello del bene come fruizione. L'esistenza umana è benedetta perché essa, per volontà creatrice, è esistenza piena di beni - dai beni materiali ai beni culturali ai beni «spirituali» - commisurati al bisogno umano e capaci di appagarlo adeguatamente.
    Il secondo livello è quello del bene come bellezza. L'esistenza umana è benedetta perché essa si dispiega in un mondo che, oltre che a rispondere adeguatamente ai suoi bisogni, è anche bello, nel senso di armonioso, formato, ordinato e attraente. Questo aspetto della bontà come bellezza, come compiutezza di forma e armonia, anche se è stato sviluppato soprattutto dalla grecità, non è comunque assente dal testo biblico in cui, come è noto, è dato riscontrare pagine di rara bellezza poetica e letteraria (si pensi solo al libro dei salmi, di Giobbe o del Cantico dei Cantici).
    Infine il terzo livello dell'esistenza benedetta è quello del bene come bontà o benevolenza. L'esistenza umana è benedetta perché abitata da un bene altro dalla fruizione e altro dalla bellezza: il bene come bontà o benevolenza, altro dal bene come utile e come bello e irriducibile ad essi pur dentro di essi. La bibbia - e soprattutto la pagina narrativa della creazione - è il coglimento di questa dimensione che, altra dal mondo, fa essere il mondo. Nella storia della produzione delle idee umane l'affermazione di una bontà oltre e altro dal fruibile e dal bello, resta uno dei vertici più alti dell'esperienza umana il cui spessore, veramente e non retoricamente rivoluzionario, appare in tutta la sua forza sconvolgente se, per esempio, lo si mette a confronto con la concezione greca della bontà. Come è noto, anche qui c'è l'idea della Bontà, ma la bontà come Bene, come somma di perfezione e come oggetto quod omnia appetunt («che ogni cosa appetisce») secondo la celebre definizione aristotelica. Ma per la bibbia la bontà non è il Bene-Oggetto che si appetisce (allo stesso modo che l'assetato appetisce l'acqua e l'affamato il pane e l'amante l'amato) ma il Bene-Soggetto come Benevolenza: il Bene come volontà di bene che non va verso il valore per appagarsi ma si china verso il non valore per assumerlo e superarlo.

    Come esistenza benedicente

    Avvolta dall'amore di Dio, l'esistenza umana da benedetta si fa benedicente. Esistenza benedicente è quella che, consapevole dell'esistenza benedetta, ritrascrive questa sua consapevolezza benedicendo Dio. Benedire Dio vuol dire riconoscere il mondo come bene e soprattutto cogliere, oltre di esso, «il di più» del suo amore che, dentro di esso ma anche ad esso irriducibile, lo fa essere: la sua bontà, la sua sollecitudine, la sua benevolenza.
    È questa la ragione per la quale la benedizione (che il Nuovo Testamento traduce con il termine «eucaristia» da cui il grande sacramento della eucaristia) istituisce la verità ultima e radicale dell'umano, la cui identità non è l'intelligenza contemplativa, come vuole la grecità, e neppure l'autonomia progettuale, come vuole la modernità, ma la riconoscenza, nel duplice significato che il termine ha di nuova conoscenza (come nell'espressione: «ho riconosciuto quella persona») e di gratitudine o ringraziamento (come nell'espressione: «gli sono riconoscente»).
    L'uomo è uomo, per la bibbia, quando si risveglia alla dimensione della benedizione che dischiude, nella sua coscienza, non un nuovo sapere ma un sapere altro dagli altri: il sapersi di vivere, in ogni istante, in forza di ciò che gli è dato, in forza della grazia, e che, per lui, vivere è «azione di grazie»: riconoscimento della grazia.
    Ma la riconoscenza come nuovo sapere e come gratitudine che la benedizione istituisce trascende, per la bibbia, il livello cognitivo («so che tutto è grazia») e il livello emozionale («sono grato per quello che mi è dato») e tocca il soggetto umano in profondità ricreandolo come nuova soggettività: non più solo come essere di bisogno bensì come essere responsabile[2], chiamato a ridonare il donato e assumendo come logica del proprio agire non più la logica del proprio io - la logica dell'essere, dell'autoconservazione e dell'interessamento - ma la logica della gratuità, dell'accoglienza e dell'ospitalità. Per la bibbia l'esistenza umana è esistenza benedicente perché esistenza che si sa amata da Dio di un amore di gratuità e di disinteressamento e perché esistenza che si sa chiamata ad amare di uguale amore di gratuità e di disinteressamento.

