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    Diritti dell'uomo, la sfida continua


    Norberto Bobbio

    (NPG 1994-04-62)


    Per quanto io ritenga che occorra andar molto cauti nel vedere svolte, salti qualitativi, rivolgimenti epocali ad ogni stagione, non esito ad affermare che la proclamazione dei diritti dell'uomo abbia tagliato in due il corso storico dell'umanità per quel che riguarda la concezione del rapporto politico. Ed è un segno del tempo il fatto che a render sempre più evidente e irreversibile questo rovesciamento convergano, sino a incontrarsi, senza contraddirsi, le tre grandi correnti del pensiero politico moderno, il liberalismo, il socialismo, il cristianesimo sociale. Convergono, pur conservando ciascuna la propria identità nella preferenza data a certi diritti piuttosto che ad altri, e così dando origine a una struttura complessa, sempre più complessa, di diritti fondamentali, la cui integrazione pratica è spesso resa difficile proprio dalla loro diversa fonte di ispirazione dottrinale e dalle diverse finalità che ognuna di esse si propone di raggiungere, ma che pur rappresenta una meta da conquistare nella auspicata unità del genere umano.
    Cronologicamente vengono primi i diritti di libertà propugnati dal pensiero liberale, dove libertà viene intesa in senso negativo, come libertà dei moderni contrapposta alla libertà degli antichi, e anche degli scrittori medievali, per cui libera repubblica significava o indipendente da un potere superiore a quello del regno o dell'impero, oppure popolare nel senso di governata dai cittadini medesimi o da una parte di essi e non da un principe imposto o legittimato attraverso una legge successoria. Non significò mai potere limitato dai diritti moderni di libertà, intesi come diritti naturali precedenti allo Stato.

    Le tradizioni liberali socialiste e cristiane si stanno avvicinando a difesa dell'uomo

    I diritti sociali sotto forma di un'organizzazione dell'istruzione pubblica e di provvedimenti in favore del lavoro ai «poveri validi che non abbiano potuto procurarselo», fanno la loro prima apparizione nel titolo primo della Costituzione francese del 1791, e vengono riaffermati solennemente negli articoli 21 e 22 della Dichiarazione dei diritti del giugno 1793. Il diritto al lavoro diventò uno dei temi del dibattito infuocato ma sterile nell'Assemblea costituente francese del 1848 pur lasciando soltanto una debole traccia nell'articolo VIII del Preambolo. Nella loro più ampia dimensione i diritti sociali entrarono nella storia del costituzionalismo moderno con la Costituzione di Weimar. Della loro apparente contraddittorietà ma reale complementarità rispetto ai diritti di libertà, la più fondata ragione è quella che vede in essi una integrazione dei diritti di libertà, nel senso che essi sono la condizione stessa del loro effettivo esercizio. I diritti di libertà non possono essere assicurati se non garantendo a ognuno quel minimo di benessere economico che consenta di vivere con dignità.
    Quanto al cristianesimo sociale nel Documento della Commissione pontificia Iustitia et Pax, si riconosce onestamente che «non sempre» nel decorso dei secoli l'affermazione dei diritti fondamentali dell'uomo è stata «costante» e che specie negli ultimi due secoli vi sono state «difficoltà», «riserve», e a volte «reazioni» da parte cattolica al diffondersi delle dichiarazioni dei diritti dell'uomo, proclamate dal liberalismo e dal laicismo. Ci si riferisce in modo particolare agli «atteggiamenti di precauzione, negativi e talvolta ostili, di condanna» di Pio VI, di Pio VII e di Gregorio XVI. Ma nello stesso tempo si avverte che una svolta ebbe inizio con Leone XIII, in particolare con l'enciclica Rerum Novarum del 1891, in cui, tra i diritti di libertà della tradizione liberale, si afferma con forza il diritto di associazione con particolare riguardo alle associazioni degli operai, un diritto che sta alla base di quel pluralismo dei gruppi su cui poggia e di cui si nutre la democrazia dei moderni contrapposta a quella degli antichi (che giunge sino a Rousseau) e, tra i diritti sociali della tradizione socialista, si mette in particolare rilievo il diritto al lavoro per la cui protezione nei suoi vari aspetti - il diritto a un giusto salario, il diritto al debito riposo, la tutela delle donne e dei fanciulli - si invoca il concorso dello Stato.
    Attraverso vari documenti che non è il caso di ricordare - encicliche, messaggi natalizi come quelli del 1942 e 1944 di Pio XII, la Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, il famoso discorso di Paolo VI indirizzato al segretario generale dell'Onu - cento anni dopo giunge il documento recentissimo, dato il primo maggio di quest'anno, l'enciclica Centesimus annus, a riaffermare solennemente l'importanza che la Chiesa assegna al riconoscimento dei diritti dell'uomo tanto che, come è già stato osservato, il paragrafo 47 contiene una illuminante «carta dei diritti umani», preceduta da queste parole: «È necessario che i popoli che stanno riformando i loro ordinamenti diano alla democrazia un autentico e solido fondamento mediante l'esplicito riconoscimento dei diritti umani». Il primo di questi diritti è il diritto alla vita, cui seguono il diritto a crescere in una famiglia unita, il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro; il diritto a formare liberamente una famiglia; e da ultimo, ma fonte di tutti i precedenti, il diritto alla libertà religiosa.
    Non è chi non veda che l'elenco di questi diritti è ben diverso da quello dei diritti enumerati nelle Carte della Rivoluzione francese. Il diritto alla vita che qui compare come il primo diritto da proteggere, là, nelle Carte francesi, non compare mai. Nelle Carte americane compare nella forma quasi sempre di «diritto al godimento e alla difesa della vita» accanto ai diritti di libertà. Per non offuscare la auspicata convergenza verso il fine comune della protezione universale dei diritti dell'uomo, questa differenza viene di solito scarsamente rilevata. Ma la differenza esiste ed ha indubbiamente anche un rilievo filosofico. Da un lato primeggia la protezione del diritto di libertà nelle sue diverse manifestazioni, dall'altra primeggia la protezione del diritto alla vita, sin dal momento in cui la vita ha inizio, contro l'aborto, sino al momento in cui la vita volge alla fine, contro l'eutanasia. Nella tradizione giusnaturalistica il diritto alla vita era riconosciuto nella forma rudimentale enunciata da Hobbes, del diritto a non essere uccisi nella guerra di tutti contro tutti dello stato di natura, e quindi come diritto in ultima istanza alla pace. Nella Dichiarazione dell'89 si può trovare se mai un riferimento alla protezione della vita negli articoli 7, 8 e 9 che contengono i principi fondamentali dell'Habeas corpus.
    Oggi il diritto alla vita assume ben altra importanza, tanto più se si comincia a prendere atto che esso va sempre più estendendosi, come risulta dai più recenti documenti internazionali e della Chiesa, alla qualità della vita. Tuttavia non bisogna dimenticare che la congiunzione fra il diritto alla vita e il diritto alla libertà era già avvenuta nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, il cui articolo 3 recita: «Ogni individuo ha il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza», e anche nella Carta europea dei diritti dell'uomo, il cui articolo 1 riconosce il diritto alla vita, anche se lo scopo principale dell'articolo è limitato alla difesa dell'individuo dall'uccisione intenzionale, vale a dire alla protezione della vita nella sua pienezza, non nei casi limite della vita che sta per cominciare o della vita che sta per finire.

    Le minacce alla vita vengono dal potere della scienza e delle sue applicazioni

    I diritti dell'uomo, nonostante siano stati considerati sin dall'inizio naturali, non sono stati dati una volta per sempre. Basti pensare alle varie vicende dell'estensione dei diritti politici. Per secoli si è ritenuto per nulla naturale che le donne andassero a votare. Ora possiamo anche dire che non sono stati dati tutti in una volta e neppure congiuntamente, ma oggi non pare dubbio che le varie tradizioni si stiano avvicinando e stiano formando insieme un unico grande disegno di difesa dell'uomo, che comprende i tre sommi beni, della vita, della libertà e della sicurezza sociale.
    Difesa da che cosa? La risposta che ci viene dall'osservazione della storia è molto semplice e netta: dal Potere, da ogni forma di Potere. Il rapporto politico per eccellenza è un rapporto tra potere e libertà. Vi è una stretta correlazione fra l'uno e l'altra. Più si estende il potere di uno dei due soggetti del rapporto, più diminuisce la libertà dell'altro, e viceversa.
    Ebbene, ciò che contraddistingue il momento attuale rispetto alle epoche precedenti e rafforza la richiesta di nuovi diritti è la forma di potere che prevalesu tutti gli altri. La lotta per i diritti ha avuto come avversario prima il potere religioso, poi il potere politico, infine il potere economico. Oggi le minacce alla vita, alla libertà, alla sicurezza vengono dal potere della scienza e delle sue applicazioni tecniche. Siamo entrati nell'era che viene chiamata postmoderna, ed è caratterizzata dall'enorme progresso, vertiginoso e irreversibile, della trasformazione tecnologica e tecnocratica del mondo. Dal giorno in cui Bacone disse che la scienza è potere, l'uomo ha fatto molta strada. Mai come oggi chi più sa più ha potere. La conoscenza è diventata la principale causa e la condizione se non sufficiente, necessaria, del dominio dell'uomo sulla natura e sugli altri uomini.
    I diritti della nuova generazione, come sono stati chiamati, dopo quelli in cui si sono incontrate le tre correnti ideali del nostro tempo, nascono tutti dai pericoli alla vita, alla libertà e alla sicurezza, provenienti dall'accrescimento del progresso tecnologico. Bastino questi tre esempi che sono al centro del dibattito attuale: il diritto a vivere in un ambiente non inquinato donde hanno preso le mosse i movimenti ecologici che hanno smosso la vita politica tanto all'interno dei singoli Stati quanto nel sistema internazionale; il diritto alla privatezza che viene messo in serio pericolo dalla possibilità che hanno i pubblici poteri di memorizzare tutti i dati riguardanti la vita di una persona e con ciò di controllarne i comportamenti senza che egli se ne accorga; il diritto, l'ultimo della serie, che sta già sollevando dibattiti nelle organizzazioni internazionali, e su cui probabilmente avverranno gli scontri più accaniti tra due visioni opposte della natura dell'uomo, alla integrità del proprio patrimonio genetico che va ben oltre il diritto alla integrità fisica, già affermato negli articoli 2 e 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
    Nel discorso Le fondement théologique des droits de l'homme, tenuto nel novembre 1988, il vescovo di Rottenborg Stuttgart, Walter Kasper, ha scritto una frase che può costituire la conclusione del mio discorso: «I diritti dell'uomo costituiscono al giorno d'oggi un nuovo ethos mondiale». Naturalmente, occorre non dimenticare che un ethos rappresenta il mondo del dover essere. Il mondo dell'essere ci offre purtroppo uno spettacolo molto diverso. Alla lungimirante consapevolezza circa la centralità di una politica tesa alla sempre migliore formulazione e alla sempre migliore protezione dei diritti dell'uomo, corrisponde la loro sistematica violazione in quasi tutti i Paesi del mondo, nei rapporti fra un Paese e l'altro, tra una razza e l'altra, tra potenti e deboli, tra ricchi e poveri, tra maggioranze e minoranze, tra violenti e rassegnati. L'ethos dei diritti dell'uomo splende nelle solenni dichiarazioni che restano quasi sempre e quasi dappertutto lettera morta.
    La volontà di potenza ha dominato e continua a dominare il corso della nostra storia. L'unica ragione di speranza è I che la storia conosce i tempi lunghi e i tempi brevi. La storia dei diritti dell'uomo, è bene non farsi illusioni, è quella dei tempi lunghi. Del resto è sempre accaduto che mentre i profeti di sventure annunciano la sciagura che sta per avvenire e invitano a essere vigilanti, i profeti dei tempi felici guardano lontano.

    (La Stampa, 15 giugno 1991)


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