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    I presupposti culturali dei progetti PG diocesani


    Francesco Prestifilippo 

    (NPG 1994-02-3)


    I progetti sono veicoli di precomprensioni antropologiche, culturali e teologiche. Analizzarle e metterle in evidenza è molto importante perché permette di cogliere le idee che stanno orientando la prassi pastorale delle Chiese italiane.
    «Nei progetti esistono indicazioni che orientano l'attività concreta anche sui contenuti vitali della fede cristiana espressi nel linguaggio del tempo, e lavorati metodicamente attraverso gli strumenti linguistici della catechesi, della liturgia e della testimonianza vissuta nell'esperienza quotidiana».[1]
    Ordinariamente nei progetti non vi è l'esplicita intenzione di dichiarare le precomprensioni antropologico-culturali, teologiche ed educative che orientano la progettazione. Non vi è nemmeno l'intenzione di rendere manifesta la propria collocazione rispetto al pluralismo culturale che caratterizza invece il contesto attuale. Pertanto avremo ora cura di cogliere le idee che stanno a fondamento delle indicazioni operative, anche se talvolta non riuscirà facile, a motivo del loro «genere letterario», cioè della dichiarata intenzione di offrire indicazioni metodologiche per la pastorale.
    L'orizzonte culturale dei progetti sarà considerato in base a tre dimensioni fondamentali:
    - la dimensione antropologica, cioè la visione globale dell'uomo e della realtà;
    - la dimensione teologica, cioè gli orientamenti teologici in cui viene compresa la specificità dell'essere cristiano;
    - la dimensione educativa, cioè la fiducia che i progetti esprimono nei confronti dell'educazione, e il suo peso nella strutturazione dei progetti.

    LA DIMENSIONE ANTROPOLOGICA

    La maggior parte dei progetti presenta le caratteristiche prevalenti dei fondamenti teorici dell'orizzonte personalista-comunitario.
    La persona, con i suoi bisogni e con la sua tensione verso realizzazione comunitaria, è il nucleo antropologico attorno a cui ruotano tutti i progetti.

    La visione globale dell'uomo

    L'uomo, la sua vita, l'ambiente in cui vive, sono il denominatore comune su cui confrontarsi, l'elemento catalizzante su cui vengono ad incontrarsi i valori che permettono all'uomo stesso di divenire persona. «Mediante il termine persona si vuole alludere proprio a questa singolarità della vocazione di ogni uomo, al carattere esclusivo della sua esperienza, che lo fa qualitativamente diverso dagli altri esseri e fonda la sua responsabilità nei confronti del mondo e della storia».[2]
    La persona non resta chiusa in se stessa; al contrario, è costitutivamente aperta ad una serie di rapporti necessari per il suo sviluppo. Tutti i progetti affermano decisamente il primato del pensiero dialogale e del rapporto interpersonale con gli altri uomini. Il riconoscimento dell'altro non è dissociato dalla dimensione etica, per cui la persona si fa dono per gli altri. L'essere con gli altri e per gli altri appartiene quindi al nucleo stesso dell'esistenza umana.

    La visione della società

    «Innanzitutto bisogna rilevare che le coordinate socioculturali generali in cui diviene storicamente concreto e possibile definire l'identità giovanile individuano, nella crescente complessità del reale, una delle strutture e modelli omogenei e ciò comporta una frammentazione della stessa identità individuale, in relazione ai ruoli e alle funzioni che ogni soggetto assume nei vari contesti. A ciò va aggiunto una progressiva penetrazione nelle giovani generazioni di una sorta di nichilismo epocale, refrattario ad ogni indicazione di valori trascendenti sommariamente qualificati come illusori e il rifiuto di ogni forma di autoritarismo eteronomico, tratto saliente di ogni personalità in via di maturazione».[3]
    Abbiamo tratto da un documento di una diocesi un esempio paradigmatico di molte descrizioni sulla realtà giovanile che abbiamo riscontrato nei documenti.
    In genere è dato ampio spazio al momento dell'analisi della situazione in cui vivono i giovani della diocesi. L'analisi è forse tra le componenti privilegiate dai progetti e in tutti i documenti è quasi sempre presente, anche se essa in generale appare poco collegata con il resto della progettazione. Spesso si prediligono le descrizioni meno rigorose, forse per non restare imprigionati nel linguaggio tecnico degli esperti.
    Sono pochi però i documenti che tentano una tipologia della domanda giovanile, una tipologia sufficientemente ampia, di carattere educativo-pastorale utile ad interpretare con fedeltà le domande dei giovani.
    Le categorie più utilizzate nei testi per descrivere i giovani sono soprattutto: soggettivizzazione, marginalità, frammentarietà, incapacità di un impegno a lungo termine, appartenenza debole, crisi di identità. Ne risulta una lettura in negativo: crisi di valori, scristianizzazione, cultura dell'immediato e dell'esteriorità, secolarizzazione, deideologizzazione... una lettura che, in molti casi, non prende in considerazione le positività espresse dai giovani. Ciò è dovuto, in parte, alla «rapidità dei mutamenti sociali (che) rende spesso le generazioni adulte povere di strumenti per leggere la nuova realtà. La concezione etica e i valori stessi a cui si riferiscono sono messi in dubbio dall'emergere di nuovi valori... A ciò si aggiunga che è ancora difficile consolidare presso giovani e adulti l'abitudine ad un dialogo critico ed aperto, mancandone occasioni specifiche» (Brescia).
    Sono però presenti anche dei tentativi di cogliere i nuovi germi della cultura emergente: qualità della vita, problema del senso, i temi generatori della solidarietà, della giustizia, della pace...
    «In realtà anche nel mondo giovanile sono presenti valori, che si condensano attorno alla ricerca di una migliore qualità di vita. Essi vanno letti, accolti e ulteriormente motivati.
    I valori, ai quali il mondo giovanile è sensibile, sono prevalentemente sulla linea della autorealizzazione e di respiro immediato.
    Anche l'attenzione a tematiche importanti (pace, ecologia...) assume questi caratteri: c'è una minor ideologizzazione, ma forse più fragilità» (Vicenza).

    La ricerca di identità

    Molti progetti sottolineano con forza l'intensa domanda di identità e di senso. Il tema dell'identità è diventato centrale per i progetti, soprattutto in quelli elaborati in questi ultimi anni.
    L'ipotesi che sta alla base di questo tema è quella di una caduta generale dell'identità collettiva dei giovani dovuta alla perdita di «un punto di riferimento normativo capace di legittimare il significato unitario della società... (e) alla crisi dei processi di socializzazione, descrivibile come sfaldamento delle agenzie tradizionali di ottenimento del consenso sociale ai valori dominanti, di legittimità dei messaggi culturali trasmessi, di obsolescenza delle metodologie di trasmissione».[4] I giovani si trovano così di fronte a sistemi che tendono a imporre le identità da loro prestabilite indiscriminatamente per tutti i soggetti.
    Varie sono le ipotesi presentate dai progetti che tentano di dare una spiegazione, sufficientemente corretta, delle difficoltà incontrate oggi dai giovani nel processo di costruzione della identità nella società complessa, con la conseguente frammentarietà e marginalità.
    «Caratteristica è la volontà di ricercare la propria identità che, non essendo accompagnata da un riferimento a modelli e valori (spesso già carenti nel mondo degli adulti), si presenta ambivalente nelle sue espressioni, alternando alla volontà e alla percezione di valori comuni l'incapacità di un riferimento costante e preciso inserito in un progetto di vita» (Brescia).
    Si ipotizza così l'influsso di ciò che abbiamo imparato a conoscere come «pensiero debole» sul vissuto giovanile. Si ammette così la difficoltà ad elaborare nella società complessa filosofie di vita fondate e coerenti. La precarietà diventa così condizione normale di vita, con la conseguente insignificanza di vivere la vita come progetto, ma questa va vissuta solo come sequenza di esperienze eterogenee da realizzare nel presente.
    All'incapacità per i giovani di elaborare filosofie di vita fondate e coerenti, va anche aggiunto l'influsso del modello consumista sui comportamenti quotidiani. Un modello che è capace di penetrare in tutti i livelli del vissuto individuale e collettivo, diventando paradigma universale del comportamento.
    Un modello capace di neutralizzare la ricerca di idealità più consistenti e di porre in acquiescenza le propensioni produttive dei giovani, rafforzando la condizione di marginalità.
    Un altro elemento che concorre nella difficoltà di definizione dell'identità personale dei giovani è la tentazione di mediocrità. Una tentazione che affonda le sue radici nell'attuale crisi di credibilità delle ideologie e delle risposte totalizzanti, nell'effetto di sazietà prodotto dal crescente benessere, nella diffusa relativizzazione dei valori nella società complessa.
    Tutti i progetti, più o meno esplicitamente, facendosi portavoce degli studi di vari sociologi, presentano con preoccupazione questa situazione, e soprattutto questa esigenza fondamentale dei giovani.