    L'ESISTENZA BENEDETTA E BENEDICENTE NELLA VITA QUOTIDIANA

    La vita quotidiana - quella che si svolge nell'arco del giorno e di ogni giorno (quotidie) - è simbolo e paradigma dell'esistenza umana: non solo una parte dell'esistenza ma la parte in cui si dice la totalità dell'esistenza.
    L'esistenza umana che l'amore divino celebrato dai sacramenti trasfigura in esistenza benedetta e benedicente è l'esistenza quotidiana che si iscrive nell'arco della giornata e i cui momenti costitutivi sono dati dall'alzarsi, dal mangiare, dal lavorare, dall'amare, dal soffrire e dal coricarsi. Questi momenti che costituiscono e non possono non costituire l'esistenza umana di ognuno e che, per ognuno, sono come la «pelle» del corpo di cui è impossibile liberarsi non sono momenti irrilevanti o propedeutici all'esistenza umana, ma lo spazio originario ed intranscendibile dove essa, alla luce dell'amore di Dio celebrato dai sacramenti, si rivela o svela come esistenza benedetta e benedicente.
    Bastano solo pochi accenni per cogliere in che modo i momenti costitutivi dell'arco quotidiano sono ridefiniti dall'amore di Dio celebrato nei sacramenti.
    Innanzi tutto lo svegliarsi. Se a livello fenomenologico il risveglio è il passaggio dal sonno alla veglia, dallo stato di incoscienza, in cui il soggetto muore ai suoi legami con il mondo esterno, allo stato di riappropriazione del suo rapporto con il mondo, alla luce dell'amore di Dio il mondo al quale si torna dopo il riposo della notte non è il mondo della nuda fattualità ma il mondo «sette volte buono» il cui principio è l'amore di Dio che lo dona e lo chiama a ridonare.
    Il ritorno alla coscienza quotidiana è ritorno soprattutto alla coscienza della propria realtà di soggetti di bisogno: soggetti che per essere hanno bisogno di mangiare. Ed è proprio il mangiare l'assumere dal mondo esterno le energie indispensabili per la vita e la sua gioia non solo l'azione che più ritma l'arco quotidiano ma anche quella intorno a cui si organizza e si struttura ogni società e ogni cultura. Ora, alla luce dell'amore di Dio messo in scena dai sacramenti, il mangiare trascende il livello funzionale dell'assunzione delle energie necessarie alla assistenza e si fa evento relazionale e «spirituale» dell'incontro amoroso tra Dio e l'uomo (cf scheda su «Eucaristia e vita quotidiana»).
    Ma il ritorno alla coscienza quotidiana, oltre che coscienza della propria realtà di bisogno che attende di essere colmato è anche, contemporaneamente e necessariamente, coscienza della propria responsabilità nei confronti delle cose del mondo: del «pane» e del «vino» che non giungono sulle mense senza il duro lavoro quotidiano. Alla luce dell'amore di Dio celebrato nei sacramenti si risignifica anche il lavoro quotidiano, il cui significato ultimo e radicale non può essere esaurito né dalla chiave di lettura che lo vuole come il luogo ideale della realizzazione dell'io né da quella opposta che lo legge come il luogo della sua dannazione che è giocoforza accettare. Alla luce dell'amore di Dio il lavoro si trasfigura in servizio o «ministero» (è qui che va individuato il significato profondo del sacramento dell'ordine), come atto di amore e come concreazione con Dio alla realizzazione della felicità umana.
