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    «Il mondo se ne infischia di ciò che i giornali dicono di lui!»



    Intervista a Diego Marconi

    a cura di Carola Scanavino

    (NPG 1994-02-44)


    Il mondo odierno è, certo, un poliedro dalle infinite sfaccettature che rendono complessa un'analisi approfondita, dettagliata ed esauriente del particolare «ambiente» in cui dimora il XX secolo. Non si può comunque negare che il tentativo di porre in risalto almeno alcuni aspetti del nostro tempo porti a riflettere sulla presenza, prepotente ma imprescindibile, dei mezzi di comunicazione di massa. Sono spesso sul banco degli imputati per essere giudicati e talvolta sul gradino più alto di un ideale podio socio-culturale. Ma questo atteggiamento della comunità umana è ineludibile dovendo la nostra esistenza avere a che fare con essi ogni istante.
    Tra i due estremi si muove il nostro abituale giudizio. In ogni caso avvertiamo che non ne possiamo fare a meno. Ci viene voglia di indagare di più. Per questo ci siamo rivolti al Prof. Diego Marconi, docente di Filosofia del Linguaggio alla Facoltà di Filosofia dell'Università di Torino.

    Domanda. Quando si parla di mass media e della loro crescente importanza nella società di oggi, a cosa ci si riferisce e cosa si intende effettivamente sottolineare?
    Risposta. Credo che ci si riferisca al fatto che prima la radio, poi la televisione (e in misura minore i giornali) hanno dimostrato di essere in grado di determinare le scelte e i comportamenti della gente; anzitutto per il fatto di stabilire che cosa (e chi) la gente sa, o crede, che esiste, e quindi di predeterminare le alternative tra cui avvengono le scelte.
    Certo la fama è un concetto molto antico, e forme di comunicazione capaci di raggiungere e influenzare milioni di persone ci sono sempre state; quello che è nuovo è la rapida efficacia degli attuali media, specialmente la Tv. La sensibilità puritana si diffuse nell'Inghilterra del '600 grazie all'attività di centinaia di predicatori in un certo arco di anni; oggi per creare un soggetto politico bastano alcune trasmissioni televisive nell'arco di alcuni mesi, o settimane.

    ILLUMINAZIONE O OMOLOGAZIONE?

    D. I mass media hanno reso questa società più consapevole di sé, «illuminata», oppure più confusa ed intricata?
    R. I media hanno creato una moltitudine di spettatori, rendendo accessibili a miliardi di persone pezzi di mondo e di storia di cui i loro omologhi del passato non sospettavano nemmeno l'esistenza. Se la consapevolezza dell'esistenza di altri comporta un incremento della consapevolezza di sé (come probabilmente è, in qualche misura), allora i media hanno avuto questo effetto. Se l'effetto riguardi anche «la società» come soggetto collettivo, non saprei dire. D'altra parte, ogni bombardamento di stimoli ha degli effetti confusivi, e perciò anche i media hanno questi effetti.

    D. Secondo alcuni studiosi i media porterebbero ad una generale omologazione della società, tale da sfociare a sua volta nella formazione di governi totalitari caratterizzati da un controllo capillare dei cittadini. Avverte questo pericolo o lo ritiene ormai scongiurato nell'attuale situazione pluriculturale?
    R. L'omologazione (di gusti, comportamenti, valori, ecc.) c'è stata, l'evoluzione politica totalitaria invece no. Quindi i due fenomeni sono indipendenti. Il rischio del totalitarismo non è mai «scongiurato»; ma continuo a credere che la sua realizzazione dipenda più dai rapporti tra i cosiddetti «poteri forti» della società, dalle loro preoccupazioni e dalle loro scelte, che non dai media e dalla loro capacità di penetrazione. La Tv è uno strumento formidabile nelle mani di un governo totalitario, ma da sola non genera totalitarismo.

    D. Come ridefinirebbe il «mondo», la «realtà» alla luce del presente irradiarsi di prospettive e di immagini prodotto da una notevole dilatazione del mercato dell'informazione?
    R. Il «mondo» è continuamente ridefinito dall'evoluzione dei saperi scientifici, anche se queste definizioni e ridefinizioni sono disponibili a pochi e, nella loro globalità, a nessuno. Le immagini del mondo — in realtà, soprattutto del mondo sociale — continuamente prodotte dai media possono essere anche importanti in quanto determinano comportamenti collettivi (propensione al consumo, ad esempio), ma non devono essere prese per definizioni del mondo, il quale se ne infischia di ciò che i giornali dicono di lui.

    D. Nella nostra società, finora implicitamente definita della comunicazione generalizzata, i mass media costruiscono la cultura o la distruggono? Quale il grado di purezza dell'informazione che trasmettono? In sostanza, viviamo nello stesso mondo che ci viene contemporaneamente raccontato e rappresentato o in un altro?
    R. Non si possono non fare alcune distinzioni. I media - o meglio, la televisione - hanno certamente contributo ad un'alfabetizzazione di massa più di qualsiasi altro mezzo, tecnologico o di altro genere, impiegato in passato: la televisione ha diffuso la lingua nazionale, e ha messo a disposizione di grandi masse un patrimonio di immagini e di discorsi enormemente maggiore di quello che era loro accessibile prima. D'altra parte, la stessa Tv ha fatto molto — più di tutti i rivoluzionari — per distruggere la cultura dei ceti borghesi, disgregando i processi di pensiero dei figli della borghesia. Anche sulla veridicità dei media bisogna fare qualche distinzione. Chiunque si sia trovato a leggere sui giornali o a sentir raccontare in Tv fatti di cui è stato testimone o protagonista, sa che i media «mentono» praticamente sempre: le informazioni che comunicano sono incomplete, parziali e molto spesso semplicemente false. Che l'immagine del mondo fornita dai media sia, in un senso qualsiasi, «più vera della verità», o che la nozione di verità si sia dissolta per la pura e semplice prevalenza mediatica, io non credo affatto: queste tesi postmoderniste mi sembrano semplici razionalizzazioni di una situazione in cui le immagini dei fatti diffuse dai media, per quanto false, vengono credute da milioni di persone. Il fatto che siano credute non le rende meno false. Peraltro, i media informano per davvero, nel senso che fanno sapere a milioni di persone (che ne sarebbero state altrimenti ignare), che accadono certi fatti, che certe persone esistono e fanno grosso modo certe cose. Che c'è la guerra in Bosnia, che esiste il Presidente degli Stati Uniti.