    Elementi comuni ai progetti

    Gli elementi che trovano un maggiore riscontro nei progetti, a riguardo della dimensione antropologica, e che ormai fanno parte delle linee di progettazione delle Chiese italiane, possono legarsi attorno ad alcuni nuclei.

    - La coscienza della complessità e il riconoscimento del pluralismo culturale.[5]
    Vengono evidenziate le ambivalenze su cui si strutturano i messaggi che la società invia alle nuove generazioni, le quali sono invitate ad entrare nel processo di sviluppo del sistema.
    Perlopiù si tratta di un'offerta, da parte della società, di un protagonismo limitato e condizionato, che lascia pochi spazi alla creatività giovanile e che si riduce in un inserimento, poco appagante, dei giovani nel quadro precostituito dagli adulti.

    - L'accettazione della secolarizzazione vissuta come condizione entro cui ridire la fede.
    Di fronte ad una presa di posizione globale della cultura nei confronti del fatto religioso, diverse sono le reazioni delle diocesi.
    Alcune chiese particolari sembrano prendere una posizione di difesa, cercando di riproporre un mondo culturale in cui la religione informa le strutture della società, le attività umane e il modo collettivo di pensare.
    Altre diocesi, superando la concezione alternativa del rapporto tra Dio e l'uomo, lo ridefiniscono come amore creativo che esclude ogni antagonismo e strumentalizzazione. L'autorealizzazione umana, pur restando radicalmente dono di Dio, è anche frutto di una responsabile assunzione da parte dell'uomo dell'impegno morale. La secolarizzazione viene quindi assunta nel ridefinire il posto della fede in rapporto al senso della vita.

    - La coscienza storica assunta come attenzione alla soggettività e al contesto.
    I documenti analizzati mettono in evidenza che la Chiesa, in quanto «universale sacramento di salvezza», ha preso consapevolezza di poter essere tale solo se sarà capace di mettere al centro delle sue attenzioni l'uomo in situazione. «La propria identità (essere sacramento di salvezza per l'uomo) è diventata fedeltà radicale all'uomo-in-situazione, proprio per poter essere veramente per lui sacramento di salvezza. Se il segno non è appello, capace di sollecitare e sostenere la decisione personale, viene vanificata la sua funzione. E il processo salvifico si degrada in ritualismo e magismo, svuotando così la stessa sacramentalità ecclesiale in ordine alla salvezza» (Tonelli, Pastorale giovanile, p. 150).
    Tutte le chiese particolari hanno avuto l'attenzione di presentare una lettura della situazione in cui operano. Delle analisi a volte superficiali, a volte invece molto approfondite; ma nessuna delle diocesi si è sentita di offrire un progetto di pastorale giovanile che prescindesse da una lettura della situazione offerta come carta di identità della realtà giovanile presente nel proprio territorio. La maggioranza delle chiese italiane si stanno impegnando per operare un cambio di prospettiva: la Chiesa, che riconosce nell'uomo-in-situazione la sua fondamentale via, assume una prospettiva ben diversa, molto più decentrata: riconosce di autocomprendersi nella misura in cui riesce a farsi «relativa» all'uomo: essa esiste per diventare un servizio salvifico a quest'uomo concreto.
    L'uomo in situazione pone le domande decisive: queste sono i problemi veri che la preoccupazione pastorale deve cercare di affrontare: assumere, educare, risolvere.
    Guardando all'uomo-in-situazione, le comunità ecclesiali elaborano progetti pastorali capaci di risultare «appello» (un segno che si fa appello, credibile e interpellante).

    - L'uso delle scienze umane nella progettazione.
    Sta entrando nei soggetti della progettazione una mentalità scientifica che permetta di accogliere i contributi offerti da esse. Anche se di fronte ad alcuni progetti permane però l'impressione che ci sia ancora un certo timore nell'accogliere pienamente i risultati offerti dalle scienze umane. Non ci si è ancora staccati dalla tradizione plurisecolare che considera la teologia come scienza suprema, che può utilizzare a piacere i risultati di altre scienze. O, ancor peggio, si disdegnano i risultati di tali scienze per affidarsi ad impressioni o convincimenti personali. Ci si accontenta spesso di una lettura pastorale, impoverita però dello spessore antropologico che i molteplici approcci delle scienze umane potrebbero assicurare.
    L'ideale resta sempre il tentativo di giungere ad una programmazione metadisciplinare dove si superi l'interesse per le singole discipline e ad i loro specifici approcci per giungere a convogliare sulle realtà tutti i mezzi cognitivi possibili. La metadisciplinarità consiste appunto nell'oltrepassare i confini delle differenti discipline, nel cogliere i collegamenti logici e concettuali che le percorrono e nell'unificarle in un sistema di pensiero atto a cogliere, in modo globale, un determinato problema e ad avviarne una adeguata soluzione unitaria. I documenti analizzati dimostrano un grande interesse a far convergere tutto attorno ad un nucleo centrale. I giovani sono l'interesse prioritario attorno a cui intessere la ricerca delle scienze dell'educazione e il cammino di educazione alla fede. Non sempre questa posizione risulta evidente, ma ormai la mentalità è indirizzata verso questo obiettivo.

    - La consapevolezza della gradualità e diversità dei cammini di fede.
    «Si educa in tanti e in momenti diversi. La pastorale giovanile riconosce fondamentale la gradualità dei vari cammini educativi e formativi e i vari livelli di appartenenza, per cui elabora una pluralità di proposte, che tentano di rispondere alle domande educative dei giovani, al punto in cui si trovano» (Reggio Emilia).
    Molte diocesi hanno ormai compreso che non si può progettare un camino di fede identico per tutti i giovani. È necessario prendere in considerazione con molta attenzione le differenze che sono presenti nella nostra società. Non per appiattirle in una falsa unitarietà, ma per valorizzarle in un'apertura totale all'altro, che diventa risposta alla personale ricerca di identità. In diversi progetti tutte queste idee si respirano come sensibilità diffusa. Sono anche i progetti che hanno elaborato maggiormente l'idea di itinerari diversificati per rispondere alle domande giovanili.

    - La sensibilità planetaria e l'uscita da una concezione di cultura regionale ed eurocentrica .
    «Occorre avviare azioni che incidano sulle regole dei rapporti internazionali. Non si tratta semplicemente di aiutare i paesi poveri, ma di sostenere quanto serve loro ad acquisire autonomia economica, politica, culturale, scientifica e tecnica. Occorre inoltre mettere in atto una cultura del bene comune capace di incidere sulle regole degli scambi con i paesi del terzo mondo, ma anche sul nostro stesso stile di vita» (ACI).
    Dai progetti non emerge ancora evidente l'attenzione al problema del rapporto nord-sud del mondo; da alcuni accenni in diversi progetti si nota però che parecchi operatori stanno dimostrando una buona sensibilità nei confronti di questo problema.
    Le maggiori sollecitazioni vengono dalle diocesi che sperimentano una presenza sempre più massiccia di giovani extracomunitari nel territorio italiano. Una situazione che porta a sentire il problema del confronto tra culture, non solo come un fatto lontano, ma come una realtà che segna ormai indelebilmente l'elaborazione della cultura e dell'identità giovanile. «Nel contempo è auspicabile che i nostri giovani maturino la consapevolezza della necessità di superare i confini locali, per acquisire una mentalità aperta all'incontro umano e allo scambio culturale. È utile, a riguardo, l'attenzione ai temi dell'unità europea e della mondialità. Sono le due facce della stessa medaglia: per il cristiano, infatti, la costruzione della casa comune europea passa necessariamente attraverso la costituzione del villaggio globale, cioè di una comunità sovranazionale capace di abbracciare tutto il pianeta e non soltanto una sua porzione» (Brescia).