    Oltre che dal rapporto con le cose del mondo da assumere e da trasformare, la giornata quotidiana è caratterizzata dall'incontro con l'altro: soprattutto dall'incontro con quell'altro «sessuato» che, nel rapporto amoroso e coniugale, istituisce la relazione originaria. Alla luce dell'amore di Dio celebrato nei sacramenti (e, particolarmente, nel sacramento del matrimonio) anche la relazione amorosa uomo/donna viene risignificata: non più solo relazione affidata all'orizzonte desiderativo e alle sue strategie di equilibrio, ma relazione che si fa amore di alterità (o agape) e che gratuitamente avvolge il partner nella fedeltà e nel perdono. Che il perdono sia il principio ricostitutivo di ogni relazione è quanto mette in luce soprattutto il sacramento della riconciliazione: il segno del perdono donato da Dio e da ridonare (cf scheda «Riconciliazione e vita quotidiana»).
    La giornata è poi anche segnata ineludibilmente dalla sofferenza, nelle sue molteplici figure di sofferenza fisica o psichica e soprattutto nella modalità di quella sofferenza ultima e radicale che è la morte. Alla luce dell'amore di Dio celebrato nei sacramenti (e particolarmente dal sacramento dell'unzione degli infermi) anche la sofferenza viene risignificata: non più come scacco e come assurdo bensì come «compassione» con il Cristo sofferente e come il luogo dove riapprendere il linguaggio del cuore non più ribelle ma obbediente, sull'esempio del Maestro che il Padre ha «reso perfetto mediante la .sofferenza» (Eb 2, 10)
    Infine la giornata si conclude con il riposo notturno che sospende la propria attività e progettualità. Alla luce dell'amore di Dio celebrato nei sacramenti, il riposo della notte non ha solo il significato funzionale di recupero delle energie necessarie per riprendere le attività del giorno dopo, ma è atto di fiducia e di abbandono al principio amore che sottende il mondo e al quale ogni sera ci si consegna come se fosse l'ultima sera della vita. Per questo l'ultima preghiera che i monaci recitano prima di coricarsi è chiamata «compieta»: perché conclude la giornata ma soprattutto perché essa è come la conclusione dell'intera esistenza.
    Parlando della vita quotidiana, all'inizio di queste pagine si è detto che uno dei suoi tratti peculiari è l'ambivalenza o ambiguità che l'accompagna e le cui due figure principali sono l'affanno e l'inquietudine. L'amore divino, di cui i sacramenti sono la «messa in scena» ecclesiale, costituisce una risposta sia all'uno che all'altra. Se l'affanno è il sentimento suscitato dal bisogno insoddisfatto, non abbiamo nulla da temere perché tutto ci viene dal Padre che è nei cieli che dà gratuitamente e chiama a ridare gratuitamente (cf Lc 6, 35); mentre se l'inquietudine è la mancanza di quiete e di pace sotteso al bisogno soddisfatto, come è stato definito all'inizio di queste pagine, essa va superata e può essere superata solo con il trascendere il proprio essere di bisogno per accedere alla responsabilità o bontà. Le nostre «inquietudini» non si superano andando alla ricerca di oggetti sempre nuovi per appagare i nostri desideri o bisogni (fossero pure i bisogni «spirituali»!), ma interrompendo la logica del bisogno e del desiderio e accedendo all'evento della bontà o della santità.
    La bontà o santità è l'unico vero evento o miracolo della storia. Evento dischiuso dall'amore che i sacramenti celebrano e che ad ognuno è offerto come possibilità in ogni giorno e notte della propria esistenza.


    NOTE

    [1] Per lo sviluppo di questa immagine rimando al mio Celebrare la vita. Viaggio ne/ mondo dei sacramenti, Elle Di Ci, Torino 1991, pp. 9-14.
    [2] Sullo sviluppo di questo aspetto rimando soprattutto a Parola e terra. Per una teologia dell'ebraismo, Marietti, Genova 1990, pp. 4382; e a Pane e Perdono. L'eucaristia celebrazione della solidarietà Elle Di Ci, Torino 1992, pp. 79-86.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu