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    Obiettivi e orientamenti metodologici della PG nei progetti diocesani


     

    Francesco Prestifilippo

    (NPG 1994-02-30)


    "Si chiama obiettivo l'orizzonte in cui si colloca la programmazione, orizzonte determinato dalle competenze finali cui tende tutto il processo" (Tonelli, cit., p. 155). Tutti i progetti sono organizzati attorno ad un obiettivo che viene ritenuto fondamentale per tutta la pastorale giovanile della diocesi.

    L'OBIETTIVO

    La condivisione e il riferimento all'obiettivo formulato nel capitolo terzo del Documento di base è per lo più generale. Espressioni quali: «educare al pensiero di Cristo, a vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo. In una parola, nutrire e guidare la mentalità di fede» (Rdc 38), sono diventate di comune acquisizione in tutti i progetti.
    La formula «integrazione fede-vita», utilizzata al n. 53 del documento, è stata assunta come riformulazione generale che meglio esprime l'obiettivo di tutta la pastorale giovanile. Molti sono i progetti che ripropongono questa formulazione integralmente.
    Alcune diocesi preferiscono una formulazione più personalizzata di questo obiettivo, per cui parlano di «incontro personale con Cristo».
    Altre invece interpretano l'obiettivo delineato dal «Documento di base» come «cammino verso una fede adulta».
    Parecchi sono i progetti che indicano come obiettivo della pastorale diocesana il «pieno inserimento dei giovani nella comunità ecclesiale».
    Vi sono delle diocesi invece che preferiscono indicare degli obiettivi in stile di «missionarietà» ai giovani. Essi vengono invitati a riscoprire la loro vocazione di donazione agli altri giovani e alla società.

    Integrazione fede-vita e identità personale

    «Integrazione fede-vita è riorganizzazione della personalità attorno a Gesù Cristo e al suo messaggio, testimoniato dalla comunità ecclesiale attuale, riorganizzazione realizzata in modo da considerare Gesù Cristo come il determinante sul piano valutativo e operativo» (Tonelli, cit., p. 165). Riorganizzare la propria personalità attorno a Cristo vuol dire stabilizzare e organizzare attorno a Lui e al suo messaggio la propria identità personale.
    I progetti non esplicitano la preoccupazione di approfondire il problema del come e in che modo la fede cristiana si colloca all'interno del processo di elaborazione dell'identità personale e culturale insieme. Dall'analisi non è emerso che sia presente la preoccupazione di ridefinire la funzione e il compito della fede in rapporto al senso che il giovane e, più in generale, gli uomini e le donne del presente momento storico elaborano autonomamente.
    In alcuni documenti delle diocesi si può trovare qualche indicazione. «L'obiettivo di fondo della pastorale della Chiesa, e quindi anche della pastorale giovanile, è l'integrazione tra fede e vita. Si vive nella fede solo quando essa diventa la base della personalità e ne penetra la struttura, diventando un costante e coerente sistema di riferimento per scoprire sempre più il senso della propria vita, in una lettura della realtà tesa ad interpretarne con sapienza evangelica le varie situazioni esistenziali. Solo quando il messaggio cristiano viene compreso realmente come buona novella capace di liberare e di dare significato alla vita quotidiana, la fede di un giovane può crescere e maturare» (Fermo).
    Sono delle indicazioni molto generiche; rimane poco chiaro uno schema di articolazione e un modello di sviluppo dell'identità e del senso della vita, in modo tale che «il di più di senso» della fede acquisti la funzione che gli è propria, senza rischi di assolutizzazioni.
    È infatti implicito il pericolo che il dono della fede si collochi all'interno della elaborazione del senso apparendo da un lato come totalitario e ideologico, o irrilevante e non determinante per l'altro.
    «Gesù Cristo dà infatti riferimenti stabili, omogenei, sicuri. Il suo contributo non si sostituisce al sistema valutativo della persona, ma lo organizza in modo decisivo e lo consolida. Nel processo dell'identità personale funziona come un principio di elaborazione che controlla e supera l'eventuale frammentazione e complessità della informazioni che provengono dall'ambiente esterno» (Tonelli, cit., p. 167).

    La circolarità tra l'obiettivo e la situazione giovanile

    In alcuni progetti viene presentato esplicitamente il problema della riformulazione dell'obiettivo generale nel confronto con la condizione giovanile.
    Sono documenti che hanno assunto, anche se in maniera implicita, il modello ermeneutico di circolarità tra situazione e obiettivo generale.
    Per queste diocesi, la fedeltà all'incarnazione, come prospettiva, esige continuamente di mettere in discussione critica l'obiettivo generale. Comporta inoltre il riconoscimento dell'esigenza che esso risulti significativo e praticabile rispetto alla condizione dei destinatari. Esige dunque la sua riformulazione in situazione.
    L'analisi dei progetti ha posto con forza anche un altro interrogativo: «La decisione per Gesù Cristo e per il suo messaggio, testimoniato nella comunità ecclesiale attuale, dev'essere consapevolmente definitiva e irrevocabile oppure si può immaginare una decisione su un progetto che abbia in sé tutta la carica di decisionalità oggettiva espressa nella formula integrazione fede-vita e che nello stesso tempo possegga la dinamicità, la progressività, la forza soggettiva che oggi sono avvertite come esigenze irrinunciabili di ogni decisione pienamente umana?» (Tonelli, cit., p. 170).
    I progetti assegnano una ampia fiducia all'educazione e ne abbiamo evidenziato la positività; non sempre però vi è l'attenzione ad individuare dei livelli minimi di partenza e di elaborazione della domanda vitale, livelli diversi di integrazione fede-vita che assicurino un continuum che va dall'implicito verso l'esplicito.

    Articolazione in itinerari

    Nell'analisi della dimensione educativa avevamo presentato i progetti di diverse diocesi che hanno articolato il cammino di fede in itinerari. Una scelta molto valida che dimostra una profonda fiducia nel valore dell'educazione.
    Avevamo registrato anche una grande differenziazione nel modo di parlare di itinerari e nel delinearli. Infatti si delineano itinerari cristologici, ecclesiologici, sacramentali, liturgici, catecumenali, antropologici, etici, persino itinerari di tipo monastico.
    Il definire gli itinerari a partire da queste categorie svela un'attenzione preferenziale rivolta ai «contenuti» più che ai destinatari e di conseguenza alla globalità di un itinerario educativo.
    Sono parecchie le diocesi che hanno scelto di indicare un itinerario di fede ai giovani. Sono però pochi i progetti, e di ispirazione abbastanza unitaria, che offrono una serie di obiettivi progressivi che assicurino l'integrazione fede-vita ai livelli minimi di elaborazione della domanda.
    È poco presente nei progetti l'elaborazione di quell'area che ha come obiettivo intermedio il conseguimento di un'identità giovanile possibile nel presente contesto sociale-culturale.
    Si tratta dell'area che comprende gli obiettivi di umanizzazione, in cui ci si colloca specificamente nell'educativo, verso l'identità matura dell'uomo come essere invocante. Molti progetti preferiscono assumere come punto di partenza «l'incontro con Cristo» fino all'appartenenza ecclesiale e alla condivisione della sua sequela. Gli itinerari di educazione alla fede dei giovani sono come sospesi nel vuoto antropologico, viene offerta una scarsa considerazione alla qualità della domanda di vita che il giovane consegna a Gesù, Signore della vita. Si considera scontata ed assicurata, nel mondo giovanile, l'elaborazione della domanda di vita come domanda religiosa.
    I progetti più attenti ai processi di umanizzazione e di elaborazione dell'identità giovanile attraverso l'educativo hanno l'attenzione di segnalare alcune «tappe» d'obiettivo che risultano più urgenti nel contesto attuale, dalle quali non può prescindere la progettazione educativo-pastorale.[1] Esse sono:
    - l'identità personale, l'apertura all'altro, il senso della comunità/partecipazione/solidarietà, il servizio;
    - la corretta gestione della sessualità e della vita affettiva;
    - l'educazione al volontariato giovanile e all'impegno politico.

    GLI ORIENTAMENTI METODOLOGICI

    «Se il lavoro è stato fatto bene noi dovremmo aver stabilito grosso modo qual è la situazione dei giovani del gruppo (le loro domande, esigenze, e il loro bisogno di crescita) e qual è l'obiettivo verso cui condurli, in altre parole dovremmo sapere qual è il punto di partenza, quale il punto di arrivo e quali i punti intermedi.
    Si tratta di stabilire il metodo.
    Il metodo non è altro da scegliere tra le risorse disponibili (persone, cose, istituzioni, ecc...) quelle che secondo noi conducono meglio verso l'obiettivo e organizzarle in interventi o operazioni educative» (Torino).
    Analizziamo ora come i progetti hanno selezionato e organizzato le diverse risorse della pastorale, per aiutare i giovani a raggiungere l'obiettivo dell'integrazione fede-vita, in dialogo con il momento culturale attuale.
    Si presenteranno quali sono i ruoli educativi disegnati, gli operatori e le strutture organizzative di cui le diocesi si sono dotate per coordinare ed unificare tutta la pastorale.
    Sono pochi i documenti che tracciano espressamente delle linee di metodo; proveremo ad evidenziarle attraverso una attenta analisi dei testi.
    Prima però di passare all'analisi degli altri documenti, merita una citazione particolare la diocesi di Torino che, negli «orientamenti» per la pastorale giovanile, offre una visione molto corretta sul senso da dare al metodo all'interno del progetto.
    Non si parla infatti di metodo, ma di principi di metodo; per essere più attenti alla variabilità dei bisogni dei giovani e degli obiettivi: «Non c'è un metodo positivo e ottimale per qualunque situazione: ci sono principi di metodo a cui ispirarsi: montati in un certo modo danno un itinerario metodologico» (Torino).
    Presentiamo ora sinteticamente i principi di metodo che vengono indicati dal documento della diocesi di Torino per evidenziarne la validità:
    - il principio della significatività. Una proposta può essere accolta solo se fa leva sul mondo degli interessi, valori e bisogni già presenti e attivi nei giovani a cui è diretta;
    - il principio di motivazione. La proposta fatta deve mettere in crisi la struttura motivazionale dei giovani, senza tuttavia innescare un processo troppo ampio;
    - il principio di approfondimento e concentrazione. Bisogna avere un tema di fondo, alcuni interventi ben studiati e alcune esperienze, e poi ripeterli sovente, ritornare ad essi e riprenderli in forme diverse; facendo così si arriva allo stesso centro con molti raggi intorno; questo permette di approfondire e concentrare senza stancare da un lato e senza disperdere nella superficialità dall'altro;
    - il principio di integrazione o interdisciplinarità. È necessario parlare molti linguaggi e intervenire con approcci tra di loro diversi e tuttavia armoniosi;
    - il principio di concretezza. È il filo rosso che percorre gli altri principi e mette in evidenza la necessità di fare operazioni educative vicine all'immediatezza esperienziale dei giovani ma che, nello stesso tempo, conducano a convinzioni e valori.
    L'esempio della diocesi di Torino può essere paradigmatico per la sua esplicitazione del problema del metodo. Passiamo ora ad evincere le scelte di metodo che negli altri progetti molto spesso sono solo implicite.
    Daremo l'avvio alla nostra analisi a partire dalle opzioni metodologiche qualificanti, le grandi scelte che offrono senso e significato alle scelte operative, più immediatamente orientate verso la prassi. Si presenteranno poi le strutture fondamentali per la pastorale e le strutture organizzative delle diocesi.

    Le opzioni metodologiche qualificanti

    L'analisi dei progetti ci porta a ricondurre a due le opzioni qualificanti il metodo della pastorale giovanile, anche se esse non sempre risultano necessariamente compresenti in tutti i documenti.
    La prima è la scelta di evangelizzare tutta l'esperienza giovanile, a partire dalla vita quotidiana.
    Alcuni progetti esprimono chiaramente la consapevolezza di una necessità urgente di evangelizzazione del mondo giovanile, affermandone la priorità rispetto ad ogni catechesi. L'evangelizzazione è prevalentemente interpretata come un'offerta di senso all'esperienza elaborata e vissuta dai giovani, e si articola come processo che si muove intorno a due polarità: la testimonianza e l'annuncio.
    La seconda opzione, anche se con intensità e consapevolezza diversificate, è quella della mediazione educativa che, nei progetti dove essa viene più approfondita, diventa «scelta per l'animazione». Una scelta che risponde all'esigenza sentita di collocarsi in maniera critica all'interno del pluralismo educativo.
    La scelta educativa è giustificata e fondata teologicamente a partire dall'incarnazione. Viene considerata condizione irrinunciabile di una pastorale giovanile che è preoccupata della progressiva maturazione del giovane e del suo lento dischiudersi al problema religioso.

    Le scelte operative

    Le opzioni metodologiche qualificanti si articolano, a livello di metodo, in alcuni orientamenti e scelte operative.
    - L'accoglienza dei giovani e delle loro domande. «Siamo chiamati ad accogliere lo stato attuale dei giovani rendendo possibile una progressiva coscientizzazione, riconoscendo poi in essa una parola a loro e a noi donata per far crescere i giovani verso nuove domande fino alla formulazione della domanda religiosa alla soglia del Trascendente» (Fermo).
    - L'esigenza di farsi compagnia e di realizzare una buona comunicazione educativa tra giovani e adulti, giovani e comunità ecclesiale. «I giovani sentono, infatti, un rifiuto degli adulti, perché ci poniamo nei loro confronti come maestri, spesso saccenti e tradizionali, mentre essi hanno bisogno di compagni e di amici. I giovani di oggi, al pari dei giovani di sempre, si sentono oppressi dai rimproveri, delle paternali, dalle prediche, che ricevono dai loro genitori, dai professori e dagli stessi sacerdoti e rifiutano chiunque si pone nei loro confronti in atteggiamento di superiorità. La Chiesa deve evitare tale errore e deve dialogare con i giovani con rispetto, amicizia e cordialità, cercando di capire i loro drammi e la loro sofferenza» (Lecce).
    - La valorizzazione del gruppo e dell'appartenenza vitale nelle diverse forme aggregative, luoghi dove è possibile liberare il protagonismo giovanile. «Il gruppo dovrà diventare il luogo privilegiato nel quale, favorendo uno spirito di accoglienza/accettazione dell'altro e di appartenenza, verrà curata e favorita aggregazione socializzante qualificata e stimolante per la crescita personale di ciascuno e comunitaria del gruppo stesso, il quale cresce in base alla crescita di ciascuno. Ciò richiederà, naturalmente, un programmatico ed organico cammino di formazione, orientato a favorire una maturazione globale della persona, educandola ad acquisire quella mentalità di servizio che, con gli atteggiamenti conseguenti, aiuterà con gradualità, ma costantemente, il formarsi della personalità individuale in una prospettiva di vocazione» (Ivrea).
    - Il far compiere esperienze, il produrre esperienze, il valorizzare l'esperienza quotidiana del giovane fino ad interpretarla in profondità. «Se la nostra umanità è fatta volto e parola di Dio, essa è più grande dei suoi limiti e delle sue povertà; è portatrice di continui segni di salvezza che non possiamo lasciar cadere: il promuoverne la pienezza deve essere la meta che orienta i nostri sforzi e il nostro entusiasmo» (Brescia).
    - La predisposizione di itinerari diversificati per fasce dei destinatari.
    - Il collegamento tra i vari ambienti educativi. «L'insistenza sulla comunità cristiana se, da una parte, pone le condizioni essenziali per un rinnovamento della pastorale giovanile, dall'altra non può far dimenticare il più ampio orizzonte della società umana, nel quale la comunità cristiana si colloca... A partire dalla famiglia, fino agli spazi del tempo libero, esiste una serie di ambienti in cui il giovane si incontra con stimoli, richieste, offerte, pressioni che interpellano il suo essere in Cristo persona integrale» (Brescia).
    Nelle diocesi si opera per sviluppare un collegamento con tutti gli ambienti educativi, anche se l'accento viene posto soprattutto sulla riscoperta e il rilancio degli «ambienti educativi ecclesiali», soprattutto la parrocchia e l'oratorio.
    - La priorità data alla formazione degli animatori, anche attraverso la formazione di gruppi appositi e l'avvio di scuole di animazione. «Non è più possibile fare animazione all'interno della realtà giovanile in modo isolato e autonomo, senza confronto, senza approfondimento, riflessione, formazione. Questo sia per la complessità e la mobilità della realtà giovanile in genere sia per la difficoltà di rispondere in modo adeguato alle esigenze personali del singolo giovane» (Vicenza).
    - Lo sviluppo diversificato delle strutture a sostegno dell'animazione diocesana della pastorale giovanile. Ad esempio il centro di pastorale giovanile diocesano viene considerato come una «struttura di progettazione, di studio, di animazione e di servizio che, privilegiando l'ottica di animazione delle comunità parrocchiali su quella di coordinamento e di dialogo, pur non escludendo quest'ultima ma includendola nella precedente, sceglie di lavorare nella quotidianità della vita pastorale e di offrire ad essa punti di riferimento ideali, indicazioni e sussidi perché tutta la chiesa diocesana assuma stabile caratteristica di missionarietà nei confronti del mondo giovanile» (Fermo).

    Le strutture fondamentali

    I progetti tentano anche di definire o almeno di descrivere le strutture che devono aiutare i giovani a compiere il loro cammino di fede.
    In genere vi è una relativa unitarietà nella presentazione di queste strutture, definiti come «luoghi di pastorale».
    È presente una serie di progetti che, partendo dalla scelta di fondo dell'attenzione alla vita quotidiana, considera come luoghi pastorali anche ambienti diversi da quelli che sono gli ambienti educativi ecclesiali. Sono considerati come luoghi pastorali la famiglia, la scuola, gli ambienti di lavoro, gli ambienti di aggregazione dei giovani per il tempo libero, le esperienze giovanili di volontariato, i gruppi di impegno sociale, le comunità di accoglienza dei giovani emarginati, le caserme, i mezzi di comunicazione sociale, in definitiva tutti gli «ambienti» con cui vengono a contatto i giovani durante la loro vita e lungo tutto il processo di maturazione.
    La maggior parte dei progetti non li considera specificatamente come ambienti pastorali, ma come ambienti con cui entrare in contatto per un certo coordinamento educativo.
    Tutti i progetti comunque considerano come luoghi privilegiati di pastorale la parrocchia e l'oratorio. «L'esperienza fondamentale di fede per un cristiano e quindi anche per un giovane si realizza normalmente nella parrocchia, articolata in aggregazioni intermedie di vario tipo. È necessario che la parrocchia si apra ad una effettiva pastorale rivolta a tutti i giovani, accogliendo la loro voce e la loro presenza, superando un intervento che di fatto sceglie coloro che partecipano e rimuovendo gli ostacoli che non rendono la comunità credibile agli occhi dei giovani» (Treviso).
    Significativa la convergenza di molte diocesi, soprattutto di quelle dove la tradizione oratoriana è più radicata, sul valore pastorale dell'oratorio. Molti progetti riservano parte della trattazione proprio agli oratori. Alcune diocesi, considera l'importanza che l'oratorio riveste sul proprio territorio, hanno anche elaborato un progetto privilegiato di pastorale giovanile, proprio in vista delle sue caratteristiche di apertura ai problemi e alle ricchezze giovanili presenti nel territorio. È in esso che i giovani possono sperimentare un senso di accoglienza totale e di rispetto. Ed è in questo ambiente che i giovani si possono accostare alla proposta educativa di fede della Chiesa. «L'oratorio è uno stupendo fenomeno di popolo, che nonostante le difficoltà, è ancora oggi adatto ad essere proposto alla gioventù piccola e grande della parrocchia. È destinato a tutti ed è per tutti; i ragazzi, gli adolescenti e i giovani possono entrarvi senza distinzione di classi sociali e indipendentemente dal livello culturale o dall'orientamento politico della famiglia» (Lodi).
    «Ciò che qualifica l'Oratorio è la sua capacità di esprimere una chiara e precisa proposta di vita cristiana. Compito dell'Oratorio è di educare alla fede, di aiutare i ragazzi a decifrare la presenza di Dio nella vita quotidiana, considerata in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue manifestazioni... La proposta dell'Oratorio è quella di un itinerario da percorrere in compagnia, in amicizia, in comunione con altri, con un profondo senso di appartenenza alla Chiesa. Tale itinerario non potrà essere abbandonato a improvvisazioni, anche brillanti e originali» (Cremona).
    «Ambiente» di educazione alla fede, nel senso lato del termine, vengono considerati i movimenti e le associazioni giovanili.
    Ad esempio, «la Chiesa vicentina leggendo la sua storia e la situazione pastorale odierna, non può non riconoscere alle associazioni ecclesiali e ai movimenti un ruolo importante nella sua proposta pastorale. Queste aggregazioni portano con sé un patrimonio di esperienze educative, di servizio e di organizzazione indispensabili per la sua azione pastorale. I vescovi... riconoscono alle associazioni e ai movimenti un canale privilegiato per la formazione e promozione del laicato attivo e consapevole del proprio ruolo nella Chiesa e nel mondo» (Vicenza).
    All'interno delle associazioni e dei movimenti un posto preminente viene assegnato all'Azione Cattolica, sia per il ruolo assegnato a questa associazione dalla Chiesa ufficiale, sia per le scelte di diocesanità e parrocchialità della stessa associazione, sia infine per la maggiore consistenza numerica e diffusione all'interno delle diocesi italiane. In tutti i documenti viene sottolineata questa preminenza e la scelta preferenziale, anche se certamente non esclusiva.
    In tutti i progetti resta comunque viva la preoccupazione che associazioni e movimenti non creino una chiesa alternativa, ma svolgano un progressivo cammino di comunione all'interno della comunità diocesana.
    All'interno di questi «ambienti» svolgono un ruolo centrale, come già detto, il gruppo e l'animazione.
    «Il gruppo rappresenta, per molti giovani, una visibile mediazione di chiesa meno opaca di altre, nell'istituzione ecclesiale. Nel gruppo infatti i giovani fanno maggiormente esperienza di quella realtà di comunione concreta, che è l'essenziale del mistero di Dio e quindi anche del mistero della Chiesa» (ib).
    L'animazione «è un modo di accostarsi al mondo giovanile e un modo di intervenire centrato su una specifica relazione educativa. Perciò l'animazione ascolta i giovani. Il centro dell'animazione è la passione per la vita e il centro della catechesi anche; infatti la parola di Dio è diventata parola d'uomo, per poter essere parola per l'uomo» (Novara).

    Le strutture organizzative diocesane

    Nell'ambito delle strutture merita un paragrafo a parte la struttura organizzativa diocesana. Molto spesso infatti il progetto è divenuto l'occasione per definire una struttura diocesana per la pastorale giovanile.
    Restano ancora non molto ben definiti i compiti assegnati ai vari organi costituiti, ma vi è la volontà di dare una struttura stabile che faccia da supporto a tutte le attività pastorali svolte a favore dei giovani.
    - La prima struttura che troviamo presente in quasi tutte le diocesi è l'ufficio diocesano per la pastorale giovanile. Un ufficio a cui vengono assegnati compiti di coordinamento e di animazione.
    - Ad affiancare l'ufficio molto spesso è anche presente una consulta diocesana per la pastorale giovanile. Una struttura che, dove è presente, si propone degli scopi di comunione tra le varie forze operanti sul campo. Non a caso sono chiamati a farne parte, oltre ai membri dell'ufficio diocesano, i vari rappresentanti delle associazioni e dei movimenti, rappresentanti delle zone pastorali in cui può essere divisa la diocesi, rappresentanti di movimenti giovanili guidati da religiosi... Come si vede, una rappresentanza qualificata delle realtà operanti nel mondo giovanile.
    La creazione di zone o vicarie. Una suddivisione che permette una maggiore attenzione ai problemi del territorio e permette all'ufficio diocesano di avere dei punti di riferimento specifici nelle varie zone. Si ha così la possibilità di avere presente nella consulta anche la rappresentanza pastorale, non solo il laicato associato.
    Queste sembrano essere le strutture più diffuse nelle diocesi italiane.
    Alcune diocesi posseggono ulteriori suddivisioni, o altre particolari strutture, create per delle necessità territoriali. Una situazione che deve essere considerata positivamente, in quanto la pastorale giovanile, proprio per il suo carattere giovanile, deve adattarsi ai bisogni e alle necessità dei giovani.

    Gli operatori di pastorale

    Nei documenti analizzati vengono offerte anche alcune indicazioni riguardanti gli operatori di pastorale giovanile, le persone cioè a cui è affidato il compito di aiutare i giovani a maturare la propria fede.
    - Alcuni progetti esprimono chiaramente che il primo soggetto della pastorale giovanile è l'intera comunità. «La comunità intera è, dunque, il soggetto della pastorale giovanile; per questo non la affitta a nessuno, né a particolari ministeri, né a operatori, gruppi o ambienti, anzi la sente come responsabilità propria, come compito essenziale nei riguardi della sua vita e della vita della società» (Brescia). In questa prospettiva vengono considerati operatori di pastorale giovanile tutti i membri della comunità: le famiglie, gli insegnanti, i datori di lavoro... Una prospettiva che ha come un fondamento teologico l'incarnazione che offre un valore assoluto alla vita quotidiana.
    - La parrocchia e l'oratorio, comprensibilmente, sono considerati ambienti privilegiati di pastorale giovanile. I responsabili di questi ambienti sono chiamati ad essere operatori qualificati. Molto spesso per i sacerdoti viene richiamato nei progetti il compito dell'accompagnamento personale e della direzione spirituale. Compiti specifici vengono anche assegnati agli educatori, ma soprattutto viene ben definita la figura dell'animatore, a cui si richiede maturità personale, senso di responsabilità e formazione.
    - Presente in tutti i progetti è un richiamo al protagonismo giovanile. Tutti i giovani sono chiamati ad essere «missionari» tra i loro coetanei. Nella convinzione che il gruppo dei pari ha un grosso potenziale educativo.

    Strutture di formazione per gli operatori

    A tutti gli operatori viene richiesta una competenza, sia nel campo educativo, sia nella conoscenza «esperienziale» della fede. Gli strumenti di cui si sono dotate le diocesi per la formazione di questi operatori sono vari. Si evidenzia anzitutto il valore degli strumenti «quotidiani», soprattutto la vita di gruppo. Poi vengono proposte varie altre iniziative, quali incontri periodici, campi estivi di formazione, vere e proprie scuole d animazione, scuole di teologia per laici e ancora varie altre iniziative.
    Un investimento notevole di energie e di persone, giustificato però dall'importanza attribuita alla formazione degli animatori.

    I metodi e i tempi della verifica

    Quando un progetto si propone di mettere in correlazione ermeneutica la situazione in cui vivono i giovani e gli obiettivi a cui deve condurre la maturazione della fede, ha la necessità di darsi modalità e tempi di verifica del progetto stesso. Per modificarne gli obiettivi, rivederne le scelte e modificare gli orientamenti metodologici.
    Gli estensori dei documenti non hanno posto in evidenza questa necessità di una periodica verifica della progressiva attuazione delle linee di progettazione. Nell'iter di elaborazione dei vari progetti sono state previste delle scadenze per condurre sino alla elaborazione definitiva del progetto. Nelle stesure definitive però non viene detto nulla sulle periodiche verifiche che le diocesi debbono mettere in atto per considerare se il progetto sta raggiungendo gli obiettivi che si era prefissi.
    Una tale carenza nella elaborazione può far correre il rischio che il progetto resti lettera morta, e non si trasformi in vita per la diocesi.

    CONCLUSIONI

    A conclusione di questo lungo iter all'interno della PG italiana vogliamo far emergere alcune conclusioni. Esse nascono dal confronto tra la piattaforma teorica, che è stata alla base di tutto il nostro lavoro, e la situazione che abbiamo analizzato.
    L'intento che ci ha guidati lungo il corso della ricerca è stato quello di dare una descrizione completa di tutto ciò che riguarda l'azione pastorale della Chiesa per aiutare i giovani a raggiungere la maturazione nella fede, per aiutarli ad essere giovani di questo tempo e contemporaneamente giovani che vivono di fede.
    Abbiamo cercato di affondare gli strumenti della ricerca scientifica nella realtà italiana per evidenziare il grande impegno e l'immenso lavoro che viene svolto. Certamente non si può trasformare in cifre tutta la vitalità della prassi quotidiana delle Chiese particolari che sono diffuse in tutto il territorio nazionale, e in queste l'impegno di gruppi, associazioni e movimenti. L'analisi ha però potuto mettere in luce delle linee di tendenza comuni a queste realtà, la struttura organizzativa e la progettazione che le sostiene.
    Lungo il corso dell'analisi sono già state presentate delle valutazioni, ma adesso vogliamo raccoglierle insieme per avere un quadro valutativo di tutta la ricerca effettuata

    Aspetti problematici

    Il quadro che emerge dalla ricerca è estremamente positivo; si vogliono aggiungere solo alcuni rilievi che ci paiono fondamentali nella valutazione della PG italiana.
    Osservando la totalità di tutto l'impegno della educazione dei giovani alla fede, si nota l'eccessiva frammentazione dei settori della prassi ecclesiale. La pastorale giovanile, la catechesi, l'insegnamento della religione sembrano essere una serie di attività che non hanno nulla a che vedere tra di loro. L'impegno caritativo, ad esempio, è separato dall'animazione liturgica e dal servizio socio-politico; lo stesso si può dire se si confrontano altri settori della vita ecclesiale.
    All'interno dell'analisi sull'organizzazione e dalle linee emerse dai progetti, abbiamo evidenziato questo stacco netto tra i vari settori della vita pastorale. Nella maggior parte delle linee progettative non si prevede una totalità di interventi predisposti in favore dei giovani. Si nota un grande interesse ad impegnarsi nella educazione del mondo giovanile, ma ancora non si è fatta una scelta efficace per creare ambienti di accoglienza per i giovani.
    In genere ci si sofferma a presentare delle linee di condotta per la formazione degli animatori, non prevedendo un quadro unitario di interventi per il mondo giovanile, che è poco conosciuto scientificamente; degli interventi a partire dagli «ultimi», dai più «poveri». La figura dell'animatore è ristretta ancora in canoni molto standardizzati e non viene ampliata al senso di missionarietà e testimonianza verso i coetanei.
    La scelta dell'incarnazione, a cui molti progetti hanno aderito come linea teorica da seguire, non si è tradotta sempre in una scelta di prospettiva per la pastorale giovanile: una pastorale giovanile attenta alle necessità dei più poveri, del giovane in situazione, di chi necessita di un intervento educativo per la maturazione della propria fede. Pochissime sono infatti le diocesi che affermano di avere una progettualità ben chiara in favore di coloro che in genere non partecipano alla vita della Chiesa, o che sono emarginati dalla società. Si resta impotenti di fronte a molti giovani che sembrano bisognosi non tanto di catechesi, quanto di una vera prima evangelizzazione. Non si può più fingere di non sapere che nella nostra società le forme di socializzazione della fede sono entrate in crisi e non si coniugano efficacemente con l'educazione alla fede, messa in atto dalle agenzie religiose. È anche vero che in molte diocesi l'esigenza di incontrare gli ultimi viene avvertita come un'urgenza a cui rispondere con attenzione e a breve termine, ma ancora nella maggior parte di esse non è divenuta una scelta efficace e prioritaria.
    Una certa settorializzazione sembra riflettersi anche negli insegnamenti di PG: vi è in genere un frantumarsi delle discipline pastorali, quando invece si richiede un superamento di queste, grazie alla creazione di una sintesi nuova e alla concentrazione sull'unico soggetto: i giovani in cammino verso la maturità di fede. Le difficoltà maggiori derivano da una mancanza di progettazione pastorale nelle istituzioni culturali teologiche. Qualsiasi scopo si prefiggano queste strutture, coloro che si preparano in esse avranno il compito di annunziare la Parola di Dio, e certamente dovranno farlo anche a dei giovani, in maniera particolare tutti coloro che insegneranno religione. È necessario pertanto per queste istituzioni prevedere una formazione totale del senso pastorale di chi usufruisce degli studi teologici. È quindi auspicabile che vi sia una revisione della progettazione del curriculum di studi in modo da dare a chi si prepara una formazione completa e totale che preveda l'inserimento della PG che, come dimostrato, assume una grande importanza nella vita della comunità ecclesiale.
    Non vi è ancora un effettivo coinvolgimento dei giovani nella organizzazione della pastorale, con una conseguente valorizzazione del protagonismo giovanile; tutte le diocesi sentono questa esigenza, ma il cammino verso questo obiettivo, che viene ritenuto essenziale per la vita ecclesiale, è ancora lungo. Sempre più si sente l'esigenza infatti di allargare i soggetti interessati al cammino di educazione alla fede. La moltiplicazione delle proposte educative ha accresciuto i soggetti della PG: diventa necessario rispondere alla domanda di unità che i nuovi soggetti di educazione (genitori, insegnanti, catechisti del mondo giovanile, giovani adulti, associazioni e movimenti, volontariato...) esprimono in maniera evidente.
    È in atto il tentativo di dare delle linee comuni per la PG a livello nazionale, e la costituzione del servizio CEI per la PG ne è una testimonianza efficace. Anche le Conferenze Episcopali Regionali si stanno muovendo verso una unificazione e un coordinamento delle strutture. Ancora però non emergono chiaramente queste linee unitarie, per il cammino comune della PG in Italia. Il documento «Evangelizzazione e testimonianza della carità» della CEI ha offerto un forte stimolo a tutte le Chiese italiane; il «Servizio della CEI per la PG» si sta impegnando a fare da elemento trainante ed unificante per tutte le Chiese particolari. Da parte delle varie Chiese però non vi è ancora un vero interesse a recepire e, soprattutto, a mettere in atto gli orientamenti offerti. È sempre più importante quindi offrire degli orientamenti sicuri entro cui le diocesi devono muoversi e che, nello stesso tempo, portino alla creazione di un numero minimo di strutture comuni a tutte, per impegnarsi in un itinerario comune di crescita.
    Un segno di questa carenza di coordinamento è l'indifferenza dei parroci, o l'incompatibilità con i programmi centrali delle associazioni e movimenti, o degli ordini e congregazioni religiose con cui ancora si deve scontrare la programmazione diocesana.

    Elementi di speranza

    Guardando la globalità dei risultati della ricerca emerge un quadro molto ricco di attività.
    Tutte le diocesi hanno sentito l'esigenza di dotarsi di strutture per il coordinamento della PG.
    La maggior parte di esse possiede un bagaglio comune di iniziative per offrire ai giovani momenti di incontro e di crescita comune.
    L'idea della progettazione si sta facendo strada all'interno di tutte le diocesi, anche sotto la spinta degli insegnamenti di PG, i quali, unitariamente, hanno fatto la scelta di una pastorale giovanile che ha assunto l'uomo in situazione come via per l'evangelizzazione.
    Per ciò che riguarda gli insegnamenti, i nuovi documenti sulla formazione dei presbiteri stanno insistendo a che lo stesso impegno culturale sia configurato alla conformazione dei presbiteri a Cristo «Buon Pastore». È proprio questa insistenza che fa vedere che in prospettiva gli insegnamenti di PG in Italia dovrebbero aumentare, trovando la loro collocazione migliore nel quarto anno di pastorale o nel secondo ciclo teologico.
    Nonostante ancora non si sia pervenuti ad un sistema unitario, tutte le diocesi sentono la necessità di dotarsi di strutture che servano per il necessario coordinamento della PG. Questa non può più essere lasciata alla buona volontà di pochi o all'improvvisazione. I giovani sentono la necessità di camminare secondo un progetto, di avere delle linee di azione comuni. È sotto la loro spinta che le diocesi si stanno organizzando.
    Si assiste ad un moltiplicarsi dei soggetti impegnati nella educazione dei giovani. Si percepisce da tutta l'analisi che la PG non è più affidata, non è considerata compito di qualche appassionato del mondo giovanile, ma i giovani sono accolti da una comunità che li accoglie, li ama, e li orienta verso il pieno inserimento nella stessa comunità cristiana dove si può sperimentare la solidarietà, la fraternità ed esprimere in un cammino personale le proprie decisioni.
    Vi sono parecchie difficoltà nel coordinamento della PG; però si legge una volontà di creare partecipazione e comunione attraverso la costituzione di consulte per la PG: strumento fondamentale per poter coordinare tutto il lavoro di pastorale e per creare comunione e corresponsabilità. Diviene anche il luogo privilegiato di progettazione e programmazione. Si presenta sempre più viva, infatti, l'esigenza della collaborazione in vista della missione. Non controllo o delimitazione delle zone di intervento dei molti soggetti che operano nel mondo giovanile, ma tutti devono dare il loro contributo perché la comunità cristiana diventi un luogo accogliente per i giovani.
    All'interno di queste consulte lentamente si stanno allargando gli ambiti di rappresentanza: vi è una maggiore presenza della rappresentanza pastorale (parrocchie, vicariati...) che si unisce a quella del laicato associato.
    Le stesse associazioni e i movimenti sentono più viva l'esigenza di comunione; anche se permangono ancora delle difficoltà vive, sono pur sempre le realtà più presenti nelle consulte di PG diocesane.
    Vi è in atto un cammino per aiutare i giovani a trasformarsi da semplici destinatari della pastorale a protagonisti del loro cammino di educazione alla fede, con un progressivo coinvolgimento all'interno di tutte le strutture della PG. E proprio questo lo scopo del fiorire di scuole di animatori che si vede in tutta Italia: si vogliono formare cioè giovani sempre più coscienti di essere parte viva della comunità ecclesiale, e, in quanto tali, capaci di essere missionari tra i coetanei. Da tutti i risultati infatti si presenta evidente che l'attività principale della PG è rivolta ai formatori. La linea di condotta comune pare essere quella di raggiungere attraverso gli animatori il maggior numero di giovani. L'impegno per la formazione degli animatori risulta veramente primario in tutte le attività delle diocesi.
    La scelta del metodo dell'animazione da parte di molte diocesi, come metodo per educare i giovani alla fede, è un elemento molto positivo per individuare le vie possibili di maturazione e di evoluzione.
    È un metodo che aiuta a creare le condizioni per una comunicazione che sia efficace e creativa, e permetta la crescita comune di tutte le realtà che operano nel campo della PG.
    Ancora è da considerare elemento di speranza la valorizzazione del gruppo come esperienza privilegiata dell'esperienza educativa. È nei gruppi che si gioca la maggior parte dell'efficacia delle scelte pastorali della diocesi; ci si sta muovendo quindi verso un coordinamento, verso un incontro solidale dei gruppi presenti nella diocesi.
    A conclusione di questa analisi vogliamo quindi rilanciare l'appello fondamentale che i vescovi hanno lanciato a tutte le Chiese italiane:
    «In ogni chiesa particolare non manchi un'organica, intelligente e coraggiosa pastorale giovanile, ricca di quegli elementi che ne permettono l'incisività e lo sviluppo. Premesse indispensabili devono essere un preciso progetto educativo, che sappia coinvolgere, nel rispetto degli apporti e dei cammini specifici, le realtà giovanili (gruppi, associazioni, movimenti), presenti in diocesi; l'avvio o l'incremento di organismi diocesani di coordinamento e di partecipazione; il confronto con il continuo cambiamento del mondo giovanile e la riflessione e verifica sulla condizione giovanile nel territorio».[2]
    Ecco l'ideale per tutte le Chiese italiane; che tutti i giovani possano avere sempre più Vita.


    NOTE

    [1] Cf i progetti di Brescia, Fermo, Lucca, Matera, Milano, Reggio Emilia, Treviso, Udine, Vicenza.
    [2] Conferenza episcopale italiana, Evangelizzazione e testimonianza della carità. Orientamenti pastorale per gli anni '90, n. 45.

    PS. Per la bibliografia, vedere l'articolo precedente: «I presupposti culturali dei progetti PG diocesani»)


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