    - L'educazione all'impegno socio-politico. «Un'altra meta educativa assai importante riguarda la formazione dei cristiani all'impegno sociale e politico».[6] Diversi progetti, soprattutto gli ultimi in ordine di tempo, si preoccupano di mettere in evidenza l'importanza della dimensione socio-politica nella vita del cristiano. Il rinnovato interesse per la dottrina sociale della Chiesa e le stimolazioni offerte dagli ultimi documenti dalla CEI, hanno spinto le diocesi a far entrare nelle loro linee di progettazione anche questa dimensione. «L'urgenza di rinnovare la presenza del cristiano e di condividere le responsabilità nella comunità degli uomini impone di ripensare le motivazioni per colmare l'attuale distanza culturale ed esistenziale dei giovani nei confronti dell'impegno politico; occorre ricercare nuove modalità di comprensione e di attuazione che superino l'attuale disaffezione al mondo della politica» (Brescia).

    LA DIMENSIONE TEOLOGICA

    La presentazione dei presupposti teologici su cui si fonda la progettazione è curata con attenzione dagli estensori dei progetti. L'esplicitazione dell'orizzonte teologico viene considerata come una parte importante in relazione a tutto il progetto; viene quindi avvertita l'esigenza di presentare l'immagine di Dio, della salvezza e della Chiesa, entro cui intende muoversi la progettazione.
    Le tematiche teologiche che ricorrono con maggiore frequenza sono:
    - la centralità cristologica, che in molti progetti viene ricompresa a partire dalla prospettiva dell'incarnazione;
    - l'esistenza stessa del giovane, intesa come luogo privilegiato della nostra risposta a Dio che ci parla, lo spazio esistenziale del nostro incontro con lui (Tonelli, cit., p. 136);
    - lo sviluppo dell'ecclesiologia, in termini di comunione, sacramentalità, ministerialità, missionarietà.

    La centralità cristologica

    La riscoperta dell'evento «Incarnazione» ha segnato la ricomprensione della teologia del post-concilio. Tale riscoperta ha anche ispirato la riflessione delle diocesi per la costruzione di progetti rinnovati di spiritualità giovanile fondati su solide basi teologiche.
    Fondamentale, a questo riguardo, è da considerarsi il compito svolto in tutta Italia dal «Documento di base» del 1970. Un documento che ha proposto un modello cristocentrico attuato con coerenza nei catechismi nazionali. Un modello che ha influito notevolmente sulla vita delle chiese italiane: tutti i progetti praticamente usano come fonte il Rdc, molti lo citano esplicitamente.
    «Cristocentrismo è una formula per esprimere non tanto la centralità del mistero di Gesù Cristo (cosa per sé ovvia), quanto il ruolo determinante di esso nella presentazione e spiegazione dell'intero messaggio rivelato. «Si tratta di una onnipresenza del Cristo, di una irradiazione della sua personalità, che getta luce fin nei minimi dettagli della dottrina, fino ai tempi più occasionali della predicazione».[7] «È il Figlio di Dio incarnato la rivelazione e la pienezza del mistero. «Non c'è altro mistero di Dio all'infuori di Cristo». È lui la luce del mondo che risplende sul volto della Chiesa: la Chiesa è mistero in senso derivato, in quanto riflette il mistero di Dio che è Cristo» (Lodi).
    L'incontro con Cristo diventa in pratica l'annunzio centrale fatto dalla pastorale giovanile. Tutto tende all'incontro tra la verità e l'immagine di Cristo e l'aspirazione e la ricerca di felicità che sta al fondo di ogni domanda giovanile.
    «L'incarnazione è l'esperienza centrale e fontale della vita di Gesù e della fede che ha suscitato. È quindi la prospettiva fondamentale da cui possiamo comprendere l'evento di Gesù Cristo... Essa soprattutto rappresenta la prospettiva da cui possiamo comprendere in modo più preciso tutte le parole e i gesti che Gesù ha detto e fatto per rivelarci Dio. Per questo l'Incarnazione permette di comprendere in modo speciale chi è Gesù e chi è noi (Tonelli, cit., p. 103-4). In Gesù il Dio inaccessibile e misterioso, il Dio ineffabile e radicalmente trascendente, si è fatto «volto», è diventato «parola». Per conoscere qual è il progetto di Dio sull'uomo dobbiamo riferirci all'evento Gesù Cristo, e lo dobbiamo fare a partire dalla prospettiva dell'Incarnazione. «L'incontro dei giovani con Cristo acquista efficacia e pieno senso, se vissuto facendo della persona di Cristo il punto di riferimento fondamentale per la costruzione dell'identità personale. Possiamo definire tale percorso: 'Educare al pensiero di Cristo, a vedere la storia come lui, a scegliere e ad amare come lui, a sperare come insegna lui, a vivere in lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo' (Rdc 38)» (Brescia).
    L'evento dell'Incarnazione è diventato così criterio normativo per una rinnovata prassi pastorale. «Chiunque voglia fare all'uomo d'oggi un discorso efficace su Dio, deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre presenti nell'esporre il messaggio. È questa, del resto, esigenza intrinseca per ogni discorso cristiano su Dio. Il Dio della Rivelazione, infatti, è il Dio con noi, il Dio che chiama, che salva e dà senso alla nostra vita; e la sua parola è destinata a irrompere nella storia, per rivelare a ogni uomo la sua vera vocazione e dargli modo di realizzarla» (Rdc 77). Le diocesi si sono così impegnate a considerare il «quotidiano» come luogo dell'incontro con Dio. «Per non essere discriminante ogni proposta di P.G., nella nostra Chiesa, si presenta come potenzialmente aperta a tutti:
    - la considerazione del «quotidiano» come luogo dell'incontro con Dio fa assumere ogni esperienza realmente umana come manifestazione della sua salvezza...
    - il perseguimento dell'unità interiore e della persona porta ad un modo nuovo di essere e di agire: l'azione per il cristiano non è solo luogo di verifica della sua fede, ma momento di fede in se stesso, costitutivo del suo essere» (Adria-Rovigo) .
    L'incarnazione in pratica ci aiuta a comprendere il modo con cui Dio vuole realizzare la salvezza per l'uomo. Non rimane quindi solo una prospettiva teorica, ma muta il metodo della pastorale perché bisogna rifarsi alla prassi salvifica di Gesù. La pastorale è chiamata ad attuare la salvezza, questa non può essere attuata se non attraverso l'umanità quotidiana dell'uomo che, per l'opera di Gesù, è diventata il sacramento in cui Dio si fa presente e vicino, per attuare il progetto di salvezza.
    La strada da percorrere per concretizzare i contenuti del messaggio cristiano è quella dell'incarnazione così specificata:
    - assumere «l'oggi» dei giovani nella fiducia che ogni ricerca umana, per dono di Dio in Cristo, può diventare luogo di salvezza;
    - ridare significato ai temi culturali emergenti, consolidando e purificando quelli presenti, integrando quelli carenti, per riconsegnare l'uomo all'uomo;
    - "dare ragione della fede" attraverso la vita dei giovani e della comunità cristiana» (ib).
    «La sintesi allora tra fede e vita si opera in questa direzione. Tutta la vita dell'uomo, tutta la vita del giovane che si prepara a responsabilità sempre maggiori, è il luogo dove si incarna la Parola di Dio per diventare la risposta non alienante, ma concreta, ai bisogni dell'uomo» (Albano Laziale).
    «Nella pastorale giovanile, in ogni pastorale, noi siamo sollecitati ad assumere tutto l'umano: per questo non è possibile che la pastorale assuma come destinatario della sua azione un modello d'uomo totalmente astratto e privato delle sue connotazioni storiche ed essenziali. Se la nostra umanità è fatta volto e parola di Dio, essa è più grande dei suoi limiti e delle sue povertà; è portatrice di continui segni di salvezza che non possiamo lasciar cadere: il promuovere la pienezza deve essere la meta che orienta i nostri sforzi e il nostro entusiasmo» (Brescia).
    Le citazioni si potrebbero moltiplicare per ciascuno dei progetti, ne abbiamo scelte solo alcune, per far notare che la «svolta antropologica» prospettata dal «Documento di base», almeno nelle intenzioni, è stata accolta dalle Chiese italiane. A partire dalla riscoperta dell'evento dell'Incarnazione si è operato un cambio radicale di prospettiva che colloca la vita quotidiana dell'uomo al centro. «La svolta antropologica mette così l'uomo al centro della missione della Chiesa e segna, nello stesso tempo, lo stile di questa missione» (Tonelli, Cit., p. 114).

    La vita quotidiana: luogo dell'incontro con Dio

    Se l'incarnazione di Cristo è al centro della riflessione teologica espressa dai progetti, in questo medesimo centro si pone l'esistenza stessa dei giovani. Si crea quindi una bipolarità tra Cristo, considerato non come una verità astratta ma come rivelatore di Dio e dell'uomo a se stesso, e all'altro polo la condizione del giovane, una vita che cresce in ambiti di obiettiva difficoltà umana e religiosa ma dotata di positive potenzialità.
    «Nel fare catechesi, la Chiesa propone ai credenti non soltanto i grandi contenuti della fede che scaturiscono in ogni tempo e luogo da una meditazione attenta del mistero di Cristo; ma, con viva sensibilità pastorale, svolge anche i temi che le condizioni storiche ambientali rendono particolarmente attuali e urgenti .
    Anzi il messaggio cristiano non sarebbe credibile, se non cercasse di affrontare e risolvere questi problemi. Né si tratta di una semplice preoccupazione didattica o pedagogica. Si tratta invece di un'esigenza di incarnazione, essenziale al cristianesimo» (Rdc 96).
    Per fare pastorale giovanile non si può prescindere dal vissuto esistenziale, dall'esperienza personale, dalla vita quotidiana dei giovani. E ciò, come afferma il Documento di base, non per un fatto di costume o di moda, ma perché la vita quotidiana è un fatto teologico: è il luogo dell'incontro con Dio. «Siamo giovani credenti. La radice di ogni nostra storia è l'incontro con Gesù, il Cristo, il Signore della vita. Siamo giovani credenti con il profondo desiderio di vivere in pienezza la nostra storia personale, ed anche la storia comune del nostro tempo e del nostro paese» (ACI).
    Tutti i progetti hanno fatto precedere alla loro proposta di cammino nella fede una analisi della situazione. Segno evidente che si vuole proporre una crescita nella fede che non può prescindere dalle esperienze umane che, pur nella loro contraddittorietà, diventano il fondamento della nostra comprensione del messaggio di Dio.
    Quando abbiamo espresso la visione della realtà presentata dai progetti, abbiamo già avuto modo di fare notare che l'analisi della situazione è tra le componenti privilegiate dei progetti, pur se poco collegata con il resto della progettazione. La lettura pastorale che i progetti fanno della situazione culturale, in particolare del rapporto fede-cultura, rileva lo stato di disintegrazione fede-vita, tra vita quotidiana e fede personale. Lo sforzo compiuto dai progetti è pertanto quello di aiutare i giovani a comprendere che nell'incarnazione Dio ha assunto pienamente l'umano e in Gesù vi è la rivelazione piena sull'uomo. «Se tale è la dignità dell'uomo, è allora proprio nella vita quotidiana che il giovane può sperimentare l'incontro con Cristo: la vita del giovane è, quindi, luogo teologico in cui avviene l'incarnazione di Dio» (Brescia).
    Ci rendiamo conto quindi di quanto le Chiese italiane considerino centrale la vita quotidiana nella salvezza cristiana. «Siamo chiamati ad accogliere lo stato attuale dei giovani rendendo possibile una progressiva coscientizzazione, riconoscendo poi in essa una Parola a loro e a noi donata per far crescere i giovani verso nuove domande fino alla formulazione della domanda religiosa alla soglia del Trascendente» (Fermo).
    Le esperienze quotidiane sono così considerate come precomprensione della Parola di Dio: «La parola di Dio non può rivolgersi all'uomo senza farsi insieme parola sull'uomo e parola dell'uomo. La parola di Dio può dire qualcosa all'uomo, diventando così parola per l'uomo, solo se parla il nostro linguaggio, si riferisce alle nostre profane esperienze come categorie espressive del suo annuncio» (Tonelli, cit., p. 135).
    I progetti non si fermano comunque a considerare la vita quotidiana soltanto come un'indispensabile chiave interpretativa della parola di Dio. Essa diventa anche il luogo privilegiato della nostra risposta a Dio che ci parla. «La missione della Chiesa deve partire dal cammino che gli uomini stanno compiendo, giovani o adulti che siano. Cioè deve partire dalla loro esperienza, fatta di aspirazioni e di ricerca, di lotta e di delusioni, di sforzo e di frustrazioni. E dentro questa esperienza che Dio lavora ed è dentro le situazioni concrete, legate all'età, alla cultura, alla sensibilità che si devono manifestare i segni della presenza e della volontà di Dio».[8]
    La nostra vita è lo spazio esistenziale dell'incontro con Dio. In questo spazio nasce la libera risposta dell'uomo all'autocomunicazione salvifica di Dio.
    La presenza di Dio nella nostra vita non è diretta e immediata, ma neppure una semplice convinzione senza alcun riferimento reale. Si tratta di una presenza vera e costante, una presenza «sacramentale». I progetti esprimono con chiarezza che nella nostra esistenza è presente un evento più grande che ci permette di essere quello che siamo. Anche se non esplicitamente, viene descritta l'interazione tra un visibile, l'umanità concreta e quotidiana di ogni uomo, e un mistero, costituito dalla presenza salvifica di Dio. Questa interazione è detta «sacramentale». I giovani sono invitati ad incontrarsi con l'evento Gesù, «tale incontro è fatto misterioso, perché misterioso è il reciproco svelamento tra l'uomo e Dio; e la comunità cristiana sa che può influire solo indirettamente in esso, con umiltà e stupore. La storia di ogni discepolo di Gesù, infatti, è segnata da questo incontro, nel quale l'uomo intuisce il grande dono di vita che è Gesù, lo percepisce come fondamento e comprensione di sé e di tutta la storia, il significato ultimo di tutto ciò che esiste e, con una scelta libera e responsabile è l'atto di fede! , si abbandona totalmente a lui» (Treviso).
    La vita quotidiana è quindi il sacramento fondamentale dell'esistenza dei credenti. Il luogo dove possono incontrare il Padre buono che chiama alla salvezza, e dove sono chiamati a dare la loro risposta, a farsi accoglienti del dono della fede attraverso la scommessa della propria vita su questo stesso dono.