    D. Anche la conversazione è un fatto culturale: traendo spunto da una nota frase della giornalista Camilla Cederna in cui si afferma che la Tv uccide la conversazione, lei pensa che gli uomini oggi abbiano già quasi rinunciato ad una funzione così determinante per loro stessi in quanto tali?
    R. Ci sono stati, nel nostro secolo, vari modelli di «conversazione»: quella che si svolge o si svolgeva in un salotto borghese è diversa da quella delle donne del popolo al mercato. Tutte sono state importanti per chi vi partecipa. Credo che la televisione abbia contribuito a distruggere almèno alcune di queste forme di conversazione, o a renderle più difficili o improbabili, ma altri fattori hanno contato quasi altrettanto, dai supermercati all'intensificazione dei ritmi di lavoro nel ceto professionale. Forse la televisione ha contribuito maggiormente per un aspetto a cui si pensa più di rado, cioè per il fatto di disabituare ad un uso attivo del linguaggio.

    La televisione rende ascoltatori, e ascoltatori distratti; e un ascoltatore distratto è difficilmente un buon conversatore.

    E I GIOVANI?

    D. Quanta parte della loro vita quotidiana riservano oggi i giovani ai media?
    R. Qui si vede come il discorso sui media debba distinguere accuratamente tra i vari canali. Da un'indagine, risulta che gli studenti dell'Università di Vercelli, in media, dichiarano di guardare la televisione per due ore al giorno. Che non è poco. Peraltro, tra quei medesimi studenti solo una minoranza legge un quotidiano tutti i giorni.

    D. Proprio perché siamo finiti a parlare di giovani, quale ritiene sia il valore dei media in ambito educativo-formativo?
    R. Si dice il solito che la Tv potrebbe fare moltissimo (sottinteso: e non fa) sul terreno educativo, avendo in mente, credo, trasmissioni che si potrebbero realizzare per – che so – raccontare la storia del XX secolo, o spiegare la fotosintesi, o insegnare la prevenzione dei tumori polmonari. A me pare che la Tv abbia largamente sostituito l'educazione quotidiana, informale e poco strutturata che una volta si riceveva in famiglia, attraverso la conversazione dei «grandi», i loro ospiti, gli eventi di tutti i giorni e il commento su di essi. Segue che la funzione educativa che la Tv già svolge potrebbe migliorare di qualità non tanto incrementando il numero di ore dedicate a programmi esplicitamente e formalmente educativi, quanto rendendo meno stupide tutte le trasmissioni televisive, dai telegiornali ai varietà.

    D. In un mondo così bersagliato da messaggi di ogni genere è senza dubbio importante sviluppare uno spiccato «spirito critico». Quanto ne possiedono i giovani oggi, e a quale forma di mass media sarebbe preferibile si rivolgessero per accrescerlo?
    R. Non credo che il problema sia tanto lo spirito critico: non mi pare che i giovani siano oggi più conformisti o meno critici che in passato.
    Il problema, credo, sono gli strumenti di pensiero e di discorso: i giovani sembrano disporne meno che in passato. Ma forse è un effetto propedeutico, che non tiene conto del passaggio da una scuola d'élite a una scuola di massa. Se invece fosse vero, non ho la minima idea di come si potrebbe fare a rimediare.
    Come insegnante, cerco di aiutare gli studenti a imparare a pensare, a parlare e a scrivere. È un lavoro essenzialmente interattivo: non so cosa potrebbe corrispondergli in una situazione non interattiva per definizione, come quella della fruizione televisiva.

    MASS MEDIA OGGI E SOCIETÀ DOMANI

    D. Se avesse il potere di cambiare radicalmente qualcosa nel modo di fare comunicazione e dare informazioni oggi, cosa modificherebbe o addirittura annullerebbe?
    R. Mi piacerebbe che ci fosse un Istituto di controllo della veridicità dell'informazione, che svolgesse ogni settimana dei controlli-campione su quanto pubblicato da quotidiani e settimanali e trasmesso in Tv, e smentisse con regolarità le notizie false (anche i piccoli dettagli apparentemente insignificanti: X non aveva 52 anni, ma 43; non era nato a Roma, ma a Terni, ecc.), pubblicando ogni anno una classifica dei giornalisti più bugiardi, imprecisi e fantasiosi. Mi piacerebbe anche - sarebbe una piccolissima riforma - che ogni trasmissione televisiva fosse obbligata a denunciare (sovraimpressione) il proprio costo di produzione.

    D. Si è mai domandato dove andrà a sfociare questa nostra società così come l'abbiamo finora caratterizzata?
    Cosa le suggerisce l'immaginario in quella sfera temporale così misteriosa quale il futuro?
    R. Siccome sono un riformista incurabile, la mia immaginazione è costantemente occupata a progettare come potrebbero andare le cose, e non le resta spazio per anticipare il futuro.


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