    Lo sviluppo di una ecclesiologia comunitaria

    Alla presentazione della bipolarità «esistenza del giovane e Gesù Cristo Salvatore dell'uomo», i progetti, in genere, fanno seguire questo passaggio logico: la comunità cristiana assume il compito di favorire l'incontro tra il giovane e Cristo.
    «La Chiesa nella sua azione evangelizzatrice nutre una particolare attenzione per le nuove generazioni... Con questa consapevolezza la nostra diocesi si pone al servizio di tutti i giovani perché in funzione di un serio cammino formativo possano scoprire il vero volto di Dio Padre e trovare, nel Vangelo di Gesù, la risposta alle loro attese di salvezza e pienezza di vita» (Lodi).
    La maturazione cristiana dei giovani è un impegno pastorale primario per le comunità. Le Chiese locali, mentre sono coscienti di svolgere un servizio per i giovani, hanno la consapevolezza che mediante il contributo attivo dei giovani stessi si autocostruiscono. «Quando si parla di comunità cristiana o di chiesa particolare che è soggetto di pastorale giovanile, non si intende contrapporre il mondo adulto o il carisma sacerdotale al mondo giovanile, ma si intende una comunità cristiana in cui i giovani sono attivi, fedeli allo Spirito e corresponsabili» (Brescia).
    I giovani sono anche i depositari della tradizione della Chiesa: sono essi infatti che dovranno comunicare alle future generazioni il dono di grazia ricevuto; la pastorale giovanile è orientata ad essere pastorale di speranza.
    Il nodo centrale dell'analisi teologica dei progetti, riguardo al rapporto tra Chiesa e giovani, è la certezza che nella Chiesa si sperimenta la salvezza portata dal Cristo. «Gesù Cristo, conosciuto e amato, ci consegna alla sua Chiesa. Ecco il secondo punto essenziale! Questa Chiesa è pienezza del mistero stesso di lui, perché ne rende permanente il magistero di verità e il nutrimento di vita da cui devono scaturire la meraviglia della fraterna comunione cristiana e lo slancio della missione salvifica universale... Nessuna dicotomia assurda e insostenibile, tra Cristo e la sua Chiesa!».[9] «I giovani di AC scelgono di vivere in pienezza la vita della Chiesa, animati dalle ragioni di chiunque abbia scoperto nella Chiesa la salvezza, quella salvezza che, pur avendo origine e compimento oltre lo spazio e il tempo, si è fatta sperimentabile nello spazio e nel tempo» (ACI). «L'adesione a Gesù comporta necessariamente la partecipazione alla vita della comunità cristiana, dove si sperimenti il Vangelo e si incontrino i segni della salvezza» (Treviso). Questi brani mettono in luce come le Chiese italiane vivano profondamente la convinzione che la salvezza di Cristo si sperimenta nella Chiesa, e la comunicano con forza agli stessi giovani.
    Il pieno inserimento dei giovani nella Chiesa è presentato come uno degli obiettivi che vengono assegnati alla pastorale giovanile da parte dei progetti. «La pastorale giovanile deve promuovere l'integrazione del giovane nella chiesa particolare, sia integralmente preso che in quanto appartenente a gruppi, associazioni o movimenti giovanili che esistano».[10] I soggetti della progettazione, rifacendosi a tutta la riflessione magisteriale, in particolare ai documenti del Vaticano II, e soprattutto LG e GS, prendono le mosse dall'idea che obiettivo della pastorale è la salvezza, intesa come liberazione dal peccato e offerta di Vita nuova da parte di Dio. A questa offerta da parte di Dio l'uomo deve rispondere personalmente; questa scelta però può avvenire solo nel «grembo materno» della comunità umana ed ecclesiale. «La solidarietà del singolo con gli altri è così profonda che il suo personale essere salvo non può venire separato dal suo essere-nella-comunità» (Tonelli, cit., p. 132).

    Il gruppo ecclesiale

    In questa prospettiva di sviluppo di una ecclesiologia comunitaria un ruolo centrale assume il gruppo.
    È nel gruppo che si vede un insostituibile strumento formativo. «È nel gruppo infatti che si vive la dimensione fraterna e di comunicazione della fede, l'approfondimento spirituale e la formazione catechetica, il discernimento per l'azione e l'impegno comunitario. È nel gruppo che si è aiutati a cogliere la vita come vocazione, ad apprendere ed esercitare la virtù della prudenza e la capacità di comprendere i passi da fare per realizzare il meglio possibile qui e oggi; è nel gruppo che concretamente si vive l'ascolto della Parola, la preghiera e la contemplazione, l'operosità dell'impegno di carità e di condivisione e il loro necessario e reciproco intrecciarsi. È nel gruppo che si vive la prima concreta esperienza di Chiesa, imparando a impegnarsi per rendere sempre di più la Chiesa casa accogliente per i giovani» (ACI).
    L'opzione per il gruppo è presentata come prioritaria per molte diocesi: «l'opzione gruppo è l'opzione prioritaria e strategica per la formazione di gruppi di giovani che sappiano essere evangelizzatori dei loro coetanei» (Novara). «Metodo convalidato dall'esperienza della Chiesa italiana, per l'educazione alla fede, è la scelta del cammino formativo, attraverso l'appartenenza a un gruppo ecclesiale» (Reggio Emilia).
    «La vita ecclesiale viene sperimentata più da vicino attraverso un gruppo di appartenenza, luogo educativo di crescita umana, di relazione autentica, di riscoperta della fede» (Treviso).
    I riferimenti potrebbero susseguirsi; ci sembra però più utile tentare una classificazione delle differenti posizioni che i progetti esprimono nei confronti del gruppo, analizzando la classificazione operata da Tonelli. Infatti, se da una parte vi è una larga convergenza nella prassi della pastorale giovanile in Italia per utilizzare largamente il gruppo, dall'altra vi è una frantumazione di posizioni teologico-pastorali differenti nel considerare il rapporto gruppo/Chiesa.

    - La vita di gruppo come propedeutica alla vita nella Chiesa.
    In alcuni progetti viene affidata al gruppo una funzione semplicemente propedeutica, in quanto solo nella comunità si può vivere l'appartenenza alla Chiesa. Non si pone quindi il problema dell'ecclesialità del gruppo, poiché l'ecclesialità è una nota attribuibile solamente alla comunità nel suo complesso.[11]

    - La funzione strumentale del gruppo.
    A partire dalla costatazione, facile e diffusa, delle molte carenze di cui soffre la comunità ecclesiale di fatto, si teorizza il ruolo strumentale del gruppo. Il gruppo cioè rappresenta lo spazio esistenziale dove si possono sperimentare i grandi valori quali comunione, corresponsabilità, presenza... Il gruppo quindi ha una ragione d'essere, non intrinseca ma funzionale, «strumentale». È destinato ad annullarsi quando la comunità nel suo complesso riesca ad essere autentica.[12]

    - Il gruppo come Chiesa «parallela».
    È la radicalizzazione del modello strumentale. Quando ci si rende conto della impraticabilità di una riforma, si progetta il gruppo come Chiesa parallela, un gruppo che si pone in parallelo alla vita della comunità e ne diventa l'espressione migliore.[13]

    - Il gruppo come ecclesiogenesi.
    Al gruppo viene affidata una funzione di «ecclesiogenesi», di generazione cioè della Chiesa dal basso. Il gruppo ha quindi il compito di far emergere un nuovo modo di essere Chiesa, il cui nucleo centrale diventi la Parola e la presenza del laico.[14]

    - Il gruppo come «mediazione» di Chiesa.
    Quando un gruppo assicura le condizioni di ecclesialità [15] che lo fanno «visibile ecclesiale», è mediazione di Chiesa: è Chiesa.
    Un gruppo diventa mediazione di Chiesa quando vi è l'intenzione esplicita di risignificare nella fede ecclesiale le scelte e gli orientamenti della prova vita. Una ecclesialità verificata da coloro che nella comunità ecclesiale possiedono il ministero del discernimento, e capace di inserirsi in un lento e progressivo processo di maturazione che porti dalla accoglienza della propria vita alla confessione gioiosa del Signore di questa vita.
    Il gruppo, proprio in quanto mediazione, non esaurisce la Chiesa.[16]
    La scelta prioritaria del gruppo e l'assunzione del metodo dell'animazione all'interno del gruppo sono delle opzioni che danno la dimensione della volontà delle chiese di uscire dal clericalismo. Di procedere verso lo sviluppo di una ecclesiologia comunitaria dove cresce la consapevolezza del compito che i laici, e soprattutto i giovani stessi, sono chiamati a svolgere all'interno della Chiesa. «Cresce la consapevolezza del ruolo del laico nella chiesa e il riconoscimento della sua partecipazione piena alla missione della chiesa. Egli è protagonista di questo popolo in virtù dei misteri e carismi suoi propri» (Novara).
    Molto citato nei progetti è il n° 46 dell'esortazione apostolica Christifideles laici che evidenzia il ruolo che i giovani sono chiamati a svolgere nella Chiesa: «sono di fatto, e devono venire incoraggi ad esserlo, soggetti attivi, protagonisti dell'evangelizzazione e artefici del rinnovamento sociale... La Chiesa ha tante cose da dire ai giovani e i giovani hanno tante cose da dire alla Chiese. Questo reciproco dialogo, da attuarsi con grande cordialità, chiarezza e coraggio, favorirà l'incontro e lo scambio tra le generazioni, e sarà fonte di ricchezza e di giovinezza per la Chiesa e per la società civile» (ChL 46).
    Tutti i progetti evidenziano la necessità di giungere ad una Chiesa-comunione dove ciascuno è chiamato a svolgere il suo ruolo e a dare il suo contributo per la costruzione del Regno. «L'incontro con Gesù nella Chiesa si verifica sulla condivisione profonda dell'ansia di Gesù per il Regno di Dio. Come il chicco di frumento che muore per vivere, la vita si possiede quando viene donata. La vita è vissuta come un "gruzzolo di talenti" da far fruttificare, perché ci sia vita, e vita in abbondanza, per tutti nel nome del signore della vita». (Udine). Tutti sono invitati quindi a vivere la propria vita cristiana con senso di ministerialità e missionarietà.

    La dipendenza dalle fonti

    Le fonti che hanno ispirato la dimensione teologica dei progetti molto spesso sono esplicitamente citate dai progetti o altre volte sono immediatamente identificabili.
    Molti sono i riferimenti riguardanti i documenti conciliari. I documenti più citati sono quelli riguardanti l'ecclesiologia (LG, GS). Un ruolo rilevante assume anche il documento che si riferisce all'Educazione Cristiana (GE). Diversi altri documenti sono poi citati in riferimento ai vari settori della pastorale giovanile (SC, DV, UR, AG). Molto citato è poi il «Messaggio del concilio ai giovani».
    Una accoglienza molto ampia hanno nei progetti parecchie lettere encicliche dell'attuale pontefice che hanno ispirato alcune delle linee teologiche di base. La più citata, come già dicevamo, è l'esortazione apostolica «Christifideles laici», che ispira tutta la riflessione sull'impegno dei laici. Diverse citazioni riguardano anche la «Lettera ai giovani» pubblicata dal Papa durante il 1985, anno dei giovani. Un punto di riferimento dei progetti è rappresentato poi dalla lettera enciclica di Paolo VI «Evangeli nuntiandi».
    Una presenza più efficace, nell'ispirazione dei progetti, è da segnalare per altri documenti CEI, in particolare:
    - La chiesa italiana e le prospettive del paese,
    - Comunione e comunità,
    - La nota Cei «dopo Loreto»,
    - Comunione e comunità missionaria,
    - Evangelizzazione e testimonianza della carità.
    Una considerazione fondamentale è riservata al «Documento di base per il rinnovamento della catechesi», per il ruolo ispiratore che ha avuto nella «svolta antropologica» della pastorale giovanile italiana. Tutti i progetti lo considerano fondamentale e lo prendono come punto di riferimento per la pastorale della diocesi.
    Altre fonti sono da considerarsi i documenti del magistero locale, sinodi o lettere episcopali, che molto spesso offrono delle importanti indicazioni sull'inculturazione del progetto all'interno del territorio della diocesi.
    Alcuni progetti inoltre sono caratterizzati da una riflessione specifica, propria di tradizioni locali altamente consolidate, ad esempio le chiese lombarde con la loro tradizione oratoriana. Per questi documenti il richiamo al bagaglio culturale ed assiologico proprio del territorio in cui sono stati elaborati costituisce un richiamo ineludibile.
    Considerato il ruolo svolto dalI'ACI nella pastorale giovanile delle Chiese italiane, una fonte di ispirazione, pur non sempre esplicita, sono i documenti di questa associazione. Il «Progetto Giovani», ovviamente, riveste un ruolo di preminenza.
    Altre dipendenze manifeste e spesso anche dichiarate sono quelle legate alla produzione dei Centri Salesiani di pastorale giovanile. La produzione scientifica di R. Tonelli dell'Università Pontificia Salesiana, l'impostazione della rivista «Note di Pastorale Giovanile», la collana «Animazione dei gruppi giovanili» dell'editrice LDC, hanno avuto delle forti influenze nell'impostazione di molti dei progetti diocesani di pastorale giovanile.

    LA DIMENSIONE EDUCATIVA

    Parecchi progetti nell'analisi dell'offerta ecclesiale hanno registrato un divario tra ciò che i giovani domandano nella povertà-ricchezza delle loro domande e ciò che la comunità ecclesiale oggi di fatto offre loro.
    Le difficoltà possono essere sintetizzate nella espressione della «comunicazione difficile, disturbata o mancata» tra comunità ecclesiali e giovani.
    Questa autocomprensione critica viene espressa anche in modo esplicito da diversi documenti: «Talvolta le nostre comunità sembrano scarsamente attente alla mediazione educativa; spesso pensano di poter evangelizzare anche senza verificare le condizioni previe di un ascolto della parola, e indottrinano più che annunciare, trasmettono contenuti che non significano» (Verona).
    Si esprime così con chiarezza lo stato critico del rapporto Chiesa-giovani. Ne nasce l'interrogativo su quale raccordo vi possa essere tra domanda ed offerta, senza cadere in un modello responsoriale, o senza strumentalizzazioni reciproche, o ancora sul come evitare che il progetto diventi un'offerta preconfezionata rispetto alle reali domande.

    Le sfide educative e l'«educazione» della fede

    Nella redazione dei progetti vengono evidenziati dei problemi e delle sfide che vengono alla Chiesa dal mondo giovanile:
    - la lontananza dei giovani dalla chiesa e la conseguente sfida del «farsi prossimo» lanciata alla comunità ecclesiale;
    - la distanza culturale, linguistica, generazionale e la sfida dell'attivare una comunicazione vitale tra chiesa e giovani;
    - il problema del senso, tra la sua esplosione in frammenti e la domanda profonda di un senso unificante e fondante rimasta disattesa, con la sfida perciò all evangelizzazione in rapporto al senso;
    - la ricerca della «vita insieme» e del richiudersi in mondi vitali in un contesto di forte privatizzazione e di vuoti comunicativi, con la sfida conseguente del far nascere esperienze di comunione, di partecipazione, di nuove solidarietà;
    - la crisi valoriale e il crescente disagio sociale, culturale, esistenziale, con la sfida per una nuova qualità della vita;
    - il problema della difficile identità giovanile, e la ricerca di soggettività in una situazione di frammentazione e marginalizzazione, con la conseguente sfida dell'educativo come via per liberare la soggettività e ricucire un'identità possibile.
    Dalla impostazione della più parte dei documenti, si deduce che a queste sfide la risposta può essere offerta solo a partire dall'accettazione della mediazione dell'educazione nell'annuncio della salvezza. «I processi evangelizzatori hanno come oggetto la proposta, esplicita e tematica, dell'Evangelo del Signore, per sollecitare alla sua accoglienza, come unico e fondamentale evento di salvezza. La struttura comunicativa specifica di questo annuncio è la testimonianza di vita, l'interpretazione di questa esperienza, fino a tradurla in messaggio, e la celebrazione dell'esperienza vissuta nei sacramenti della Chiesa. Il linguaggio utilizzato è quello della fede vissuta e confessata: un linguaggio intessuto di fantasia e di rischio calcolato e accettato, intonato a quella strana sapienza evangelica che è fatta di amore e di croce».[17]
    Se questo è l'ambito in cui si muovono i processi evangelizzatori, nei progetti l'educazione assume un ruolo veramente rilevante. «Una vera evangelizzazione deve passare attraverso una sua strutturazione in termini educativi. Siamo certi che educare significa quindi procurare l'incontro tra un'esperienza di chiesa educatrice e l'educando mondo giovanile intorno al significato ultimo dell'esistenza, in una reciproca comunicazione attorno ai valori, possibile con testimonianze coerenti, individuali e comunitarie, di verità, di verità annunciate e condivise. Evangelizzare in modo giovane è educare» (Fermo).
    Tutta la pastorale giovanile viene considerata come processo di educazione alla fede. «Sono processi educativi quelli che riguardano l'ambito della produzione e della comunicazione della cultura, attraverso l'esercizio progressivo di una razionalità critica, in vista di una personale crescita in umanità» (ib).
    Gli ambiti dei processi evangelizzatori e di quelli educativi, pur essendo differenti, hanno punti di contatto e non pochi elementi di convergenza, e la mediazione educativa viene considerata come una scelta decisiva. «Sentiamo di poter affermare con forza che è possibile, oltre che doveroso, educare alla fede. Se la nostra fede è dono esclusivo di Dio, essa è pure l'originale risposta dell'uomo a tale chiamata, risposta segnata dalla quotidianità delle nostre esperienze. È appunto questa risposta che può essere aiutata, servita, sostenuta attraverso mediazioni e strumenti umani. Educare alla fede significa, dunque, trovare le mediazioni storiche e culturali per realizzare il dialogo con Dio. In altri termini, tanto più si attua un processo di maturazione, di liberazione e di valorizzazione della persona, tanto più la sua adesione alla fede diventa libera e responsabile» (Brescia).
    Viene quindi esplicitata l'affermazione dell'importanza dell'educazione nella pastorale. Se infatti da una parte la fede è dono di Dio, dall'altra questo dono utilizza canali umani per giungere all'uomo. E un appello che si fa parola umana per poter essere comprensibile ad ogni uomo. Attende anche una risposta personale che a sua volta è espressa con parole e gesti dell'esistenza concreta e storica. Gli interventi educativi hanno quindi un'importanza fondamentale nel processo di educazione alla fede, perché senza di essi non si può realizzare all'interno della storia il cammino di salvezza.
    Non si può dare quindi una educazione diretta e immediata della fede, in quanto misterioso dialogo tra Dio ed ogni uomo. L'educabilità della fede si colloca sul piano delle modalità concrete e quotidiane dello stesso dialogo, per cui si può parlare solamente di educazione alla fede indiretta.
    «In molti operatori di pastorale giovanile i contributi delle scienze dell'educazione, relativi ai modelli di programmazione educativa, sono caduti in un terreno assai disponibile. Predisposti all'accoglienza dal profondo rinnovamento teologico operato dal Concilio, essi hanno vissuto la stagione della svolta antropologica nella pastorale, in una sofferta ricerca di corrette e aggiornate metodologie».[18]
    Ovviamente non in tutti i progetti vi è una chiarezza così esplicita nell'assumere il valore dei processi educativi: sono presenti anche parecchie ombre.
    Un problema che rimane sotteso in alcuni progetti è il rapporto tra maturità umana e maturità di fede, tra processi educativi e processi di evangelizzazione. Si tende a dare per scontata la definizione di cosa sia maturazione umana, e soprattutto non ci si preoccupa normalmente di definire il rapporto e la saldatura tra maturità umana e maturità di fede[19].
    Altre volte l'operazione di saldatura è più che altro una giustapposizione, senza preoccupazione di farle crescere insieme. In qualche caso poi si contrappone fortemente il cammino di umanizzazione, segnato dalla continuità dello sviluppo antropologico, e quello di fede, segnato dal principio «pasquale» della rottura.
    Le difficoltà suaccennate, nell'accogliere la dimensione educativa della pastorale, trovano riferimento solo in alcuni progetti. La maggioranza di essi invece, in maniera più o meno esplicita, esprime ampia fiducia nell'educazione, e si adopera per organizzare tutto il cammino della pastorale fondandosi sul valore dell'educazione, necessaria perché i giovani siano responsabilizzati nel loro cammino di maturazione della fede.
    L'educazione alla fede cerca di continuare nella storia la realizzazione della pedagogia divina, di cui ripete le caratteristiche: il carattere dell'incarnazione, il linguaggio dei segni dentro la storia, il carattere responsoriale, il carattere di servizio, la gradualità.

    Gli itinerari

    Diverse diocesi, a partire da queste convinzioni di base, sono pervenute ad uno sviluppo articolato di itinerari, di cammini che attraversino tutta la fase della maturazione giovanile e permettano una graduale maturazione della fede. Proprio per la peculiarità che richiede ogni itinerario, sono dei cammini che si differenziano da un progetto all'altro.
    Alcuni progetti preferiscono fare delle distinzioni per tappe evolutive, suddividendo il periodo giovanile in fasce d'età.[20]
    Altri invece propongono degli itinerari di fede da svolgere in tempi determinati dell'anno liturgico.[21]
    Ancora differenti sono i progetti che propongono un itinerario «cristologico».[22]
    Più volte appare nei progetti un itinerario di fede basato su una sequenza articolata di «SI» con variazioni plurime.[23]
    - il sì alla vita. Il primo passo del cammino inteso come «volontà di dare senso alla vita in un progetto di sé che valorizza i doni personali e risponde alle attese vere, proprie e della umanità» (Trento);
    - il sì a una vita responsabile e impegnata. «Il confronto con la propria finitudine... può anche aprire la persona ad una intensa domanda di senso che protende oltre il confine angusto della propria storia, verso un'esperienza di senso accolta come dono» (Udine).
    - il sì al Signore della vita. Affidandosi a Cristo «si mette in atto una progressiva riorganizzazione della propria struttura di personalità, facendo di Gesù Cristo e del suo messaggio il «determinante» delle valutazioni e operazioni quotidiane» (idem);
    - il sì alla Chiesa e al suo messaggio. «Gli uomini che hanno incontrato Gesù il Cristo formano un gruppo che, nella solidarietà della fede, dà vita alla comunità cristiana che cammina alla sequela di Gesù Cristo e del suo messaggio e celebra la speranza della sua attesa» (idem);
    - il sì alla vita come vocazione per il Regno di Dio. «L'incontro con Gesù nella chiesa si verifica sulla condivisione dell'ansia di Gesù per il Regno di Dio» (idem);
    Le proposte più complete tuttavia sembrano quelle che tentano di armonizzare gli itinerari educativi fondamentali nella Chiesa e legati all'anno liturgico, gli itinerari per tappe evolutive di maturazione, gli itinerari riguardanti i diversi ambienti educativi, e per differenti livelli di appartenenza.[24]

    L'animazione e gli animatori

    Quasi tutti i progetti, riferendosi agli educatori, utilizzano il termine «animatori». Non tutti comunque accettano in maniera esplicita l'animazione come stile di educazione. È però un metodo educativo che raccoglie un numero sempre crescente di consensi tra gli operatori di pastorale. «La pastorale giovanile deve anche utilizzare una sana pedagogia il più possibile adeguata ai suoi fini. Un modello pedagogico capace di educare un cammino basato sulla scommessa che ogni giovane, pur nella sua fragilità, è capace di progettarsi, di sperimentare una crescita e una solidarietà con gli altri, di aprirsi al trascendente, di incontrare il Signore della vita» (Brescia).
    È fondamentale per l'animazione l'idea che ogni giovane è il protagonista della propria educazione, e l'animatore ha la funzione di stimolo nell'aiutare il giovane ad esprimere le proprie potenzialità. «Questa tensione verso la progressiva restituzione a tutti di un protagonismo responsabile per una risposta libera e consapevole della proposta cristiana, ha come stile privilegiato di educazione e di educazione alla fede, l'animazione, modello di relazione educativa intesa come presenza e relazione per restituire a ciascuno libertà, responsabilità, gioia di vivere e capacità di sperare.
    L'animazione opera all'interno dei processi di socializzazione, mediante una sua caratteristica funzione di stimolo nella crescita verso la responsabilizzazione dell'individuo e delle strutture, e rappresenta una proposta significativa di stile di presenza nel territorio, nei particolari ambienti di vita, nella società tutta» (Pisa).
    Cosa i progetti intendano per animazione viene espresso sinteticamente dal documento del Triveneto sugli animatori: «Nell'ottica della pastorale giovanile per animazione si intende quell'azione educativa che mira alla maturazione globale del soggetto in un rapporto di interrelazione con l'ambiente in cui è inserito. Tale linea trova la sua forza nella teologia dell'incarnazione: cioè nel fatto che il Signore Gesù ha scelto la via dell'incarnazione per salvare l'uomo» (Verona).
    All'interno della «svolta antropologica» impressa alla pastorale italiana dal Documento di base, l'animazione svolge quindi un ruolo molto importante, perché diventa il metodo educativo che permette maggiormente alla parola di salvezza di incarnarsi nella situazione attuale dei giovani (ACI).
    Molto interessante ci sembra la scelta di molte diocesi di costituire all'interno del proprio territorio delle scuole di animazione, per preparare i giovani animatori ad operare secondo questo stile, evitando le improvvisazioni. «Per i laici, giovani e adulti, che vogliono collaborare ad un'opera tanto preziosa (l'oratorio), occorrono maturità di fede, passione educativa, qualificazione. Ecco le ragioni di una scuola per animatori» (Como).


    NOTE

    [1] Delpiano M., «Pastorale giovanile (progetti)», in Midali M.-Tonelli R. (edd.), Dizionario di pastorale giovanile, LDC, Leumann 1989, 689.
    [2] Piana G., «Uomo», in Midali M.-Tonelli R. (edd.), Dizionario di pastorale giovanile, LDC, Leumann 1989, 1121.
    [3] Vicariato di Roma, Dal piano pastorale al sinodo diocesano. Atti e documenti 1986-1988, I quaderni del Sinodo N° 5, Roma 1988, 25.
    [4] Milanesi G., I giovani nella società complessa. Una lettura educativa della condizione giovanile, LDC, Leumann 1989, 45.
    [5] Abbiamo già affermato che questi fattori, pur tematizzati, non sono stati elaborati al punto da favorire una presa di posizione all'interno del pluralismo. Sembra piuttosto prevalere una consapevolezza sofferta, accompagnata da segreta nostalgia, almeno in alcuni progetti.
    [6] Martini C.M., Itinerari educativi. Seconda lettera per il programma pastorale «educare», Milano 1988, 106.
    [7] Bissoli C., «Cristocentrismo», in Gevaert J. (a cura di), Dizionario di catechetica, LDC, Leumann 1986, 187.
    [8] Plotti A., Adulti e giovani per una Chiesa viva. Lettera pastorale al clero e ai fedeli per la quaresima 1990, Pisa 1990, 3.
    [9] Ballestrero A.A., Giovani verso Cristo. Mete e itinerari per la pastorale giovanile, LDC, Leumann 1986, 27.
    [10] Pappalardo S., Piano pastorale giovanile, Palermo 1986, 25.
    [11] All'interno del modello che considera il gruppo come propedeutico alla vita della Chiesa si pongono i progetti delle seguenti diocesi: Agrigento, Fiesole, Ivrea, Lecce, Locri, Lodi, Mantova Matera, Milano (anche se la posizione di Milano non è molto chiara), Mondovì, Palermo (il progetto di Palermo si pone tra la prima e la seconda posizione), Pesaro, Pordenone, Ragusa, Roma, Triveneto (documento animatori).
    [12] In questa posizione si pongono diversi progetti delle diocesi italiane: Albano, Como, Cremona, Fermo, Firenze, Lanusei, Lucca, Modena, Novara, Pisa, Torino, Verona.
    [13] Nessuno dei progetti si pone su questa posizione. E però un modello preso in considerazione all'interno della lettura della situazione ecclesiale. Analizzando infatti il rapporto Chiesa-giovani, si vede che per molti gruppi, movimenti ed associazioni si dà la possibilità concreta di creare delle chiese parallele, che non hanno più nessuna comunicazione con la comunità ecclesiale, anzi, a volte, sono in posizione di rifiuto e di aperta contestazione. È una posizione che viene stigmatizzata come estranea dalla genuina tradizione della Chiesa, via non praticabile, ostacolo alla comunione ecclesiale.
    [14] Questa posizione nata in America Latina nel contesto della Teologia della Liberazione, non la riscontriamo nei progetti delle Chiese italiane.
    [15] Riguardo alle condizioni di ecclesialità Tonelli ha una lunga trattazione. In sintesi i criteri di ecclesialità si possono raccogliere attorno a due formule evocative: signa ecclesiae e signa regni.
    Per signa ecclesiae si intendono tutte le indicazioni che si raccolgono attorno ai tre riferimenti tradizionali della «parola», dei «sacramenti» e del «mistero». La circolazione della parola, la celebrazione della vita nuova nei sacramenti e l'obbedienza a coloro che nella comunità servono l'unità e la carità indicano i criteri più immediati e misurabili di ecclesialità.
    Con la formula signa regni si intende invece designare i tratti promozionali, attraverso i quali si anticipa nell'oggi la promessa del Regno. In un tempo di crisi, per una condizione giovanile che cerca ragioni di vita contro l'avanzare della morte, sono la produzione di una nuova qualità di vita: la pace, la giustizia, la libertà, la liberazione dei poveri e degli emarginati, il rispetto dei diritti di tutti l'attenzione ai soggetti emergenti, la produzione e l'esperienza di senso, la capacità formativa, la saturazione dei bisogni di sicurezza e di identità (Cf Tonelli R., Gruppi giovanili e esperienza di Chiesa, 58-59).
    [16] I progetti che si pongono in questa posizione sono: Adria-Rovigo, Brescia. Reggio Emilia, Trento, Treviso, Udine, Vicenza (accetta esplicitamente nel progetto il modello proposto da Tonelli), ed inoltre, molto importante, si pone in questa posizione anche il progetto giovani dell'ACI.
    [17] Tonelli R., Pastorale giovanile e animazione. Una collaborazione per la vita e la speranza, LDC, Leumann 1986, 39.
    [18] Tonelli R., Itinerari per l'educazione dei giovani alla fede, LDC, Leumann 1989, 9.
    [19] Resta come tendenza prevalente, anche se spesso solo implicita, quella di assorbire la maturità umana nella maturità di fede, dando alla fede un rilievo tale da svuotare di contenuto il cammino di umanizzazione proprio dell'educativo. Un esempio tipico è costituito dalla formulazione del tipo: «Cristo è la nostra identità».
    [20] Operano questa distinzione le diocesi di Brescia, Como, Fiesole, Lodi, Milano (anche se la proposta è molto complessa), Ragusa, Reggio Emilia (che utilizza questa suddivisione per gli itinerari indirizzati ai giovani appartenenti), Treviso, Udine, Vicenza (che però distingue in itinerari differenziati nell'arco evolutivo, per le differenti tipologie giovanili, per i diversi ambienti di azione, per i vari livelli di ognuno nel cammino di maturazione, per i diversi livelli di appartenenza), il «Progetto giovani» dell'ACI che si inserisce nella tradizione ormai consolidata dell'associazione del lavoro per archi d'età.
    [21] Lanusei (un cammino per il post-cresima incentrato intorno al «Giorno del Signore»), Milano (tra i vari itinerari proposti ve ne sono due, di cui uno incentrato sulla Pasqua, e un secondo sui sacramenti), Mondovì.
    [22] Tutti i progetti propongono la centralità di Cristo nel cammino verso la maturità di fede alcune diocesi però propongono degli itinerari dichiaratamente cristologici: Fiesole, Milano, Mondovì Torino, Verona, Vicenza.
    [23] Lecce, Treviso, Udine, Vicenza. Singolari sono le corrispondenze, a volte anche letterali. fra questi progetti, soprattutto i tre ultimi. Nella trattazione seguiremo in particolare la scansione di Udine, in quanto più completa e schematica, ma faremo riferimento anche agli altri.
    [24] In questo senso i progetti più completi ci sembrano quelli delle diocesi di Brescia, Milano Reggio Emilia, Treviso, Udine, Vicenza; da segnalare anche il «Progetto giovani» dell'ACI.


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